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- Covid, ancora dubbi sul laboratorio di Wuhan e il ruolo dei finanziamenti USA
- COVID-19 E' UNA INFEZIONE STAGIONALE. DIPENDE DA TEMPERATURA E UMIDITA'
- Il richiamo del vaccino anti Covid aumenta le risposte anticorpali. Studio su Science
- Covid, i sintomi nei bambini dipendono dall' eta'. Studio pediatri ACP
- Covid, in lockdown piu' ricerche web su disturbi alimentari
- Covid bambini, FDA conferma efficacia vaccino di Pfizer
- Covid, lockdown per non vaccinati in Austria
- COVID, OMS MONITORA NUOVA MUTAZIONE VARIANTE DELTA
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- Benessere generale: più della metà di tutti i pazienti ha riportato perdita di peso, affaticamento, febbre o dolore.
- Mobilità: circa un sopravvissuto su cinque ha riscontrato una diminuzione della mobilità.
- Preoccupazioni neurologiche: quasi un sopravvissuto su quattro ha avuto difficoltà di concentrazione.
- Disturbi di salute mentale: a quasi un paziente su tre sono stati diagnosticati disturbi d'ansia generalizzati.
- Anomalie polmonari: sei sopravvissuti su dieci presentavano anomalie dell'imaging del torace e più di un quarto dei pazienti aveva difficoltà a respirare.
- Problemi cardiovascolari: dolore toracico e palpitazioni erano tra le condizioni comunemente riportate.
- Condizioni della pelle: quasi un paziente su cinque ha manifestato perdita di capelli o eruzioni cutanee.
- Problemi digestivi: dolore allo stomaco, mancanza di appetito, diarrea e vomito erano tra le condizioni comunemente riportate.
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"Non è vero che solo il 2,9% dei decessi attribuiti a Covid-19 è dovuto al virus". L'Istituto superiore di sanità (Iss) torna sui dati contenuti nel suo ultimo report sui decessi Covid, in cui si davano dati anche sull'alta presenza di malattie croniche nelle vittime della pandemia, respingendo alcune tesi circolate a livello mediatico, basate su interpretazioni ritenute dall'Istituto non corrette.
Il primo chiarimento riguarda proprio la citata percentuale del 2,9%, una percentuale "peraltro riportata anche nelle edizioni precedenti" del rapporto. A questo proposito l'Iss dunque ne chiarisce il significato e puntualizza che 2,9% "si riferisce alla percentuale di pazienti deceduti con positività per Sars-CoV-2 che non avevano altre patologie diagnosticate prima dell'infezione. La cifra peraltro è confermata dall'osservazione fatta fin dalle prime fasi della pandemia e ampiamente riportata in diversi studi nazionali e internazionali e rapporti anche dell'Iss", e cioè che "avere patologie preesistenti costituisce un fattore di rischio". Quello che in realtà i rapporti congiunti Istat-Iss stilati sulla base dei certificati di morte riportano è un altro dato, che mostra come "Covid-19 sia la causa direttamente responsabile della morte nell'89% dei decessi di persone positive al test Sars-CoV-2", tiene a precisare l'Istituto.
Altra puntualizzazione riguarda la visione secondo cui avere delle patologie pregresse equivale necessariamente a un epilogo fatale come destino immediato: "Non è corretto - scrive l'Iss - affermare che le patologie riscontrate nei deceduti Sars-CoV-2 positivi avrebbero comunque portato a decesso 'in tempi brevi'. Indipendentemente da Covid-19, la presenza di patologie croniche nella popolazioneanziana è molto comune. Un recente rapporto dell'Istat indica che solo il 15% non ne soffrirebbe e che circa il 52% soffrirebbe di 3 o più patologie croniche. In considerazione del fatto che le patologie croniche rappresentano un fattore di rischio per decesso da Covid, e che queste sono molto comuni nella popolazione generale, non deve sorprendere l'alta frequenza di queste condizioni nella popolazione deceduta Sars-CoV-2 positiva". Il secondo momento si sta concretizzando in questi giorni con la decisione della Giunta regionale di dare all’organismo una nuova veste giuridica in grado di gestire direttamente i fondi strutturali europei".
La concomitanza di più patologie croniche nella stessa persona costituisce di per sé "elemento di fragilità in genere compensato con appropriate terapie: il contrarre una infezione come Sars-CoV-2 si traduce in un aumentato rischio di complicanze e di morte", chiarisce ancora l'Istituto superiore di sanità.
"Sin dall'inizio della pandemia, infatti - si ricorda nella nota - è stato censito un eccesso di mortalità nella popolazione, cioè un numero di deceduti superiore a quello degli anni precedenti, le cui stime sono periodicamente riportate nel rapporto congiunto Iss-Istat. Si precisa che le patologie preesistenti riportate nel report, finalizzato alla caratterizzazione delle caratteristiche dei deceduti, vengono valutate da un gruppo di medici dell'Iss attraverso la revisione di un campione di cartelle cliniche ospedaliere inviate ad Iss dalle Regioni e Province autonome, e le patologie preesistenti riscontrate più frequentemente nei deceduti Sars-CoV-2 positivi sono riportate nella tabella 1 del report. Le più rappresentate sono: ipertensione, diabete di tipo 2 e demenza, patologie molto frequenti nella popolazione".
Finanziamenti Usa per i test del laboratorio di Wuhan, città epicentro della pandemia di covid. "Pur negando ancora una volta di aver contribuito a creare il virus che ha scatenato la pandemia di Covid, l' National Institutes of Health (Nih) degli Stati Uniti hanno rivelato in una lettera inviata ai repubblicani al Congresso Usa che gli esperimenti che l'ente ha finanziato attraverso un'organizzazione no profit con sede negli States nel 2018 e 2019 presso l'Istituto di virologia di Wuhan (Wiv) in Cina, hanno avuto il 'risultato inaspettato' di creare un coronavirus più infettivo nei topi", il nuovo sviluppo riportato oggi in un articolo pubblicato online su 'Science'.
Quanto viene spiegato nel servizio viene commentato in Italia anche da Alberto Zangrillo, prorettore dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, in un tweet in cui afferma che "il mondo ha diritto di sapere come sono andate davvero le cose tra Nih, Anthony Fauci, EcoHealth e il Wuhan Institute of Virology".
Al centro del dibattito c'è la definizione di quello che può configurarsi come un esperimento rischioso.Secondo quello che si legge su Science, Nih ha affermato che l'organizzazione che deteneva la sovvenzione, l'EcoHealth Alliance, ha mancato di segnalare immediatamente il risultato inatteso ottenuto all'agenzia, come richiesto dalle regole del grant. Un report recentemente pubblicato sui progressi di tale sovvenzione mostra poi che EcoHealth e l'Istituto di Wuhan hanno condotto esperimenti per modificare il virus, che causa la sindrome respiratoria mediorientale (Mers), cosa che sta sollevando domande aggiuntive.
Nella lettera l'Nih puntualizza che, quando è stata esaminata la proposta di sovvenzione originale di EcoHealth, si era stabilito che gli esperimento proposti - progettati per capire se alcuni coronavirus di pipistrello avrebbero potuto infettare gli esseri umani - "non rientravano" nella fattispecie che implica il "cosiddetto guadagno di funzione (Gof, gain of function), cioè esperimenti che possono rendere i patogeni più pericolosi per l'uomo". Allo stesso tempo, fa notare l'articolo, pubblicato sulla rivista scientifica, l'ente Usa proprio in un'analisi appena diffusa ha sottolineato che tutti i virus studiati al Wiv nell'ambito della sovvenzione erano "troppo distanti evolutivamente dal Sars-CoV-2" per essere stati trasformati in questo patogeno.
Si tratta per l'Nih di "virus che non potrebbero aver causato la pandemia di Covid-19. Qualsiasi affermazione contraria è dimostrabilmente falsa", si legge in una nota dell'ente. Nih ha inviato la lettera del 20 ottobre al repubblicano James Comer, insieme a un rapporto finale sui progressi del grant dell'EcoHealth Alliance che Nih aveva finanziato e più tardi annullato su richiesta dell'allora presidente Donald Trump (in seguito è stato anche ripristinato, ma a condizioni che EcoHealth ha affermato di non poter rispettare).
Il rapporto descrive gli studi condotti al Wiv tra giugno 2018 e giugno 2019 su più recenti coronavirus di pipistrello. Alcuni di questi esperimenti hanno esaminato se le proteine ??spike di questi virus potessero, quando espresse in un coronavirus di pipistrello già noto chiamato Wiv1, legarsi al recettore cellulare umano in un modello murino. In un "esperimento limitato", i topi infettati da una di queste chimere "si ammalarono più di quelli infettati dal coronavirus del pipistrello Wiv1. Come a volte accade nella scienza, questo è stato un risultato inaspettato", riporta la lettera citata da 'Science', che è firmata da Lawrence Tabak, Principal Deputy Director dei Nih.
L'ente Usa in origine, esaminando il progetto, aveva stabilito "che non si trattava di una ricerca che coinvolge ciò che chiama 'patogeni potenziati dal potenziale pandemico', perché né i nuovi coronavirus dei pipistrelli né il Wiv1 erano noti per infettare gli esseri umani", afferma la lettera. Ma EcoHealth avrebbe dovuto informare immediatamente del risultato inatteso l'Nih e l'ente avrebbe effettuato una "revisione secondaria" della ricerca, per vedere se era necessario rivalutarla o imporre nuove misure di biosicurezza. EcoHealth ha ora 5 giorni per inviare tutti i dati non pubblicati del progetto. Dal canto suo EcoHealth replica: "Questi dati sono stati riportati non appena ne siamo stati informati, nel nostro rapporto di aprile 2018. Nih ha rivisto quei dati e non ha indicato che fosse necessaria una revisione secondaria della nostra ricerca, infatti è stato consentito al ??finanziamento di procedere".
Un nuovo studio condotto dal Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), un'istituzione supportata dalla Fondazione "la Caixa", fornisce solide prove che COVID-19 è un'infezione stagionale legata a basse temperature e umidità , proprio come l'influenza stagionale. I risultati, pubblicati su Nature Computational Science, supportano anche il notevole contributo della trasmissione aerea di SARS-CoV-2 e la necessità di passare a misure che promuovano "l'igiene dell'aria".
Una domanda chiave riguardo alla SARS-CoV-2 è se si comporti, o si comporterà, come un virus stagionale come l'influenza, o se sarà ugualmente trasmesso in qualsiasi periodo dell'anno. Un primo studio di modellizzazione teorica ha suggerito che il clima non è stato un driver nella trasmissione di COVID-19, dato l'elevato numero di individui suscettibili senza immunità al virus. Tuttavia, alcune osservazioni hanno suggerito che la propagazione iniziale di COVID-19 in Cina si è verificata a una latitudine compresa tra 30 e 50 o N, con bassi livelli di umidità e basse temperature (tra 5 o 11 o C).
"La questione se il COVID-19 sia una vera malattia stagionale diventa sempre più centrale, con implicazioni per la determinazione di misure di intervento efficaci", spiega Xavier Rodó , direttore del programma Clima e salute di ISGlobal e coordinatore dello studio. Per rispondere a questa domanda, Rodó e il suo team hanno prima analizzato l'associazione tra temperatura e umidità nella fase iniziale della diffusione del SARS-CoV-2 in 162 paesi nei cinque continenti , prima che venissero messi in atto cambiamenti nel comportamento umano e nelle politiche di salute pubblica. I risultati mostrano una relazione negativa tra la velocità di trasmissione (R0) e sia la temperatura che l'umidità su scala globale: velocità di trasmissione più elevate sono state associate a temperature e umidità inferiori.
Il team ha quindi analizzato come questa associazione tra clima e malattia si è evoluta nel tempo e se fosse coerente a diverse scale geografiche. A tal fine, hanno utilizzato un metodo statistico sviluppato specificamente per identificare modelli di variazione simili (ovvero uno strumento di riconoscimento dei modelli) in finestre temporali diverse. Ancora una volta, hanno trovato una forte associazione negativa per finestre temporali brevi tra malattia (numero di casi) e clima (temperatura e umidità), con modelli coerenti durante la prima, la seconda e la terza ondata della pandemia a diverse scale spaziali : in tutto il mondo, paesi, fino a singole regioni all'interno di paesi altamente colpiti (Lombardia, Turingia e Catalogna) e persino a livello di città (Barcellona).
Le prime ondate epidemiche sono diminuite quando la temperatura e l'umidità sono aumentate, e la seconda ondata è aumentata quando le temperature e l'umidità sono diminuite. Tuttavia, questo modello è stato interrotto durante l'estate in tutti i continenti . "Ciò potrebbe essere spiegato da diversi fattori, tra cui raduni di massa di giovani, turismo e aria condizionata, tra gli altri", spiega Alejandro Fontal, ricercatore presso ISGlobal e primo autore dello studio.
Quando si adattava il modello per analizzare le correlazioni transitorie a tutte le scale nei paesi dell'emisfero australe, dove il virus è arrivato più tardi, è stata osservata la stessa correlazione negativa. Gli effetti climatici sono stati più evidenti a temperature comprese tra 12 o 18 o C e livelli di umidità tra 4 e 12 g/m 3 , anche se gli autori avvertono che questi intervalli sono ancora indicativi, visti i brevi dati disponibili.
Infine, utilizzando un modello epidemiologico, il team di ricerca ha dimostrato che incorporare la temperatura nella velocità di trasmissione funziona meglio per prevedere l'aumento e la caduta delle diverse onde , in particolare la prima e la terza in Europa. "Complessivamente, i nostri risultati supportano la visione di COVID-19 come una vera infezione stagionale a bassa temperatura, simile all'influenza e ai più benigni coronavirus circolanti", afferma Rodó.
Questa stagionalità potrebbe contribuire in modo importante alla trasmissione di SARS-CoV-2, poiché è stato dimostrato che condizioni di bassa umidità riducono le dimensioni degli aerosol e quindi aumentano la trasmissione aerea di virus stagionali come l'influenza. "Questo collegamento garantisce un'enfasi sull''igiene dell'aria' attraverso una migliore ventilazione interna poiché gli aerosol sono in grado di persistere sospesi per tempi più lunghi", afferma Rodó, e sottolinea la necessità di includere parametri meteorologici nella valutazione e pianificazione delle misure di controllo.
Fontal A, Bouma MJ, San José A, Lopez L, Pascual M, Rodó X. Climatic signatures in the different COVID-19 pandemic waves across both hemispheres. Nature Comput Sci. 2021. https://doi.org/10.1038/s43588-021-00136-6.
Antonio Caperna
Una dose di richiamo del vaccino mRNA-1273 COVID-19 somministrato ai macachi rhesus circa sei mesi dopo la loro serie di vaccini primari ha aumentato significativamente i livelli di anticorpi neutralizzanti contro tutte le varianti di SARS-CoV-2 note, secondo un nuovo studio di Scienziati e colleghi del National Institutes of Health.
Lo studio, pubblicato su Science, ha anche mostrato che le maggiori risposte anticorpali neutralizzanti sono state mantenute per almeno otto settimane dopo il boost, sono state significativamente più alte rispetto alla serie di vaccini primari e hanno generato una protezione di alto livello, ovvero la capacità di limitare significativamente il virus. dalla replicazione nei polmoni e nel naso. Questi dati suggeriscono che il potenziamento innesca una forte risposta della memoria immunitaria e un'immunità potenzialmente più duratura.
I ricercatori hanno anche stabilito che sia il vaccino mRNA-1273 sviluppato per colpire il virus SARS-CoV-2 originale sia una versione leggermente modificata del vaccino contro la variante Beta, erano equivalenti nella loro capacità di aumentare le risposte anticorpali e proteggere. Gli scienziati del Centro di ricerca sui vaccini, parte dell'Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive del NIH, hanno guidato il progetto con i collaboratori della Emory University; Bioqual, Inc.; Moderna, Inc.; e la Johns Hopkins University.
Questo studio è stato eseguito sei mesi fa quando la variante SARS-CoV-2 Beta era una delle principali preoccupazioni. I ricercatori si sono concentrati sulla variante Beta perché ha costantemente dimostrato la maggiore capacità di resistere alla neutralizzazione, probabilmente riducendo l'efficacia del vaccino, secondo i ricercatori. Sebbene Delta sia diventata la variante virale dominante negli Stati Uniti, a causa della sua elevata trasmissibilità, ha solo una capacità intermedia di resistere alla neutralizzazione, affermano gli autori dello studio.
Gli scienziati scrivono che nelle persone, un vaccino di richiamo mRNA-1273 può migliorare la durata e la potenza della protezione contro l'infezione delle vie aeree superiori e inferiori da parte di una qualsiasi delle varianti di SARS-CoV-2 circolanti, inclusa la Delta. Notano che ciò sarebbe particolarmente importante per mantenere la protezione contro malattie gravi e possibilmente limitare l'infezione lieve e la trasmissione del virus. I loro risultati supportano il potenziamento del vaccino negli anziani, nelle persone con condizioni di salute preesistenti, nelle persone esposte ad alto rischio e in coloro che hanno risposto male alla vaccinazione primaria.
K Corbett et al. Protection against SARS-CoV-2 Beta Variant in mRNA-1273 Vaccine Boosted Nonhuman Primates. Science DOI: 10.1126/science.abl8912 (2021).
I sintomi del Covid nei bambini variano in base all’età. La tosse è meno importante di quel che si pensasse. E se sotto i tre anni 'segno' più comune è il raffreddore - e la febbre alta è meno comune - sopra i 3 anni è il mal di testa il campanello d’allarme.
Le malattie croniche non sembrano influenzare la possibilità di avere una diagnosi positiva mentre l’andamento dei contagi nei bambini varia molto in base alla Regione e a contagiare sono più frequentemente i famigliari. Sono i risultati di uno studio osservazionale – appena pubblicato sulla rivista scientifica Quaderni Acp - presentato e discusso nel corso del 33° Congresso Nazionale dell’Associazione culturale pediatri (Acp), appena concluso.
Alla ricerca hanno partecipato 34 pediatri di famiglia che hanno seguito 1.947 bambini con una distribuzione regionale concentrata in alcune aree: Veneto (10 pediatri, 10.283 bambini), Lombardia (8, 7.390), Piemonte (6, 5.967), Sicilia (4, 3.675). Le altre regioni coinvolte sono state Campania (2 pediatri, 1.827 bambini), Friuli, Puglia, Emilia-Romagna e Lazio (1 pediatra per Regione con rispettivamente 1.108, 1.050, 990 e 889 bambini). L’incidenza complessiva dei casi di malattia nella popolazione seguita è stata di 3,8 casi ogni mille bambini in un mese, con differenze significative tra le regioni italiane. L'Emilia Romagna e Veneto sono le regioni più colpite. "Queste differenze sono verosimilmente legate alla diversa gestione della malattia nelle varie regioni, con conseguente diversa possibilità di confermare la diagnosi nei casi sospetti”, ha spiegato Giacomo Toffol, pediatra Acp e coordinatore dello studio, al quale hanno lavorato tra gli altri anche i pediatri e ricercatori Laura Reali e Roberto Buzzetti.
I pediatri confermano che, in generale, il decorso della malattia nell’età pediatrica si conferma significativamente meno grave rispetto alle età più avanzate, con un basso numero di ricoveri e una mortalità bassissima. Ma mentre l’andamento dei casi di Covid-19 pediatrico che hanno necessitato di ricovero ospedaliero è stata ampiamente descritta da numerosi studi italiani e internazionali, minori sono le informazioni relative al molto più grande numero di casi pediatrici meno gravi, che non necessitano di ospedalizzazione. Ancora non esaustive sono inoltre le informazioni sulla contagiosità del virus Sars-Cov2 in questa fascia d’età e sul il ruolo che giocano i bambini e gli adolescenti nella trasmissione di questo virus.
Nei mesi di lockdown i disturbi del comportamento alimentare sono comparsi anche nelle ricerche online di tanti adolescenti italiani: se nel 2019, infatti, la ricerca di questa definizione aveva avuto un andamento intermittente, con un picco a ridosso della stagione estiva; nel 2020, è stata costante. Sempre nel periodo del lockdown, ha fatto il suo ingresso tra i temi più cercati in rete anche il 'body shaming', con un picco consistente nel marzo 2020.
A illustrare questi dati è Giuseppina Rosaria Umano, pediatra presso il Dipartimento della donna, del bambino, di chirurgia generale e specialistica dell'Università degli studi della Campania 'Luigi Vanvitelli', recentemente intervenuta al XXXIII congresso nazionale della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps). Le caratteristiche specifiche della vita durante il lockdown, come alterazione delle routine quotidiana, aumentata esposizione ai social media sia con ripercussioni sulla sedentarietà che con un'aumentata attenzione all'immagine corporea, riduzione delle attività all'aperto, isolamento sociale, difficoltà economiche, "sono tutti elementi che possono costituire il nucleo sia dell'anoressia che dell'obesità, che sono due facce della stessa medaglia", spiega l'esperta. "Considerando gli accessi al Servizio sanitario nazionale per restrizioni alimentari o per disturbi del comportamento alimentare- aggiunge Umano- si è visto che nei primi sei mesi del 2020 c'è stato un aumento del 41% degli accessi di pazienti adulti rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
I pazienti con anoressia nervosa acceduti ai pronto soccorso nel 2020 sono risultati più magri e più instabili a livello medico, tanto da aver bisogno di ricovero entro le quattro settimane successive all'accesso in Pronto soccorso. In questo gruppo di pazienti- inoltre- che hanno riportato il Covid come causa scatenante del disturbo alimentare, è emerso un forte aumento dell'iperesercizio, probabilmente a compensazione dell'impossibilità di ricorrere a pratiche come il vomito o l'uso di lassativi. Inoltre, rispetto al punto di vista dei genitori, l'iperesercizio potrebbe essere stato scambiato come un'attenzione alla salute, considerato anche che durante il lockdown i medici hanno insistito molto sulla necessità di muoversi e non aumentare la sedentarietà". Passando all'altra faccia della medaglia, l'obesità, "da una ricerca condotta nel nostro Paese su circa 400 famiglie- illustra la pediatra- è emerso che il 67% degli adolescenti e il 55% dei bambini ha mostrato un aumento ponderale di almeno 3 chili nei primi sei mesi del 2020, dovuto a un cambiamento delle abitudini alimentari, con consumo di più pasta-pizza-prodotti da forno per i più piccoli e più carne rossa per i più grandi".
Anche presso l'Università Luigi Vanvitelli è stato condotto uno studio longitudinale dedicato al rapporto emotivo dei bambini in età scolare con il cibo: "Su 100 partecipanti alla survey, in media è aumentato significativamente l'interesse per il cibo e l'iperalimentazione emotiva mentre si riduce il senso di sazietà. Non sono state registrate invece differenze nella lentezza del mangiare, nella selettività alimentare e nel piacere del mangiare. Tutte caratteristiche che- conclude Umano- rimandano a un fenotipo cosiddetto 'obesogeno'".
L' Agenzia federale americana per il farmaco (Fda) conferma l'efficacia del vaccino Pfizer per prevenire le infezioni da covid nei bambini tra i 5 e gli 11 anni. La Fda ha postato i risultati della sua analisi nella notte, in vista di una riunione prevista per la prossima settimana per discutere se dare il via libera alla vaccinazione di circa 28 milioni di bambini americani.
Nello studio l'agenzia conclude che in quasi tutti gli scenari i benefici del vaccino nel prevenire l'ospedalizzazione e la morte superano eventuali effetti collaterali. Se la Fda autorizzasse l'immunizzazione con Pfizer, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie pochi giorni dopo faranno le loro raccomandazioni su chi potrà ricevere le dosi nella prima settimana di novembre.
Ieri, l'azienda ha affermato che il loro vaccino ha mostrato un'efficacia del 90,7% contro il coronavirus in uno studio clinico su bambini di età compresa tra 5 e 11 anni. I bambini under 12 coinvolti nel trial hanno ricevuto una dose di 10 microgrammi, inferiore di un terzo rispetto a quella somministrata alle popolazioni di età superiore (30 microgrammi). Secondo i risultati sottoposti dai produttori alla Fda, il dosaggio si è dimostrato sicuro e gli effetti collaterali riportati erano lievi. Dei 2.268 bimbi reclutati, ha ricevuto il vaccino una quota doppia rispetto al gruppo placebo. Nel gruppo controllo hanno contratto Covid 16 bambini, mentre tra i vaccinati se ne sono ammalati 3: un'efficacia superiore al 90%.
In Austria si va verso il lockdown per le persone non vaccinate. E' quanto emerso da una riunione in videoconferenza tenuta dal governo ieri a tarda sera, che ha fissato al 30% il limite dei posti di terapia intensiva occupati (pari a 600 letti), superato il quale chi non è vaccinato dovrà restare a casa. "Stiamo per imbatterci nella pandemia di chi non è protetto", ha avvertito il cancelliere Alexander Schallenberg, chiarendo che non ci sarà alcun lockdown per chi è vaccinato e per chi è guarito dal Covid. Schallenberg ha espresso l'auspicio che questa possibilità invii un segnale ai troppo "esitanti e ritardatari".
Al momento in Austria i posti letto occupati in terapia intensiva sono 220. Se si dovesse arrivare a quota 600, si arriverebbe alla fase 5 del piano del governo, che prevede massicce restrizioni ai movimenti per i non vaccinati. Il ministro della Sanità Wolfgang Mueckstein ha detto che al momento siamo nella fase 1, quindi "stiamo parlando del futuro".
L'Organizzazione mondiale della sanità sta monitorando la nuova mutazione della variante Delta del coronavirus Sars-CoV-2. Lo ha fatto sapere la stessa Oms, secondo cui la variante nota come AY.4.2 ha due mutazioni supplementari. Al momento sono già stati registrati casi nel Regno Unito, in Russia, Stati Uniti, Danimarca, Germania e anche Italia.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha inoltre ripreso la valutazione del vaccino russo anti-Covid Sputnik V, dopo la sospensione del procedimento avvenuta qualche settimana fa. Lo ha annunciato l'assistente del direttore generale dell'Oms, Mariangela Simao, ricordando che l'inserimento nella lista per l'uso di emergenza dello Sputnik era stato sospeso per via del mancato riconoscimento da parte russa di alcune regole e procedure dell'Organizzazione, ostacolo che è stato superato ieri sera. E così nelle prossime settimane dovrebbero iniziare le ispezioni nelle fabbriche che producono il siero russo, nell'ambito del processo di approvazione.
La morte di Camilla Canepa, la ragazza 18enne deceduta la scorso giugno all’ospedale di Genova San Martino, “è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid19”. E’ quanto si legge nella perizia disposta dalla procura e ora a disposizione dei pm.
La causa del decesso, si legge nel documento, “è legata una trombosi massiva complicata da una diffusa emorragia che è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid19” scrivono i consulenti medici.
Camilla si era vaccinata a un open-day lo scorso 25 maggio e il 3 giugno aveva accusato i primi sintomi. Inizialmente ricoverata all’ospedale di Lavagna, è poi morta al policlinico di Genova San Martino. “Prendiamo atto che è stato chiarito che la ragazza non aveva alcuna patologia e che non aveva assunto farmaci che potessero avere una correlazione con la sua morte – afferma all’Adnkronos l’avvocato Angelo Paone che assiste la famiglia - Faremo le opportune valutazioni dopo aver esaminato la perizia con il nostro consulente di parte”.
Vaccini anti Covid in Italia e terza dose, "l'evidenza scientifica e il confronto con la comunità internazionale ci porterà, passo dopo passo, a valutare" la dose 'booster' "eventualmente anche per altre categorie, che oggi però sono fuori da quelle indicate". Così il ministro della Salute Roberto Speranza, rispondendo a un'interrogazione al Question time alla Camera.
"La terza dose - ha ricordato - è stata autorizzata nel nostro Paese in sintonia con le indicazioni dell'Ema", l'Agenzia europea del farmaco, "prima di tutto per gli immunocompromessi. In questo caso la somministrazione deve avvenire non prima di 28 giorni" dopo la seconda "e tecnicamente per la comunità scientifica non si tratta di un vero e proprio richiamo o 'booster', ma di un completamento del ciclo di vaccinazione primaria. Le altre categorie che sono state autorizzate dalle autorità regolatorie italiane sono: gli ultra 80enni; gli ospiti delle Rsa, e questa è una valutazione figlia di una storia che conosciamo bene, di penetrazione del virus nelle Rsa; il personale sanitario a partire dai più anziani; i fragili di ogni età, oltre che gli ultra 60enni. Il richiamo per tutte queste categorie può avvenire solo dopo 6 mesi dal completamento del ciclo primario".
"La vaccinazione" anti-Covid "con la terza dose in Italia è iniziata nell'ultima decade di settembre e ad oggi risultano somministrate oltre 700mila" di queste dosi. "La terza dose rappresenta un pezzo importante della nostra strategia di contrasto al virus e proprio oggi è ancora più fortemente raccomandata nelle categorie indicate", sottolinea ancora il ministro.
Speranza ha fatto anche il punto sulla campagna vaccinale in generale: "Oggi i numeri dell'Italia sono fra i più significativi a livello europeo e globale: siamo arrivati, dati di stamattina, all'85,76% di prime dosi nella popolazione sopra i 12 anni e all'81,55% di persone che hanno completato il ciclo vaccinale sempre sopra i 12 anni".
"Dobbiamo continuare su questa strada - ha concluso il ministro -. Ogni vaccino in più significa avere uno scudo più forte, soprattutto in una stagione più complicata come quella che sta arrivando, in cui le persone più facilmente vivono in ambienti chiusi e le temperature scendono".
"Il Green pass - ha continuato Speranza - rappresenta un pezzo fondamentale della strategia del Governo nella gestione di questa fase dell'epidemia. E' uno strumento che ormai gli italiani hanno imparato a conoscere ed è anche utilizzato in modo consistente, se si considera che a stamattina sono circa 103 milioni i Green pass che sono stati scaricati nelle tre fattispecie, cioè vaccinati, persone che hanno contratto il Covid e persone che hanno avuto un test negativo".
Il certificato verde "è uno strumento importante perché rende più sicuri i luoghi dove si utilizza", ha osservato il ministro. Ma "ha anche sicuramente prodotto un effetto importante di natura incentivante sulla nostra campagna di vaccinazione".
Sui tamponi, continua il ministro, "voglio ricordare che il commissario Figliuolo ha stipulato un'intesa importante con le farmacie del nostro Paese, che voglio ringraziare per il lavoro straordinario che stanno facendo proprio in queste settimane", e "questa intesa ha consentito di calmierare il costo dei tamponi. Voglio anche ricordare che il vaccino è gratuito e disponibile per tutti. In questo momento con un test molecolare si ha già la possibilità di avere un Green pass per 72 ore, mentre con un test antigenico è di 48 ore. Sono valutazione figlie di un confronto con la comunità scientifica e io credo che sia particolarmente corretto, su materie così tecniche, un confronto sempre serrato con i nostri scienziati".
"L'auspicio del Governo - ha aggiunto - è che la percentuale dei vaccinati possa ancora continuare a crescere. In conclusione, voglio ribadire che il vaccino è la vera chiave fondamentale per chiudere questa stagione e aprirne una diversa".
Si svolgerà da giovedì 21 a sabato 23 ottobre la 13a edizione del Congresso Icar - Italian Conference on Aids and Antiviral Research, punto di riferimento per la comunità scientifica in tema di Hiv-Aids, Epatiti, Infezioni Sessualmente Trasmissibili e virali.
Icar è organizzato sotto l'egida della Simit, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, di tutte le maggiori società scientifiche di area infettivologica e virologica e del mondo della community. Dopo l'inevitabile versione digitale del 2020, quest'anno il Congresso Icar torna in presenza, al Palazzo dei Congressi di Riccione. Così in un comunicato stampa. Il claim del Congresso Icar 2021 sarà "re-search for re-start together", un'espressione eloquente della volontà di riprendere appieno le attività di ricerca condizionate dal Covid-19. Attesi oltre mille partecipanti e 200 ricercatori e scienziati da tutto il mondo; verranno presentati oltre 300 lavori di ricerca. I presidenti saranno la prof.ssa Cristina Mussini, professore Ordinario di Malattie Infettive presso l'Università di Modena e Reggio Emilia; la prof.ssa Annamaria Cattelan, Direttore dell'Unità Operativa Complessa Malattie Infettive e Tropicali, Azienda Ospedaliera di Padova; Giulia Valeria Calvino, Vicepresidente Anlaids Onlus; la prof.ssa Maria Rosaria Capobianchi, già Direttore del Laboratorio di Virologia e del Dipartimento di Epidemiologia, Ricerca Preclinica e Diagnostica Avanzata dell'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive "L. Spallanzani".
Il Congresso Icar 2021 è il primo appuntamento in presenza per quanto riguarda un evento nazionale sull'Hiv e proprio in quanto tale terrà conto di entrambi i virus, Sars-CoV-2 e Hiv, proponendo un rinnovato impegno nella lotta al virus che impegna da ormai 40 anni gli infettivologi. "La pandemia ha pesantemente intaccato gli standard of care di tutte le patologie croniche e l'Hiv non ha fatto eccezione- evidenzia Mussini- Il Covid ha avuto un impatto sugli ambulatori, sulla prevenzione, sull'aderenza terapeutica, ma anche sulla qualità della vita, perché le persone con infezione da Hiv sono tra coloro che hanno avuto più paura di essere infettate dal Sars-cov-2, si sono ancor più chiuse in casa, con un ulteriore peggioramento nella qualità di vita. Diventa così prioritario riportare l'attenzione sull'Hiv: negli ultimi anni la scienza ha compiuto passi enormi, cronicizzando il virus grazie alla terapia antiretrovirale che continua ad essere foriera di novità come ai nuovi farmaci long-acting. Tuttavia, l'Hiv resta una emergenza a livello mondiale: sono circa 37 milioni i soggetti colpiti; ogni giorno 5500 nuove donne vengono infettate. Gli studi sull'Hiv vanno avanti da 30 anni ed è un settore sempre in grande fermento: per questo sarà fondamentale un confronto tra i diversi attori che vengono uniti da Icar".
"Il carico portato dal Covid sui reparti di malattie infettive ha penalizzato i pazienti affetti da Hiv- spiega Giulia Valeria Calvino- Nei momenti più bui della pandemia si sono incontrate le maggiori difficoltà, come lo spostamento di alcuni reparti, il rinvio di molte visite, un brusco rallentamento nella diagnostica e nella prevenzione. In questo difficile contesto, tutte le associazioni della community si sono adoperate per sostenere le persone Hiv positive con attività come consegna dei farmaci, accompagnamento in ospedale, recupero dei contatti con i medici, aiuti concreti per la quotidianità, counselling, sostegno psicologico online, richiesta al Governo di corsie preferenziali". Come nel periodo prepandemico, Icar si propone come appuntamento dinamico, caratterizzato da una significativa valenza sociale e formativa. Saranno così assegnati 10 premi alle giovani eccellenze italiane della ricerca scientifica con gli Icar-Croi Awards 2021, gli Scientific Committee Awards e i Simit Special Awards. Vi sarà un coinvolgimento delle scuole superiori con RaccontART, il concorso artistico mediante il quale Icar dedica particolare attenzione alle tematiche legate alla prevenzione e al coinvolgimento della società civile: le 22 opere finaliste verranno presentate e premiate. Inoltre, sempre in tema di prevenzione, durante le giornate congressuali, Icar darà la possibilità di effettuare gratuitamente il test rapido per Hiv e Hcv presso la postazione allestita in Piazzale Ceccarini angolo Via Dante. I test salivari rapidi, gratuiti, anonimi e della durata di pochi minuti saranno disponibili per tutta la cittadinanza giovedì 21 ottobre dalle 15 alle 19, Venerdì 22 e Sabato 23 ottobre dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 19.
I DATI RECENTI: DIMINUISCONO LE NUOVE DIAGNOSI, MA SONO SEMPRE PIU' TARDIVE
Secondo i dati più recenti emanati dal Ministero della Salute, si evince un progressivo calo negli anni delle nuove diagnosi da Hiv, sebbene dal 2017 aumenti la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l'infezione da Hiv (persone in fase clinicamente avanzata, con bassi CD4 o presenza di sintomi). Nel 2019, sono state segnalate 2.531 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a un'incidenza di 4,2 nuove diagnosi ogni 100mila residenti. Dal 2012 si osserva una diminuzione delle nuove diagnosi Hiv, che appare più evidente nel 2018 e 2019. Questa diminuzione- conclude la nota- può essere dovuta a diversi fattori: il fatto che le persone in terapia antiretrovirale efficace e quindi con viremia soppressa non trasmettano più l'infezione ai partner sessuali e l'utilizzo della Prep (profilassi pre-esposizione), nei soggetti Msm Hiv-negativi ad alto rischio d'infezione; tuttavia, per quanto riguarda il 2020 e 2021 vi è stato anche l'impatto negativo legato al COVID-19 per la chiusura di alcuni ambulatori per l'esecuzione del test e il minor accesso del pubblico alle strutture ospedaliere.
Nell'emisfero settentrionale, l'attività influenzale stagionale annuale di solito causa un elevato carico di malattie durante i mesi invernali. Dal marzo 2020, tuttavia, il virus circola a livelli bassi senza precedenti. Cosa significa questo per la prossima stagione e per la sorveglianza dell'influenza? Nel suo 'Spotlight on influenza 2021', Eurosurveillance presenta una serie di articoli che descrivono vari aspetti della malattia, tra cui sorveglianza e prevenzione.
Nell'editoriale di accompagnamento per la serie "Spotlight on influenza 2021", Amparo Larrauri e Katarina Prosenc sottolineano "una notevole incertezza sul comportamento del virus dell'influenza nella prossima stagione 2021/22", poiché da un lato il virus dell'influenza potrebbe non essersi evoluto antigenicamente , e potrebbe quindi essere riconosciuto dal sistema immunitario delle persone. D'altra parte, più persone potrebbero essere infettate o sperimentare un'influenza più grave poiché non sono state esposte al virus nella stagione precedente.
Elementi critici: vaccinazione e sorveglianza integrata
In concomitanza con l'inizio della stagione europea di sorveglianza dell'influenza 2021/2022, diversi governi hanno già revocato o stanno allentando le restrizioni COVID-19 e con ciò le società stanno iniziando a riaprirsi, il che potrebbe portare a un'impennata nell'attività influenzale nella prossima stagione e una co-circolazione con virus SARS-CoV-2.
In questo contesto, Larrauri e Prosenc sottolineano che "la vaccinazione antinfluenzale e il rafforzamento di una sorveglianza integrata dei virus influenzali e del SARS-CoV-2 sono elementi critici nella preparazione di una possibile recrudescenza dell'influenza nella stagione 2021/22 ".
I cinque articoli di "Spotlight on influenza 2021" presentano diversi aspetti della sorveglianza e della prevenzione dell'influenza in vista della stagione invernale nell'emisfero settentrionale.
Adlhoch et al. fornisce una panoramica epidemiologica e virologica della stagione influenzale 2019/2020 e dei virus influenzali dominanti, che circolavano in quel momento. L'articolo evidenzia che la riduzione delle segnalazioni in tutta la regione europea dell'OMS ha coinciso con l'inizio della diffusione ampia di SARS-CoV-2. Gli autori ipotizzano che la pandemia di COVID-19 abbia contribuito a una fine anticipata della stagione influenzale 2019/2020.
Studiando retrospettivamente i dati di sorveglianza dalla Danimarca per tre stagioni prima e due stagioni dopo l'ampia introduzione di test molecolari point-of-care (mPOC), Benedetti et al. dimostrano come i test point-of-care possano essere integrati con successo nella sorveglianza regolare dell'influenza. Gli autori hanno riscontrato un aumento dei campioni testati mentre la percentuale di risultati positivi nel complesso è rimasta la stessa prima e dopo l'introduzione di mPOC.
Baum et al . stimano l'efficacia del vaccino antinfluenzale nella popolazione anziana, utilizzando i dati dei registri finlandesi basati sulla popolazione. Controllando i potenziali fattori di confondimento, mostrano che la vaccinazione contro l'influenza stagionale riduce il rischio di una grave influenza nelle persone di età pari o superiore a 65 anni. Gli autori riferiscono che in otto stagioni consecutive, la vaccinazione ha ridotto il rischio di malattie influenzali gravi in ??coloro che sono stati vaccinati dal 16% al 48%.
Le infezioni respiratorie acute gravi (SARI) sono un'importante causa di ospedalizzazione e mortalità e il virus dell'influenza è una causa ben nota di SARI. Guardando ai potenziali benefici dei test precoci per altri virus respiratori non influenzali (NIRV), Subissi et al. mostrano che un terzo dei casi SARI era positivo per NIRV - nei bambini di età inferiore ai 5 anni questa percentuale superava quella dell'influenza. Gli autori concludono che i casi SARI dovrebbero essere testati anche per NIRV.
In una visione più ampia che include tutti i paesi della Regione Europea dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una meta-analisi di Belazi et al. rileva che l'influenza confermata in laboratorio rappresenta circa un terzo di tutte le infezioni respiratorie acute per le quali è stata richiesta assistenza medica nella regione durante la stagione influenzale.
Come sottolineato da Larrauri e Prosenc, «in questo possibile scenario, la vaccinazione antinfluenzale e il rafforzamento di una sorveglianza integrata dei virus influenzali e del SARS-CoV-2 sono elementi critici nella preparazione di una possibile recrudescenza dell'influenza nella stagione 2021/22. '.
Puoi leggere tutti gli articoli e l'editoriale della serie 'Spotlight on influenza 2021' qui: https://bit.ly/EurosurvSpotlightFlu
Antonio Caperna
Occorre "contrastare la deriva antiscientifica che si registra un po' ovunque, anche nel nostro Paese, sia pure in piccole dosi, per fortuna. Una deriva antiscientifica che mira a bloccare il futuro e porta a ricondurre tutto al passato". Ad affermarlo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo all'inaugurazione dell'Anno accademico dell'università di Pisa.
"Abbiamo attraversato un periodo lungo che non dobbiamo dimenticare - ha ribadito il capo dello Stato - anche per rispetto per i tanti morti che lo hanno caratterizzato: gli ospedali stracolmi di pazienti di Covid, i sanitari generosamente impegnati fino allo stremo delle forze, i malati con altre patologie che non potevano essere ricoverati, accertamenti sanitari rinviati con grave pregiudizio per la salute di tante persone, il Paese sostanzialmente chiuso, l'attività industriale ridotta ai minimi, una drammatica perdita di posti di lavoro". "Tutto questo è alle nostre spalle - ha sottolineato Mattarella - perché la scienza ci ha consegnato i vaccini, perché la vaccinazione e le misure di comportamento di prudenza, dai distanziamenti alle mascherine, hanno sconfitto la diffusione del contagio, o speriamo, se le manteniamo con saggezza, di averlo sconfitto e posto alle nostre spalle. Questo dobbiamo al senso di responsabilità, alla saggezza della stragrande maggioranza dei nostri concittadini".
"Sorprende e addolora che proprio adesso, in questi momenti, non quando vi erano momenti con l'orizzonte oscuro, quando si temeva il crollo del Paese, ma oggi, adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante, economicamente, socialmente, culturalmente, in cui il Paese si sta rilanciando, proprio adesso esplodono fenomeni, iniziative ed atti di violenza, di aggressiva contestazione, quasi a volere ostacolare, intercettare la ripresa che il Paese sta vivendo e che deve essere condotta a buon fine, con fatica, con impegno, ma in maniera indispensabile", ha poi affermato il presidente della Repubblica. "Sono comportamenti - ha aggiunto - che creano allarme, o meglio, creano tristezza, non molto allarme, perché si infrangono contro la determinazione, il senso di responsabilità, il senso civico dei nostri concittadini, della stragrande parte, della quasi totalità dei nostri concittadini. Questa è la vera forza del nostro Paese, il senso civico che la nostra gente esprime, coltiva, manifesta e pone in essere. E di questo senso civico, di questo senso della comunità, gli atenei sono un punto di formazione decisivo".
"Uno studente illustre di questo ateneo, Piero Calamandrei, nel '46 parlava di quel momento come di un'occasione irripetibile di rinnovamento dell'Italia. Siamo nuovamente in questa condizione, grazie alla scienza e alle vaccinazione, al comportamento dei nostri concittadini, alla coraggiosa scelta dell'Unione europea con grandi risorse consegnate. Abbiamo di fronte a noi la possibilità irripetibile di rinnovare il nostro Paese: non possiamo perdere questa occasione, danneggeremmo duramente i giovani e le future generazioni, dobbiamo collocarla a frutto, condurla a buon risultato", ha sottolineato Mattarella concludendo: "Siamo ripartiti. Aprono le università, sono aperte le scuole, l'industria lavora a pieno ritmo, la condizione economica del Paese è in crescita e supera le speranze, ai massimi rispetto all'Europa. Crescono ogni giorno i posti di lavoro, abbiamo prospettive incoraggianti, si sono riaperti appieno teatri e cinema, si sono riaperti gli impianti sportivi, il Paese è ripartito, torna a respirare e a vivere".
Parte in Italia la prima azione di risarcimento per danni permanenti da vaccino anti-Covid. Ad avviarla il Codacons, per conto di un cittadino romano di 46 anni che, poco dopo la somministrazione del vaccino, è stato colpito da ictus, che ha portato a ricovero urgente in ospedale, dove tuttora il paziente risulta in terapia.
"C.C., queste le iniziali dell’utente assistito dall’associazione, si sottoponeva il 6 agosto scorso alla somministrazione del vaccino Johnson&Johnson presso una farmacia della capitale – ricostruisce il Codacons - A distanza di poche ore, intorno alle ore 15.30, accusava i primi malori tra cui dolore al braccio e si manifestava una paresi sul lato sinistro del viso in prossimità della bocca che gli impediva di parlare correttamente, infine perdeva i sensi. All’arrivo dei soccorsi, immediatamente contattati dai familiari, il braccio e tutta la parte sinistra del corpo era totalmente paralizzata e priva di sensibilità.Veniva dunque portato d'urgenza al Pronto Soccorso del S. Eugenio dove, una volta eseguite le necessarie indagini, veniva diagnosticato un ictus cerebrale ischemico a carico dell’emisfero destro e veniva immediatamente approntata una trombolisi per via endovenosa. Successivamente il paziente viene trasferito presso la Clinica Villa Sandra di Roma per eseguire la riabilitazione neuromotoria, dove tuttora il degente è ricoverato presentando una difficoltà deambulatoria, con difficoltà motorie e sensitive a carico dell’emisoma sinistro, il linguaggio risulta parzialmente disartrico, presenta una deviazione verso destra della rima buccale e lamenta un profondo stato astenico".
C.C attraverso i suoi familiari si rivolge al Codacons per ottenere assistenza legale, e viene redatta una perizia medica condotta dal Prof. Carlo Rumi nella quale si legge: “Appare evidente come la circostanza della procedura vaccinale possa avere rappresentato il “primum movens” di un episodio tromboembolico (come già evidenziato nella letteratura scientifica) in un soggetto sano, di 46 anni, privo di importanti ed evidenti fattori di rischio (soggetto non fumatore, non bevitore, non uso a sostanze stupefacenti, non diabetico, non iperteso, non in eccedenza ponderale (peso kg 70, altezza cm 174), non predisposizioni genetiche, né familiarità per malattie tromboemboliche o per alterazioni del sistema emocoagulativo”.
Dunque, sostiene il Codacons, "dall’analisi della vicenda sanitaria e dalla documentazione medica risulta ampiamente confermata e dimostrata l’ipotesi secondo la quale la procedura vaccinale che ha preceduto l’episodio tromboembolico è stata in grado di determinare e produrre, anche in termini di concausa, l’evento avverso, come già comprovato dalla letteratura scientifica nonché dal parere tecnico del medico incaricato di valutare il caso de quo- spiega il Codacons- Per tale motivo abbiamo avviato una azione risarcitoria, presentando formale richiesta di indennizzo, ai sensi della legge 210/92, che riconosce un risarcimento ai cittadini vittime di danni da vaccinazione, alla Asl Rm2 e al Ministero della salute, allegando tutta la documentazione medica. In caso di rifiuto a riconoscere l’indennizzo previsto dalla normativa, scatterà una formale causa in tribunale contro il Ministero della salute per far ottenere al cittadino danneggiato dal vaccino il risarcimento cui ha diritto".
Il Codacons "ricorda infine che tutti coloro che abbiano subito danni a seguito della somministrazione del vaccino anti-Covid possono ottenere informazioni e assistenza legale alla pagina https://codacons.it/vaccini-anticovid/"
I ricercatori del Massachusetts General Hospital (MGH) e i colleghi del Brigham and Women's Hospital e del Ragon Institute of MGH, MIT e Harvard hanno pubblicato sul Journal of Infectious Diseases dati aggiuntivi su diverse caratteristiche del virus SARS-CoV-2 nei bambini.
Studiando 110 bambini di età compresa tra due settimane e 21 anni, che sono risultati positivi per COVID-19 presso MGH o cliniche di cure urgenti, i ricercatori hanno confermato le precedenti scoperte loro e di altri gruppi secondo cui neonati, bambini e adolescenti sono ugualmente in grado di trasportare alti livelli di virus, replicando SARS-CoV-2 nelle loro secrezioni respiratorie.
Gli autori hanno quindi dimostrato che questi alti livelli di virus corrispondono a virus infettivi vivi e che i livelli sono più alti all'inizio della malattia sia nei bambini sintomatici che asintomatici. I ricercatori non hanno trovato alcuna correlazione tra l'età dei bambini e la quantità della loro carica virale.
"C'era stata la domanda se l'elevata carica virale nei bambini fosse correlata al virus vivo. Siamo stati in grado di fornire una risposta definitiva che queste alte cariche virali sono infettive", afferma Lael Yonker, pneumologo pediatrico presso MGH e co-primo autore con Julie Boucau, ricercatrice senior presso MGH e il Ragon Institute.
In modo rassicurante, hanno anche scoperto che la carica virale non aveva alcuna correlazione con la gravità della malattia nei bambini stessi, ma le preoccupazioni rimangono per loro e per coloro che li circondano: "I bambini possono portare il virus e infettare altre persone", sottolinea Yonker.
Studenti e insegnanti sono tornati nelle aule, ma rimangono molte domande sull'impatto della pandemia di COVID-19 sui bambini. La maggior parte dei bambini è asintomatica o solo leggermente sintomatica quando sviluppa COVID-19, dando l'idea sbagliata che i bambini siano meno infettivi. Studiare le caratteristiche virologiche della SARS-CoV-2 nei bambini con COVID-19 e come l'infezione da SARS-CoV-2 differisce tra bambini e adulti, è una componente essenziale per stabilire politiche di salute pubblica efficaci, non solo per garantire la sicurezza all'interno della scuola ma anche per controllare la pandemia, dice Yonker.
Man mano che le varianti di COVID-19 continuano ad emergere, i bambini infetti sono potenziali "serbatoi" per l'evoluzione di nuove varianti, nonché potenziali diffusori di varianti attuali, afferma. “I bambini con COVID-19, anche se asintomatici, sono infettivi e possono ospitare varianti di SARS-CoV-2. Le varianti potrebbero potenzialmente avere un impatto sia sulla gravità della malattia che sull'efficacia dei vaccini, come stiamo vedendo con la variante Delta. Quando abbiamo coltivato il virus vivo, abbiamo trovato un'ampia varietà di varianti genetiche- prosegue Yonker- Le nuove varianti hanno il potenziale per essere più contagiose e anche per far ammalare i bambini".
Yonker sottolinea che i risultati del gruppo rafforzano l'importanza delle mascherine per i bambini: "Le implicazioni di questo studio mostrano che le mascherine e altre misure di salute pubblica sono necessarie per tutti, bambini, adolescenti e adulti, per tirarci fuori da questa pandemia".
Secondo lo studio, le cariche virali dei bambini in ospedale non erano diverse da quelle riscontrate negli adulti ricoverati. Le prove citate dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) suggeriscono che rispetto agli adulti, i bambini "probabilmente hanno cariche virali simili nel rinofaringe, tassi di infezione secondaria simili e possono diffondere il virus ad altri".
Aumentare la consapevolezza del COVID-19 pediatrico e implementare programmi di test più ampi per i bambini sono due delle aspirazioni di Yonker. Secondo il CDC, la "vera incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2 nei bambini non è nota a causa della mancanza di test diffusi e della priorità dei test per gli adulti e quelli con malattie gravi".
“Per sviluppare politiche di salute pubblica efficaci, abbiamo bisogno di una guida per la salute pubblica basata sui dati -conclude Yonker- I bambini sono una componente essenziale per sconfiggere la pandemia di COVID-19 e dobbiamo saperne di più su come sono colpiti e interagiscono con gli altri".
The Journal of Infectious Diseases: "Virologic features of SARS-CoV-2 infection in children". DOI: 10.1093/infdis/jiab509
Antonio Caperna
Nella foto: Struttura della proteasi principale 3CLpro del coronavirus SARS-CoV-2, con in evidenza il sito attivo della proteina a cui può legarsi l’eugenolo.
La campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 procede in Italia e in tutto il mondo, ma occorre proteggere la ristretta frazione di popolazione che si ammala in modo sintomatico anche dopo la vaccinazione, assieme a quella parte più ampia che non è possibile immunizzare perché fragile o che per svariati motivi si sottrae alla somministrazione.
L’attenzione della comunità scientifica è pertanto concentrata sulla ricerca di ulteriori molecole da utilizzare direttamente come antivirali contro il COVID-19, oppure da cui iniziare nuovi studi.
“I composti di origine naturale sono un possibile punto di partenza e spesso presentano alcuni vantaggi: struttura molecolare semplice e facilmente modificabile, assenza di brevetti, facile reperibilità e basso costo”, afferma Bruno Rizzuti, ricercatore del Cnr-Nanotec di Rende e primo autore del lavoro. In questo filone di ricerca si colloca il lavoro “Sub-micromolar inhibition of SARS-CoV-2 3CLpro by natural compounds”, pubblicato sulla rivista Pharmaceuticals. Lo studio è stato condotto in collaborazione tra l’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Rende (Cnr-Nanotec), il Dipartimento di farmacia e scienze della salute e della nutrizione dell’Università della Calabria e l’Istituto spagnolo di biofisica e sistemi complessi dell’Università di Saragozza.
“Il nostro team di ricerca aveva già condotto studi sulla quercetina come molecola da utilizzare contro il COVID-19. I risultati del nuovo lavoro hanno mostrato che l’eugenolo, una piccola molecola naturale, è in grado di bloccare l’attività enzimatica della proteina 3CLpro, la proteasi principale utilizzata dal virus SARS-CoV-2 per la sua replicazione”, prosegue Rizzuti. “L’eugenolo, rispetto alla quercetina, è attivo ad una concentrazione circa dieci volte inferiore. Si tratta del composto non-sintetico più potente trovato finora contro il virus SARS-CoV-2, anche se sono necessari altri studi per migliorarlo”.
L’eugenolo è il costituente principale dell'olio essenziale di diverse piante aromatiche, principalmente dei chiodi di garofano. “L’eugenolo comunemente utilizzato come disinfettante locale in odontoiatria, quindi è presumibile possa essere usato come antisettico della mucosa orale contro il coronavirus. Così come altre molecole a cui siamo esposti in natura, ha una buona tollerabilità nell’uomo e speriamo che si possano potenziare le sue proprietà come antivirale. Il fatto che si tratti di una sostanza di estrazione vegetale è solitamente accolto con favore dal grande pubblico che, a torto o a ragione, tende a fidarsi più facilmente dei rimedi di origine naturale”, commenta Filomena Conforti, professore associato presso l’Università della Calabria, tra i coautori del lavoro.
L’eugenolo svolge attività inibitoria nei confronti di altri virus. “Questa molecola appare particolarmente efficace nel bloccare la proteasi principale 3CLpro del coronavirus. Abbiamo anche testato altri fitocomposti della stessa famiglia, in particolare estragolo e anetolo, presenti in basilico, finocchio e anice. Nonostante siano meno attivi dell’eugenolo, anche loro mostrano promettenti proprietà inibitorie”, conclude Fedora Grande, ricercatrice dell’Università della Calabria.
“Questo ci fornisce indicazioni sulle potenziali modificazioni che potrebbero essere apportate sulla struttura chimica comune tra queste molecole per migliorarne l’attività antivirale. Inoltre, queste molecole sono talmente piccole da poter essere considerate dei ‘frammenti chimici’ utili per essere modificate al fine di ottimizzarne le proprietà”.
E' il risultato di uno studio dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma che contribuisce alla ricerca e alle conoscenze sull'infezione da Sars-Cov-2 nei bambini.
La ricerca, pubblicata sull’'Italian Journal of Pediatrics', è stata condotta da Mauro Calvani, primario della Uoc Pediatria, e dai suoi collaboratori per capire quali sono le occasioni più frequenti nelle quali i bambini si ammalano di Covid-19 e il loro ruolo nella trasmissione dell'infezione in famiglia. Ebbene "utilizzando la cospicua casistica del 'walk-in' pediatrico aperto lo scorso anno, durante la seconda ondata della epidemia (circa 3.000 bambini)", sottolinea il San Camillo, gli autori hanno evidenziato "come in seguito a una sospetta esposizione a un soggetto malato, l’infezione viene contratta dai bambini meno frequentemente a scuola che a casa".
"Tuttavia una volta contagiati, i bambini sono in grado di diffondere l’infezione nei familiari: indipendentemente dalla loro età, sia i bambini della materna che quelli delle elementari o i ragazzi delle superiori riescono a contagiare circa il 30% dei loro familiari. Questo anche perché, seppure a conoscenza della contagiosità del bambino, in famiglia non sempre si prendono i provvedimenti atti a ridurre la diffusione della infezione", sottolinea la ricerca.
"Questa informazione è importante - avvertono gli esperti in una nota - perché la recente apertura delle scuole e la mancata copertura vaccinale dei bambini di età inferiore ai 12 anni potrebbe contribuire a un nuovo aumento del Covid-19 nei bambini e loro potrebbero estendere il contagio ai loro familiari, in particolare se non vaccinati".
L'emergenza pandemica ha 'raffreddato' gli italiani sotto le lenzuola, in particolare nel primo lockdown durante il quale una coppia su 5 confinate sotto lo stesso tetto non ha colto l'occasione per avere più rapporti, bensì per diradarli.
Il calo è stato maggiore per gli uomini, specie i più giovani, per le persone più istruite e per quelle che vivono in condizioni abitative più precarie.
A indagare l'effetto coronavirus sull'intimità degli abitanti del Belpaese è uno studio pubblicato sul 'Journal of Epidemiology', firmato da un consorzio multidisciplinare che coinvolge psichiatri, psicologi, esperti di sanità pubblica e biostatistici dell'Istituto superiore di sanità, delle università di Genova e di Pavia, dell'Istituto Mario Negri, dell'Ispro e dell'azienda ospedaliero-universitaria Careggi.
Si tratta del "primo studio" sul tema "condotto in Italia su un campione rappresentativo della popolazione adulta", spiegano dall'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. "Le nostre analisi si basano su un campione rappresentativo di oltre 6.000 soggetti che stiamo seguendo nel tempo", sottolinea Silvano Gallus, ricercatore de Mario Negri e coordinatore del consorzio. Dal lavoro è emerso che oltre il 35% degli italiani ha riportato un cambiamento nell'attività sessuale durante i mesi di lockdown nazionale, con l'8% che l'ha aumentata e il 27% che l'ha diminuita.
"Se l'interruzione degli spostamenti e l'obbligo di distanziamento sociale hanno soprattutto limitato la vita sessuale dei single, la paura del contagio, i sentimenti generalizzati di ansia e di tristezza, e la presenza dei bambini a casa sono tra i probabili fattori alla base" dell'"importante decremento" dei rapporti "nei partner conviventi", commenta Andrea Amerio, ricercatore psichiatra dell'università di Genova e primo autore dello studio. Le analisi in corso, evidenzia Gallus, "ci permetteranno di capire come gli stili di vita e le abitudini degli italiani si siano modificate e si stiano continuando a modificare a seguito dell'esperienza pandemica vissuta".
Più della metà dei 236 milioni di persone a cui è stato diagnosticato il COVID-19 in tutto il mondo da dicembre 2019 sperimenteranno sintomi post-COVID - più comunemente noti come "COVID lungo" - fino a sei mesi dopo il recupero, secondo i ricercatori del Penn State College of Medicine.
Il team di ricerca ha affermato che i Governi, le organizzazioni sanitarie e i professionisti della sanità pubblica dovrebbero prepararsi per il gran numero di sopravvissuti al COVID-19, che avranno bisogno di cure per una varietà di sintomi psicologici e fisici.
Durante la loro malattia, molti pazienti con COVID-19 avvertono sintomi come stanchezza, difficoltà respiratorie, dolore toracico, dolori articolari e perdita del gusto o dell'olfatto.
Fino a poco tempo fa, pochi studi avevano valutato la salute dei pazienti dopo la guarigione dal coronavirus. Per comprendere meglio gli effetti sulla salute a breve e lungo termine del virus, i ricercatori hanno esaminato studi in tutto il mondo, che coinvolgono pazienti non vaccinati guariti da COVID-19. Secondo i risultati, gli adulti, così come i bambini, possono sperimentare diversi problemi di salute avversi per sei mesi o più dopo essersi ripresi da COVID-19.
I ricercatori hanno condotto una revisione sistematica di 57 report, che includevano i dati di 250.351 adulti e bambini non vaccinati, a cui era stato diagnosticato il COVID-19 da dicembre 2019 a marzo 2021. Tra quelli studiati, il 79% è stato ricoverato in ospedale e la maggior parte dei pazienti (79%) ha vissuto in paesi ad alto reddito. L'età media dei pazienti era di 54 anni e la maggior parte degli individui (56%) era di sesso maschile.
I ricercatori hanno analizzato la salute dei pazienti post-COVID durante tre intervalli a un mese (a breve termine), da due a cinque mesi (a medio termine) e sei o più mesi (a lungo termine).
Secondo i risultati, i sopravvissuti hanno sperimentato una serie di problemi di salute residui associati a COVID-19. In genere, queste complicazioni hanno influito sul benessere generale del paziente, sulla sua mobilità o sui sistemi di organi. Nel complesso, un sopravvissuto su due ha manifestato manifestazioni COVID a lungo termine. I tassi sono rimasti in gran parte costanti da un mese a sei o più mesi dopo la loro malattia iniziale.
Gli investigatori hanno notato diverse tendenze tra i sopravvissuti, come ad esempio:
"Questi risultati confermano ciò che molti operatori sanitari e sopravvissuti al COVID-19 hanno affermato, vale a dire che gli effetti negativi sulla salute del COVID-19 possono persistere- afferma il co-leader della ricerca, Vernon Chinchilli , presidente del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica -Sebbene studi precedenti abbiano esaminato la prevalenza di sintomi COVID lunghi tra i pazienti, questo studio ha valutato una popolazione più ampia, comprese le persone nei paesi ad alto, medio e basso reddito, e ha esaminato molti più sintomi. Pertanto, riteniamo che i nostri risultati siano abbastanza robusti dati i dati disponibili.”
"L'onere della cattiva salute nei sopravvissuti a COVID-19 è schiacciante- prosegue il co-ricercatore capo Dr. Paddy Ssentongo , assistente professore presso il Penn State Center for Neural Engineering -Tra questi ci sono i disturbi della salute mentale. La propria battaglia con il COVID non si esaurisce con la guarigione dall'infezione acuta. La vaccinazione è il nostro miglior alleato per prevenire di ammalarsi di COVID-19 e per ridurre la possibilità di COVID-19 a lungo termine anche in presenza di un'infezione rivoluzionaria”.
I meccanismi con cui COVID-19 provoca sintomi persistenti nei sopravvissuti non sono completamente compresi. Questi sintomi potrebbero derivare da un sovraccarico del sistema immunitario innescato dal virus, da un'infezione persistente, da una reinfezione o da un'aumentata produzione di autoanticorpi (anticorpi diretti ai propri tessuti). Il virus SARS-CoV-2 può accedere, entrare e vivere nel sistema nervoso. Di conseguenza, i sintomi del sistema nervoso come disturbi del gusto o dell'olfatto, disturbi della memoria e diminuzione dell'attenzione e della concentrazione si verificano comunemente nei sopravvissuti.
“Il nostro studio non è stato progettato per confermare il COVID-19 come unica causa di questi sintomi. È plausibile che i sintomi riportati dai pazienti in alcuni degli studi esaminati fossero dovuti ad altre cause", aggiunge Ssentongo.
Secondo i ricercatori, l'intervento precoce sarà fondamentale per migliorare la qualità della vita di molti sopravvissuti al COVID-19; negli anni a venire, gli operatori sanitari vedranno probabilmente un afflusso di pazienti con problemi psichiatrici e cognitivi, come depressione, ansia o disturbo da stress post-traumatico, che erano altrimenti sani prima della loro infezione da COVID-19. Sulla base di questi risultati, gli operatori sanitari dovrebbero pianificare e allocare le risorse di conseguenza al fine di monitorare e trattare efficacemente queste condizioni.
Il team di ricerca ha notato che queste condizioni di salute a lungo termine possono causare un aumento della domanda di cure mediche e potrebbero sopraffare i sistemi sanitari, in particolare nei paesi a basso e medio reddito. I risultati di questo studio potrebbero aiutare a modellare i piani di trattamento per migliorare l'assistenza ai pazienti COVID-19 e stabilire una gestione clinica integrata basata sull'evidenza per le persone colpite.
Leggi lo studio completo su JAMA Network Open.
ANTONIO CAPERNA
Le persone con disturbi da Uso di sostanze (SUD) affrontano rischi maggiori per lo sviluppo di COVID-19 e per l'esperienza di gravi problemi associati all'infezione. Un recente studio su World Psychiatry ha esaminato questi rischi in individui completamente vaccinati con SUD.
Lo studio ha incluso 579.372 persone negli Stati Uniti (30.183 con diagnosi di SUD e 549.189 senza tale diagnosi) che erano state completamente vaccinate tra dicembre 2020 e agosto 2021 e non avevano contratto il COVID-19 prima della vaccinazione.
Il rischio di infezione da coronavirus nelle persone vaccinate con SUD variava dal 6,8% per il disturbo da uso di tabacco al 7,8% per il disturbo da uso di cannabis, tutti significativamente più alti del 3,6% nella popolazione vaccinata non SUD. Dopo l'abbinamento per dati demografici (età, sesso, etnia) e tipi di vaccino (Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson), i pazienti con SUD, ad eccezione di quelli con disturbo da uso di tabacco, avevano ancora rischi più elevati di COVID-19 rispetto ai pazienti abbinati. individui senza SUD, con i rischi più elevati per quelli con disturbo da uso di cocaina e cannabis.
Questi rischi eccessivi tra le persone con SUD erano in gran parte dovuti alla loro maggiore prevalenza di comorbilità e determinanti socioeconomici avversi della salute (come problemi relativi all'istruzione, all'occupazione e all'alloggio).
"Nel nostro studio, il rischio complessivo di infezione da coronavirus tra i pazienti SUD vaccinati era basso, evidenziando l'efficacia e la necessità di una vaccinazione completa in questa popolazione", hanno scritto gli autori. "Tuttavia, i nostri risultati documentano che questo gruppo rimane vulnerabile anche dopo la vaccinazione, confermando l'importanza per i pazienti vaccinati con SUD di continuare ad adottare misure preventive protettive contro l'infezione".
NB: Il CDC definisce una infezione post vaccino (vaccine breakthrough infection) come quella in cui un tampone nasale può rilevare l'RNA o la proteina SARS-CoV-2 più di 14 giorni dopo che una persona ha completato le dosi complete raccomandate di un vaccino COVID-19 autorizzato dalla FDA. Non significa necessariamente che la persona si senta male - e infatti, il 27% dei casi segnalati al CDC erano asintomatici e che solo il 10% delle persone con infezione era ricoverato in ospedale (alcune per ragioni diverse dal COVID-19) e il 2% era morto.
World Psychiatry. DOI: 10.1002/wps.20921
Antonio Caperna
"Sono attualmente 1.264 in Italia i medici sospesi per non essersi ancora vaccinati" contro Covid-19. "Dall'inizio le sospensioni sono state 1.636, delle quali 372 poi revocate per l'avvenuta vaccinazione". Lo riferisce la Federazione nazionale Ordini dei medici (Fnomceo), precisando che sono "62 su 106 gli Ordini che hanno comunicato almeno una sospensione alla Fnomceo".
"I medici che non si sono vaccinati restano una minoranza", commenta il presidente della Federazione, Filippo Anelli: "In questo momento - evidenzia - i sospesi sono lo 0,27% dei 460mila medici e odontoiatri italiani".
"Ricordiamo che vaccinarsi è anche un dovere deontologico, sia per arginare la diffusione del virus sia per fugare, con l'esempio, gli ultimi dubbi degli esitanti - ribadisce Anelli - Oltre l'80% della popolazione sopra i 12 anni ha completato il ciclo vaccinale: siamo davvero al rush finale, come dimostra la ripresa di tante attività. Il vaccino ci salva la vita e ci permette di tornare, gradualmente, a viverla appieno".
La Cina si appresta a esaminare, nell'ambito di una ricerca sull'origine del Covid 19, decine di migliaia di campioni di sangue raccolti nella megalopoli di Wuhan. Lo rivela la Cnn che cita un funzionario della Commissione sanitaria nazionale cinese.
I campioni di sangue sono conservati al Wuhan Blood Center e l''archivio' - fino a 200.000 campioni, compresi quelli degli ultimi mesi del 2019 - è stato indicato lo scorso febbraio dagli esperti dell'Oms, sottolinea la Cnn, come una possibile fonte di informazioni cruciali che potrebbero contribuire a definire quando e dove il virus sia passato dall'animale all'uomo.
Secondo i funzionari cinesi, i campioni della banca del sangue che si ritiene riguardino il 2019 sono stati conservati per due anni nel caso servissero prove in possibili azioni legali relative alle donazioni. Il periodo scadrà a breve per i mesi di ottobre e novembre 2019. E stando al funzionario citato dalla Cnn, sono in corso i preparativi per esaminare i campioni e i test inizieranno alla scadenza dei due anni.
A luglio il responsabile del team di esperti cinesi che ha lavorato con l'Oms, Liang Wannian, aveva detto per la prima volta durante una conferenza stampa che il gigante asiatico avrebbe esaminato i campioni, promettendo la condivisione dei risultati. "Nessuno crederà ai risultati forniti dalla Cina a meno che non ci siano almeno osservatori qualificati", ha commentato Maureen Miller, professoressa di epidemiologia della Columbia University.
CureVac annuncia la decisione di ritirare il suo candidato vaccino anti Covid di prima generazione (CVnCoV) dall'attuale iter di approvazione in corso all'Agenzia europea del farmaco Ema. Motivo della decisione: l'azienda tedesca si concentrerà sullo sviluppo dei candidati vaccini a mRna di seconda generazione ai quali sta lavorando in collaborazione con la britannica Gsk.
La decisione - spiega CureVac - è anche allineata alle dinamiche in evoluzione della risposta alla pandemia: si va infatti verso una maggiore necessità di vaccini differenziati, per affrontare una situazione in cui il virus Sars-CoV-2 sarà endemico.
Come diretta conseguenza di questa scelta comunicata oggi, CureVac informa anche che "cesserà l'attuale accordo di acquisto anticipato con la Commissione europea, che si basava sull'impiego del candidato vaccino CVnCoV" per affrontare le esigenze della fase acuta della pandemia. L'azienda però sta valutando la possibilità di sfruttare gli impegni assunti su CVnCoV per i candidati vaccini di seconda generazione.
Alla luce di una recente comunicazione dell'Ema, CureVac stima che la prima potenziale approvazione di CVnCoV sarebbe arrivata nel secondo trimestre 2022. Lo stesso periodo in cui CureVac e Gsk si aspettano che i candidati di seconda generazione siano già passati alla fase clinica avanzata. Le aziende prevedono infatti di entrare nella fase dello sviluppo clinico nei prossimi mesi, con l'obiettivo di ottenere l'approvazione regolatoria per il debutto sul mercato di un vaccino anti-Covid migliorato rispetto alla 'prima versione' proprio nel 2022.
Mentre CureVac continua dunque a rimanere in contatto con la Commissione europea, l'impegno suo e di Gsk è tutto focalizzato sulla seconda generazione di vaccini Covid-19. Tanto che le aziende spiegano di avere rafforzato la loro collaborazione, aggiungendo ulteriori risorse ed esperti per accelerare lo sviluppo e la produzione dell'ampio programma di seconda generazione. Su questo fronte - si legge in una nota - risultati preclinici pubblicati hanno mostrato "il forte potenziale" di un candidato, CV2CoV, rispetto a quello di prima generazione di CureVac. I dati evidenziano "un'immunogenicità fino a 10 volte superiore" nei modelli animali. Parallelamente al lavoro sulla tecnologia dei vaccini a mRna di seconda generazione, Gsk e CureVac accelereranno gli sforzi per far progredire lo sviluppo di costrutti di vaccini mRna modificati.
"La lotta globale contro Covid continua e noi rimaniamo impegnati a fare la differenza con un vaccino sicuro ed efficace - afferma Franz-Werner Haas, Ceo di CureVac - Questo obiettivo non è cambiato, ma sono cambiati i requisiti per affrontare efficacemente il virus e le varianti emergenti. Nella transizione in corso da pandemia acuta a endemica, la nostra decisione di ritirare CVnCoV dal processo di approvazione normativa e concentrare i nostri sforzi sui candidati al vaccino mRna di seconda generazione riflette i cambiamenti attesi nelle esigenze di salute pubblica, che la nostra seconda generazione può potenzialmente affrontare. Ora approfitteremo delle conoscenze e delle infrastrutture di CVnCoV per concentrare le nostre risorse sui vaccini avanzati di seconda generazione in stretta collaborazione con Gsk".
L'Agenzia europea del farmaco Ema ha interrotto la revisione continua del vaccino anti-Covid di CureVac (CVnCoV), dopo che l'azienda tedesca ha comunicato all'ente regolatorio Ue la decisione di ritirare il suo candidato dal processo di approvazione.
Il Comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) - informa l'Ema - stava esaminando i dati su CVnCoV dal febbraio 2021, nell'ambito di un percorso di rolling review, in base al quale l'azienda invia i dati non appena li ha disponibili, a mano a mano che la sperimentazione procede, con l'obiettivo di accelerare la valutazione di un'eventuale domanda di autorizzazione all'immissione in commercio. Al momento del ritiro da parte di CureVac, l'Ema aveva ricevuto dati non clinici (di laboratorio), ma anche dati provenienti dagli studi clinici in corso, dati sulla qualità e sul processo di fabbricazione del vaccino e il piano di gestione del rischio. Sebbene l'autorità regolatoria stesse accelerando la revisione dei dati, "rimanevano ancora da affrontare in modo soddisfacente" alcune questioni "sulla qualità del vaccino, impattanti sul rapporto rischio-beneficio, e il fatto che i risultati dello studio principale avessero mostrato solo una modesta efficacia negli adulti", spiega l'agenzia.
Nella sua lettera all'Ema, la società ha dichiarato di essersi ritirata perché ha deciso di concentrare i propri sforzi su un diverso programma di sviluppo del vaccino anti-Covid. Il ritiro significa che l'Ema non sta più rivedendo i dati presentati sul candidato CVnCoV e non concluderà questa revisione. L'azienda si riserva il diritto di richiedere un'altra revisione continua o presentare una domanda di autorizzazione all'immissione in commercio in futuro. Le persone che hanno preso parte a studi clinici con CVnCoV e hanno domande sul loro stato di vaccinazione, sul certificato digitale Covid europeo o sulle restrizioni di viaggio associate alla vaccinazione, "devono contattare le autorità competenti nel loro Paese di residenza", conclude l'agenzia.
Vaccino Covid e antinfluenzale insieme, arriva l'ok del del comitato di esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità sulle vaccinazioni (Sage). "Evidenze" pur "limitate sulla co-somministrazione di vaccini influenzali stagionali inattivati con vaccini Covid-19 non hanno mostrato un aumento degli eventi avversi", viene indicato dopo l'ultima riunione.
E "poiché le fasce d'età adulta alle quali viene "tradizionalmente" raccomandata la vaccinazione contro l'influenza stagionale sono anche a rischio di sviluppare Covid grave", per il Sage "la somministrazione contemporanea di un vaccino antinfluenzale inattivato e di qualsiasi vaccino Covid-19 autorizzato dall'Oms per l'uso di emergenza è accettabile e massimizzerà l'assorbimento di entrambi i vaccini".
Secondo le stime - ricordano gli esperti Oms - l'influenza stagionale fa registrare ogni anno oltre un miliardo di casi, di cui 3-5 milioni di malattia grave, e causa 290.000-650.000 morti.
Il Sage raccomanda dunque a tutti i Paesi di avviare programmi di immunizzazione contro l'influenza, indicando come gruppi target "operatori sanitari, malati cronici, anziani e donne in gravidanza", ed eventualmente "ulteriori sottopopolazioni come bambini e persone ad alto rischio di influenza grave, che vivono in contesti comunitari come carceri, strutture di assistenza a lungo termine, campi per profughi o richiedenti asilo, case famiglia".
Anche nel contesto della pandemia di Covid-19, il comitato di specialisti Oms in materia di immunizzazioni raccomanda priorità di vaccinazione anti-influenza per "operatori sanitari, anziani e donne in gravidanza".