- CNR, come convivere con il caldo nell' era coronavirus Covid-19
Uno studio, coordinato dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr- Ibe) e pubblicato recentemente come “Discussion” sulla rivista Science of the Total Environment, ha analizzato l’interazione tra alcune misure per contrastare la diffusione del Covid-19 e la gestione dello stress da caldo.
“La popolazione, per contrastare la diffusione del virus deve usare mascherine e guanti in plastica o lattice, soprattutto se impegnata in particolari attività lavorative dove non è possibile garantire il distanziamento sociale”, dichiara Marco Morabito del Cnr-Ibe. “Questi dispositivi non sono nati per un utilizzo massivo e prolungato all’aperto in particolare all’esposizione dei raggi solari e non sono testati dal punto di vista microclimatico e del potenziale impatto sulla percezione del disagio termico”.
In questo lavoro sono discusse le varie complicanze dal punto di vista microclimatico legate all’uso di questi dispositivi in condizioni di caldo. Per contrastare la diffusione del Covid-19, l’Organizzazione mondiale della sanità nelle ultime linee guida raccomanda l’uso delle mascherine tra la popolazione e recenti ricerche scientifiche dimostrano che il loro utilizzo in pubblico rappresenta la misura più efficace per contrastare la trasmissione del virus Sars-Cov-2, è necessario quindi individuare misure e strumenti per riuscire a convivere con tali dispositivi dovendo contemporaneamente gestire l’emergenza caldo.
“Il sistema di allerta da caldo personalizzato per i lavoratori, è uno strumento già disponibile online sulla piattaforma del progetto Heat-Shield, che permette, sulla base delle caratteristiche fisiche, del tipo di attività, del vestiario indossato e dell’ambiente di esposizione, di prevedere un rischio da caldo “individuale”, integrato con suggerimenti per contrastare la situazione, come idratazione e pause di lavoro. Si tratta di informazioni utili per salvaguardare la salute dei lavoratori e assicurare la produttività di diverse aree professionali”, spiega Morabito.
Una versione più avanzata del dispositivo sarà realizzata nell’ambito di Worklimate, un progetto italiano iniziato il 15 giugno, coordinato dal Cnr e finanziato da Inail, in cui, attraverso l’analisi di casi studio in vari ambiti occupazionali, di questionari somministrati a lavoratori e attività epidemiologiche, sarà migliorato il sistema di allerta da caldo personalizzato, sia con una migliore risoluzione spaziale e temporale sia tenendo in considerazione l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e di misure igieniche come le cosiddette “mascherine di comunità”, ovvero quelle monouso o lavabili, realizzate con materiali idonei a fornire un’adeguata barriera per naso e bocca.
- Coronavirus FVG. Riccardi, ok a Piano potenziamento rete ospedali per Covid-19
"Diamo seguito al lavoro di relazione con il ministero della Salute per una riorganizzazione con standard condivisi: dopo l'approvazione del Piano da parte della Giunta ora proseguirà il dialogo con lo Stato per la valutazione e approvazione e indicazione di tempi e modalità di attuazione.
Non si può tenere la guardia bassa rispetto all'emergenza: la risposta finora implementata deve essere ricondotta ora ad un piano organico e resa strutturale. Il Piano prevede pertanto che, a fronte di mutate esigenze, l'attivazione di ulteriori posti letto di terapia intensiva avvenga con una modalità progressiva a fronte delle esigenze, con una geometria variabile di potenziamento sull'intera rete regionale".
Lo afferma il vicegovernatore con delega alla Salute Riccardo Riccardi, su proposta del quale oggi la Giunta ha approvato in via preliminare il Piano di potenziamento della rete ospedaliera per emergenza Covid 19.
Sono previsti 25 milioni di euro dallo Stato per aumentare di 55 posti letto la dotazione regionale delle terapie intensive, passando da 120 a 175, con un costo stimato di 10.047.920 euro; per convertire 85 posti di medicina per acuzie in posti letto di terapia semintensiva con un costo stimato di 11.407.000 euro; per l'ammodernamento di 12 strutture di Pronto Soccorso (separazione dei percorsi, aree dedicate all'assistenza di pazienti in attesa di diagnosi) con un costo stimato di 3.800.000 euro.
Il piano di potenziamento richiesto dal Ministero alle Regioni prevede inoltre l'implementazione di mezzi sanitari (ambulanze) per i trasferimenti tra strutture Covid-19, per dimissioni protette, per i trasporti inter-ospedalieri no Covid-19 (finanziamento di 150.000 euro per il 2020 e pari al 9% per il 2021 per la manutenzione del mezzo); acquisizione di personale sanitario e tecnico per la dotazione dei mezzi di soccorso (costo considerato per 7,5 mesi del 2020 è di 672.115,38 euro); acquisizione di personale sanitario (medici e infermieri) per l'incremento di posti letto (per il 2020 il calcolo dei costi è stato stimato su 3,5 mesi ed è pari a 2.815.076,92 euro, coperti da finanziamento ministeriale.
Per il 2021 il finanziamento coprirà il 40% del costo); l'avvio di misure per il riconoscimento di incentivi al personale operante nei servizi dedicati alla gestione del Covid-19 (es. incremento dei fondi per la remunerazione delle ore di lavoro straordinario e delle specifiche indennità contrattuali, fondi incentivanti che remunerano la produttività e il risultato). Per il 2020 il costo per gli incentivi del personale regionale ammonta a complessivi 9.076.979 euro. Come da indicazioni ministeriali, la Regione ha definito una proposta di piano di potenziamento della rete ospedaliera che prevede, a regime, la seguente distribuzione di posti letto di terapia intensiva: 64 in Asugi (46 a Cattinara e Maggiore, 12 a Gorizia, 6 a Monfalcone), 78 in Asufc (50 a Udine, 8 a Palmanova, 4 a Latisana, 8 a San Daniele, 8 a Tolmezzo); 23 in Asfo (18 a Pordenone e 5 a San Vito al Tagliamento); 6 al Burlo; 4 al Cro.
La riorganizzazione prevede anche la disponibilità di complessivi 85 posti letto di terapia semintensiva. A regime la distribuzione regionale dei posti letto sarà la seguente: 34 in Asugi (30 tra Cattinara e Maggiore a Trieste e 4 a Gorizia); 30 in Asufc (18 a Udine, 8 a Palmanova e 4 a Latisana); 18 in Asfo (Santa Maria degli Angeli a Pordenone); 3 al Burlo.
Per le 12 strutture di Pronto Soccorso l'obiettivo finale delle indicazioni ministeriali prevede una riorganizzazione delle attività per garantire i criteri di separazione e sicurezza, in particolare il consolidamento dei percorsi separati e l'individuazione di aree di permanenza dei pazienti in attesa di diagnosi.
Il finanziamento ministeriale previsto per l'implementazione dei mezzi sanitari per i trasferimenti secondari tra strutture Covid-19, per le dimissioni protette e anche per i trasporti interospedalieri, è sufficiente all'acquisizione di 1 ambulanza da destinare ad una delle Aziende regionali; la dotazione di personale sanitario e tecnico necessario, calcolato sulla base dei criteri indicati dal Ministero, è pari a 5 dirigenti medici, 5 infermieri, 5 unità di personale Ota/Oss e 5 autisti.
- Coronavirus, Swissmedic estende lβuso del remdesivir per i pazienti con Covid-19 in Svizzera
Il remdesivir può essere utilizzato da subito più ampiamente in Svizzera, per il trattamento dei pazienti affetti da COVID-19. Dopo un attento esame in tempi record, l’Istituto svizzero per gli agenti terapeutici Swissmedic ha deciso che il remdesivir può essere temporaneamente immesso in commercio.
Ciò significa che da subito può essere trattato un numero maggiore di pazienti affetti da COVID-19, mentre viene esaminata la documentazione di omologazione.
Il 29 giugno 2020, Swissmedic ha ricevuto una domanda di omologazione temporanea per il remdesivir e ha avviato una procedura rapida per l’omologazione. Sulla base dell’ordinanza d’emergenza emanata dal Consiglio federale per combattere il coronavirus, Swissmedic ha disposto il giorno successivo, dopo un’analisi del rapporto benefici/rischi, che il remdesivir può essere temporaneamente immesso in commercio.
Uso più esteso
I preparati contenenti il principio attivo remdesivir, distribuiti con il nome commerciale «Veklury», possono essere utilizzati senza omologazione negli ospedali svizzeri per il trattamento dei pazienti affetti da COVID-19 fino alla decisione di omologazione o fino alla revoca della pertinente base giuridica di emergenza.
I medici curanti ricevono quindi immediatamente opzioni terapeutiche aggiuntive per i pazienti che soffrono di polmoniti dovute al virus SARS-CoV-2 e che necessitano di ossigeno supplementare. Il preparato è disponibile anche per i pazienti al di fuori di sperimentazioni cliniche approvate e del programma di «compassionate use» approvato, mentre viene esaminata la domanda di omologazione presentata. Gli effetti indesiderati del medicamento vengono strettamente monitorati per garantire la sicurezza dei pazienti.
Analisi coscienziosa del rischio
Le esperte e gli esperti di Swissmedic hanno basato la loro valutazione su dati di qualità e fabbricazione esistenti, studi di sicurezza non clinici (preclinici), dati di studi clinici e informazioni di sicurezza complementari derivanti dall’utilizzo del remdesivir in programmi di «compassionate use». In un ampio studio clinico sul principio attivo remdesivir negli Stati Uniti è stato registrato un positivo rapporto benefici/rischi nei pazienti affetti da COVID-19 con polmonite che necessitavano di ossigeno supplementare. In quasi un terzo dei pazienti è stata osservata una più breve durata della malattia.
La rapida decisione di rilasciare per l’uso il remdesivir mentre è ancora in corso la procedura di omologazione è stata possibile solo grazie alla collaborazione con altri uffici federali e ai colloqui preliminari con il richiedente.
Swissmedic gestisce tutte le domande in relazione alla pandemia di COVID-19 con opportuna priorità e urgenza.
- Coronavirus, whole-town study reveals more than 40% of COVID-19 infections had no symptoms
The authors of the new research, from the University of Padova and at Imperial College London, published today in Nature, suggest asymptomatic or pre-symptomatic people are an important factor in the transmission of COVID-19. They also argue that widespread testing, isolating infected people, and a community lockdown effectively stopped the outbreak in its tracks. The town of Vò, with a population of nearly 3,200 people, experienced Italy’s first COVID-19 death on 21 February 2020.
The town was put into immediate quarantine for 14 days. During this time, researchers tested most of the population for infection of SARS-CoV-2, the virus that causes COVID-19, both at the start of the lockdown (86 percent tested) and after two weeks (72 percent tested). The testing revealed that at the start of the lockdown, 2.6 percent of the population (73 people) were positive for SARS-CoV-2, while after a couple of weeks only 1.2 percent (29 people) were positive. At both times, around 40 percent of the positive cases showed no symptoms (asymptomatic).
The results also show it took on average 9.3 days (range of 8-14 days) for the virus to be cleared from someone’s body. None of the children under ten years old in the study tested positive for COVID-19, despite several living with infected family members. This is in contrast to adults living with infected people, who were very likely to test positive. As a result of the mass testing any positive cases, symptomatic or not, were quarantined, slowing the spread of the disease and effectively suppressing it in only a few short weeks. Co-lead researcher Professor Andrea Crisanti, from the Department of Molecular Medicine of the University of Padua and the Department of Life Sciences at Imperial, said: “Our research shows that testing of all citizens, whether or not they have symptoms, provides a way to manage the spread of disease and prevent outbreaks getting out of hand. Despite ‘silent’ and widespread transmission, the disease can be controlled.” The results of the mass testing programme in Vò informed policy in the wider Veneto Region, where all contacts of positive cases were offered testing.
“This testing and tracing approach has had a tremendous impact on the course of the epidemic in Veneto compared to other Italian regions, and serves as a model for suppressing transmission and limiting the virus’ substantial public health, economic and societal burden,” added Professor Crisanti. As well as identifying the proportion of asymptomatic cases, the team also found that asymptomatic people had a similar ‘viral load’ – the total amount of virus a person has inside them – as symptomatic patients. Viral load also appeared to decrease in people who had no symptoms to begin with but later developed symptoms, suggesting that asymptomatic and pre-symptomatic transmission could contribute significantly to the spread of disease, making testing and isolating even more important in controlling outbreaks.
Co-lead researcher Dr Ilaria Dorigatti, from the MRC Centre for Global Infectious Disease Analysis, Jameel Institute (J-IDEA), at Imperial College London, said: "The Vò study demonstrates that the early identification of infection clusters and the timely isolation of symptomatic as well as asymptomatic infections can suppress transmission and curb an epidemic in its early phase. This is particularly relevant today, given the current risk of new infection clusters and of a second wave of transmission. “There are still many open questions about the transmission of the SARS-CoV-2 virus, such as the role of children and the contribution of asymptomatic carriers to transmission. Finding answers to these questions is crucial to identifying targeted and sustainable control strategies to combat the spread of SARS-CoV-2 in Italy and around the world.”
Professor Enrico Lavezzo, from the Department of Molecular Medicine at the University of Padua said: “The result concerning asymptomatic carriers is key. We took a picture of the Vò population and found that about half of the population testing positive had no symptoms at the time of testing and some of them developed symptoms in the following days. This tells us that if we find a certain number of symptomatic people testing positive, we expect the same number of asymptomatic carriers that are much more difficult to identify and isolate. “The fact that the viral load is comparable between symptomatic and asymptomatic carriers means even asymptomatic infections have the potential to contribute to transmission, as some of the reconstructed chain of transmission obtained from the detailed contact tracing conducted in Vò confirmed. “On the one hand, it is likely that a symptomatic infection transmits large quantities of virus, for example via coughing, but it is also reasonable to think that symptoms may induce a person with a symptomatic infection to stay at home, limiting the number of contacts and hence the transmission potential. On the other hand, someone with an asymptomatic infection is entirely unconscious of carrying the virus and, according to their lifestyle and occupation, could meet a large number of people without modifying their behaviour.”
Co-first author Dr Elisa Franchin, from the Department of Molecular Medicine of the University of Padua, said: “This work highlights the efficacy of the containment strategies implemented since the finding of the first positive patient in the town of Vò. From a technical perspective, this work has been possible thanks to the most advanced diagnostic technologies that we had available and to the work of a large number of people with different skills: from nurses to clerks, technicians, biologists and medical doctors. The en mass participation of the Vo’ population to this study has given us the opportunity to better understand the transmission of this virus and how to avoid future infections.” This research was funded by the Veneto Region, Wellcome Trust, Royal Society, the European Union's Horizon 2020 research and innovation programme, the UK Medical Research Council (MRC) and the UK Department for International Development (DFID) under the MRC/DFID Concordat agreement, the EDCTP2 programme supported by the European Union and the Abdul Latif Jameel Foundation.
1. ‘Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’’ by Enrico Lavezzo et al is published in Nature: https://www.nature.com/articles/s41586-020-2488-1
2. About Imperial College London
- Coronavirus Covid-19, il prezzo pagato dalle donne
La pandemia del Coronavirus ha colpito l’Italia con tempi e modi diversi. L’impatto della crisi è stato diverso anche per uomini e donne. Dalle analisi che cominciano ad emergere a livello globale, sembra che gli effetti negativi della crisi si siano fatti sentire maggiormente sulle donne.
Quale è stato il prezzo della crisi pagato dalle donne in Italia? A questa domanda fornisce una risposta il quarto rapporto del progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19, che si pone l’obiettivo di sviluppare una infrastruttura di ricerca per il monitoraggio quotidiano dell’opinione pubblicadurante l’emergenza Covid-19.
L’indagine è coordinata dal Prof. Cristiano Vezzoni e a cura del SPS TREND Lab, presso il dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Statale di Milano.
Il rapporto completo è disponibile online alla pagina:
https://spstrend.unimi.it/it/contenuti-it/covid-19-il-prezzo-pagato-dalle-donne-i-dati-del-quarto-rapporto-response-covid-19.html
I PUNTI SALIENTI DELL’INDAGINE
I nostri dati confermano che anche in Italia le donne hanno pagato il prezzo più alto al Coronavirus, sia nella sfera lavorativa che in quella familiare. Questo si riflette in un più accentuato disagio psicologicodelle donne durante la crisi e in un loro atteggiamento più prudente rispetto all’adozione delle misure per il contrasto la pandemia.
L’impatto della crisi sul lavoro e il prezzo pagato dalle donne lavoratrici
- La crisi del Coronavirus ha portato grande incertezza nel mondo del lavoro.
- Durante il lockdown, molti hanno smesso di uscire di casa per recarsi sul luogo di lavoro. Questo è avvenuto soprattutto per le lavoratrici: nelle prime fasi della crisi, circa l’80% ha smesso di recarsi al lavoro.
- Gradualmente le attività sui posti di lavoro sono riprese. Tuttavia, la percentuale di donne che ha ripreso il lavoro abituale rimane più bassa di quella degli uomini: 70% contro 80%.
- Le lavoratrici autonome sono le più colpite: la crisi ha evidenziato la loro posizione di accentuata vulnerabilità sul mercato del lavoro.
- Le lavoratrici autonome sono anche quelle che hanno percepito più forte il rischio di perdere il lavoro.
I costi della crisi nella vita domestica
- Non per tutti la forzata permanenza a casa durante il lockdown ha significato più tempo da dedicare alle attività ricreative.
- Per le donne, aumentano i carichi di lavoro domestico e, nel contempo, diminuisce la capacità di contribuire al reddito familiare.
- Se si considerano le persone che vivono in coppia, le donne, che già di norma si fanno carico della maggior parte dei compiti domestici, hanno aumentato il tempo dedicato al lavoro domestico e alla cura dei bambini, in modo molto più accentuato degli uomini.
- Paradossalmente, la percezione che la crisi abbia favorito una maggiore condivisione dei compiti domestici nella coppia è più frequente tra gli uomini che tra le donne.
Il disagio psicologico: le donne meno felici e più esposte a depressione e solitudine
- Nel periodo della crisi, le donne sono sistematicamente meno felici degli uomini.
- Le donne manifestano una condizione di maggiore vulnerabilità psicologica, associata a condizioni materiali, lavorative e familiari più sfavorevoli rispetto a quelle degli uomini. Accusano più frequentemente sintomi di depressione, nervosismo e solitudine.
- Queste condizioni migliorano con l’allontanarsi del picco della crisi.
La risposta delle donne alla crisi
- Le donne risultano essere più inclini degli uomini a conformarsi alle misure di contrasto alla diffusione del virus (distanziamento sociale, utilizzo della mascherina).
- Rispetto agli uomini, le donne sono inoltre più caute sul da farsi e in proporzione crescente chiedono al governo di mantenere o intensificare le misure di contenimento del contagio.
ResPOnsE Covid-19
Il progetto ResPOnsE Covid-19, coordinato dal Prof. Cristiano Vezzoni e a cura del SPS TREND Lab, presso il dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Statale di Milano, rileva comportamenti, opinioni e benessere dei cittadini italiani durante la crisi mediante 150 interviste al giorno che permettono di seguire puntualmente i principali trend, svolte in collaborazione con SWG. L’analisi permette anche un confronto approfondito tra le diverse aree del paese.
Il periodo di copertura dell’indagine andrà da aprile a luglio 2020, includendo la fase di contrasto alla diffusione del Coronavirus e la successiva fase di contenimento del contagio.
Il progetto si pone come strumento di ricerca scientifica e di supporto alle attività di policy makingrivolte alla definizione di interventi efficaci per il superamento dell’emergenza.
Il progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19 proseguirà con indagini settimanali fino a luglio.
Tutti i materiali disponibili al sito: https://spstrend.unimi.it/it/
- NON SOLO POLMONI, CORONAVIRUS COVID-19 INTERESSA ANCHE IL CERVELLO
Uno studio apparso su European Journal of Neurology pochi giorni fa, condotto dalla Clinica Neurologica III dell’Ospedale San Paolo - ASST Santi Paolo e Carlo - e dal Centro di ricerca Aldo Ravelli dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con i principali centri neurologici dei paesi europei ha dimostrato che il coronavirus COVID-19 non si limita ai sintomi polmonari ma può dare manifestazioni neurologiche.
La ricerca si è basata su una indagine condotta attraverso questionari online, composti da 17 domande, distribuiti ai medici europei impegnati nel fronteggiare la pandemia. Sono stati raccolti più di 2.300 questionari che riportavano la presenza di sintomi neurologici in circa ¾ dei pazienti. I principali disturbi riscontrati andavano da cefalea e mialgie all’encefalopatia.
Alberto Priori, Direttore della Clinica Neurologica III dell’Ospedale San Paolo e Professore del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Milano, fra gli autori dello studio, sostiene che “i meccanismi responsabili dell’interessamento neurologico sono molteplici. Essi possono essere diretti per effetto della diffusione del virus nel tessuto nervoso, come dimostrato proprio qui al Polo Universitario San Paolo dove per la prima volta è stato identificato col microscopio elettronico il virus e i danni tissutali correlati all’infezione. Ci sono anche meccanismi indiretti, come per esempio l’importante attivazione della coagulazione del sangue, che possono portare ad ictus. L’importanza dello studio è che a livello europeo si è dimostrato che i sintomi neurologici sono frequentemente riscontrabili”.
Saranno inoltre da valutare le complicanze neurologiche tardive dell’infezione poiché in molti dei pazienti più gravi poi guariti si riscontrano alterazioni neurologiche, che richiedono uno stretto monitoraggio e la collaborazione tra molti specialisti con un percorso riabilitativo complesso che può essere anche molto lungo. In conclusione, lo studio suggerisce che si sta aprendo un nuovo capitolo nei libri di neurologia e che i neurologi potranno avere un ruolo importante nella gestione della pandemia e nei suoi esiti.
- Il gioco dβazzardo al tempo del coronavirus COVID-19
Le stime epidemiologiche sul gioco d’azzardo in Italia indicano che gioca per soldi metà della popolazione adulta, mentre le quote di gioco problematico hanno visto un aumento negli ultimi anni nella popolazione 15-74 anni e in particolare tra i giovani adulti.
Ma cosa è cambiato durante il lockdown, con la chiusura dei luoghi fisici di gioco e la sospensione di estrazioni e scommesse? L’Agenzia dei Monopoli evidenzia una forte contrazione della raccolta derivante dal comparto, come in tutti i periodi di crisi economica quali il 2008, d’altronde è lecito ipotizzare che la perdita di lavoro e di riferimenti spinga parte della cittadinanza a cercare fortuna proprio nell'azzardo. L’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc), sollecitato dall’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci), da alcune Regioni e da altri soggetti istituzionali coinvolti nel monitoraggio e nella prevenzione dei rischi correlati al gioco d’azzardo ha sviluppato, sotto la guida di Sabrina Molinaro, uno strumento ad hoc per la rilevazione del fenomeno in questo particolare periodo: il questionario online GAPS #iorestoacasa.
“Abbiamo sviluppato uno strumento agile per investigare gli aspetti relativi al gioco su tutto il territorio nazionale”, spiega Molinaro. “A preoccupare sono soprattutto le possibili implicazioni derivanti dalla chiusura di agenzie di scommesse, sale gioco e bingo e dallo spegnimento delle slot machine: la chiusura del comparto fisico dei giochi, ormai terminata, ha reso necessario monitorare le variazioni dei comportamenti, per valutare se le limitazioni abbiano favorito la migrazione verso l’azzardo online o favorito trasgressioni alle regole di isolamento”. Dalle prime risposte al questionario online, che ha raggiunto 3.971 persone in 6 settimane tra aprile e maggio 2020, emerge che il 3,6% dei rispondenti riferisce di aver giocato on-site durante l’emergenza coronavirus, principalmente presso i tabaccai, e il 3,7% riporta di aver giocato d’azzardo online.
Tra chi negli ultimi 12 mesi ha giocato presso luoghi fisici, oltre un quarto dei rispondenti, durante l’isolamento il 12% ha giocato on-site e il 10,3% lo ha fatto online. I risultati del test indicano che lo studio ha raggiunto una popolazione particolarmente sensibile al tema: il 13,3% dei giocatori nell’ultimo anno e il 27,6% di chi ha giocato in periodo Covid-19, mostrano un profilo severo di problematicità, mentre sulla popolazione generale gli studi Cnr-Ifc indicano una quota di problematici intorno al 3%.
Ma come si sono modificati i comportamenti di gioco durante il lockdown? Come atteso, lo studio rileva una generale diminuzione del gioco fisico per il 35,4% e una interruzione totale per il 22,8%. Il 26,6% riferisce di non aver cambiato abitudini e il 13,9% ha addirittura aumentato le occasioni di gioco fisico. Tra i giocatori che hanno giocato on-site nel periodo, la grande maggioranza riferisce di aver giocato al gratta e vinci (72,5%), seguono Superenalotto e Lotto. La maggioranza è uscita di casa da una a tre volte al mese per giocare, circa il 40% lo ha fatto una o più volte a settimana e l’8,5% quotidianamente, anche più volte.
Se la maggior parte dei giocatori on-site ha speso non oltre i 10 euro durante l’intero periodo, il 26% ha speso tra gli 11 e i 200 euro, il 2,6% tra i 200 e i 500 euro e il 3,9% si è spinto oltre i di spesa. Indipendentemente dai soldi spesi, il 55,3% dei giocatori on-site ammette la perdita. Per quanto riguarda il gioco online, il 33,8% riporta di aver aumentato le occasioni di gioco, il 28,8% di non aver modificato le proprie abitudini e l’11,3% di aver iniziato in questa modalità proprio durante l’isolamento. Questi giocatori hanno preferito poker texano, slot machine virtuali e scommesse sportive online.
Nei giocatori online la frequenza di gioco è maggiore: il 30,5% ha giocato una o più volte al giorno, altrettanti più volte a settimana, il 39% da una a quattro volte nel mese. La spesa online nel periodo in questione si rivela più consistente, con il 14,6% che riferisce di aver speso oltre 500 euro e l’11% tra i 200 e i 500 euro. Il 56,8% ammette di essere in perdita. Tra chi ha riportato di aver giocato on-site durante la fase 1 dell’emergenza, il 62,6% è di genere maschile, la classe di età più rappresentata è quella dei 45-54enni e il 32,9% ha visto cambiare la propria posizione lavorativa; tra i rispondenti che hanno riferito il gioco online il 78,6% è maschio, la classe di età più rappresentata sono i 25-34enni e la percentuale di chi ha visto cambiare la propria posizione lavorativa sale al 52%.
“Sebbene queste siano le prime analisi, sembra evidente che gli habitué del gioco in luoghi fisici sono passati solo in minima parte al gioco online e che le due popolazioni di giocatori on-site e online restino ben distinte”, conclude Sabrina Molinaro.
- Coronavirus, incontro Svizzera-Francia-Germania sull' emergenza Covid-19
Il consigliere federale Alain Berset, capo del Dipartimento federale dell’interno, ha incontrato a Ginevra Olivier Véran, ministro della solidarietà e della salute francese, e Jens Spahn, ministro della salute tedesco, per discutere bilateralmente delle sfide dell’emergenza COVID-19 e della stretta collaborazione per superarle.
I tre Paesi coordineranno i loro interventi anche in futuro.
Il consigliere federale Alain Berset e il suo omologo francese Olivier Véran hanno ribadito la buona collaborazione durante la pandemia, soprattutto nelle regioni di confine. Entrambi erano concordi sull'importanza di una stretta collaborazione anche nella fase successiva, per esempio nel campo dei vaccini. Di fatto, per garantire il successo della ricerca, dello sviluppo, della fabbricazione e della distribuzione di un vaccino è indispensabile il coordinamento a livello europeo e internazionale. I due ministri hanno inoltre parlato di una collaborazione in caso di rischi sanitari transfrontalieri all'interno dell'Unione europea e dell'impiego di un'app per il tracciamento dei contatti.
Anche nel colloquio con Jens Spahn è stata sottolineata la buona collaborazione di vicinato e soprattutto transfrontaliera nell'emergenza COVID-19. Il consigliere federale Berset e il suo omologo tedesco hanno inoltre tematizzato lo sviluppo di vaccini e la collaborazione con l'Unione europea, per superare l'emergenza. Entrambi hanno inoltre ribadito il ruolo centrale dell'Organizzazione mondiale della sanità e affrontato altri temi come la ricostruzione delle catene di contagio e il supporto offerto dalle app per il tracciamento dei contatti.
- Terapia coronavirus COVID-19 con Veklury* (remdesivir), CHMP di EMA raccomanda autorizzazione per immissione in commercio
Il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha raccomandato l'autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) subordinata a condizioni per Veklury* (remdesivir), per il trattamento del COVID-19 negli adulti e negli adolescenti a partire da 12 anni di età affetti da polmonite e che necessitano di ossigeno supplementare.
Remdesivir è il primo medicinale per COVID-19 per cui è stata raccomandata l'AIC nell’UE. I dati su remdesivir sono stati esaminati nell’ambito di una tempistica eccezionalmente breve grazie alla revisione ciclica, una procedura attivata dall’EMA nel caso di situazioni di emergenza sanitaria pubblica che permette di valutare i dati appena diventano disponibili.
A partire dal 30 aprile 2020 il CHMP ha avviato la valutazione dei dati relativi alla qualità e al processo produttivo, dei dati non clinici, dei dati preliminari derivanti da studi clinici nonché dei dati di supporto relativi alla sicurezza provenienti dai programmi di uso compassionevole, con largo anticipo rispetto alla presentazione della domanda di AIC dell’8 giugno. La valutazione del dossier si è conclusa con la raccomandazione odierna, che si basa principalmente sui dati dello studio NIAID-ACTT-11 , sponsorizzato dall’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive statunitense (National Institute of Allergy and Infectious Diseases, NIAID), e sui dati di supporto provenienti da altri studi su remdesivir.
Lo studio NIAID-ACTT-1 ha valutato l'efficacia di un ciclo pianificato di 10 giorni di remdesivir su oltre 1000 pazienti ospedalizzati per COVID-19. Remdesivir è stato confrontato con placebo (un trattamento di controllo) e il principale parametro di efficacia è stato il tempo di recupero dei pazienti (definito come dimissione dall’ospedale e/o bisogno di ossigeno a casa o ospedalizzazione senza necessità di ossigeno supplementare e senza necessità di assistenza medica continua). Nel complesso, lo studio ha mostrato che i pazienti trattati con remdesivir si sono ripresi dopo circa 11 giorni, rispetto ai 15 giorni dei pazienti trattati con placebo. Questo effetto non è stato osservato nei pazienti con malattia da lieve a moderata: il tempo di recupero è stato infatti di 5 giorni sia per il gruppo trattato con remdesivir che per il gruppo trattato con placebo.
Per i pazienti con malattia grave, che rappresentavano circa il 90 % della popolazione in studio, il tempo di recupero è stato di 12 giorni per il gruppo trattato con remdesivir e di 18 giorni per il gruppo placebo. Tuttavia, non è stata osservata alcuna differenza nel tempo di recupero dei pazienti in cui la somministrazione di remdesivir è iniziata quando questi erano già sottoposti a ventilazione meccanica o ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO). Al momento, è in corso la raccolta dei dati sulla percentuale di pazienti deceduti fino a 28 giorni dopo l'inizio del trattamento, per l'analisi finale. Tenendo conto dei dati disponibili, l'Agenzia ha ritenuto che il rapporto beneficio/rischio fosse positivo per i pazienti con polmonite che richiedono ossigeno supplementare, ossia i pazienti con malattia grave. Remdesivir è somministrato per infusione (flebo) in vena ed è utilizzato solo all’interno di strutture sanitarie dove i pazienti possono essere attentamente controllati; la funzionalità di fegato e reni deve essere monitorata prima e durante il trattamento, a seconda dei casi.
Il trattamento deve iniziare con un'infusione di 200 mg il primo giorno, seguita da un'infusione di 100 mg al giorno per almeno 4 giorni e per non più di 9 giorni. Per remdesivir è stata raccomandata un'autorizzazione all'immissione in commercio subordinata a condizioni, uno degli strumenti regolatori dell'UE che facilita l'accesso precoce a farmaci che rispondono a una esigenza medica insoddisfatta anche in situazioni di emergenza, per far fronte a minacce per la salute pubblica come la pandemia in corso. Questo tipo di approvazione consente all'Agenzia di raccomandare l’AIC sulla base di dati non completi rispetto a quanto normalmente previsto, qualora i benefici derivanti dalla disponibilità immediata del farmaco per i pazienti superino i rischi legati alla mancanza di dati completi.
Per delineare al meglio l'efficacia e la sicurezza di remdesivir, l’azienda produttrice dovrà presentare all'Agenzia le relazioni finali degli studi su remdesivir entro dicembre 2020, e ulteriori dati sulla qualità del medicinale nonché i dati finali sulla mortalità entro agosto 2020. Come per tutti i medicinali, il piano di gestione del rischio garantirà un monitoraggio rigoroso della sicurezza di remdesivir una volta che il farmaco sarà autorizzato nell’UE. Ulteriori dati sull'efficacia e sulla sicurezza saranno raccolti attraverso gli studi in corso e le relazioni post-marketing e saranno regolarmente esaminati dal CHMP e dal comitato la valutazione dei rischi in farmacovigilanza (PRAC) dell’EMA.
Dall'aprile 2020 il PRAC esamina anche i dati sulla sicurezza nei pazienti trattati al di fuori degli studi clinici, che vengono presentati sotto forma di relazioni mensili sulla sicurezza. Tali relazioni continueranno ad essere presentate e valutate anche dopo la commercializzazione del medicinale. Durante la valutazione di remdesivir, il CHMP ha potuto contare sul sostegno degli esperti del gruppo di lavoro dell’EMA sulla pandemia da COVID-19 (COVID-ETF), istituito per riunire le competenze specialistiche più pertinenti della rete europea delle autorità regolatorie dei medicinali in modo da assistere gli Stati membri e la Commissione europea nel gestire le fasi di sviluppo, autorizzazione e monitoraggio della sicurezza di medicinali e vaccini contro COVID-19.
La Commissione europea, che è stata costantemente aggiornata dall'EMA durante tutta la fase di valutazione, intende accelerare il processo decisionale e adottare una decisione sull'autorizzazione all'immissione in commercio subordinata a condizioni per remdesivir nel corso della prossima settimana, consentendo al medicinale di essere commercializzato nell'UE.
1 https://www.niaid.nih.gov/news-events/nih-clinical-trial-shows-remdesivir-accelerates-recovery-advanced-covid-19
- Rapporto Osservasalute, con la pandemia coronavirus Covid-19 emersa la fragilita' del decentramento in sanitΓ
Poche luci e molte ombre sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), penalizzato da riduzioni di spesa pubblica e sempre maggiore carenza di personale medico e infermieristico.
Alla vigilia della pandemia da SARS-CoV-2, il sottofinaziamento della sanità, insieme alla devolution che ha di fatto creato 21 diversi sistemi sanitari regionali diversamente performanti, ha determinato conseguenze per i cittadini, che non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura.
Paradigmatici i principali dati economici: dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata di un modesto 0,2% medio annuo, molto meno dell’incremento del PIL che è stato dell’1,2%. Al rallentamento della componente pubblica delle risorse finanziarie ha fatto seguito una crescita più sostenuta della spesa privata delle famiglie, pari al 2,5%. Nel 2018, la spesa sanitaria complessiva, pubblica e privata sostenuta dalle famiglie, ammontava a circa 153 miliardi di euro, dei quali 115 miliardi di competenza pubblica e circa 38 miliardi a carico delle famiglie.
I tagli alla spesa non sono stati sempre accompagnati da un aumento di efficienza dei servizi, e spesso si sono tradotti piuttosto in una riduzione dei servizi offerti ai cittadini. Per esempio, dal 2010 al 2018 il numero di posti letto è diminuito di circa 33 mila unità, con un decremento medio dell’1,8%, continuando il trend in diminuzione osservato già a partire dalla metà degli anni ’90.
Sono i dati core estratti dal “Rapporto Osservasalute”, XVII edizione, presentati alla stampa per la prima volta in remoto, attraverso la piattaforma StarLeaf; una edizione speciale del Rapporto, che giunge in un periodo molto particolare della storia del nostro Paese e del mondo intero.
Il Rapporto è curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma. Osservasalute 2019 è una edizione di 585 pagine ed è frutto del lavoro di 238 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat.
“La crisi drammatica determinata da Covid-19 ha improvvisamente messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica nel voler trattare il SSN come un’entità essenzialmente economica alla ricerca dell’efficienza e dei risparmi, trascurando il fatto che la salute della popolazione non è un mero ‘fringe benefit’, ma un investimento con alti rendimenti, sia sociali sia economici”, afferma il Direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica.
“L’esperienza vissuta ha dimostrato che il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare la pandemia. Le Regioni non hanno avuto le stesse performance, di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace, le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi particolarmente disomogenee, spesso imprecise e tardive nel comunicare le informazioni”, rileva il Direttore scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane Alessandro Solipaca.
Dal punto di vista dell’attività di assistenza erogata dagli ospedali il Rapporto evidenzia che il tasso standardizzato di dimissioni ospedaliere a livello italiano mostra un andamento in progressiva riduzione nel periodo 2013-2018, passando da 155,5 ricoveri su 1.000 residenti del 2013 a 132,4 per 1.000 del 2018. Nel 2018, nessuna regione italiana presenta valori oltre soglia (DM n. 70/2015 ha fissato la soglia a 160 per 1.000).
Nel 2017 il numero di medici e odontoiatri del SSN è di 105.557 unità, registrando un calo dell’1,5% rispetto al 2014, quando i medici erano 107.276; per quanto riguarda il personale infermieristico si registra una riduzione dell’1,7% del numero di unità che passano da 269.151 nel 2014 a 264.703 nel 2017.
Il tasso di medici e odontoiatri del SSN per 1.000 abitanti è in diminuzione, a eccezione di Trentino-Alto Adige, Puglia, Umbria e Sardegna. In particolare, in tutte le Regioni del Centro e del Sud e delle Isole la riduzione del tasso di medici e odontoiatri per 1.000 abitanti risulta più marcata e in via generale con valori superiori al dato nazionale.
Per il tasso di infermieri del SSN per 1.000 abitanti, a eccezione di Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata e Calabria, in tutte le Regioni si riscontra il trend negativo registrato a livello nazionale. In particolare, le riduzioni più marcate si registrano in Abruzzo, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Molise.
Tagli, riduzioni, regionalizzazioni dei servizi, si riverberano inevitabilmente sulla gestione di emergenze sanitarie come l’epidemia da Covid-19, il cui tratto dominante, in Italia, è stato infatti di disomogeneità nella gestione dei contagiati sul territorio.
Tante differenze nella gestione dei contagiati tra le Regioni: il Veneto ha la quota più bassa di ospedalizzati e quella più alta di soggetti positivi posti in isolamento domiciliare. All’inizio della pandemia questa Regione aveva in isolamento domiciliare circa il 70% dei contagiati, nell’ultimo periodo oltre il 90%.
Atteggiamento diverso della Lombardia e del Piemonte che hanno percentuali di ospedalizzazione tra il 50% e il 60% all’inizio della pandemia, per poi crescere e oscillare tra il 70 e l’80% nella prima metà di marzo, quando nelle altre Regioni diminuisce; infine, scendono sotto il 20% a partire dalla fine di aprile, primi di maggio.
Toscana e Marche hanno approcci simili, entrambe ospedalizzano oltre il 60% dei contagiati fino ai primi di marzo, scendono sensibilmente a meno del 30% alla fine di marzo e sotto il 20% dalla seconda metà di aprile.
Di questa emergenza sanitaria colpiscono anche le differenze regionali del tasso di letalità, che in Lombardia raggiunge il 18%, in Veneto un massimo del 10%. Emilia-Romagna, Marche e Liguria sono le altre Regioni con la letalità più elevata, tra il 14-16%. Non è chiara la spiegazione di questo dato, verosimilmente si è verificata una sottostima del numero di contagiati (il denominatore del rapporto con il quale si misura la letalità). Questa circostanza richiama la scarsa qualità del monitoraggio effettuato da alcune Regioni.
Tamponi - Il Veneto ne ha effettuati il numero più alto in rapporto alla popolazione, circa 50 ogni 100 mila abitanti all’inizio del periodo, fino a punte superiori a 400 agli inizi di giugno. La Puglia è la Regione con il numero minore di tamponi effettuati, meno di 100 ogni 100 mila abitanti. Colpisce la variabilità nel tempo fatta registrare da tutte le Regioni, in particolare il Veneto e le Marche.
Influenza e vaccino - Il Rapporto Osservasalute evidenzia che nell’intera stagione influenzale 2018-2019, il 13,61% della popolazione ha avuto una patologia simil-influenzale (Influenza-Like Illness-ILI), per una stima totale di circa 8.072.000 casi. Come di consueto, le ILI hanno colpito maggiormente la popolazione di età pediatrica: nello specifico il 37,28% dei bambini di età 0-4 anni, il 19,75% di età 5-14 anni, il 12,77% di individui di età compresa tra 15-64 anni e il 6,21% di anziani di età ≥65 anni. Nelle ultime due stagioni influenzali l’incidenza delle ILI nella fascia di età 0-4 anni è stata la più alta a partire dalla stagione 2004-2005.
Dal Rapporto emerge che la copertura vaccinale antinfluenzale nella popolazione generale si attesta, nella stagione 2018-2019, al 15,8%, con lievi differenze regionali. Negli anziani ultra 65enni, la copertura antinfluenzale non raggiunge in nessuna Regione neppure i valori considerati minimi dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale, che individua nel valore di 75% l’obiettivo minimo perseguibile e nel valore di 95% l’obiettivo ottimale negli ultra 65enni e nei gruppi a rischio. Il valore maggiore si è registrato in Basilicata (66,6%), seguita da Umbria (64,8%), Molise (61,7%) e Campania (60,3%), mentre le percentuali minori si sono registrate nella PA di Bolzano (38,3%), in Valle d’Aosta (45,2%) e in Sardegna (46,5%).
Nell’intero arco temporale considerato (stagioni 2008-2009/2018-2019), per quanto riguarda la copertura vaccinale degli ultra 65enni, si è osservata una diminuzione, a livello nazionale, del 19,8%. Nelle ultime due stagioni (2017-2018/2018-2019), sempre nella classe di età 65 anni e oltre, il valore nazionale mostra un leggero aumento (+0,8%).
Il vaccino per l’influenza diverrà un tassello cruciale nella gestione di eventuali ondate di coronavirus in autunno, perché potrà contribuire a discernere tra influenza e sindrome Covid-19.
CONCLUSIONI
“L’esperienza Covid-19 ha acceso i riflettori sulla fragilità dei Servizi Sanitari Regionali nel far fronte alle emergenze - considera il Direttore scientifico Solipaca. In particolare, ha messo in luce la necessità di riorganizzare e sostenere con maggiori risorse il ruolo del territorio che avrebbe potuto arginare, soprattutto nella fase iniziale della pandemia, la portata dell’emergenza evitando che questa si riversasse sulle strutture ospedaliere, impreparate ad affrontare una mole elevata di ricoveri di persone in una fase acuta dell’infezione”.
“Un altro elemento su cui riflettere per il futuro è l’organizzazione decentrata della Sanità Pubblica, le Regioni, infatti, si sono mosse in maniera molto diversa l’una dall’altra – conclude Solipaca -, non sempre in armonia con il Governo nazionale”.
Rapporto Osservasalute 2019 disponibile al link:
https://www.osservatoriosullasalute.it/osservasalute/rapporto-osservasalute-2019
- Coronavirus, spese per i test a carico della Confederazione. E' attiva App SwissCovid
Per poter reagire rapidamente a un’eventuale nuova impennata dei contagi occorre effettuare quanti più test possibili e opportuni. Dal 25 giugno prossimo, la Confederazione assumerà perciò l’integralità delle spese per i test in relazione al nuovo coronavirus.
È quanto deciso dal Consiglio federale nella sua seduta del 24 giugno 2020. Il Governo ha inoltre adottato l’ordinanza sul sistema di tracciamento della prossimità per il coronavirus SARS-CoV-2, che dà il via libera all’impiego della nuova app SwissCovid in tutta la Svizzera.
Considerato che il numero di nuovi casi d'infezione si mantiene basso, il 19 giugno 2020 il Consiglio federale ha revocato la situazione straordinaria e allentato quasi tutti i provvedimenti che erano stati adottati contro il coronavirus. Per ridurre al minimo il rischio di una nuova impennata dei contagi e per poter reagire rapidamente a un eventuale aumento dei casi è indispensabile un monitoraggio accurato della situazione. L'elemento più importante per riuscire a interrompere le catene di trasmissione è un rigoroso tracciamento dei contatti con test ad ampio spettro per il SARS-CoV-2.
Niente più costi a carico di chi fa il test
Dal 25 giugno 2020 la Confederazione assumerà l'integralità delle spese per i test in relazione al nuovo coronavirus. Si tratta di una semplificazione del sistema di rimborso attuale, in quanto ora i costi del test diagnostico per il SARS-CoV-2 sono assunti in parte dalle casse malati e in parte dai Cantoni. Una regolamentazione, questa, che comporta una disparità di trattamento. Se le spese sono a carico dell'assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie, chi si sottopone al test deve pagare franchigia e partecipazione ai costi. Ma se le spese sono a carico dei Cantoni, chi fa il test non deve pagare nulla. Il rischio di questa disparità di trattamento è che determinate persone potrebbero rinunciare a sottoporsi al test se devono sostenerne i costi di tasca propria. L'assunzione delle spese da parte della Confederazione è raccomandata anche dalla «Swiss National COVID-19 Science Task Force».
La Confederazione assume le spese sia dei test per diagnosticare un'infezione da nuovo coronavirus sia dei test sierologici per rilevare la presenza di anticorpi. Il test per il SARS-CoV-2 è rimborsato con un importo forfettario di 169 franchi, quello per gli anticorpi con un importo di 113 franchi. In merito si applicano i criteri clinici stabiliti dall'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) che, per il momento, non raccomanda i test sierologici.
Al via l'impiego dell'app SwissCovid
Nella sua seduta del 24 giugno, il Consiglio federale ha inoltre adottato l'ordinanza sul sistema di tracciamento della prossimità per il coronavirus SARS-CoV-2 che, di fatto, dà il via libera all'impiego della nuova app SwissCovid in tutta la Svizzera. Il Governo raccomanda di utilizzarla, in quanto si tratta di uno strumento che completa il tracciamento classico dei contatti. Il tracciamento serve a rintracciare e a mettere in quarantena i contatti di una persona risultata positiva al test del coronavirus, in modo da interrompere le catene di trasmissione.
L'app SwissCovid avvisa gli utenti che si sono trovati per un determinato lasso di tempo nelle vicinanze di una persona contagiata dal coronavirus, a condizione che anche questa l'abbia installata sul proprio telefono cellulare. In caso di test positivo, il servizio medico cantonale invia alla persona infetta il cosiddetto codice Covid da immettere nell'app. Sia l'utilizzo dell'app che l'immissione del codice sono volontari.
Se un utente dell'app si è trovato a contatto con una o più persone infette, una notifica sul suo cellulare lo informerà che durante questo lasso di tempo potrebbe essere stato contagiato. Riceverà inoltre l'indicazione del giorno in cui è avvenuto il contatto, l'informazione che l'UFSP gestisce una linea di consulenza telefonica gratuita e le raccomandazioni di comportamento dell'UFSP.
Chi deve mettersi in quarantena su ordine di un medico o di un'autorità ha diritto all'indennità di perdita di guadagno per il coronavirus. Chi si mette in quarantena volontariamente dopo una notifica di contatto dell'app SwissCovid senza l'ordine di un medico o un'autorità non vi ha invece diritto.
I test non hanno rilevato criticità
Prima di essere messa a disposizione della popolazione, l'app è stata approfonditamente testata, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e l'usabilità. Durante questa fase iniziata il 28 maggio 2020, il Centro nazionale per la cibersicurezza (NCSC) ha analizzato le notifiche sulla sicurezza trasmesse dagli esperti e dalle persone interessate. I risultati dei test e i feedback, quotidianamente aggiornati, sono consultabili sul sito Internet del NCSC. Complessivamente sono pervenute 81 notifiche, di cui soltanto 11 riguardavano il codice del programma; non sono pervenute invece segnalazioni di criticità o problemi sistemici. Il NCSC continuerà ad analizzare le notifiche anche dopo la messa a disposizione ufficiale dell'app per garantire costantemente la protezione dei dati e la sicurezza dell'applicazione. L'Ufficio federale di statistica pubblicherà sul suo sito dati anonimizzati relativi all'utilizzo della nuova app.
- Coronavirus: il Consiglio federale apre la consultazione sulla legge COVID-19
Con la legge COVID-19 il Consiglio federale intende proporre al Parlamento una legge federale urgente e di durata limitata per le misure prese nel quadro del diritto di necessità che si rivelano ancora necessarie per far fronte all’epidemia di COVID-19.
La nuova legge permetterà al Parlamento di conferire un fondamento giuridico al pacchetto di misure già disposto dal Consiglio federale. Nella sua seduta del 19 giugno, il Consiglio federale ha avviato la relativa procedura di consultazione, che durerà fino al 10 luglio 2020.
Dal 13 marzo 2020 il Consiglio federale ha emanato diverse ordinanze per affrontare la crisi relativa al coronavirus. Per l’ordinanza 2 COVID-19 si è basato sulla legge sulle epidemie mentre per le altre ordinanze si è basato direttamente sull’articolo 185 capoverso 3 della Costituzione federale. Per evitare che le ordinanze cessino automaticamente di esplicare il loro effetto dopo sei mesi, il Consiglio federale deve presentare al Parlamento un messaggio sulla base legale di tali atti normativi.
Il disegno posto in consultazione prevede la creazione di norme di delega con effetto sino alla fine del 2022. Esse conferiscono al Consiglio federale la facoltà di mantenere in vigore o adeguare le misure ancora necessarie.
La legge prevede che il Consiglio federale possa avvalersi di queste competenze solo per il tempo effettivamente necessario per far fronte all'epidemia di COVID-19. Se dovesse risultare che una misura non è più necessaria, il Consiglio federale procederà all’abrogazione dell’ordinanza in questione prima della scadenza del periodo di validità della legge COVID-19.
Il disegno di legge consta di 13 articoli. Nove disposizioni elencano i settori in cui il Consiglio federale dispone di poteri speciali: misure sulla lotta contro l'epidemia di COVID-19, misure nel settore degli stranieri e dell'asilo, misure giudiziarie e procedurali, misure di diritto societario, misure di diritto fallimentare, misure per la cultura, misure nel settore dei media, misure di compensazione per la perdita di guadagno e misure nel settore dell'assicurazione contro la disoccupazione.
Per dare al Parlamento la possibilità di dibattere, adottare e far entrare urgentemente in vigore la legge nella sessione autunnale, il messaggio deve essere licenziato dal Consiglio federale già il 12 agosto 2020. Il periodo di consultazione è stato quindi ridotto a tre settimane.
- Coronavirus COVID-19 in FASE3, Regioni a velocita' diverse, necessario omogeneizzare le risorse sul territorio
Scegliere un percorso di cura piuttosto che un altro non impatta solo sulla salute del paziente, bensì ha ricadute sociali, organizzative ed economiche. La tecnologia è parte centrale di questo processo. L’HTA è lo strumento che aiuta i decisori a fornire i requisiti nelle scelte da effettuare nell’intero ciclo di vita della tecnologia.
Di questo hanno parlato gli esperti durante il Talk-webinar “FASE 3 COVID-19 UNA NUOVA SANITÀ FARMACI TECNOLOGIE ORGANIZZAZIONE”, organizzato da Mondosanità, in collaborazione con Officina Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Amgen, Boston Scientific, Mylan e Teva. L’HTA è un processo che tiene conto del singolo dispositivo o farmaco inserito in un processo di cura, che deve essere trasparente e riguardare l’efficacia, la sicurezza e gli aspetti di costo sull’ impatto economico anche sul sistema etico culturale e giuridico.
Questo processo di valutazione è tecnico ma deve tener conto di cittadini, futuri beneficiari di queste tecnologie. Tra le altre cose, dal dibattito, è emersa la necessità di creare una regia nazionale che uniformi le valutazioni nel territorio nazionale in particolare per i dispositivi dove al momento non esiste un organo valutativo simile all’Aifa; duplicare lavori di Hta con risultati spesso diversi tra Regioni non ha senso, serve quindi una regia che omogeneizzi le valutazioni e le conseguenti scelte; tutti i relatori hanno concordato sulla necessità di maggiori investimenti in sanità.
“I risultati degli studi sulle nuove tecnologie possono e devono velocizzare la messa in commercio di dispositivi e farmaci nel nostro Paese perché ad esempio se non arriva in tempi brevi un farmaco in ospedale, il paziente muore. Il rapporto costo/efficacia una volta appurato da studi seri deve garantire l’entrata in vigore immediata della nuova tecnologia. Molto spesso invece le Regioni non rispettano le tempistiche dell’accesso alle nuove tecnologie, spesso anche con ritardi di 180 giorni. Le Regioni italiane devono essere predisposte a favorire l’entrata delle nuove tecnologie, bisogna che ci sia l’impegno dei sanitari ad andare a leggere i dati per snellire le pratiche e far si che avvenga una vera e propria sburocratizzazione delle procedure di accesso a nuovi farmaci o dispositivi in commercio. Ritengo inoltre necessaria un’agenzia regolatrice per i dispositivi e tecnologia, che faccia lo stesso lavoro che fa Aifa per i farmaci”, queste le parole di Claudio Zanon, Direttore Scientifico MOTORE SANITA’.
Il Webinar è andato in onda su www.mondosanita.it
- Coronavirus, bambini e ragazzi piΓΉ protetti da Covid-19 e piΓΉ spesso asintomatici. Studio su 'Nature Medicine'
La conferma arriva da uno studio su 'Nature Medicine', che rivela come le persone sotto i 20 anni siano vulnerabili circa la metà rispetto ai soggetti più grandi, adulti e anziani.
Lo studio stima anche che i sintomi clinici compaiano solo nel 21% degli infettati tra i 10 ei 19 anni, contro il 69% degli adulti con più di 70 anni. Comprendere il ruolo dell'età nella trasmissione e nella gravità della malattia di Covid-19 è cruciale per determinare l'impatto degli interventi di distanziamento sociale e per stimare accuratamente il numero di casi in tutto il mondo, ricordano gli autori.
Finora una percentuale bassa di casi di Covid-19 è stata segnalata tra i bambini, il che potrebbe essere spiegato con una minore suscettibilità dei giovanissimi all'infezione, una minore propensione a mostrare sintomi clinici o ad una combinazione di entrambi questi fattori, rispetto agli adulti. Il team di Rosalind Eggo e Nicholas Davies della London School of Hygiene & Tropical Medicine (GB) ha sviluppato un modello basato sull'età, con dati demografici provenienti da 32 località in sei Paesi - Cina, Italia, Giappone, Singapore, Canada e Corea del Sud - e dati da sei studi pubblicati sui tassi di infezione stimati e sulla gravità dei sintomi in diverse fasce d'età.
Utilizzando il loro modello, gli autori sono stati in grado di stimare simultaneamente la vulnerabilità alla malattia e l'incidenza di sintomi clinici in base alle età. In tutte le aree esaminate, le persone con meno di 20 anni sono risultate vulnerabili circa la metà rispetto agli over 20. Inoltre tra 10 e 19 anni solo il 21% degli infetti presenta sintomi clinici. Gli autori hanno anche simulato le epidemie di Covid-19 in 146 città nel mondo, scoprendo che il numero totale di casi clinicamente rilevanti senza l'adozione di misure di contrasto variava tra i diversi centri urbani a seconda dell'età media della popolazione. Ci sarebbero, in pratica, più casi clinici pro capite nelle città con popolazioni più anziane e più infezioni asintomatiche (o con sintomi lievi) nelle città con popolazioni più giovani.
Tuttavia il valore di R0 (l'indice di contagiosità, ndr) non differirebbe in modo sostanziale in base all'età media. I Paesi con popolazioni più giovani - come è il caso di molti di quelli a basso reddito - potrebbero avere una ridotta incidenza di infezioni pro capite, ma gli autori notano che le comorbilità in questi Paesi del Sud del mondo potrebbero influenzare la gravità della malattia. Sono necessarie ulteriori ricerche, concludono gli studiosi, per determinare la contagiosità neI casi asintomatici o con sintomi lievi, con l'obiettivo di prevedere e controllare efficacemente le epidemie di Covid-19.
- Ricerca coronavirus, antinfiammatorio desametasone e' prima terapia anti-covid?
Un farmaco economico, costa circa 6 euro a paziente, e ampiamente disponibile da tempo - l'antinfiammatorio steroideo desametasone - potrebbe essere la prima terapia anti-Covid a salvare la vita ai pazienti gravemente colpiti dal coronavirus. E' quanto emerge da uno studio dell'Università di Oxford (Gb).
Secondo i ricercatori il desametasone riduce di un terzo il rischio di decesso per i pazienti posti in ventilazione. Questo farmaco, ricorda la 'Bbc', fa parte del più grande studio al mondo che sta testando i trattamenti già esistenti che potrebbero avere una efficacia contro Covid-19.
I ricercatori hanno stimato che, se il farmaco fosse stato disponibile nel Regno Unito dall'inizio della pandemia di coronavirus, si sarebbero potuti salvare fino a 5.000 pazienti. Nello studio, condotto da un team dell'Università di Oxford, a 2.000 soggetti ricoverati in ospedale è stato somministrato desametasone. Questi sono messi a confronto con oltre 4.000 che non hanno ricevuto il farmaco. Ebbene, fra quelli in ventilazione, il desametasone ha ridotto il rischio di decesso dal 40% al 28%, mentre nei pazienti trattati con ossigeno è stato in grado di salvare una vita ogni 20-25 persone circa trattate con il medicinale.
Secondo Peter Horby, a capo del team, "questo è finora l'unico farmaco che ha dimostrato di ridurre la mortalità e la abbatte in modo significativo. È un grande passo avanti". Il trattamento "dura fino a 10 giorni, il farmaco costa circa 6 euro, in totale si spendono in media meno di 40 euro per salvare una vita", evidenzia Martin Landray, ricercatore dell'Università di Oxford. Il desametasone non sembra aiutare però le persone con Covid-19 con sintomi più lievi e che non hanno bisogno di aiuto per la respirazione.
- Parole chiave Sip su gestione coronavirus Covid-19, criticita' e complessita' e cronicita'
Dopo lo "spartiacque storico" che è stato il Sars-Cov-2, "la formazione deve concentrarsi sulla qualità, sulla specificità, sulla complessità": la riflessione del presidente di Sip, Alberto Villani
Il Sars-Cov-2 è stato caratterizzato in questi mesi “per l’elevata contagiosità, la possibilità di causare una grave polmonite interstiziale acuta, la necessità di assistenza in terapia intensiva dei pazienti più gravi (Covid-19) per un periodo di 3-5 settimane in media, e per la letalità particolarmente elevata nell’età più avanzata. Nei pazienti più gravi, in particolare in quelli sopravvissuti alla malattia nella forma respiratoria, si stanno evidenziando degli esiti importanti, a esempio per la funzionalità respiratoria.
Volendo schematizzare le principali e più importanti necessità assistenziali ‘indispensabili’ nella gestione dei pazienti Covid-19 potremmo fare riferimento alla capacità di un medico di sapere fronteggiare: la criticità (competenze intensive); la complessità (conoscenze cliniche qualificate e che consentano di gestire pazienti complessi e gravi. Solo avendo consuetudine con questa tipologia di pazienti si è poi in grado di gestirli); la cronicità (capacità di assistere pazienti avendo le competenze specifiche)”. Esordisce così Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatra (Sip),nell’editoriale a sua firma nel nuovo numero di giugno della rivista di Pediatria della Sip.
La Sip “da molto tempo ha sottolineato la necessità di formare i medici negli anni della specializzazione in Pediatria, in modo che abbiano le competenze che consentano loro di operare con professionalità e sicurezza nella gestione di un paziente critico, complesso e nei pazienti cronici. Il Sars-Cov-2 ha evidenziato l’eccezionale slancio di generosità dei medici italiani in occasione della richiesta di volontari da parte della Protezione Civile con oltre 8.000 candidature (lato positivo)- puntualizza l’esperto- ma anche la crudeltà della selezione in base alle competenze che ne ha identificati come idonei meno di 300 (lato negativo). I pediatri di domani devono avere la competenza e la professionalità che li rendano sempre idonei in tutte le situazioni assistenziali, di certo in quelle nelle quali la competenza è indispensabile e irrinunciabile per essere considerati degli specialisti: la formazione deve concentrarsi sulla qualità, sulla specificità, sulla complessità“.
“Il Sars-cov-2 è uno spartiacque storico, anche nella Pediatria, una lezione chiara sulla necessità dell’unica professionalità possibile oggi nel 2020, quella che metterà il pediatra di domani nelle condizioni di essere in grado di assistere con sicurezza il paziente critico, il paziente complesso, il paziente cronico: a questo dovrà essere formato il Pediatra già da oggi- aggiunge- senza perdere tempo e in ambiti qualificati”.
Quello che è accaduto e “sta accadendo in seguito alla pandemia da Sars-Cov-2 sta condizionando e condizionerà l’intero pianeta almeno nei prossimi anni e non solo gli esseri umani. Molto di ciò che questo Coronavirus è stato, è e sarà, può essere definito drammatico, doloroso, sconvolgente. Di sicuro questa straordinaria situazione ha evidenziato difficoltà, fragilità, criticità, ma ha anche imposto la necessità di riflettere, fare valutazioni, osservare fenomenologie, riconsiderare il nostro modo di vivere– afferma Villani- selezionare le priorità, evidenziare l’importanza della competenza e della cultura. Hanno molto colpito le immagini del mondo viste da satellite che hanno evidenziato la scomparsa progressiva dell’inquinamento, in Cina in particolare ma anche in Italia, in seguito al blocco delle attività”.
Quando tutto si doveva fermare, “alcune attività sono state incrementate, come quelle in ambito sanitario- scrive il presidente Sip-. Altre non sono state interrotte, perché ‘indispensabili’ per la vita delle persone. Il Sars-Cov-2 ha imposto, in tempi brevissimi, una gerarchia di priorità che ha evidenziato ciò che è indispensabile, ciò che è utile, ciò che non serve in particolari contingenze, ciò di cui si potrebbe fare a meno, quantomeno in questa situazione”. Nella sanità italiana il Sars-Cov-2 “ha imposto attenzione all’indispensabile necessità della competenza e della professionalità degli operatori sanitari, all’importanza dell’organizzazione, al valore della ricerca, alla necessità di adeguare un Servizio Sanitario Nazionale che, pur essendo eccellente garanzia per i cittadini, necessita di essere rimodulato- incalza-. Come spesso accade nella storia dell’umanità, le grandi crisi possono divenire delle opportunità“.
In Sanità sarà necessario “rispondere al meglio anche a evenienze imprevedibili e straordinarie come questa pandemia- conclude il pediatra-. In nessun campo tutto resterà come prima del Sars-Cov-2: certamente sarebbe un errore non fare tesoro delle esperienze vissute per trarne prezioso insegnamento”.
- CORONAVIRUS COVID-19, PREVENZIONE E MONITORAGGIO IN ATTESA DEL VACCINO
La fase emergenziale della pandemia causata dal virus Covid-19 sembra essere passata. Non esistendo ancora un vaccino o una cura per la malattia le uniche armi a disposizione della collettività sono la prevenzione (attraverso il distanziamento sociale e l'uso di dispositivi di protezione) e il monitoraggio della diffusione del virus tra la popolazione.
I test con tamponi e quelli sierologici con prelievo venoso, per la diagnosi COVID sono quindi al centro dell’attenzione delle istituzioni, degli operatori e dei cittadini. Il significato dei test da soli o sequenziali, la tempistica di effettuazione, le modalità e il significato dei medesimi sono estremamente importanti non solo per il controllo epidemico ma anche per quello terapeutico, basti pensare alla positività ed alla titolazione con test sierologico dei pazienti guariti ed al possibile uso conseguente del plasma come terapia secondo le logiche dell’immunoterapia passiva. A questo si aggiunge l’importanza di diagnosticare i pazienti positivi cercando di comprende come orientarsi per un futuro vaccino anti-COVID.
Le discussioni sulla validità ed affidabilità dei test, sull’estensione della loro applicazione a quali soggetti, sono ancora oggetto di continua analisi e sono forieri purtroppo di fake news e affermazioni non aderenti alla realtà.
E bene chiarire in premessa alcuni aspetti spesso motivo di confusione:
- i tamponi indagano la presenza del virus nelle mucose respiratorie
- i test sierologici indagano la presenza degli anticorpi nel sangue e possono essere rapidi (cioè ottenuti attraverso una goccia di sangue per puntura su un dito) o di laboratorio (cioè ottenuti attraverso un normale prelievo di sangue).
E’ evidente comprendere come questi esami abbiano 2 diversi obiettivi: i primi servono ad indicare la positività o meno di una persona e che quindi questa possa infettare altre persone, i secondi “potrebbero” servire ad indicare che la persona ha acquisito l’immunità e quindi “potrebbe” non reinfettarsi.
Diversi sono i dubbi però alla luce delle conoscenze attuali e riguardano i test sierologici: in presenza di IgG vi è ancora una capacità infettante residua e il valore protettivo che potrebbero avere nei confronti di una eventuale reinfezione qual è?
INTRODUZIONE SUI TEMI INERENTI AI TEST DIAGNOSTICI, TAMPONAMENTO E SIEROLOGICI E ATTUALE OFFERTA A LIVELLO DELLE VARIE REGIONI
Gli esperti intervenuti nel corso del webinar hanno innanzitutto sottolineato come per il coronavirus non solo esistano diversi tipi di test e test di differente affidabilità, ma esistono anche motivazioni differenti per sottoporre una persona al test sia di carattere diagnostico che di carattere epidemiologico.
Nel primo caso come dice la parola stessa indica che l'obiettivo è diagnosticare la positività al Coronavirus. Nel secondo caso invece l’obiettivo è monitorarne la diffusione, avere informazioni sull’ immunizzazione dei soggetti positivi, cercare di comprendere se esistono particolari fenotipi di pazienti su cui il virus si comporta in maniera differente, insomma studiare il comportamento del virus.
I test attualmente in uso sono estremamente precisi con perfomance analitiche molto sensibili, per cui almeno il 90% dei clinicamente positivi deve risultare positivo ed è raro possano esistere falsi negativi.
Attualmente in Italia non esistono linee guida nazionali su quali e quanti test eseguire. Questo ha portato ad una situazione disomogenea tra le singole regioni con differenze sia sulle metodologie (diretto-indiretto) sia sul tipo di test da applicare.
PROTEZIONE DEGLI OPERATORI E DEI CITTADINI PAZIENTI
Tutte le Regioni hanno sottoposto gli operatori a controlli anti-Covid e secondo gli esperti intervenuti i lavoratori del settore sanitario andrebbero tenuti sotto controllo nel tempo attraverso screening periodici. Mentre per la protezione dei cittadini è stato sconsigliato di sottoporsi al test laddove non sia richiesto a scopo sanitario o di indagine epidemiologica di territorio. Gli esperti ci tengono però a sottolineare che esistono ancora troppe zone grigie: come il fatto che non sia ancora stato identificato se una carica virale bassa può infettare altre persone.
Dalle evidenze scientifiche, secondo gli esperti virologi sembrerebbe di no. Ma esistono anche ipotesi che il virus in alcune persone non si riesca ad isolare non avendo capacità di riproduzione o essendo in quantità troppo basse per riprodursi in maniera pericolosa. Questa situazione confondente deve essere gestita perché ci sono molte persone che non posso accedere ad alcune cure (come ad es° quelle oncologiche) perché presentano cariche virali seppur bassissime.
SIGNIFICATO DEGLI SCREENING SELETTIVI O DI MASSA
Gli screening sono esami condotti a tappeto su una fascia più o meno ampia della popolazione allo scopo di individuare la presenza del Covid-19 prima che si manifesti attraverso sintomi o segni.
Queste indagini attraverso il test sierologico, sono in grado di fornire dati fondamentali per misurare la diffusione del virus sul territorio, studiare i fenotipi di pazienti a rischio o al contrario maggiormente protetti, quindi risultano fondamentali sia per il monitoraggio dalla situazione pandemica che per riuscire a creare i modelli matematici in grado di ipotizzare la diffusione futura.
Questi test inoltre possono fornire informazioni utili per:
- Programmare il ritorno a lavoro e in sicurezza dei dipendenti di un'azienda
- Capire quante persone sono entrate a contatto con il virus e stratificarle per età e regione geografica
- Stabilire se si è raggiunta l'immunità di gregge
- Titolare la quantità di anticorpi per la terapia con plasma iperimmune, selezionando i pazienti utili
- Possono aiutare a gestire il numero di posti letto in terapia intensiva da tenere liberi in ogni Regione
Secondo gli esperti per ragioni organizzative non si potrà sottoporre a screening tutta la popolazione ma sarà giusto e fondamentale sottoporre ai test determinate fasce di popolazione ad alto rischio. Questo processo però deve essere fatto seguendo un coordinamento scientifico attento. Attualmente mancano delle chiare direttive nazionali su chi deve essere sottoposto a screening e manca inoltre un coordinamento nazionale pubblico-privato per la raccolta dei dati e sui tipi di test più affidabili da utilizzare.
ACCESSO DA PARTE DEGLI UTENTI
Attualmente esistono due metodologie di accesso ai sierologici. L'accesso previa raccomandazione medica, quindi con test gratuiti ed effettuati in strutture pubbliche, e l'accesso volontario attraverso laboratori privati con test a pagamento.
I laboratori privati già dai mesi di marzo, su tutto il territorio italiano, svolgevano test sia per singoli cittadini curiosi sia per aziende che volevano operare senza andare incontro a problematiche nella gestione della pandemia nei confronti dei propri dipendenti. Da parte del Governo però non è stata data molta importanza a questa richiesta di test da parte della popolazione infatti è stata presa la decisione di autorizzare le strutture private per i test sierologici ma esclusivamente a pagamento quindi, secondo il rappresentante delle associazioni di laboratori privati, dal Governo sono stati considerati di utilità marginale.
Inoltre la gestione dei pazienti positivi al test sierologico che spesso sottoponeva a lunghi periodi di quarantena l'utente e le persone con cui era ed era stato a contatto in attesa di riscontri certi da parte dei laboratori pubblici, ha portato ad una diffidenza nei confronti dei test.
Quanto è corretto pagare per un test quantitativo?
Le offerte sono varie e vanno da 60 ad oltre 100 euro nei laboratori privati. Non essendo ancora state stabilite direttive tariffarie nazionali non si può ad oggi, nel rispetto delle leggi vigenti in maniera di concorrenza, imporre un prezzo unico. Una delle poche Regioni che ha suggerito un prezzo di erogazione del test è l'Emilia-Romagna che indica in 25 euro il giusto valore del test sierologico quantitativo.
E' giusto identificare delle fasce di popolazione a cui rimborsare il costo del test?
Secondo il parere unanime del panel di esperti presente, l’ideale sarebbe che il test fosse reso gratuito alla popolazione e che sarebbe necessario per cominciareintrodurre un sistema di rimborso per chi per ragioni di lavoro o di accesso a strutture ospedaliere si deve sottoporre al test. Deve essere comunque il giudizio clinico a stabilire che debba sottoporsi ad un eventuale test reso gratuito.
Il caso: Test sierologici in Hotel
Un bell’esempio di iniziativa di servizi privati per i clienti è rappresentata dal progetto “hotel della salute” dell’Hotel Golden Palace di Torino appartenete alla catena di Hotel AllegroItalia.
Questo struttura ha deciso di mettersi a disposizione della comunità creando al proprio interno un ambulatorio medico in grado di eseguire test diagnostici.
Questo albergo è il primo in Italia ed in Europa ad offrire questo servizio fondamentale per mantenere vivo il settore dell'accoglienza e per garantire la massima sicurezza.
Il test messo a disposizione periodicamente per tutto lo staff e tutti gli ospiti è un test sierologico quantitativo. Un modo efficace per garantire alti standard di sicurezza a chi viaggia per piacere o per necessità.
DIFFERENZE TECNOLOGICHE E SCIENTIFICHE DEI VARI TEST PRESENTI SUL MERCATO
Attualmente esistono una moltitudine di test prodotti da altrettante aziende, non tutti sono uguali sia per quanto riguarda l'affidabilità sia per quanto riguarda cioè che viene analizzato.
Anche i risultati sono differenti visto che non esiste un'unità di misura standard del test.
Quindi attualmente ogni produttore di dispositivi attribuisce il valore, che rappresenta la misura secondo una propria quantificazione. Non è una problematica creata dalle aziende produttrici ma sviluppatasi per la velocità di ideazione e produzione a cui questo virus ha costretto tutte le aziende.
Una soluzione potrebbe essere quella di esternalizzare i pazienti agli ospedali ma dettando ai laboratori privati dei parametri nazionali da rispettare.
Uno degli ultimi test (in ordine temporale) è quello sviluppato da Siemens, che uscito in un secondo momento rispetto ad altri, ha cercato di capitalizzare al meglio le esperienze cinesi.
Questo test analizza il dosaggio di IgG e IgM in simultanea per cercare di massimizzare l'effetto diagnostico per l'indagine di prevalenza e monitoraggio. Inoltre nello sviluppo del kit è stata privilegiata da parte dei produttori la capacità di misurare la proteina S1rb che è quella in grado di indicare maggiormente la capacità immunizzante degli anticorpi misurati.
CONCLUSIONI
I test sierologici sono reputati da tutta la comunità scientifica di fondamentale importanza sia per combattere il Covid-19 sia per studiarne l'evoluzione. Una mancanza di linee guida nazionali però sta creando troppa confusione e troppa differenza tra le singole Regioni e tutto questo si riversa su di una popolazione che già non ha ben chiaro come funzionano, come utilizzare e cosa comportano queste diverse tipologie di test. E' compito della politica e della governance sanitaria in collaborazione con
tutti gli stakeholders di settore il creare un percorso di lungo periodo che permetta il migliore più appropriato uso possibile di queste tecnologie. Per quanto accade oggi e per quanto potrebbe riaccadere domani.
- Coronavirus, approvate basi legali per app SwissCovid in Svizzera
Dopo gli Stati la settimana scorsa, anche il Consiglio nazionale ha approvato - con 156 voti contro 22 e 13 astensioni - le basi legali che permetteranno l'introduzione in Svizzera di una applicazione per smartphone per il tracciamento di prossimità, allo scopo di contenere la diffusione del coronavirus. L'app sarà disponibile al più tardi dal 1° luglio.
L'applicazione SwissCovid, attualmente in fase di test, permetterà di avvertire gli utenti che sono stati in contatto con persone risultate poi positive al Covid-19. L'impiego dell'app, che non utilizza né dati personali né informazioni sulla posizione, è facoltativo. I dati registrati saranno cancellati dopo 21 giorni.
I dati saranno o trattati, per quanto possibile, su componenti decentralizzati. Per il funzionamento dell'app è però necessario ricorrere a servizi esterni, come la tecnologia bluetooth di Google e Apple. L'Incaricato federale della protezione dei dati ha comunque dato il suo benestare, ha ricordato il relatore commissionale Jörg Mäder (PVL/ZH).
L'installazione dell'applicazione sarà facoltativa, e non si potrà discriminare chi non la vuole usare, ha spiegato il consigliere federale Alain Berset. Chiunque intenzionalmente rifiuta a una persona, per la sua non partecipazione al sistema, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico (come ad esempio l'accesso a un ristorante) sarà infatti punito con una multa. I datori di lavoro non possono inoltre impedire - né obbligare - i propri collaboratori di installare l'app.
Chi riceve una segnalazione di esposizione al virus dall'app è invitato a informare il proprio medico. Qualora questi dovesse ordinare la quarantena, si avrà diritto alle indennità di perdita di guadagno (IPG), analogamente a chi è stato testato positivamente, ha spiegato Berset. Chi riceve una segnalazione dalla propria applicazione SwissCovid potrà farsi testare gratuitamente presentando il messaggio ricevuto sul telefonino.
La revisione della Legge sulle epidemie consente anche al Consiglio federale di concludere accordi per collegare l'app svizzera con i sistemi esteri corrispondenti. La modifica legislativa ha effetto sino al 30 giugno 2022 dopodiché tutte le modifiche decadono.
L'oggetto torna ora al Consiglio degli Stati per l'approvazione della clausola d'urgenza.
- Imperial College London social enterprise to accelerate low-cost coronavirus COVID-19 vaccine
credit NIAID RML
Imperial College London has formed a new social enterprise VacEquity Global Health (VGH) to bring its COVID-19 vaccine to the world.
For the UK and low-income countries abroad, Imperial and VGH will waive royalties and charge only modest cost-plus prices to sustain the enterprise’s work, accelerate global distribution and support new research.
The social enterprise’s mission is to rapidly develop vaccines to prevent SARS-CoV-2 infection and distribute them as widely as possible in the UK and overseas, including to low- and middle-income countries.
It is supported by Imperial and Morningside Ventures.
Morningside is a leading global life science investor founded in 1986 by the Chan family of Hong Kong. In philanthropy, the family’s long-standing commitment to public health is exemplified by its gift to the Harvard T.H. Chan School of Public Health. As a venture investor, Morningside starts and builds world-class companies to develop innovative science for the public good.
Morningside and Imperial are also launching a separate startup company VaXEquity (VXT), to develop the underlying self-amplifying RNA technology to treat other health conditions beyond the current pandemic.
The two new ventures are built upon years of research of Professor Robin Shattock who pioneered the technology of self-amplifying RNA.
For COVID-19, the technology is used to deliver genetic instructions to muscle cells to make the ‘spike’ protein found on the surface of the coronavirus. This evokes an immune response in the host to produce immunity to the SARS-CoV-2 virus.
The COVID-19 vaccine will enter phase one/two human trials on 15 June with 300 people. A further efficacy trial involving 6,000 people is planned for October.
If these human trials are successful, the Imperial vaccine can be distributed in the UK and overseas early next year.
This is possible because the self-amplifying RNA technology lends itself to rapid manufacturing scale-up. A large amount of vaccine doses can be made in manufacturing facilities with a small footprint.
The team’s supply chain and manufacturing partners will be ready to produce tens of millions of vaccines from early 2021.
UK government and philanthropic funding has been essential to the development of Imperial's COVID-19 vaccine to date, with more than £40 million of public money augmented by £5 million from donors.
This support helped Professor Shattock's team obtain COVID-19 genetic code from China and develop a vaccine candidate to test on animals and prepare for human trials within 14 days in January.
UK residents will be among the first to benefit from access to the vaccine, should trials succeed.
Professor Robin Shattock, Head of Mucosal Infection and Immunity at Imperial College London, and co-founder of both VGH and VXT, said: “We have spent an intense six months to fast-track our vaccine to the clinic, now we are ready to combat the virus through our clinical trials. We are grateful to the thousands of people helping us advance the vaccine: from donors, investors and the government to volunteers for our clinical trials. These new enterprises are the most effective way for us to deliver COVID-19 vaccines quickly, cheaply and internationally, while preparing for future pandemics.”
Professor Alice Gast, President of Imperial College London, said: “These new UK enterprises will fight disease, create thousands of jobs and fast-track scientific advances. We are determined to both defeat the current coronavirus and improve the world’s readiness to fight pandemics for generations to come.
“Professor Shattock’s team show Imperial at its best: turning cutting-edge discoveries into practical applications that improve lives. We are proud of, and grateful to, the many researchers, students, taxpayers, philanthropists and investors who have helped us reach this promising stage.”
Gerald Chan, co-founder of Morningside, said: “No medical intervention has saved more lives in human history than vaccines. The Imperial vaccine technology is a ground-breaking innovation that is readily scalable. This technology has been developed with scientific rigor and a regard for manufacturing scale that is required for any solution to the present pandemic.”
Chair of the UK Vaccine Taskforce Kate Bingham said: “The progress being made in the UK to develop a vaccine that combats coronavirus is remarkable and the speed with which Imperial has progressed its self-amplifying mRNA vaccine has been breathtaking. Imperial’s technology shows great promise, so I welcome this further move to accelerate development of a potential vaccine.
“The UK’s Vaccines Taskforce will continue to work closely with Imperial and its new social enterprise and will ensure that they receive the support needed to accelerate the clinical development, manufacture and launch of its promising vaccine.”
Researchers at Imperial, a world top ten university, have been central to global efforts to understand and fight the novel coronavirus, from warning of its deadly contagion in January and accurately projecting its spread to new advances in virology, testing and ventilation.
The College’s COVID-19 Response Fund has allowed hundreds of donors, including alumni and members of the public to support this work across all four Imperial faculties.
- Imperial College London social enterprise to accelerate low-cost coronavirus COVID-19 vaccine
credit NIAID RML
Imperial College London has formed a new social enterprise VacEquity Global Health (VGH) to bring its COVID-19 vaccine to the world.
For the UK and low-income countries abroad, Imperial and VGH will waive royalties and charge only modest cost-plus prices to sustain the enterprise’s work, accelerate global distribution and support new research.
The social enterprise’s mission is to rapidly develop vaccines to prevent SARS-CoV-2 infection and distribute them as widely as possible in the UK and overseas, including to low- and middle-income countries.
It is supported by Imperial and Morningside Ventures.
Morningside is a leading global life science investor founded in 1986 by the Chan family of Hong Kong. In philanthropy, the family’s long-standing commitment to public health is exemplified by its gift to the Harvard T.H. Chan School of Public Health. As a venture investor, Morningside starts and builds world-class companies to develop innovative science for the public good.
Morningside and Imperial are also launching a separate startup company VaXEquity (VXT), to develop the underlying self-amplifying RNA technology to treat other health conditions beyond the current pandemic.
The two new ventures are built upon years of research of Professor Robin Shattock who pioneered the technology of self-amplifying RNA.
For COVID-19, the technology is used to deliver genetic instructions to muscle cells to make the ‘spike’ protein found on the surface of the coronavirus. This evokes an immune response in the host to produce immunity to the SARS-CoV-2 virus.
The COVID-19 vaccine will enter phase one/two human trials on 15 June with 300 people. A further efficacy trial involving 6,000 people is planned for October.
If these human trials are successful, the Imperial vaccine can be distributed in the UK and overseas early next year.
This is possible because the self-amplifying RNA technology lends itself to rapid manufacturing scale-up. A large amount of vaccine doses can be made in manufacturing facilities with a small footprint.
The team’s supply chain and manufacturing partners will be ready to produce tens of millions of vaccines from early 2021.
UK government and philanthropic funding has been essential to the development of Imperial's COVID-19 vaccine to date, with more than £40 million of public money augmented by £5 million from donors.
This support helped Professor Shattock's team obtain COVID-19 genetic code from China and develop a vaccine candidate to test on animals and prepare for human trials within 14 days in January.
UK residents will be among the first to benefit from access to the vaccine, should trials succeed.
Professor Robin Shattock, Head of Mucosal Infection and Immunity at Imperial College London, and co-founder of both VGH and VXT, said: “We have spent an intense six months to fast-track our vaccine to the clinic, now we are ready to combat the virus through our clinical trials. We are grateful to the thousands of people helping us advance the vaccine: from donors, investors and the government to volunteers for our clinical trials. These new enterprises are the most effective way for us to deliver COVID-19 vaccines quickly, cheaply and internationally, while preparing for future pandemics.”
Professor Alice Gast, President of Imperial College London, said: “These new UK enterprises will fight disease, create thousands of jobs and fast-track scientific advances. We are determined to both defeat the current coronavirus and improve the world’s readiness to fight pandemics for generations to come.
“Professor Shattock’s team show Imperial at its best: turning cutting-edge discoveries into practical applications that improve lives. We are proud of, and grateful to, the many researchers, students, taxpayers, philanthropists and investors who have helped us reach this promising stage.”
Gerald Chan, co-founder of Morningside, said: “No medical intervention has saved more lives in human history than vaccines. The Imperial vaccine technology is a ground-breaking innovation that is readily scalable. This technology has been developed with scientific rigor and a regard for manufacturing scale that is required for any solution to the present pandemic.”
Chair of the UK Vaccine Taskforce Kate Bingham said: “The progress being made in the UK to develop a vaccine that combats coronavirus is remarkable and the speed with which Imperial has progressed its self-amplifying mRNA vaccine has been breathtaking. Imperial’s technology shows great promise, so I welcome this further move to accelerate development of a potential vaccine.
“The UK’s Vaccines Taskforce will continue to work closely with Imperial and its new social enterprise and will ensure that they receive the support needed to accelerate the clinical development, manufacture and launch of its promising vaccine.”
Researchers at Imperial, a world top ten university, have been central to global efforts to understand and fight the novel coronavirus, from warning of its deadly contagion in January and accurately projecting its spread to new advances in virology, testing and ventilation.
The College’s COVID-19 Response Fund has allowed hundreds of donors, including alumni and members of the public to support this work across all four Imperial faculties.
- Indagine ISTAT ISS, impatto del coronavirus Covid-19 sulla popolazione italiana
Il numero di casi Covid-19 segnalati in Italia e' massimo nel mese di marzo con 113.011 casi, (il picco si raggiunge il 20 marzo), quindi inizia a diminuire; ad aprile sono stati segnalati 94.257 casi, sebbene molti decessi avvenuti nel mese riguardano persone diagnosticate a marzo.
Il calo prosegue ancora piu' marcatamente nel mese di maggio (18.706 casi, mese non completo e dati aggiornati al 25 maggio). Cosi' nel rapporto Istat 'Impatto dell'epidemia covid-19 sulla mortalita' totale della popolazione residente primo quadrimestre 2020'.
La Sorveglianza Nazionale integrata ha registrato, dal 20 febbraio al 30 aprile 2020, 28.561 decessi in persone positive al Covid-19; di queste 15.114 (53%) sono decedute entro il mese di marzo (il picco si e' raggiunto il 28 marzo) e 13.447 (47%) nel mese di aprile. Il continuo aggiornamento dei dati da parte delle Regioni ha permesso di recuperare, ulteriori 790 decessi (15.114 rispetto ai 14.324) avvenuti a marzo ma comunicati successivamente alla data di aggiornamento della base dati oggetto del primo Rapporto (26 aprile 2020).
Dei 209.013 casi Covid-19 diagnosticati entro il 30 aprile 2020, il 53,3% (111.452) e' di sesso femminile. La classe mediana di eta' e' di 60-64 anni (rispetto al range 0-100). Nella fascia di eta' maggiore di 90 anni, le donne sono quasi l'80%, anche in ragione della netta prevalenza femminile in questo segmento di popolazione. Appena l'1% dei casi segnalati riguarda soggetti di eta' inferiore ai 14 anni, il 27% riguarda individui nella classe di eta' 15-49 anni, il 46% nella classe di eta' 50-79, il 26% individui di eta' superiore o uguale agli 80 anni compiuti.
Si conferma l'eterogeneita' nella diffusione geografica dell'epidemia, che risulta molto contenuta nelle Regioni del Sud e nelle Isole, mediamente piu' elevata in quelle del Centro rispetto al Mezzogiorno e molto elevata nelle regioni del Nord. Considerando i casi e i decessi Covid-19, il 75% dei casi segnalati e l'82% dei decessi si trovano nelle province definite a diffusione "alta", il 17% dei casi e il 13% dei morti in quelle a diffusione "media" e rispettivamente l'8% e il 5% nelle province a diffusione "bassa".
Contemporaneamente alla diminuzione dei casi e dei decessi Covid-19 si riduce la mortalita' per il complesso delle cause. A livello nazionale i decessi totali scendono da 80.623 di marzo a 64.693 di aprile e la stima dell'eccesso di mortalita' passa da un aumento medio del 48,6% di marzo (26.350 decessi in piu' nel 2020 rispetto alla media 2015-2019) al 33,6% di aprile (16.283 decessi in piu'). A diminuire e' proprio la mortalita' delle province ad alta diffusione. Nel complesso di questa area i decessi passano da 44.998 di marzo 2020 (113,1% in piu' rispetto al 2015-2019) a 32.931 di aprile (73,9% in piu' rispetto al 2015-2019).
Il calo piu' importante si osserva in Lombardia: i morti per il totale delle cause diminuiscono da 24.893 di marzo a 16.190 di aprile 2020 e l'eccesso di decessi rispetto alla media degli stessi mesi del periodo 2015-2019 scende da 188,1% a 107,5%. Sono proprio le province piu' colpite dall'epidemia quelle in cui si osservano le riduzioni piu' importanti. Bergamo e Lodi sono le aree in cui il calo della mortalita' e' stato piu' accentuato, l'eccesso di mortalita' scende da 571% di marzo a 123% di aprile a Bergamo e da 377% a 79,9% a Lodi. L'eccesso di mortalita' si mantiene invece ancora alto ad aprile 2020, su livelli simili a quelli di marzo, nelle province di Pavia (135% di decessi in piu' rispetto alla media 2015-2019), di Monza e Brianza (101%) e di Milano (98%). L'eccesso di mortalita' dei mesi di marzo e aprile 2020 e' piu' consistente per gli uomini di 70-79 anni e di 80-89 anni per i quali i decessi cumulati dal primo gennaio al 30 aprile 2020 aumentano di oltre 52 punti percentuali rispetto allo stesso periodo della media 2015-2019; segue la classe di eta' 90 e piu' con un incremento del 48%. L'incremento della mortalita' nelle donne e' invece piu' contenuto per tutte le classi di eta'; raggiunge alla fine di aprile il 42% in piu' della media degli anni 2015-2019 per la classe di eta' 90 e piu', che risulta essere la piu' colpita dall'eccesso di mortalita'. Segue la classe 80-89 con un incremento del 35% e la 70-79 (31%).
In questi mesi dell'emergenza Covid-19, nel Lazio si sono registrati meno morti rispetto alla media del periodo che va dal 2015 al 2019. A marzo, infatti, il rapporto Istat 'Impatto dell'epidemia Covid-19 sulla mortalita' totale della popolazione residente primo quadrimestre 2020', diffuso oggi, indica per il Lazio un calo dei decessi del 5,3%, mentre ad aprile arriva fino al -8,3%. Dati che in questo rapporto fanno del Lazio, nel mese di marzo, la regione che ha avuto il calo piu' significativo (solo tre regioni in negativo, le altre sono Basilicata e Sicilia), mentre per il mese di aprile il Lazio si piazza alle spalle del Molise, che ha fatto registrare un calo maggiore (-10,6%). Ad aprile sono state cinque le regioni in negativo, con Campania, Umbria e Sicilia insieme a Molise e Lazio.
L’Istituto Superiore di Sanità ha il compito di coordinare la Sorveglianza Nazionale integrata Covid-19,attraverso l’ordinanza 640 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile del 27/2/2020 (Ulteriori interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili).
La Sorveglianza raccoglie dati individuali dei soggetti positivi al Covid-19, in particolare quelli anagrafici, il luogo di domicilio e residenza, alcuni dati di laboratorio, informazioni sul ricovero e sullo stato clinico (indicatore sintetico di gravità della sintomatologia), sulla presenza di alcuni fattori di rischio (patologie croniche di base) e l’esito finale (guarito o deceduto).
- CORONAVIRUS E REUMATOLOGIA. SIR, LE MALATTIE REUMATOLOGICHE NON AUMENTANO IL RISCHIO DI COVID-19
L’infezione da Covid-19 nei pazienti reumatologici non è particolarmente frequente e il rischio di contagio non sembra essere aumentato. Quando però il virus colpisce questi malati la prognosi può essere severa. E’ quanto emerge da “Control-19”, il primo registro avviato al mondo sugli effetti del Coronavirus nei malati reumatologici.
Il progetto è promosso dalla Società Italiana di Reumatologia (SIR) e i primi dati sono relativi a 165 pazienti in cura nel nostro Paese e che hanno contratto l’infezione.
La ricerca è presentata oggi in una conferenza stampa on line della SIR che si tiene in occasione dell’avvio del congresso EULAR (European League Against Rheumatism). Nello specifico l’età media dei pazienti è di 62 anni e oltre l’80% proviene dalle Regioni del Nord più colpite dalla pandemia: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. Le patologie al momento dell’infezione erano: artrite reumatoide (35%), spondiloartrite (21%), connettiviti (19%) e vasculiti (12%). Più del 50% dei malati presentava almeno due comorbidità. I pazienti inclusi nello studio erano per il 70% ricoverati in ospedale e nel 7% dei casi si è resa necessaria la ventilazione meccanica in terapia intensiva.
“Si tratta di dati preliminari e relativi a marzo e aprile, quando cioè la pandemia ha registrato gli effetti più devastanti su tutta la popolazione - afferma il dott. Luigi Sinigaglia, Presidente Nazionale della SIR -. Ora andranno analizzati nel dettaglio. La confluenza dei nostri dati nei registri internazionali, come quello patrocinato da EULAR, ci consentirà di disporre di informazioni molto preziose per tutta la comunità scientifica sulla base di un numero di casi molto maggiore. La Società Scientifica ribadisce l’invito a tutti i pazienti a proseguire con le terapie reumatologiche prescritte e a non modificare il trattamento in atto poiché la maggior parte delle infezioni si sono verificate in pazienti con malattia non completamente controllata”. “Dopo lo shock iniziale delle prime settimane siamo riusciti a riorganizzare l’assistenza reumatologica - aggiunge il prof. Roberto Caporali, Segretario alla Presidenza SIR -. Nelle nostre strutture sanitarie i percorsi sono ormai separati e possiamo proseguire a somministrare in piena sicurezza terapie, controlli medici ed esami diagnostici”.
La reumatologia è stata al centro dell’attenzione soprattutto nelle prime fasi della pandemia, in quanto molti farmaci utilizzati per il trattamento di alcune patologie reumatologiche sono stati proposti anche per contrastare gli effetti dell’infezione virale. “Dopo una prima fase di entusiasmo - sostiene il prof. Guido Valesini, Vice Presidente SIR - abbiamo cominciato a valutare i dati con il necessario rigore scientifico e ad oggi non abbiamo una risposta certa sulla efficacia di molte di queste terapie sull’infezione, né tanto meno sulla loro potenzialità preventiva. Sono necessari nuovi studi prospettici per pervenire a una risposta definitiva. Uno dei problemi emersi, negli ultimi due mesi in tutto il Vecchio Continente, è stata la carenza di alcuni farmaci e in particolare di clorochina e idrossiclorochina. Sono due molecole da anni utilizzate in reumatologia e di recente sono state sperimentate per la prevenzione o il trattamento di infezioni da Covid-19. La loro efficacia in realtà è risultata ridimensionata e adesso idrossiclorochina e clorochina non sono consigliate per uso comune al di fuori di studi approvati e tuttora in corso. Anche dai dati preliminari del nostro Registro risulta che ben il 16% dei malati assumeva idrossiclorochina e questo non ha impedito l’infezione. Vogliamo quindi rassicurare i pazienti sul fatto che in Italia non dovrebbero esserci più problemi di disponibilità di alcuni farmaci”.
“Anche altre terapie normalmente impiegate nel trattamento di malattie autoimmuni reumatologiche sono state sperimentate contro il Coronavirus - sottolinea Valesini -. E’ questo il caso dei farmaci inibitori di interleuchina 6 e del TNF-alfa. Potrebbero per la loro potente azione anti-infiammatoria avere un ruolo nella terapia dell’infezione. Tuttavia mancano al momento risultati definitivi”.
“Molte di queste ricerche vengono condotte anche nel nostro Paese e questo dimostra come la reumatologia italiana sia davvero un’assoluta eccellenza del nostro sistema sanitario nazionale - prosegue il prof. Roberto Gerli, Presidente Eletto SIR -. La SIR si è fatta anche promotrice di due studi che sono stati approvati da AIFA sull’impiego di un ben noto farmaco reumatologico, impiegato nel trattamento di artriti da microcristalli e di malattie auto infiammatorie, la colchicina. Questi studi disegnati con rigore scientifico e patrocinati dalla Società, stanno reclutando nuovi pazienti e presto ci daranno risultati definitivi”. Proprio per facilitare il rapporto con i malati, la SIR avvierà poi nelle prossime settimane un nuovo progetto di telemedicina. Attraverso una piattaforma specifica sarà possibile organizzare televisite reumatologiche e rendere possibile lo scambio di informazioni cliniche tra personale sanitario e paziente.
“E’ un esperimento interessante che auspichiamo possa presto essere esteso - sottolinea il professor Giandomenico Sebastiani, Segretario generale SIR -. L’emergenza Coronavirus ha dimostrato come si possono sfruttare alcuni sistemi di telemonitoraggio domiciliare per la gestione dei malati cronici da remoto. Si tratta però di strumenti supplementari al controllo medico diretto che deve comunque restare la base imprescindibile nel rapporto con il paziente”. “Il congresso EULAR quest’anno si svolgerà solo per via telematica e siamo riusciti lo stesso a coinvolgere migliaia di specialisti e pazienti - conclude la prof.ssa Annamaria Iagnocco, Presidente Eletto dell'Eular -. E’ l’occasione per analizzare e fare il punto su patologie in costante aumento in tutto il Vecchio Continente. Il ruolo dell’Italia è sempre di primissimo piano e il nostro Paese partecipa con numerosi contributi scientifici al più importante appuntamento della reumatologia europea”.
- OMCEO ROMA, RIAPRONO AMBULATORI MA ASL NON TUTTE PRONTE AL POST CORONAVIRUS COVID-19
"La riapertura degli ambulatori in questo momento e' solo sulla carta. La Regione ha dato delle indicazioni ma ogni Asl di fatto sta andando per conto suo, creando forti disuguaglianze sul territorio per l'accesso dei cittadini: alcuni ambulatori hanno gia' cominciato a fare le visite, altri hanno aperto solo a determinate branche, alcuni stanno facendo ancora delle sperimentazioni - per esempio con la diagnostica per immagini - per vedere come va, e altri ancora riapriranno solo a luglio. Ma non c'e' tempo: vanno recuperate un milione di prestazioni e bisogna aumentare l'offerta".
Cosi' il presidente dell'Ordine dei Medici di Roma, Antonio Magi, interpellato dall'agenzia Dire in merito alle linee guida della Regione Lazio per Asl e ospedali per recuperare le prestazioni saltate a causa dell'emergenza sanitaria legata al Covid-19.
Il piano di rimodulazione dei servizi entrera' a pieno regime a partire da mercoledi' prossimo e prevede l'apertura di ospedali e ambulatori pubblici fino alle 22, anche il sabato (e alcuni la domenica), grazie a turni straordinari, ferie ridotte e assunzioni a progetto del personale medico, infermieristico e amministrativo.
"Siamo moderatamente soddisfatti perche' l'attivita' ambulatoriale sta cominciando a riaprirsi- prosegue Magi- ma non possiamo certamente dire che sia andata a regime. Troppi cittadini, per troppo tempo, sono stati abbandonati a loro stessi e stanno aspettando ancora di essere visitati, nonostante abbiano assoluta necessita' di avere una consulenza specialistica. Quello che temiamo, ora, e' che molti di loro potrebbero presentarsi negli ambulatori senza neppure prenotare, creando cosi' assembramenti. La prossima settimana incontrero' l'assessore regionale alla Sanita', Alessio D'Amato, per cercare delle soluzioni che possano snellire un po' le liste d'attesa, grazie al supporto della telemedicina".
Secondo il presidente dell'Ordine dei Medici di Roma, pero', i teleconsulti non sono la soluzione: "Il rapporto medico-paziente non puo' basarsi su un collegamento via Skype- dice- il medico deve mettere le mani sul paziente. E poi come faccio a fare un elettrocardiogramma? Con un device posso monitorare il paziente a distanza, se gia' ce l'ho in carico, ma chi compra quel dispositivo?". Per rifissare le visite 'perse' dai Cup, intanto, il criterio non sara' quello della priorita' nella data della prenotazione saltata, ma quello dato dal livello di fragilita' dell'utente.
"Questa modalita' ha una logica- commenta Magi- si e' optato per una stratificazione delle prenotazioni per cercare di privilegiare appunto i piu' fragili. Ma i pazienti vanno visitati tutti e prima ci affrettiamo a dare piu' prestazioni, prima andiamo a recuperare tutte quelle visite andate perse. Non dimentichiamoci che in Italia ci sono 24 milioni di malati cronici, 12 dei quali hanno piu' di una patologia. Ci sono pazienti che hanno bisogno del cardiologo ma anche del diabetologo, per esempio, per questo e' necessario privilegiare anche un lavoro di equipe".
Bene aprire gli ambulatori il sabato e la domenica, dunque, ma occorre "soprattutto aumentare l'offerta- aggiunge il presidente dei camici bianchi capitolini- che in questi anni e' stata penalizzata moltissimo dal blocco del turnover. Bisogna avere il coraggio di investire sul territorio e sulla specialistica, ma anche sul personale. Ora piu' che mai ce n'e' bisogno, altrimenti il rischio e' quello di posticipare di altri tre mesi le liste d'attesa perche' mancano medici, infermieri e amministrativi. Gia' prima del Covid-19 in molti ambulatori c'erano le stanze vuote perche' mancavano gli specialisti e quindi non c'era un pieno utilizzo delle visite, per questo si creavano le liste d'attesa.
E ora che dobbiamo far recuperare anche tutte le altre visite, come faremo?". Un punto da tenere in considerazione, rispetto al passato, e' infine anche un altro: ogni esame e visita impieghera' piu' tempo dal momento che gli ambienti e le apparecchiature, tra un paziente e l'altro, dovranno essere sanificati. "Il tempo di visita di un medico rimane sempre lo stesso- commenta ancora Magi- quindi il problema e' prettamente di natura organizzativa. Le Asl dovranno organizzarsi e ancora una volta- conclude- ribadisco che bisogna potenziare l'offerta".
- CORONAVIRUS, UN DECALOGO POST COVID-19 DEGLI ESPERTI CON MOTORE SANITA'
Le idee e i suggerimenti per una migliore e sicura ripresa dell'Italia, dopo i quattro appuntamenti Webinar, organizzati dall'Officina di Motore Sanità in collaborazione con BioMedia.
La riapertura dopo la infausta pandemia del Covid-19 è alle porte e prevede un nuovo e corretto approccio alla medicina ospedaliera e soprattutto territoriale diverso da regione a regione, con nuove regole e una diversa organizzazione in cui dovranno essere coinvolti tutti gli operatori sanitari per costruire la Sanità del futuro.
L'Officina di Motore Sanità ha raccolto, grazie alle risultanze di quattro Webinar a cui hanno partecipato i maggiori esperti della sanità italiana, il decalogo delle azioni e delle iniziative da seguire in questa riapertura.
Un decalogo che raccoglie i consigli del Governo, li fa propri e li inquadra non solo nella direzione di una vera riapertura delle attività e della vita sociale, ma li inserisce nel disegno complesso della sanità del futuro. "Questa pandemia - spiega il Dottor Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità - dovrà essere l'occasione per un nuovo inizio per il nostro servizio sanitario nazionale e per l'Italia tutta. Gli ospedali che impegneranno operatori e dirigenza insieme in una riorganizzazione che porti le strutture da una parte a garantire il rispetto della distanza sociale, la tutela da un nuovo possibile contagio e dall'altra ad assicurare un'attività ordinaria, oltre che d'urgenza, spalmata magari su tutti giorni della settimana. E non di meno, si dovrà ricostruire la medicina territoriale dove tutti gli operatori dovranno essere coinvolti".
L'Officina di Motore Sanità ha predisposto un documento di sintes che, partendo dalle esperienze delle diverse Regioni, illustra la riorganizzazione delle Aziende sanitarie nei luoghi di cura e si sofferma sulle nuove funzioni del personale, sull'impatto economico e sociale relativo al nuovo progetto ospedaliero post pandemia, formulando proposte suffragate dagli Esperti sul post Covid 19.
Di seguito i punti principali
- Immettere nuovi finanziamenti in un SSN fragile che da anni è depauperato di mezzi e risorse;
- Garantire il corretto valore a tutte le professioni sanitarie in campo anche al di fuori dell'emergenza;
- Mettere in pratica i modelli Ospedale e Territorio valorizzando a livello nazionale le best practices regionali;
- Superare gli interessi di parte per offrire una responsabile disponibilità ad un effettivo cambiamento del comparto salute;
- Costruire collaborazioni attive tra Aziende di settore e Istituzioni attraverso partnership trasparenti;
- Utilizzare da subito nuove tecnologie e telemedicina;
- Mettere davvero il paziente al centro del sistema;
- Riorganizzare, ove necessario, la medicina territoriale che in questa crisi ha dimostrato il suo ruolo centrale insieme agli ospedali;
- Costruire un modello virtuoso di collaborazione con la sanità privata e con l’industria farmaceutica e di presidi medico-chirurgici;
- Utilizzare una comunicazione istituzionale rapida, efficace e focalizzata sui bisogni dei cittadini.
- Chemo Within 3 Months of coronavirus COVID-19 Diagnosis Associated With an Increased Risk of Death in Patients With Thoracic Cancer #ASCO20
Among patients with lung and other thoracic cancers also diagnosed with COVID-19, prior use of chemotherapy — alone or in combination with other treatments — was associated with increased risk of death, according to an analysis to be presented as part of the virtual scientific program of the 2020 American Society of Clinical Oncology (ASCO) Annual Meeting.
The data come from the Thoracic cancERs international coVid 19 cOLlaboraTion (TERAVOLT) registry and are the most recent available.
Study at a Glance
Focus |
Impact of COVID-19 on patients with thoracic cancers |
Population |
400 patients with thoracic cancers also diagnosed with COVID-19 |
Findings |
Patients treated with chemotherapy within three months of COVID-19 diagnosis had a significantly increased risk (64%) of dying from the virus |
Significance |
Leads to better understanding of risk factors associated with poor outcomes in patients with thoracic cancer who develop COVID-19 |
“In less than a week we had a study enrolling patients,” said lead author Leora Horn, MD, who is the Ingram Associate Professor of Cancer Research and the Director of the Thoracic Oncology Program at Vanderbilt University Medical Center. “We have seen clinical trials being funded, approved and begin enrolling patients within weeks, when it can often take months or years to get approval for a trial.”
Only patients treated with chemotherapy (alone or in combination with other therapies) within 3 months of COVID-19 diagnosis had a significantly increased risk (64%) of dying from the virus compared with patients not receiving chemotherapy. Of the 144 patients who died, 79.4% (112) died due to COVID-19 and 10.6% (15) due to cancer.
Patients with thoracic malignancies, which include lung cancer, mesothelioma, thymic neoplasms, and carcinoid tumors, are considered high risk given their older age, multiple comorbidities and pre-existing lung damage, among other factors.
Prior Use of Steroid and Anticoagulation Treatment
Treatment with anticoagulants (drugs that prevent blood from clotting) and corticosteroids (drugs that reduce inflammation) prior to COVID-19 were also associated with an increased risk of death. Concerns have been raised previously by clinicians about the risk of severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) infection and severity of COVID-19 among those using corticosteroids for chronic disease.1
In this study, treatment with corticosteroids prior to infection with the SARS-CoV-2 virus was associated with 1.5 times greater risk of death in patients with thoracic cancer, compared with patients not on corticosteroids, after controlling for a number of other factors.
These findings regarding prior anticoagulant treatment are of interest as well, given published reports of clotting in patients with COVID-19, which have prompted some physicians to recommend anticoagulation prophylaxis in all patients with this disease.2,3 However, there were too few patients for multivariate analysis. More data will be needed to understand how COVID-19 affects clotting in patients with thoracic cancer.
COVID-19 Treatment
The type of treatment given specifically for COVID-19 did not appear to affect a patient’s risk of death. The proportions of patients receiving anticoagulants, antibiotics, antivirals, antifungals, corticosteroids, drugs targeting IL-6, and hydroxychloroquine were the same or similar for patients that recovered and that died. For example, 27% of patients that recovered received antibiotics vs 27% that died, for anticoagulants it was 24% vs 23%, for steroids it was 10% vs 16%, and for hydroxychloroquine it was 23% vs 19%.
Next steps
As more data is collected, findings from the registry are intended to provide insights into the management of both thoracic cancer and COVID-19 in patients with both diseases. Data collection is ongoing, and additional analyses are planned to examine patient and provider perceptions of the impact of COVID-19 on cancer care.
Funding
No external funding was received.
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Coronavirus and COVID-19: What People With Cancer Need to Know