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- Non si possono recuperare le mancate diagnosi non Covid in pandemia ne' aspettativa di vita ne' mortalita'
- Il vaccino anti-Covid di ReiThera e' efficace
- Covid, la variante Epsilon si nasconde agli anticorpi
- Farmaci anti Covid, conferme da ivermectina
- COVID. GASLINI, STUDIO CONFERMA OBESITA' E FUMO FATTORI RISCHIO
- Covid, il vaccino protegge da infezioni, ricoveri e decessi fino al 100%
- Per quanto riguarda l’infezione il ciclo completo di vaccinazioni ha un’efficacia tra il 79,8% e l’81,5%, a seconda della fascia d’età.
- Per i ricoveri ordinari l’efficacia varia dal 91,0% al 97,4% con il valore più alto nella fascia 40-59 anni.
- Per i ricoveri in terapia intensiva l’efficacia è del 100% nelle due fasce più giovani (cioè non si è verificato nessun ricovero in terapia intensiva nei vaccinati nel periodo considerato) e scende leggermente al 96,9% negli over 80.
- Per quanto riguarda i decessi l’efficacia è di nuovo del 100% nelle due fasce più giovani, mentre scende al 98,7% in quella 60-79 (2 decessi tra i vaccinati contro i 78 dei non vaccinati) e al 97,2% negli over 80 (15 decessi nei vaccinati e 62 nei non vaccinati.
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- Vaccinazione anti COVID nelle strutture residenziali, Rapporto ISS con le indicazioni per migliorare le strategie
- fare in modo che servizi di salute pubblica, quali la vaccinazione, siano culturalmente adeguati, adattati alle caratteristiche specifiche della popolazione oggetto dell’intervento, inclusi gli aspetti legati alla comunicazione e all’informazione;
- ottenere il consenso informato, indispensabile per la somministrazione del vaccino, in modo tale da garantirne la volontarietà, la corretta informazione e la comprensione da parte della persona delle procedure e dei possibili effetti collaterali anche qualora esistano barriere linguistiche, culturali o cognitive;
- mettere a punto strategie per superare nella popolazione fragile e vulnerabile barriere di tipo finanziario, linguistico, culturale, logistico, ecc., contribuendo in tal modo ad obiettivi quali l’equità di accesso a servizi di prevenzione e la lotta alle disuguaglianze in salute, come previsto dai Sustainable Development Goal.
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- Numero di pazienti COVID ospedalizzati da inizio pandemia ad oggi in EOC: 2'392. In aggiunta ai questi pazienti ricoverati, abbiamo garantito le prime cure a 480 pazienti, che sono rimasti nelle nostre strutture per meno di 24h per poi essere trasferiti verso altri istituti (es. Clinica Luganese Moncucco) o verso il domicilio in quarantena.
- Numero di pazienti COVID ospedalizzati in cure intense da inizio pandemia ad oggi in EOC: 511.
- Numero di pazienti COVID ospedalizzati e deceduti da inizio pandemia: 390.
- Durata di degenza media (globale) dei pazienti COVID ad oggi in EOC: 14.72.
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natura e gravità dei sintomi precedenti e attuali
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tempistica e durata dei sintomi dall’inizio del COVID-19 acuto
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storia di altre condizioni di salute
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trattamento farmacologico attuale e pregresso
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valutazione dei segni e sintomi specifici di Long-COVID
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valutazione dell’impatto psicologico del COVID-19 e del Long-COVID, con particolare attenzione alla comparsa di sintomi di ansia, depressione e all’isolamento sociale
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valutazione dell’impatto del COVID-19 e del Long-COVID sugli aspetti nutrizionali, le modifiche del peso corporeo e la perdita di interesse nel mangiare e nel bere, in particolare nelle persone anziane
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valutazione della presenza di nuovi sintomi cognitivi o annebbiamento cerebrale (“brain fog”), utilizzando uno strumento di screening validato per valutare lo stato cognitivo
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"Il tema non è solo recuperare le diagnosi non Covid perse durante la pandemia: non è come tagliarsi i capelli, il ritardo puoi provare a recuperarlo ma non puoi farlo sull'aspettativa di vita e la mortalità di alcune malattie".
A dirlo è Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, intervenendo alla conferenza organizzata da Formiche in collaborazione con Farmindustria. "Sono dati questi che da un po' di tempo evidenziavamo - dice ancora Scaccabarozzi, in relazione ai dati sulle diagnosi perse presentate dal report di Iqvia durante la conferenza. "Nel 2020 l'Istat ci dice che è aumentata la rinuncia alle cure, ma le soluzioni - sottolinea il presidente - sono declinate con il Pnrr. Anche Draghi ha ripreso il problema in un suo recente discorso.
Ci sono 73 milioni di prestazioni sanitarie in meno, che conferma i dati di Iqvia, e una buona parte dei pazienti deceduti per Covid avevano problemi oncologici che non potevano trattare. E poi c'è stato un 30% dei decessi di persone con problemi cardiaci che non sono riuscite ad andare in ospedale per curarsi - segnala Scaccabarozzi. "Si può però lavorare sulle prospettive - afferma - si deve superare il timore di tornare a farsi curare, questo dipenderà anche da come sarà usata la comunicazione, il Recovery potrebbe aiutarci, sicuramente gli investimenti per le infrastrutture potranno aiutarci. La missione salute - ricorda il presidente di Farmindustria - prevede già le reti di salute, sette miliardi che non devono essere sprecati, e poi 8miliardi per la digitalizzazione che verranno applicati al campo sanitario: penso alla ricetta dematerializzata, al fascicolo elettronico.
E un altro tema, con 11 miliardi, è la ricerca, sia con partnership che con fondi nazionali pubblici. Possiamo considerare la salute come un investimento e non come una spesa - chiosa. "Noi siamo pronti, attraverso il connected care, la telemedicina, il monitoraggio studi da remoto. Se vogliamo mettere il paziente al centro, ma non inteso come oggetto, ma stando al suo fianco - ribadisce Scaccabarozzi - possiamo fare in modo che sia la salute ad andare dal paziente. Potremmo farcela, affinché tutto il prezzo che abbiamo pagato non sia stato pagato invano".
Infine un richiamo al lavoro nel post pandemia per il presidente: "la pandemia ha dimostrato che si può. Si può lavorare in partnership, tutte volte a trovare soluzioni. Non facciamo che quando tutto sarà finito si torni come prima perché qualcuno dirà tutto sommato andava bene così. Non andava bene così, continuiamo senza pregiudizio, senza ideologie, con trasparenza, le risorse come dice il ministro della salute Speranza ci sono, per lasciare un mondo migliore".
Il vaccino anti-Covid di ReiThera è efficace. Dopo la seconda somministrazione si osserva infatti una risposta anticorpale contro la proteina Spike del coronavirus Sars-CoV-2 in oltre il 93% dei volontari arruolati nella sperimentazione e si raggiunge il 99% dopo la seconda somministrazione.
E' quanto emerge dai risultati dell'analisi preliminare dello studio clinico di fase 2 - randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo - condotto sul vaccino GRAd-COV2. I dati del trial Covitar sono stati annunciati oggi dalla società biotech con sede a Castel Romano.
I dati preliminari di sicurezza e immunogenicità delle prime 5 settimane di studio sono stati revisionati dal Data Safety Monitoring Board, Comitato indipendente per la valutazione della sicurezza, e dallo Steering Committee, Comitato scientifico per la valutazione dell'efficacia, nel corso di una riunione congiunta. I due panel si sono espressi favorevolmente sui dati analizzati e hanno raccomandato la prosecuzione dello sviluppo clinico del vaccino GRAd-COV2.
Il trial è iniziato lo scorso 18 marzo in 24 centri clinici distribuiti su tutto il territorio italiano, e coinvolge 917 volontari di cui il 25% di età superiore a 65 anni e/o con condizioni associate a un aumentato rischio di malattia severa in caso di infezione da Sars-CoV-2. I risultati dopo le prime 5 settimane dall'inizio della vaccinazione confermano quanto già osservato nella fase 1, spiega ReiThera: il vaccino è "ben tollerato alla prima somministrazione e ancor meglio tollerato alla seconda".
Gli eventi avversi, per la maggior parte di grado lieve o moderato e di breve durata, sono principalmente riferibili a dolore e tensione al sito di iniezione, senso di affaticamento, dolori muscolari e mal di testa, si legge in una nota. Non si sono registrati eventi avversi seri correlabili al vaccino.
Tre mutazioni nella proteina spike del coronavirus Epsilon smorzano la potenza neutralizzante degli anticorpi indotti dai vaccini attuali o dalle precedenti infezioni da COVID.
Le mutazioni danno a questa variante del coronavirus un mezzo per eludere totalmente gli anticorpi monoclonali specifici, utilizzati nelle cliniche, e ridurre l'efficacia degli anticorpi dal plasma delle persone vaccinate.
Per comprendere meglio le esatte strategie di fuga immunitaria al lavoro qui, gli scienziati hanno indagato il meccanismo di infezione di questa variante per vedere cosa è diverso dalla configurazione originale del coronavirus pandemico e quali sono le implicazioni di questi cambiamenti.
Il progetto internazionale è stato guidato dal laboratorio di David Veesler nel Dipartimento di Biochimica dell'Università di Washington e da Luca Piccoli e Davide Corti di Vir Biotechnology .
Per diversi anni, il laboratorio Veesler e i suoi collaboratori hanno esplorato la conformazione molecolare e i meccanismi di infezione dei coronavirus simili alla SARS. Esaminano anche come gli anticorpi tentano di bloccare i meccanismi di infezione e come le varianti escogitano nuovi espedienti.
I loro ultimi dati mostrano che la variante Epsilon "si basa su una strategia di fuga di neutralizzazione indiretta e insolita", secondo i ricercatori.
I loro risultati sono pubblicati su Science .
Un'analisi dell'orologio molecolare ha cronometrato l'emergere del precursore della variante Epsilon a maggio del 2020 in California. Entro l'estate del 2020 si era differenziato nei suoi lignaggi B.1.427/B.1.429. I casi di COVID della variante sono aumentati rapidamente e la variante si è presto diffusa negli Stati Uniti. Ora è stato segnalato in almeno 34 altri paesi.
Per saperne di più sulle caratteristiche della variante Epsilon, i ricercatori hanno testato la resilienza contro la variante Epsilon del plasma di persone, che sono state esposte al virus e di persone vaccinate. La potenza neutralizzante del plasma contro la variante Epsilon preoccupante è stata ridotta di circa 2-3,5 volte.
Come l'originale SARS-CoV-2, la variante infetta le cellule bersaglio attraverso la sua glicoproteina spike, la struttura che incorona la superficie del virus. I ricercatori hanno scoperto che le mutazioni Epsilon erano responsabili di riarrangiamenti in aree critiche della glicoproteina spike; gli studi di criomicroscopia elettronica hanno mostrato cambiamenti strutturali in queste aree.
La visualizzazione di queste mutazioni aiuta a spiegare perché gli anticorpi hanno avuto difficoltà a legarsi alla glicoproteina spike.
Una delle tre mutazioni nella variante Epsilon ha influenzato il dominio di legame del recettore sulla glicoproteina spike. Questa mutazione ha ridotto l'attività neutralizzante di 14 su 34 anticorpi neutralizzanti specifici per quel dominio, compresi gli anticorpi dello stadio clinico.
Le altre due delle tre mutazioni nella variante hanno interessato il dominio N-terminale sulla glicoproteina spike. I ricercatori hanno utilizzato la spettrometria di massa e l'analisi strutturale per scoprire che una parte del dominio N-terminale del coronavirus è stata rimodellata da queste mutazioni.
Il sito di scissione del peptide segnale è stato spostato nel supersito antigenico NTD e si è formato un nuovo legame disolfuro. Ciò ha comportato una perdita totale di neutralizzazione da parte di 10 anticorpi su 10 testati specifici per il dominio N-terminale nella glicoproteina spike.
Lo scienziato pensa che scoprire i meccanismi di evasione immunitaria, come questo nuovo meccanismo basato sulla modifica del peptide segnale, sia importante quanto la sorveglianza delle varianti attraverso il sequenziamento dell'RNA. Insieme tali sforzi potrebbero aiutare a contrastare con successo la pandemia in corso.
Interessante peer reviewed, redatta da esperti medici (inclusi tre scienziati senior del governo degli Stati Uniti) e pubblicata sull'American Journal of Therapeutics.
La ricerca è la revisione più completa dei dati disponibili su ivermectina, tratti da studi clinici, in vitro, animali e del mondo reale.
Guidato dalla Front Line COVID-19 Critical Care Alliance (FLCCC), un gruppo di esperti medici e scientifici ha esaminato studi pubblicati peer-reviewed, manoscritti, meta-analisi di esperti e analisi epidemiologiche delle regioni con sforzi di distribuzione dell'ivermectina che dimostrano che l'ivermectina è una profilassi e un trattamento efficaci per il COVID-19.
"Abbiamo svolto il lavoro che le autorità mediche non sono riuscite a fare, abbiamo condotto la revisione più completa dei dati disponibili sull'ivermectina", ha affermato Pierre Kory, MPA, MD, presidente e chief medical officer della FLCCC. "Abbiamo applicato il gold standard per qualificare i dati esaminati prima di concludere che l'ivermectina può porre fine a questa pandemia".
Un focus del manoscritto era sui 27 studi controllati, disponibili nel gennaio 2021, 15 dei quali erano studi randomizzati e controllati (RCT), lo studio preferito dell'Organizzazione mondiale della sanità, degli Istituti nazionali di sanità degli Stati Uniti e dell'Agenzia europea per i medicinali. Coerentemente con numerose meta-analisi degli RCT di ivermectina da quando sono stati pubblicati da gruppi di esperti provenienti da Regno Unito, Italia, Spagna e Giappone, hanno riscontrato una riduzione ampia e statisticamente significativa della mortalità, del tempo di recupero e della clearance virale nei pazienti COVID-19 trattati con ivermectina.
Per valutare l'efficacia dell'ivermectina nella prevenzione del COVID-19, 3 RCT e 5 studi osservazionali controllati, inclusi quasi 2.500 pazienti, hanno riportato che l'ivermectina riduce significativamente il rischio di contrarre COVID-19 se usato regolarmente.
Molte regioni del mondo ora riconoscono che l'ivermectina è una potente farmaco per profilassi e trattamento anti COVID-19. Sud Africa, Zimbabwe, Slovacchia, Repubblica Ceca, Messico e ora India hanno approvato il farmaco per l'uso da parte di professionisti medici. I risultati, come si è visto in questo ultimo studio, dimostrano che le campagne di distribuzione dell'ivermectina hanno ripetutamente portato a "rapide diminuzioni della morbilità e della mortalità in tutta la popolazione".
"La nostra ultima ricerca mostra, ancora una volta, che quando viene esaminata la totalità delle prove, non c'è dubbio che l'ivermectina sia altamente efficace come profilassi e trattamento sicuri per COVID-19", ha affermato Paul E. Marik, MD, FCCM, FCCP, membro fondatore della FLCCC e capo, medicina polmonare e terapia intensiva presso la Eastern Virginia Medical School.
"Non possiamo più fare affidamento su molte delle più grandi autorità sanitarie per effettuare un esame onesto delle prove mediche e scientifiche. Quindi, chiediamo alle autorità sanitarie pubbliche regionali e ai professionisti medici di tutto il mondo di chiedere che l'ivermectina sia inclusa nel loro standard di cure subito in modo da poter porre fine a questa pandemia una volta per tutte".
Quali sono i fattori genetici che possono influenzare il decorso della malattia da Covid-19, per cui alcuni pazienti sviluppano una malattia grave e altri manifestano sintomi lievi o addirittura assenti? Un maxi-studio studio realizzato con un'ampia collaborazione internazionale rivela che diversi marcatori genetici sono associati all'infezione da Sars-CoV-2 e possono influenzare la gravità del Covid-19.
In particolare, 13 regioni genomiche (loci) aumentano il rischio di sviluppare forme gravi dell'infezione; confermati, inoltre, i fattori di rischio dipendenti dal fumo e dall'alto indice di massa corporea. Questi risultati provengono da uno dei più grandi studi di associazione sull'intero genoma mai eseguiti, che include quasi 50.000 pazienti e due milioni di controlli sani. Leader del gruppo di lavoro è Andrea Ganna dell'Institute for Molecular Medicine Finland (Fimm) dell'Università di Helsinki diretto da Mark Daly, membro dell'istituto al Broad Institute del MIT e dell'Harvard University.
Il prof. Ben Neale, co-autore senior dello studio, ha affermato che sebbene i vaccini conferiscano protezione contro l'infezione, c'è ancora un notevole margine di miglioramento nel trattamento del Covid-19. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, ha coinvolto anche una dozzina di ricercatori dell'Istituto Giannina Gaslini e dell'Università di Genova, afferenti alle aree disciplinari della Genetica medica e della Neurologia pediatrica, ed è frutto dello sforzo globale in seno alla Covid-19 Host Genetics Initiative (Hgi), istituita nel marzo 2020 e inclusiva di oltre 3500 ricercatori, provenienti da 25 Paesi che lavorano insieme per condividere dati, idee, reclutare pazienti e divulgare i risultati delle ricerche. Pasquale Striano, uno dei 21 membri del writing group dello studio, evidenzia come sia particolarmente emerso il ruolo di alcuni geni che influenzano il sistema immunitario.
"Dei 13 loci identificati finora dal team del consorzio globale- dichiara Striano- un paio avevano frequenze più elevate tra i pazienti di origine asiatica rispetto a quelli di origine europea e uno di essi è vicino al gene Foxp4, correlato al cancro del polmone e associato a forme clinicamente gravi di Covid-19". "Il Gaslini, Irccs pediatrico ligure, dimostra ancora una volta di essere un'eccellenza italiana e mondiale non solo nella cura ma anche nella ricerca scientifica, insieme all'Università di Genova. Il mio ringraziamento è rivolto a tutti i medici, ai professionisti e ai ricercatori che ogni giorno da Genova contribuiscono a raggiungere nuove conoscenze, sul Covid-19 e su molte altre patologie" ha commentato il presidente della Regione Liguria e assessore alla Sanità, Giovanni Toti.
"Si è trattato di uno sforzo mondiale unico finalizzato a raggiungere le popolazioni di tutto il pianeta per meglio comprendere il ruolo della diversità genetica in questa infezione", aggiunge Carlo Minetti, vicedirettore del Dipartimento di neuroscienze, riabilitazione, oftalmologia, genetica e scienze materno-infantili - Dinogmi dell'Università di Genova e responsabile della Neurologia pediatrica dell'Istituto Gaslini. "Questo studio - dichiara Angelo Ravelli, Direttore Scientifico dell'Istituto G. Gaslini e professore ordinario di Pediatria dell'Ateneo Genovese - potrebbe aiutare a fornire nuovi orientamenti per future terapie e rappresentare il valore degli studi genetici nell'acquisire nuove conoscenze sulle malattie infettive e altre condizioni non primitivamente genetiche. Questi risultati, comunque, dimostrano l'efficacia di un grande sforzo di collaborazione internazionale tra molti dei più importanti gruppi di lavoro nella presente crisi globale della pandemia da Covid-19".
"Abbiamo reso immediatamente disponibili alla comunità scientifica i dati genetici a nostra disposizione per accelerare il più possibile le attività del consorzio globale" - aggiunge Federico Zara, leader del gruppo che ha coordinato la raccolta della popolazione dei controlli sani. "L'obiettivo finale è scoprire strategie terapeutiche che consentano, grazie al contributo della genetica nel comprendere i meccanismi molecolari della malattia, di giungere a nuove cure".
Giulia Bondolfi
Il vaccino contro il Covid-19, se si sono completate le dosi previste, è efficace circa all’80% nel proteggere dall’infezione, e fino al 100% dagli effetti più gravi della malattia, per tutte le fasce di età.
Lo dimostrano i dati elaborati dall’Istituto Superiore di Sanità, provenienti dall’anagrafe nazionale vaccini (AVM) e dalla sorveglianza integrata dei casi di infezione da virus SARS-CoV-2 relativi al periodo tra il 21 giugno e il 4 luglio.
Nell’elaborazione è stato esaminato lo status vaccinale di infetti, ricoverati e deceduti per Sars-Cov-2, e l’efficacia vaccinale è stata calcolata separatamente per quattro fasce di età, 12-39, 40-59, 60-79 e over 80.
“Questi dati, che confermano quelli di diversi studi internazionali, evidenziano che i vaccini di cui disponiamo sono estremamente efficaci nel prevenire le forme gravi della malattia, se viene completato il ciclo vaccinale, mentre hanno una buona efficacia nella prevenzione delle infezioni – commenta il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro -. È necessario quindi accelerare il più possibile nella campagna vaccinale, e allo stesso tempo mantenere le misure di distanziamento e protezione indicate dagli esperti finché non si sarà raggiunta una copertura sufficiente”.
La variante Delta del Covid spinge i contagi in Europa e si allargano le zone rosse nella mappa dell'Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che funge da guida per le decisioni sulle restrizioni di viaggio per molti Paesi membri dell'Ue.
Mentre l'Oms Europa ammonisce: "Quest'estate, se vuoi viaggiare, pensa bene alla necessità" di partire. E "se decidi di farlo, fallo in sicurezza". La Francia intanto sconsiglia ai suoi cittadini i viaggi nella penisola iberica.
LE ZONE A RISCHIO IN EUROPA
Nella mappa settimanale dell'Ecdc sull'incidenza dei casi, l'Italia resta tutta in verde, il colore che denota il minor rischio epidemiologico per la Covid-19. Anche la settimana scorsa il nostro Paese era tutto in verde, ma stavolta il Friuli-Venezia Giulia viene segnato in grigio, colore che segnala l'assenza di dati disponibili.
Rispetto alla settimana scorsa si allargano le zone rosse nella Penisola Iberica: l'intero Portogallo (a parte le Azzorre, arancioni, e Madeira, verde) e buona parte della Spagna, Canarie incluse, sono ora colorati di rosso (fanno eccezione la Galizia e Castilla-La Mancha, che sono in arancione). Cipro è rossa scuro, il colore che indica il massimo rischio epidemiologico.
In arancione anche una parte della Grecia, tra cui le Cicladi, Creta e Rodi, la regione di Bruxelles in Belgio, il Lussemburgo, buona parte dell'Olanda, tutta l'Irlanda, una parte della Svezia e della Norvegia, un lembo della Danimarca e della Finlandia. Il resto è in verde.
OMS EUROPA
Secondo la previsione dell'Oms, contenuta nel report settimanale sull'andamento di Covid-19, nella Regione Europea dell'Organizzazione mondiale della sanità la variante Delta sarà responsabile del "90% delle nuove infezioni da coronavirus entro la fine di agosto".
Da qui l'avvertimento: "Quest'estate, se vuoi viaggiare, pensa bene alla necessità" di partire. E "se decidi di farlo, fallo in sicurezza". Ammonisce così via Twitter l'Oms Europa. Sul social il braccio europeo dell'Organizzazione mondiale della sanità lancia l'hashtag "SummerSense" e pubblica un'infografica: "Quest'estate - si legge - valutate attentamente la necessità di viaggiare. Viaggiare non è senza rischi".
FRANCIA: NO VACANZE IN SPAGNA E PORTOGALLO
I francesi "evitino" le vacanze in Spagna e Portogallo come misura preventiva per tutelarsi dal contagio dal coronavirus, in particolare dalla variante Delta. Lo ha detto il ministro degli Affari europei Clement Beaune intervistato da France 2. ''Chi non ha già prenotato le vacanze, eviti Spagna e Portogallo'', ha detto il ministro, parlando di una misura di ''prudenza, è una raccomandazione su cui insisto. Meglio andare in Francia o in un altro Paese, ma abbiamo una situazione particolarmente preoccupante soprattutto in Portogallo''.
"Stiamo monitorando in particolare la situazione nei Paesi in cui l'epidemia si diffonde in modo molto rapido: Portogallo, Spagna - Catalogna in particolare, dove molti francesi vanno a fare festa, per le vacanze - state attenti e molto attenti'', ha aggiunto.
La Commissione europea ha adottato la decisione che garantisce che i certificati Covid-19 rilasciati dalla Svizzera saranno considerati equivalenti ai certificati digitali Covid emessi dall'Unione europea per permettere ai cittadini svizzeri di viaggiare liberamente all'interno dell'Ue e viceversa.
"Mi compiaccio che le autorità svizzere abbiano deciso di implementare un sistema basato sui certificati digitali Covid europei", ha detto il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles. "Questo certificato - ha spiegato Reynders -permetterà di facilitare il libero movimento all'interno dell'Unione e anche fra l'Unione europea e la Svizzera".
Il certificato entrerà in vigore domani e permetterà ai titolari di un certificato svizzero, ossia ai cittadini svizzeri, ai cittadini dell'UE e a cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti o residenti in Svizzera, di poter viaggiare all'interno dell'Ue alle stesse condizioni dei titolari di un certificato digitale Covid Ue. Al contempo, la Svizzera ha deciso di accettare il certificato digitale Covid dell'Ue per i viaggi in Svizzera.
Dalle comunità socio-assistenziali – RSA per anziani, strutture per disabili e per persone con problemi di salute mentale - alle carceri; dai centri di prima e seconda accoglienza per stranieri e per italiani ai centri di recupero per le dipendenze patologiche; dalle case di alloggio per persone con HIV/AIDS alle case famiglia fino alle comunità religiose. Le comunità residenziali nel loro insieme sono accomunate da un elevato livello di rischio dell’infezione da SARS-CoV-2, individuale e collettivo, in conseguenza delle condizioni strutturali e di coabitazione, e, pertanto, rappresentano una priorità per il raggiungimento degli obiettivi della campagna di vaccinazione anti COVID-19.
Alcune di queste strutture sono, infatti, contraddistinte da popolazioni ad elevato carico di malattia rispetto alla popolazione generale, e quindi soggette ad aumentato rischio di esiti severi dell’infezione da SARS-CoV-2. Alcune, si pensi alle carceri, presentano fattori di rischio quali sovraffollamento, scarsa ventilazione, impossibilità di mantenere le distanze interpersonali e di isolare i casi. Altre, quali ad esempio i centri di accoglienza, sono caratterizzate da un considerevole turnover della popolazione presente nonché da mobilità da/per la comunità, e dunque esposte ad un elevato rischio di introduzione dell’infezione e del conseguente verificarsi di focolai epidemici.
Da questo scenario e nell’ambito di un’occasione quale l’emergenza COVID-19 e la necessaria campagna vaccinale di massa, è scaturito il Rapporto ISS Vaccinazione contro COVID-19 nelle comunità residenziali in Italia: priorità e modalità di implementazione ad interim, in cui gli esperti analizzano le caratteristiche peculiari dei vari e differenti contesti residenziali presenti a livello nazionale con l’intento di fornire una serie di indicazioni utili a supportare l’implementazione delle strategie per la vaccinazione degli ospiti residenti e degli operatori coinvolti. Ad esempio:
Nel marzo del 2020, mentre la letalità del virus SARS-CoV-2 in Italia è straordinariamente più alta che altrove, i medici si accorgono che non tutte le persone si ammalano con la stessa gravità, da qui una domanda: quali fattori genetici influenzano lo sviluppo di una malattia grave o letale, piuttosto che di sintomi lievi o del tutto assenti?
Ad aprile 2020, quattro ricercatori Humanitas pubblicano in Open Access uno dei primi studi sulla genetica di COVID-19, lavoro presto approfondito grazie ad un consorzio tra Italia, Spagna, Germania e Norvegia. Come loro, tanti scienziati nel mondo iniziano a cercare nei geni una risposta al quesito clinico.
Oggi, sulla prestigiosa rivista Nature, viene pubblicato uno dei più grandi studi di associazione sull’intero genoma mai eseguiti che racchiude anche quei primi sforzi: quasi 50.000 pazienti COVID-19, 2 milioni di controlli su cittadini non infetti, oltre 3500 autori per 61 sotto-studi provenienti da 25 paesi.
Questo grande impegno globale, “COVID-19 Host Genomics Initiative”, ha permesso di individuare 13 loci, o posizioni nel genoma umano, che sonofortemente associati al rischio di infezione da SARS-CoV-2 o alla gravità della malattia. I risultati potrebbero aiutare a identificare target per future terapie e dimostrare l’utilità degli studi genetici nella comprensione delle malattie infettive.
“COVID-19 Host Genomics Initiative” è stato fondato nel marzo 2020 da Andrea Ganna, group leader presso l'Institute for Molecular Medicine Finland (FIMM) dell’Università di Helsinki e da Mark Daly, direttore di FIMM e membro del Broad Institute del MIT e di Harvard di Boston, Massachusetts. L'iniziativa è diventata una delle più estese collaborazioni nel campo della genetica umana. Nell’area milanese, oltre a Humanitas, hanno partecipato l’Università degli studi di Milano e l’Università degli studi di Milano Bicocca, che collaborano ad un progetto chiamato GENIUS (GENetics AgaInst CoronavirUS), sostenuto anche da una donazione di Intesa Sanpaolo.
Sfruttare la diversità genetica per conoscere meglio COVID-19
Il consorzio “COVID-19 Host Genomics Initiative” ha raccolto dati clinici e genetici da quasi 50.000 pazienti positivi al virus e 2 milioni di controlli provenienti da numerose biobanche e studi clinici. “Grazie all’enorme quantità di dati raccolti da tutto il mondo - osserva la prof.ssa Rosanna Asselta, docente di Genetica Medica di Humanitas University che ha coordinato il contributo di Humanitas - siamo stati in grado di produrre analisi statisticamente solide molto più rapidamente, e da una maggiore diversità di popolazioni, rispetto a quanto sarebbe stato possibile fare da parte di uno o pochi gruppi di ricerca”.
"Abbiamo avuto molto più successo rispetto a esperienze passate nel comprendere il ruolo della diversità genetica perché abbiamo partecipato ad uno sforzo concertato per raggiungere le popolazioni di tutto il mondo - conferma il prof. Stefano Duga, ricercatore di Humanitas e docente di Biologia Molecolare di Humanitas University -. Il lavoro da fare è ancora molto, ma siamo sulla strada giusta per comprendere meglio questa malattia".
Dei 13 loci identificati finora dal team del consorzio globale, due avevano frequenze più elevate tra i pazienti dell'Asia orientale o dell'Asia meridionale rispetto a quelli di origine europea. Uno di questi due loci, in particolare, è vicino al gene FOXP4, che è collegato al cancro del polmone. La variante FOXP4 associata a forme clinicamente gravi di COVID-19 aumenta l'espressione del gene, suggerendo che l'inibizione del gene potrebbe essere una potenziale strategia terapeutica. Questo sottolinea l'importanza di analizzare campioni provenienti da popolazioni con background genetico diverso. Altri loci associati a COVID-19 grave includono DPP9, un gene coinvolto anche nel cancro del polmone e nella fibrosi polmonare, e TYK2, che è implicato in alcune malattie autoimmuni.
Dalla genetica alle terapie
Sebbene i vaccini conferiscano protezione contro l'infezione, c'è ancora un notevole margine di miglioramento nel trattamento del COVID-19, che può avvalersi dei risultati delle analisi genetiche. “Meglio riusciamo a curare il COVID-19, più la comunità medica saprà gestire la malattia e il suo impatto sulla società. A questo scopo, il consorzio globale ha reso immediatamente disponibili alla comunità scientifica i dati raccolti, in modo da accelerare il più possibile le ricerche da parte di altri scienziati. Lo scopo è quello di scoprire strategie terapeutiche che consentano, grazie al contributo della genetica nel comprendere i meccanismi molecolari della malattia, di utilizzare farmaci già esistenti (il cosiddetto “drug repurposing”) che potrebbero portare rapidamente a nuove terapie”, spiega la prof.ssa Rosanna Asselta di Humanitas.
Un nuovo modo di fare scienza
Gli scienziati sono stati in grado di arrivare a questi risultati grazie a collaborazione, spirito di condivisione dei dati, trasparenza e l'urgenza che deriva dal sapere che il mondo intero affronta la stessa minaccia. I genetisti, che lavorano regolarmente con grandi set di dati, conoscono da molto tempo i vantaggi della collaborazione aperta.
In futuro questa esperienza, che ha dimostrato l’utilità degli studi genetici nella comprensione delle malattie infettive, potrà essere un esempio di collaborazione internazionale sul fronte della Ricerca.
L’inizio degli studi in Humanitas
Il primo studio osservazione sulla popolazione italiana, condotto in Humanitas a marzo 2020 da Stefano Duga, Rosanna Asselta, Elvezia Maria Paraboschi e Alberto Mantovani anche grazie al supporto di Dolce&Gabbana, era volto a comprendere i fattori che influenzano la suscettibilità all’infezione, la gravità del decorso clinico della malattia e la maggiore severità dei sintomi che si osservano negli uomini rispetto alle donne malate di COVID-19. Dallo studio sono emerse informazioni sulla frequenza di varianti in geni importanti per l’infezione che causa COVID-19 nella popolazione italiana, che sono stati messi a disposizione di studiosi di tutto il mondo. I risultati ottenuti hanno fornito le basi per sviluppare approcci più mirati di diagnostica e terapia ai pazienti affetti da COVID-19 e per identificare strategie terapeutiche più efficaci per affrontare questa difficile emergenza sanitaria.
Il contagio da Covid-19 non dipendererebbe tanto dall'età o dal sesso: sarebbero i fattori genetici a determinare l'infezione in maniera sintomatica anche grave o, al contrario, la refrattarietà, malgrado l'esposizione al virus.
E' quanto si evince dai risultati preliminari dello studio genetico sul coronavirus realizzato dall'Istituto per la Sicurezza sociale di San Marino, in collaborazione con il Dipartimento di Neuroscienze e riabilitazione dell'Università di Ferrara. I dati preliminari, elaborati su un terzo del campione di 823 persone, sono stati presentati oggi sul Titano dai vertici Iss, il direttore generale Alessandra Bruschi e il direttore sanitario Sergio Rabini, dell'infettivologo Massimo Arlotti, dal professore Michele Rubini dell'unità di Genetica medica dell'Università di Ferrara e dall'infermiera Anna Laderchi.
La ricerca, in particolare, ha lo scopo di identificare i fattori genetici che possono influenzare l'infezione da nuovo coronavirus, il Sars CoV-2, responsabile della malattia Covid-19. Lo studio che riguarda appunto un campione di 823 volontari, è partito nel novembre 2020, avrà una durata di due anni e si differenzia da altre indagini genetiche perché prende in considerazione non solo le persone infettate, ma anche coloro che, pur convivendo con casi di Covid-19, non hanno contratto il virus. L'individuazione dei volontari, tutti maggiorenni, è iniziata nel novembre 2020 e si è conclusa nel giugno 2021: da ogni soggetto inserito nello studio sono stati raccolti dati clinici e un campione di sangue, utilizzato per ottenere Dna, necessario per le successive indagini genetiche.
Tre quarti del campione selezionato aveva contratto il Covid-19, un quarto invece è stato esposto ad alto rischio infettivo. A questi si aggiungono 384 soggetti sani. In dettaglio, la casistica Covid-19 comprende per tre quarti pazienti con malattia lieve, quindi curata in trattamento domiciliare, il 10% pazienti con patologia moderata o grave che sono stati ospedalizzati, e il 15% circa di casi asintomatici. Al momento è in corso il completamento del database clinico e della biobanca di Dna e i risultati preliminari sono stati elaborati appunto su un terzo del campione complessivo. Questi esiti iniziali "sembrano confermare la presenza di fattori genetici associabili allo sviluppo di sintomatologia aseguito del contagio con coronavirus- spiegano Iss e Università di Ferrara- nonché una tendenza all'evoluzione grave della patologia". Una volta giunte a conclusione, le indagini genetiche analizzeranno sia le varianti genetiche, che possano dare refrattarietà all'infezione da coronavirus, sia le varianti che possano associarsi a uno sviluppo più grave della patologia respiratoria. Le analisi genetiche iniziate in giugno proseguiranno per tutto luglio e agosto e per avere infine i risultati conclusivi dello studio bisognerà attendere settembre.
"Gli over 60 non vaccinati corrono un rischio per loro stessi, non solo per la società. A ottobre ci sarà una recrudescenza della circolazione del virus e, purtroppo, con questa circolazione, anche se non paragonabile allo scorso anno, in ospedale andrà prevalentemente chi non si è vaccinato. Ed è un rischio troppo alto". Lo ha detto il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, intervenuto alla trasmissione Omnibus, su 'la 7' .
Gli over 60 ancora non vaccinati "dovrebbero andare a vaccinarsi non solo per proteggere la comunità ma per se stessi. Il rischio è che avremo i bambini più piccoli non vaccinabili, perché non c'è un vaccino per loro, poi avremo una fascia di persone sopra i 60 che non si è vaccinata", con la possibilità di infezione che passa dai bambini ai nonni non vaccinati che poi "vanno in terapia intensiva e muoiono. Oggi morire di nuovo coronavirus, avendo un vaccino, è una stupidaggine. Con la vaccinazione le possibilità di morte sono vicinissime allo zero", ha affermato.
Quanto alla campagna vaccinale, Sileri sostiene che "da metà luglio il numero di persone che chiederà di vaccinarsi contro Covid tenderà a scendere". Considerando "chi va in vacanza e chi dice 'perché devo vaccinarmi quando poi devo fare la terza dose?', e rimanda. Oppure gli esitanti o quelli che non sono no-vax ma poco manca. Le persone tenderanno a non vaccinarsi e dobbiamo aumentare la nostra campagna di informazioni e spingerli verso la vaccinazione. Io sono preoccupato di questo".
"Oggi - ha aggiunto - si parla di una riduzione del 5% delle forniture di vaccinazioni tra giugno e luglio, questo modestissimo calo, considerato che arriveranno 45 milioni di dosi di vaccino a mRna tra luglio e settembre, sarà inferiore rispetto alla riduzione delle richieste di prime vaccinazioni. Tra una due o tre settimane la richiesta dei cittadini calerà sostanzialmente".
Tutto questo non solo perché le persone vanno in vacanza. "Quando abbiamo raggiunto i 40 milioni di persone con la prima dose, sui 53 milioni di soggetti vaccinabili (8 milioni sono sotto i 12 anni e non vaccinabili), abbiamo sicuramente raggiunto un alto tasso di vaccinazione, ma non è non sufficiente per una protezione di comunità".
Servirà "convincere le persone che non si sono vaccinate", ha concluso Sileri ricordando che fortunatamente "i 2milioni e mezzo di 60enni, prima esitanti, si stanno avvicinando alla vaccinazione perché erano prevalentemente persone che non volevano AstraZeneca o J&J e ora si prenotano con un vaccino a mRna".
L’evoluzione favorevole della situazione epidemiologica in Ticino, l’accelerazione della campagna vaccinale e l’esperienza acquista durante il lungo periodo di emergenza COVID, che ha visto l’Ospedale Regionale di Locarno – La Carità diventare l’ospedale COVID del nostro Cantone, ha portato la Direzione dell’EOC a intraprendere un lavoro di rimodulazione del modello organizzativo.
Si passa, così, da un dispositivo di presa in carico centralizzata dei pazienti COVID ad uno decentralizzato. Quest’evoluzione, che segna l’inizio del ritorno a una “nuova normalità”, permetterà di garantire una presa in carico adeguata e sicura dei pazienti COVID così come dei pazienti non COVID in tutte le strutture ospedaliere EOC.
Decentralizzazione della presa in carico dei pazienti COVID
PS di tipo A
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Ospedale Civico
Ospedale San Giovanni
Ospedale Beata Vergine
Ospedale La Carità
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7/7 – 24h/24h
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PS di tipo B
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Ospedale Italiano
Ospedale di Faido
Ospedale di Acquarossa
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7/7 – 9h00 – 18h00
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Nel 2020, contestualmente alla pandemia di COVID-19, nove studi medici su dieci hanno subito una riduzione dell’attività, che in taluni casi si è spinta fino a una chiusura temporanea.
Per far fronte alle difficoltà economiche in cui si sono trovati, hanno adottato varie misure: il 35% degli studi ha fatto ricorso al lavoro ridotto, il 18% ad aiuti sotto forma di liquidità. Questi sono alcuni dei risultati dell’ultima rilevazione dei dati strutturali degli studi medici e dei centri ambulatoriali realizzata dall’Ufficio federale di statistica (UST) tra novembre 2020 e aprile 2021.
Tra metà marzo e fine aprile 2020, agli studi medici è stato vietato realizzare interventi e trattamenti non urgenti. In quel mese e mezzo, il 73% degli studi hanno constatato una riduzione dell’attività, mentre il 9% ha temporaneamente chiuso i battenti. Gli studi che praticano medicina specialistica con attività chirurgica sono stati quelli più colpiti; l’attività del 94% di loro è stata ridotta o interrotta. Questa situazione ha interessato il 66% degli studi di psichiatria, il settore di attività che meno ha subito l’impatto della pandemia.
Ripresa contrastante delle attività a partire da maggio
Alla fine di aprile sono state revocate le restrizioni delle attività ordinate agli studi medici. Tuttavia le loro attività sono tornate solo in parte alla normalità. Tra maggio e ottobre 2020, il 48% degli studi medici ha ripreso un livello di attività simile o superiore a quello registrato in un anno normale. Per il 46% di loro, invece, il livello di attività è rimasto inferiore al normale. Gli studi di medicina specialistica con attività chirurgica sono stati quelli più colpiti; per il 59% di loro l’attività si è mantenuta inferiore a quella svolta in un anno normale. Questa situazione ha interessato solo il 28% degli studi medico-psichiatrici, facendo della psichiatria l’ambito meno toccato dalla crisi.
L’attività di nove studi medici su dieci ridotta tra marzo e ottobre
Nell’intero periodo da marzo a ottobre 2020, l’attività dell’88% degli studi medici ha risentito delle conseguenze della pandemia di COVID-19. Per il 49% degli studi medici l’attività è stata ridotta o interrotta tra la metà di marzo e la fine di aprile, quando gli interventi e i trattamenti non urgenti erano proibiti, ed è poi rimasta inferiore a quella di un anno normale tra maggio e ottobre. Per il 39% degli studi medici, l’attività è stata ridotta tra la metà di marzo e la fine di aprile, ma è tornata alla normalità o addirittura aumentata tra maggio e ottobre. Solo il 12% degli studi medici ha potuto mantenere tutto il tempo un livello di attività normale o aumentarlo.
Un terzo degli studi medici ha fatto ricorso al lavoro parziale
Gli aiuti sotto forma di liquidità e il lavoro ridotto sono state le misure utilizzate più spesso per affrontare le difficoltà economiche legate alla pandemia. Tra marzo e ottobre 2020, il 35% degli studi medici ha fatto ricorso al lavoro ridotto per i propri dipendenti o per altre persone aventi diritto. Il 18% degli studi medici ha beneficiato di aiuti sotto forma di liquidità quali i prestiti COVID. Solo il 2% degli studi ha dovuto licenziare personale.
Le persone che lavoravano in proprio, più colpite, sono state anche quelle più aiutate
Il 60% dei medici indipendenti, che hanno interrotto temporaneamente la propria attività tra la metà di marzo e la fine di aprile 2020 e che tra maggio e ottobre 2020 non hanno recuperato il livello di attività di un anno normale, ha fatto ricorso ad almeno una di queste misure: lavoro ridotto, aiuti sotto forma di liquidità o indennità per perdita di guadagno (casi di rigore). La quota si attesta al 51% per i medici indipendenti che tra marzo e ottobre avevano un grado di attività inferiore al normale senza però interromperla, e al 36% per quelli che hanno ridotto l’attività solo tra la metà di marzo e la fine di aprile o per i quali per tutto il periodo da marzo a ottobre l’attività è rimasta a un livello simile a quella di un anno normale.
Sostegno all’attività degli ospedali
Nella fase iniziale della pandemia l’attività degli ospedali è stata particolarmente intensa, con un afflusso consistente di pazienti. Dalla metà di marzo alla fine di aprile 2020, nel 14% degli studi medici uno o più medici hanno ridotto o interrotto temporaneamente l’attività per dare man forte negli ospedali. Gli studi medici della Regione del Lemano e dell’Espace Mittelland sono quelli che maggiormente hanno fornito sostegno in questo senso, nella misura rispettivamente del 18 e 16%.
Fatica, astenia, febbre, mialgie: sono questi alcuni dei sintomi del Long Covid. A distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2 un numero importante di persone colpite da COVID-19 presenta manifestazioni cliniche non si esauriscono nelle prime settimane della fase acuta sintomatica ma possono prolungarsi, precludendo un pieno ritorno al precedente stato di salute.
Questa condizione di persistenza di sintomi, che può riguardare soggetti di qualunque età e con varia severità della fase acuta di malattia, è stata riconosciuta come una entità clinica specifica, denominata appunto Long-COVID. Questa condizione, sebbene ampia e variabile nella sintomatologia, ha richiesto la creazione di percorsi locali di diagnosi e assistenza basati su un approccio multidisciplinare. Il rapporto dell’ISS “Indicazioni ad interim sui principi di gestione del Long-COVID” sintetizza l’inquadramento attuale di questa nuova condizione e fornisce indicazioni generali per la sua presa in carico, in linea con le raccomandazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le manifestazioni cliniche del Long-COVID sono molto variabili e ad oggi non esiste un consenso sulle loro caratteristiche, poiché i sintomi attribuiti a questa condizione sono numerosi ed eterogenei e possono riguardare soggetti di qualunque età e con varia gravità della fase acuta di malattia. La mancanza di una definizione precisa di questa condizione e l’ampiezza dello spettro sintomatologico rendono difficile la valutazione epidemiologica. La grande variabilità di sintomi e segni clinici, infatti, possono presentarsi sia singolarmente che in diverse combinazioni. Possono essere transitori o intermittenti e possono cambiare la loro natura nel tempo, oppure possono essere costanti. In generale si considera che più grave è stata la malattia acuta, maggiore rischia di essere l’entità dei sintomi nel tempo.
Le possibili manifestazioni del Long-COVID, possono essere suddivise in due categorie: manifestazioni generali e manifestazioni organo-specifiche. Tra le prime vengono rilevate: fatica persistente/astenia, stanchezza eccessiva, febbre, debolezza muscolare, dolori diffusi, mialgie, artralgie, peggioramento dello stato di salute percepito, anoressia, riduzione dell’appetito, sarcopenia. Tra le seconde: problemi polmonari come dispnea, affanno e tosse persistente.
Tra gli altri sintomi sono descritti anche disturbi cardiovascolari, neurologici, gastrointestinali, psichiatrici.
E’ molto importante l’identificazione del paziente Long Covid. Proprio in considerazione della ampia gamma di sintomi e condizioni che lo caratterizzano, la valutazione delle persone affette da questa condizione deve essere multidimensionale e comprendere numerosi aspetti clinici, funzionali, cognitivi, psicologici e nutrizionali.
Appare fondamentale svolgere, infatti, una valutazione della storia clinica completa che comprenda:
Questi elementi rappresentano un set minimo di valutazioni da svolgere nei pazienti che presentino o riferiscano segni o sintomi attribuibili al COVID-19 presenti per più di 4 settimane dall’infezione acuta. Queste informazioni possono essere raccolte da operatori sanitari o tramite questionari autocompilati e autogestiti dal paziente. Per le persone anziane o che possano avere difficoltà nel riferire segni e sintomi è importante coinvolgere nella valutazione un membro della famiglia o un assistente.
Leggi il Rapporto completo
“È la prima conferenza scientifica sul Covid-19 che ribadisce il ruolo centrale delle Forze Armate nella lotta alla pandemia. C’è necessità di fare rete tra le imprese private, la costellazione delle industrie della difesa e i laboratori militari per migliorare le risposte a tematiche di questo tipo e dare dati e informazioni alla società civile e a tutte le Agenzie che operano in questo campo.” Questa l’introduzione del Generale Sebastiani, Ispettore generale della Sanità Militare.
All’evento hanno partecipato il Ministro della Difesa, On.le Lorenzo Guerini, i massimi vertici delle Forze armate e le tre aziende partner che hanno presentato le innovazioni testate dal Dipartimento scientifico del Policlinico Militare.
“L’attività di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico dell’Ispettorato generale della Sanità militare e del Dipartimento scientifico del Policlinico militare” ha proseguito il Gen. Sebastiani “ha portato a selezionare alcune aziende che saranno strategiche per il comparto militare. Quelli presentati sono dispositivi di sanificazione complementari che cambiano il paradigma della lotta al Covid. Sistemi e prodotti di sanificazione ambientale passiva e prevenzione, costanti, non inquinanti e in grado di coniugare la qualità dell’ambiente e la sicurezza delle persone. L’obiettivo è quello di continuare nell'azione di ricerca militare per rendere la Difesa un’organizzazione autosufficiente dotata di capacità di testare e produrre dispositivi medico-chirurgici che saranno strategici in futuro”.
Tra i progetti innovativi, la sperimentazione di Biovitae, la luce microbicida che utilizza frequenze dello spettro visibile (LED no-UV) che uccide i batteri ed è stata testata efficace anche sul Sars-Cov2 dal Dipartimento scientifico del Policlinico militare Celio a cui va attribuito il primato della scoperta a livello mondiale. La sperimentazione è stato un esempio virtuoso di collaborazione internazionale e interistituzionale tra Sanità Militare (Dipartimento Scientifico del Policlinico Militare), Sanità pubblica (ISS), l’Università La Sapienza di Roma e i due laboratori militari di Svezia e Germania che hanno partecipato allo studio multicentrico i cui risultati sono riportati in un articolo sotto revisione per la pubblicazione in peer review.
“È stato per noi un onore poter presentare la nostra tecnologia in un contesto così prestigioso. L’attività di ricerca svolta in collaborazione con il Dipartimento Scientifico del Policlinico Militare, i cui risultati sono stati ripresi e ulteriormente confermati e sviluppati da altri importanti enti di ricerca internazionali, ha consentito di dimostrare per la prima volta l’efficacia delle frequenze dello spettro visibile di BIOVITAE sul Sars-Cov2. Aver contribuito a un traguardo così prestigioso e qualificante per il nostro Paese è un fatto che ci riempie di orgoglio”, ha dichiarato Mauro Pantaleo, Presidente di Nextsense e del Gruppo P&P Patents and Technologies.
“Dall’inizio della pandemia la sanità militare ha fornito un contributo determinante per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Ora il lavoro deve continuare puntando su competenze e ricerca per far crescere la capacità di resilienza del Paese” così il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini intervenendo questa mattina al convegno dell’Ispettorato Generale della Sanità sul tema “Ricerca e Sanità Militare: disruptive Technology anti COVID-19 dalla diagnosi precoce alla sicurezza degli ambienti”.
“Non solo come Ministro ma anche come cittadino di una delle zone più colpite dall’emergenza Covid, ringrazio le Forze Armate per il lavoro svolto con impegno, generosità e disponibilità per aiutare il Paese nello sforzo collettivo per fronteggiare l’emergenza. Un lavoro encomiabile di fronte a sfide sanitarie divenute anche sfide sociali e infine sfide geopolitiche" ha concluso.
Il Consiglio federale ha discusso su come la Svizzera debba prepararsi ai mesi autunnali e invernali e all’eventualità di nuovo aumento dei contagi. In un rapporto ha presentato diversi scenari unitamente alle sue riflessioni strategiche. Di fondamentale importanza, la rapida individuazione di varianti preoccupanti del virus, la prosecuzione della campagna vaccinale e l’approntamento di risorse sufficienti per i test e il tracciamento dei contatti nei Cantoni.
Negli ultimi mesi la situazione epidemiologica è molto migliorata in Svizzera. Per l’andamento dell’epidemia nei prossimi mesi, il Consiglio federale prevede tre scenari, tutti e tre fondati sull’ipotesi che a lungo termine il virus diventerà endemico, cioè che non sparirà, ma continuerà a circolare tra la popolazione. Presto o tardi, la maggior parte delle persone entreranno in contatto con il virus e, se non vaccinate, ne saranno contagiate.
Tre scenari per l’autunno e l’inverno
Scenario 1: il numero di nuovi casi resta basso, anche se non possono essere esclusi piccoli focolai. Il numero di contagi può crescere leggermente con il cambio di stagione, ma senza conseguenze rilevanti per il sistema sanitario. I provvedimenti ancora in vigore possono essere revocati. La crisi è pertanto finita.
Scenario 2: il numero di nuovi casi riprende a crescere al più tardi in autunno o in inverno. I motivi possono essere diversi, per esempio la quota di persone non vaccinate, la revoca dei provvedimenti, il cambiamento di stagione o la comparsa di nuove varianti più infettive. La pressione sul sistema sanitario è tale da rendere necessario il mantenimento o la reintroduzione di determinati provvedimenti statali di base, quali l’obbligo della mascherina o le prescrizioni sulla distanza. Possono rendersi necessarie vaccinazioni di richiamo.
Scenario 3: compaiono una o più varianti contro cui la vaccinazione o la guarigione dalla malattia sono inefficaci o nettamente meno efficaci. Si scatena una nuova ondata pandemica. Sono necessari un forte intervento statale e una nuova vaccinazione.
La pianificazione a medio termine della Confederazione e dei Cantoni si concentra sullo scenario 2 e sui seguenti punti:
Individuare rapidamente nuove varianti preoccupanti
Quanto più rapidamente si identificano nuove varianti preoccupanti del virus, tanto più rapidamente se ne possono limitare l’importazione e la propagazione con provvedimenti mirati. Il Consiglio federale ha già deciso provvedimenti precauzionali, per esempio su come procedere alle frontiere. Nella sua seduta odierna ha incaricato il Dipartimento federale dell’interno (DFI) di rafforzare, in collaborazione con gli organi federali interessati e i Cantoni, il sistema di sorveglianza per l’identificazione di nuove varianti del virus e il monitoraggio della loro diffusione in Svizzera.
Incentivare la volontà di farsi vaccinare
Vaccinare una larga parte della popolazione è decisivo per sgravare l’assistenza sanitaria e gestire con successo l’epidemia. La ripresa o meno dei contagi in autunno dipenderà essenzialmente dalla quota di persone vaccinate. La campagna d’informazione sulla vaccinazione continua dunque con immutata intensità. Per la pianificazione a medio termine è fondamentale prepararsi all’eventuale necessità di una vaccinazione di richiamo e adeguare i vaccini alle nuove varianti del virus.
Preparare la vaccinazione di richiamo
Attualmente si ritiene che il vaccino protegga per almeno 12 mesi dalle forme lievi di COVID-19. Contro i decorsi gravi e le ospedalizzazioni si presume una protezione di oltre 12 mesi, che per gli adulti sani può essere anche molto più lunga. Al momento non è ancora noto per quanto tempo la vaccinazione protegga dal contagio. Per garantire una protezione sufficiente a lungo termine, saranno probabilmente necessarie al più presto dal prossimo inverno vaccinazioni di richiamo per determinati gruppi della popolazione o per tutte le persone già vaccinate.
Il Consiglio federale ha incaricato il DFI di avviare per tempo la preparazione della pianificazione e dell’attuazione delle vaccinazioni di richiamo coinvolgendo gli organi federali interessati e i Cantoni, che restano responsabili dell’organizzazione delle vaccinazioni e dell’approntamento delle risorse necessarie in loco. Il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport è incaricato di garantire la logistica dei vaccini, fintantoché non potrà essere ripresa dai consueti canali di distribuzione privati.
I vaccini omologati in Svizzera si sono dimostrati molto efficaci contro le varianti del virus comparse finora. Non si può tuttavia escludere che una nuova variante ne renda necessario un adeguamento. Grazie alla loro tecnologia, i vaccini a mRNA possono essere adattati a nuove varianti con relativa facilità e rapidità. Prima di poter iniettare vaccini modificati trascorreranno comunque nel migliore dei casi circa sei mesi.
Adeguare la strategia di test
I test devono continuare a essere facilmente accessibili a tutti. Chi presenta sintomi deve potersi sottoporre immediatamente al test. Le capacità di laboratorio devono poter essere potenziate rapidamente in caso di peggioramento della situazione epidemiologica. Una volta che saranno state vaccinate tutte le persone adulte che lo desiderano, la strategia di test dovrà essere adeguata. Con l’inizio della fase di normalizzazione, i test preventivi saranno ridotti, tranne che nelle scuole. La Confederazione invita i Cantoni a garantire, mediante test regolari, che l’attività scolastica possa proseguire senza provvedimenti restrittivi. Deve essere evitata nel limite del possibile l’insorgenza di focolai tra i bambini. Nei Paesi in cui la variante delta è predominante si registra un numero superiore alla media di infezioni nelle scuole. Non è ancora chiaro quando sarà possibile vaccinare i bambini sotto i 12 anni. Per questa fascia d’età non sono ancora disponibili risultati di studi specifici. Finora Swissmedic ha omologato soltanto un vaccino per i bambini e gli adolescenti a partire dai 12 anni.
Mantenere le risorse per il tracciamento dei contatti
Anche nel caso di un’ulteriore normalizzazione della vita sociale, il tracciamento dei contatti rimarrà un provvedimento determinante per isolare rapidamente i nuovi casi e contenere la propagazione del virus. Il tracciamento gioca un ruolo centrale soprattutto in caso di comparsa di varianti preoccupanti o per le persone particolarmente a rischio, quali gli ospiti delle case per anziani e delle case di cura. È quindi importante che i Cantoni mantengano o possano riattivare rapidamente le risorse necessarie.
Mantenere le risorse del sistema sanitario
In caso di nuovo aumento dei contagi devono essere disponibili sufficienti risorse, specialmente negli ospedali. Questo compito spetta ai Cantoni. Il sistema sanitario deve essere in grado di assorbire anche l’eventuale carico aggiuntivo causato dagli effetti a lungo termine sulla salute della COVID-19. È inoltre necessario continuare a monitorare l’impatto dell’epidemia e dei provvedimenti adottati sulla salute mentale.
Fine della situazione particolare
Il Consiglio federale si è occupato anche della questione della fine della situazione particolare ai sensi della legge sulle epidemie. La situazione particolare termina quando non sussiste più alcuna emergenza sanitaria globale a causa della minaccia rappresentata dal SARS-CoV-2 e non vi è più alcun pericolo per la salute pubblica in Svizzera.
Altri temi oggetto della pianificazione a medio termine
Nella sua analisi per i prossimi mesi, il Consiglio federale ha discusso anche di altri temi, quali l’approvvigionamento di materiale medico, le ripercussioni sociali a lungo termine, aspetti internazionali, le disposizioni sull’entrata in Svizzera, la gestione della crisi e i sistemi digitali. La maggior parte di questi temi riguarda la Confederazione e i Cantoni
L’app SwissCovid viene estesa
Nella sua seduta odierna il Consiglio federale ha inoltre deciso di integrare all’inizio di luglio nell’app SwissCovid una funzione di check-in, che completa in modo mirato il tracciamento dei contatti. Il sistema decentralizzato non registra alcun dato personale e non utilizza né Bluetooth né GPS. La funzione di check-in è prevista per eventi più piccoli, ad esempio per incontri privati, allenamenti sportivi, prove di cori e piccoli concerti o riunioni di lavoro. Gli organizzatori possono creare direttamente nell’app un codice QR che gli ospiti scansionano al loro arrivo effettuando così il check-in. Al momento di partire, confermano nell’app di aver lasciato l’evento. Le informazioni sono memorizzate localmente sul cellulare per 14 giorni e in seguito automaticamente cancellate. Se uno dei partecipanti risulta successivamente positivo al test e inserisce il codice Covid nell’app SwissCovid, sarà inviata automaticamente una notifica a tutte le altre persone che erano presenti allo stesso tempo all’evento.
Programma di promozione per medicamenti contro la COVID-19
Il Consiglio federale ha infine deciso di affidare all’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e a Innosuisse l’attuazione del suo programma di promozione per medicamenti contro la COVID-19. L’UFSP deciderà in merito agli aiuti finanziari, Innosuisse sarà responsabile dei bandi e della valutazione tecnica dei progetti presentati. Lo scopo del programma è promuovere la ricerca, lo sviluppo e la produzione di medicamenti contro la COVID-19 per contribuire a un approvvigionamento sicuro e rapido della popolazione svizzera. I criteri del programma e la procedura di presentazione delle domande saranno pubblicati ancora in luglio. Il programma si concluderà alla fine del 2022.
Un aumento marcato dell'incidenza nei mesi di ottobre e novembre 2020, in corrispondenza della seconda ondata epidemica, e poi un calo progressivo dalla fine di febbraio fino al mese di maggio e giugno 2021, ovvero dopo l'inizio della campagna vaccinale.
E' questo il trend temporale dell'epidemia di COVID-19 nelle strutture residenziali socio-sanitarie italiane disegnato dalla sorveglianza effettuata dall'Iss, che dal 5 ottobre 2020 al 13 giugno 2021, ha monitorato 845 strutture per un totale di 30.906 posti letto. Di queste strutture, 361 erano strutture residenziali per anziani non autosufficienti, per un totale di 15.852 posti letto. Analogo l'andamento dell'incidenza di casi di COVID-19 tra gli operatori sanitari delle medesime strutture residenziali, con un declino nel numero di nuovi casi dopo l'inizio della campagna vaccinale, più evidente nelle ultime settimane di febbraio e da marzo a giugno 2021. Così in un comunicato l'Iss.
In dettaglio: l'incidenza settimanale di COVID-19 nelle strutture residenziali ha raggiunto nel mese di novembre 2020 un picco del 3,2% nelle strutture residenziali per anziani e del 3,1% in tutte le strutture residenziali, in linea con quanto osservato nella popolazione generale. Dalla fine di febbraio si osserva un calo costante e marcato dei nuovi casi di COVID-19 fino a raggiungere valori prossimi allo 0,01% di nuovi casi per settimana nel mese di maggio e giugno 2021. Simile andamento ha avuto il numero di strutture residenziali, per le quali si è registrato almeno un nuovo caso di COVID-19 tra i residenti rapportato al numero totale di strutture residenziali. Dalla metà di ottobre alla metà di novembre 2020 è stata registrata la maggior percentuale di strutture residenziali con almeno un caso COVID-19 tra i residenti (l'11% nelle strutture per anziani e il 9% in tutte le altre strutture). Tale percentuale è andata progressivamente riducendosi, fino a raggiungere valori inferiori allo 0,01% nelle strutture residenziali per anziani e pari a 0,1% in tutte le strutture residenziali nell'ultima settimana di rilevazione (dal 7 al 13 giugno 2021).
La percentuale di residenti SARS-CoV-2 positivi trasferiti settimanalmente in ospedale rispetto al totale dei residenti in struttura ha subìto un decremento dalla seconda metà di gennaio 2021, fino a raggiungere valori inferiori allo 0,01% in tutte le strutture residenziali nella settimana dal 7 al 13 giugno 2021. In maniera simile, l'indicatore relativo alla percentuale dei decessi di pazienti SARS-CoV-2 positivi avvenuti nelle strutture residenziali in rapporto al totale dei residenti ha subìto una marcata riduzione nelle settimane di maggio e giugno 2021, raggiungendo valori inferiori allo 0,01% nella settimana dal 7 al 13 giugno 2021 per entrambi i tipi di strutture considerate. Il dato sulla vaccinazione COVID-19 tra i residenti è stato raccolto solo dal 26 aprile 2021: a giugno 2021 il 90% dei residenti nelle strutture residenziali per anziani non autosufficienti e l'85% dei residenti in tutte le strutture ha ricevuto il ciclo completo di vaccino anti-SARS-CoV-2.
L'indagine mostra dunque che, se l'andamento dell'epidemia nelle strutture residenziali da ottobre 2020 a giugno 2021 è stato in linea con quanto osservato nella popolazione generale, in tali strutture, si è osservata tuttavia, in controtendenza con il dato nazionale, una progressiva riduzione dei casi COVID-19, degli isolamenti, delle ospedalizzazioni di residenti SARS-CoV2 positivi e dei decessi nei mesi di febbraio-aprile 2021. Un dato che è frutto presumibilmente della campagna vaccinale, che ha interessato in maniera prioritaria gli ospiti di tali strutture, insieme a tutto il personale sanitario.
La riduzione dei casi e dei decessi COVID-19 è proseguita in maniera consistente e continua anche nei mesi di maggio e giugno, fino ad osservarne una quasi totale scomparsa. I dati sui tamponi eseguiti in struttura mostrano che nei primi mesi del 2021 è stato eseguito un numero costante di tamponi (in media 39 tamponi per 100 residenti nelle strutture residenziali per anziani e 34 tamponi per 100 residenti in tutte le strutture). L'attenzione diagnostica delle strutture si è perciò mantenuta elevata durante e dopo l'avvio della campagna vaccinale, iniziata il 27 dicembre 2020.
Sebbene i dati indichino una quasi totale scomparsa dei nuovi casi di COVID-19 nelle strutture residenziali, le attività di monitoraggio in queste strutture dovranno necessariamente proseguire, per valutare la ripresa di eventuali nuovi focolai epidemici nel periodo autunnale. Inoltre, poiché la durata della copertura vaccinale non è nota, i dati relativi alla comparsa di nuovi focolai di COVID-19 saranno utili per valutare la necessità di eseguire richiami vaccinali in questa popolazione nel medio-lungo periodo.
Il Consiglio federale ha adeguato l’ordinanza sui certificati COVID-19, per introdurre il «certificato light» con dati ridotti al minimo. Con il «certificato light», disponibile unicamente in versione elettronica e riconosciuto solo in Svizzera, dal 12 luglio 2021 i titolari di certificati COVID-19 potranno generare una copia del certificato senza dati sanitari.
L’ordinanza è stata modificata per introdurre il cosiddetto «certificato light», che permette ora di generare nell’applicazione «COVID Certificate» una copia del certificato con dati ridotti al minimo. La copia indica semplicemente l’esistenza di un certificato valido, ma non contiene i dati sanitari. Il certificato con dati ridotti al minimo è un’alternativa al certificato COVID-19 ed è stato sviluppato su richiesta dell’incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza (IFPDT), poiché le applicazioni autosviluppate per verificare i certificati COVID-19 consentirebbero a terzi di visualizzare i dati sanitari, ad esempio il vaccino somministrato o la data della vaccinazione. Ciò può essere evitato mediante il «certificato light» .
Dal 12 luglio 2021 i titolari di certificati COVID-19 potranno generare una copia del certificato senza dati sanitari. Questa copia è riconosciuta in Svizzera come attestato valido e può essere emessa solo elettronicamente.
La modifica concerne anche altre disposizioni dell’ordinanza, ad esempio l’assunzione dei costi per la stampa e la trasmissione dei certificati di vaccinazione COVID-19. Fino al 14 luglio 2021 la Confederazione assume questi costi per le persone completamente vaccinate. A partire da tale data i Cantoni potranno consegnare il certificato subito dopo la vaccinazione. Se i Cantoni continueranno a utilizzare la soluzione federale centrale per la stampa e la trasmissione, la Confederazione fatturerà loro i relativi costi.
L’istituto Europeo di Oncologia, in collaborazione con l’Università di Milano e con il sostegno di Confindustria Cisambiente, dà il via allo studio clinico “Se ti fiuto ti aiuto”, che prevede di addestrare due cani a fiutare il Covid nelle persone asintomatiche, sfruttando la potenza straordinaria del loro olfatto.
Gli esperti a quattro zampe, da settembre presidieranno con i loro tutor l’ingresso dello IEO, per effettuare uno screening anti-covid su chi acconsentirà a farsi fiutare. L’obiettivo del progetto, sponsorizzato e patrocinato da Confindustria Cisambiente – Associazione Nazionale Transizione Ecologica - è proteggere ancora meglio i pazienti IEO dal virus, riducendo l’uso dei tamponi molecolari grazie a un metodo naturale, il fiuto dai cani, che è altrettanto accurato, meno invasivo e può essere eseguito in tempo reale, senza richiedere tempi di esecuzione e attesa del risultato.
“Ormai è evidente che i centri specialistici come IEO sono Covid-safe, ma le sacrosante misure di sicurezza per l’accesso all’ospedale possono ancora rappresentare una barriera alla piena ripresa soprattutto delle visite di diagnosi precoce – spiega Roberto Gasparri della Divisione di Chirurgia Toracica IEO , sperimentatore principale dello studio- Abbiamo quindi bisogno di strumenti di screening aggiuntivi, che siano più veloci, non invasivi, versatili soprattutto nell’identificazione di individui asintomatici.
L’uso di odori corporei emessi sotto forma di composti volativi (VOCs) è negli ultimi anni un filone importante della ricerca scientifica. Malattie come cancro, disturbi metabolici, infezioni, possono modificare i componenti dei VOCs, e portare alla produzione di VOCs specifici per la malattia, che possono essere rilevati abbastanza precocemente, come biomarcatori diagnostici. I cani, grazie al loro sistema olfattivo caratterizzato da una soglia di percezione di parti del trilione, hanno già dimostrato, in uno nostro studio del 2016, la loro abilità di percepire VOCs specifici del cancro del polmone, annusando le urine.”
La Divisione di Chirurgia Toracica IEO, diretta dal Prof. Lorenzo Spaggiari, è pioniere in Italia nella ricerca di test in grado di anticipare la diagnosi del tumore del polmone per aumentare guaribilità e controllo della malattia.
“Se ti fiuto, ti aiuto” è uno studio prospettico monocentrico accolto con grande entusiasmo da Confindustria Cisambiente che dedica enormi risorse al mondo faunistico e al benessere della Società. Il protocollo sperimentale si svolgerà in due fasi: la prima, della durata di circa 4 settimane, riguarderà l’addestramento cinofilo che sarà effettuato presso il Laboratorio di FisioEtologia dell’Università di Milano, nel quale i cani saranno addestrati con campioni di sudore, prelevati da 100 soggetti positivi al test, 500 negativi e 100 soggetti vaccinati. Ai soggetti aderenti allo studio verrà semplicemente chiesto di tenere sotto l’ascella un piccolo cilindro di plastica per 20 minuti, per la raccolta dei campioni. I cani verranno addestrati a scoprire la presenza del virus fiutando i campioni, sulla base del condizionamento operante, con una ricompensa alimentare per il comportamento corretto.
Per rendere più veloce l’addestramento si vorrebbe utilizzare il dispositivo “Detection DOG Training System” che permette la presentazione automatizzata e randomizzata di campioni, così come la distribuzione automatica delle ricompense. La seconda fase, si svolgerà all’ingresso dell’Istituto Europeo di Oncologia, con il fine di effettuare simulazioni sull’uomo prima di arrivare alla sua validazione. Gli individui localizzati dai cani come sospetti positivi, saranno isolati in un locale adibito in IEO e sottoposti a successivo tampone molecolare per la conferma.
“Il Progetto “Se ti fiuto ti aiuto anti-Covid” dell’Istituto Europeo di Oncologia è stato da noi accolto con entusiasmo; non solo per lo sviluppo immediato che avrà nei confronti delle fasce più delicate e fragili (bambini e anziani), ma anche considerando la grande possibilità di divenire strumento di screening in centri di agglomerazione obbligatoria come gli aeroporti, le stazioni o i centri sportivi e di manifestazione pubblica. Dal 14 aprile 2021 giorno dell’evento “I veri amici sono loro” di Confindustria Cisambiente, crediamo sempre più nella zampa amica di madre natura e nel naso dei nostri amici cani” dichiara Lucia Leonessi, Direttore Generale Confindustria Cisambiente.
La Commissione Europea annuncia un primo portafoglio di cinque trattamenti che "potrebbero essere presto disponibili per curare i malati nell'Ue". Quattro di queste terapie sono anticorpi monoclonali, che sono in rolling review da parte dell'Ema.
Il quinto è un immunosoppressore, che ha un'autorizzazione alla commercializzazione che potrebbe essere estesa anche alla cura dei malati di Covid.
Per la commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, "anche se la vaccinazione sta prendendo velocità, il virus non sparirà e i pazienti avranno bisogno di cure sicure ed efficaci per ridurre il peso della Covid-19".
I cinque prodotti, spiega la Commissione, sono in una fase di sviluppo "avanzato" e hanno un "elevato potenziale" di essere "tra le tre nuove terapie per la Covid-19 che riceveranno l'autorizzazione entro ottobre 2021", obiettivo fissato dalla strategia, sempre che si rivelino sicuri ed efficaci.
Nel dettaglio si tratta di una nuova indicazione per un farmaco esistente, l'immunosuppressore Baricitinib (un farmaco che riduce l'attività del sistema immunitario), prodotto da Eli Lilly. La richiesta è sotto esame all'Ema.
Gli altri quattro sono anticorpi monoclonali, che l'Ema ha attualmente in rolling review, una procedura accelerata di revisione dei dati clinici. Si tratta, in particolare, di una combinazione del Bamlanivimab e dell'Etesevimab di Eli Lilly; di una combinazione di Casirivimab e Imdevimab di Regeneron Pharmaceuticals e Roche; del Regdanivimab di Celltrion; del Sotrovimab di GlaxoSmithKline e Vir Biotechnology.
La strategia Ue sulle terapie per la Covid-19 non è altro che la replica del metodo utilizzato per i vaccini, che si è rivelato sul medio periodo un successo, cioè centralizzare, a livello della Commissione Europea, l'acquisto dei farmaci, per conto dei 27 Stati membri. Non si tratta di un piano segreto: è stato comunicato ufficialmente dalla Commissione il 6 maggio scorso.
La strategia riguarda l'intero ciclo di vita dei farmaci, dalla ricerca, allo sviluppo fino alla manifattura, all'acquisto e alla distribuzione. Fa parte di quell'Unione della salute che la Commissione di Ursula von der Leyen sta tentando di costruire, sulla base delle dure lezioni impartite dalla pandemia di Covid-19. L'obiettivo iniziale era quello di autorizzare tre cure per la Covid entro ottobre e altre due entro fine anno.
Uno studio in pre-print su Lancet evidenzia che entrambi i programmi "misti" (Pfizer-BioNTech seguito da Oxford-AstraZeneca e Oxford-AstraZeneca seguito da Pfizer-BioNTech) hanno indotto alte concentrazioni di anticorpi contro SARS-CoV2 picco di proteine ??IgG quando le dosi sono state somministrate a distanza di quattro settimane.
Ciò significa che tutti i possibili programmi di vaccinazione, che coinvolgono i vaccini Oxford-AstraZeneca e Pfizer-BioNTech potrebbero essere potenzialmente utilizzati contro il COVID-19.
"Lo studio Com-COV ha valutato le combinazioni 'mix and match' dei vaccini Oxford e Pfizer per vedere fino a che punto questi vaccini possono essere utilizzati in modo intercambiabile, consentendo potenzialmente flessibilità nel Regno Unito e nel lancio globale dei vaccini- afferma Matthew Snape, professore associato di pediatria e vaccinologia presso l'Università di Oxford e capo ricercatore dello studio- I risultati mostrano che, se somministrati a un intervallo di quattro settimane, entrambi i programmi misti inducono una risposta immunitaria che è al di sopra della soglia stabilita dal programma standard del vaccino Oxford/AstraZeneca. I ricercatori desiderano ringraziare i partecipanti che hanno reso possibile questo importante studio.'
Da notare che l'ordine dei vaccini ha fatto la differenza, con un programma Oxford-AstraZeneca/Pfizer-BioNTech che induce anticorpi e risposte dei linfociti T più elevati rispetto a Pfizer-BioNTech/Oxford-AstraZeneca, ed entrambi questi inducono anticorpi più elevati rispetto a quelli autorizzati, e un programma Oxford-AstraZeneca a due dosi "standard" altamente efficace. La più alta risposta anticorpale è stata osservata dopo il programma Pfizer-BioNTech a due dosi e la più alta risposta delle cellule T da Oxford-AstraZeneca seguita da Pfizer-BioNTech.
"Questi risultati sono una guida inestimabile per l'uso di schemi di dosaggio misti, tuttavia l'intervallo di quattro settimane studiato qui è più breve del programma di 8-12 settimane più comunemente usato per il vaccino Oxford-AstraZeneca. È noto che questo intervallo più lungo si traduce in una migliore risposta immunitaria e i risultati per un intervallo di 12 settimane saranno disponibili a breve", aggiunge Snape.
Il vicedirettore medico, il professor Jonathan Van-Tam afferma: "I dati di oggi sono un passo avanti fondamentale, poiché mostrano che un programma misto offre alle persone un'immunità protettiva contro il COVID-19 dopo quattro settimane. Allo stesso modo, offrono prove a sostegno del fatto che le raccomandazioni JCVI standard (non miste) per la vaccinazione COVID-19 producono tutte risposte immunitarie altamente soddisfacenti, per entrambi i principali vaccini in uso. Data la posizione di fornitura stabile del Regno Unito, non c'è motivo di modificare i programmi di vaccinazione in questo momento. I risultati per l'intervallo di 12 settimane, che devono ancora arrivare, avranno un ruolo fondamentale nelle decisioni sul futuro del programma di vaccinazione del Regno Unito.
Il nostro programma di vaccinazione non misto (omologo) ha già salvato decine di migliaia di vite in tutto il Regno Unito, ma ora sappiamo che la miscelazione delle dosi potrebbe fornirci una flessibilità ancora maggiore per un programma di richiamo, supportando anche i Paesi che devono andare avanti con il loro lanci di vaccini e che potrebbero avere difficoltà di approvvigionamento".
ha dichiarato: "Sappiamo che il programma a due dosi di Oxford-AstraZeneca è altamente efficace e ha contribuito a salvare molte vite. Il fatto che ora sappiamo che funziona bene, in termini di risposte immunitarie, quando combinato con il vaccino Pfizer fornisce ai ricercatori la preziosa conoscenza che questi vaccini potrebbero essere utilizzati in modo flessibile per coloro che devono ancora essere vaccinati nel Regno Unito e nel mondo -sottolinea il professor Andrew Ustianowski, responsabile clinico NIHR per il programma di vaccinazione COVID-19 e responsabile congiunto sulle infezioni- Sarebbe stato impossibile scoprire questi risultati senza la volontà e gli sforzi dei partecipanti alla ricerca in tutto il paese. Ancora una volta hanno lavorato a fianco dei ricercatori per aiutare a porre fine alla diffusione di COVID-19".
Durante un mini-simposio all'81° Sessione Scientifica del Congresso americano di diabetologia ADA, tre esperti hanno esplorato come i recenti progressi modelleranno la comprensione del ruolo dei virus nei processi delle malattie autoimmuni.
Nel corso della sessione, "COVID-19 e oltre - Virus nel diabete pediatrico" , sono state discusse le associazioni scoperte durante la nuova pandemia di coronavirus e quelle consolidate che guidano il lavoro nel campo.
“Nel mini-simposio abbiamo dato un'occhiata a come i virus nel tempo hanno avuto un impatto sul rischio di diabete pediatrico, oltre a evidenziare come il COVID-19 stia influenzando il diabete pediatrico di nuova insorgenza, le sue complicanze e interventi comportamentali", racconta la prof.ssa Kendra Vehik, epidemiologa presso l'Health Informatics Institute dell'Università della Florida meridionale.
Negli ultimi decenni, ampi studi di prospettiva pediatrica hanno dimostrato che molti virus sono coinvolti nel processo autoimmune del diabete di tipo 1 e hanno contribuito a identificare la relazione tra virus e rischio di autoimmunità delle isole e diabete di tipo 1. La prof.ssa Vehik ha illustrato le intuizioni più recenti, che spostano il campo verso approcci più integrativi, per comprendere meglio l'interazione tra virus, genetica e sistema immunitario umano.
"L'età al momento dell'infezione e la durata dell'infezione influenzano il rischio di autoimmunità -aggiunge- La relazione tra virus, background genetico e sistema immunitario è coinvolta in questo processo autoimmune che porta alla malattia".
Sono in arrivo nuove ricerche su come diversi virus possono lavorare insieme nel tempo per modificare i rischi di autoimmunità generale delle isole, comprese informazioni su come i virus possono modificare il rischio di fenotipi autoimmuni specifici per il diabete di tipo 1.
L'endocrinologa pediatrica Mary Pat Gallagher ha discusso dell'epidemiologia di COVID-19 e il diabete pediatrico. È direttrice del Robert I. Grossman, MD ed Elisabeth J. Cohen, MD Pediatric Diabetes Center e Assistant Professor presso il Dipartimento di Pediatria dell'Hassenfeld Children's Hospital della NYU Langone. Invece la dottoressa Carrie Tully, psicologa pediatrica e assistente professore presso il Children's National Health System, ha affrontato gli interventi comportamentali per i pazienti pediatrici con diabete nel mezzo di COVID-19.
"L'Africa Sub-Sahariana è alle prese con una terribile diffusione del COVID-19. Al ritmo attuale di contagi, l'attuale ondata supererà la precedente entro poche settimane. Mentre le varianti più contagiose si diffondono, i vaccini continuano a raggiungere l'Africa in modo pericolosamente lento e gli ospedali sono spinti oltre le loro capacità.
L'impatto sui bambini continua a essere devastante. Per fornire un rapido quadro regionale: in Uganda c'è stato un aumento del 2.800% di nuovi casi di COVID-19 tra marzo e giugno 2021. La disponibilità di ossigeno in Uganda è diventata questione di vita o di morte; In Namibia, la scorsa settimana, si è verificato il più alto tasso di mortalità in Africa. Gli ospedali sono pieni e non ci sono abbastanza bombole di ossigeno. Secondo il Ministro della Salute, la Namibia sta affrontando oltre 1.000 nuovi casi di COVID-19 e 30 morti al giorno.
Questo è un tasso di mortalità elevato per un paese che conta 2,5 milioni di persone; In Repubblica Democratica del Congo, il quadro è altrettanto scoraggiante con bassi tassi di vaccinazione e strutture sanitarie scarse; in Sudafrica una terza ondata minaccia di essere ancora peggiore delle due precedenti, mettendo sotto sforzo un sistema sanitario già provato. Finora, solo 2,5 milioni di persone hanno ricevuto almeno una vaccinazione, su una popolazione di circa 57 milioni. Eppure questo è uno dei tassi di vaccinazione più alti del continente. Infatti, se guardiamo la situazione in tutto il mondo, sono state somministrate circa 2,7 miliardi di dosi. Di queste, solo l'1,5% circa è stato somministrato nel continente.
Cosa significa tutto questo per un bambino in Africa subsahariana? La perdita dei genitori e dei nonni che si prendono cura di tanti bambini; Meno istruzione e più abusi. Il COVID-19 ha rappresentato un colpo devastante per l'istruzione. Per esempio, l'UNICEF stima che 9 milioni di bambini nell'Africa orientale e meridionale non sono mai tornati in classe da quando le scuole hanno iniziato ad aprire; E ora le scuole che hanno riaperto stanno ricominciando a chiudere; Maggiore ansia e stress per i bambini, a causa di isolamento, reclusione e perdita di reddito famigliare; Peggioramento dell'assistenza sanitaria: le visite prenatali, le vaccinazioni di routine e le cure per la malaria sono in calo; in alcuni paesi di oltre il 20%, il che porta a un'inversione delle tendenze positive;
Scarsa nutrizione, accesso e difficoltà economiche stanno rendendo più difficile affrontare l'HIV/AIDS; Peggioramento della violenza di genere, degli abusi, delle gravidanze in età adolescenziale e del lavoro minorile a causa di tensioni economiche senza precedenti. La situazione economica sta facendo infrangere il record della povertà, e nessun paese è stato risparmiato. Si stima che 50 milioni di persone siano state spinte nella povertà estrema in Africa subsahariana dall'inizio dell'anno. La povertà infantile è ulteriormente peggiorata. Sulla base delle definizioni nazionali, i tassi di povertà tra i bambini nell'Africa sub-sahariana sono balzati del 10% dall'inizio del 2020, e stanno peggiorando. In risposta l'UNICEF continua a supportare i Governi, l'Oms e altri partner per rispondere alla crisi sanitaria da COVID-19 e gli impatti secondari sui bambini e le famiglie:
Fornendo e distribuendo vaccini contro il COVID-19, soprattutto per gli operatori sanitari e essenziali; Rafforzando i sistemi sanitari e della catena del freddo; Procurando bombole d'ossigeno; Firmando accordi con aziende; Lavorando con linee aeree per assicurare la capacità di trasporto; Anche prima del COVID-19, l'UNICEF era il più grande acquirente singolo di vaccini al mondo, fornendo oltre 2 miliardi di vaccino ogni anno per raggiungere quasi la metà dei bambini sotto i 5 anni nel mondo; chiedendo ai Governi di consentire ai bambini di andare a scuola o ricevere un'istruzione e fornire acqua e servizi igienici alle scuole di tutto il continente;
Aumentando i trasferimenti di denaro ai più vulnerabili, anche incrementando i contributi attraverso una struttura di finanziamento globale alimentata dai risparmi della riduzione del debito, dai fondi delle istituzioni economiche internazionali e dall'adempimento degli impegni di assistenza allo sviluppo da parte dei governi donatori; Fornendo supporto per la salute mentale e psicosociale ai bambini e alle loro famiglie; Prevenendo la separazione delle famiglie e rafforzare l'assistenza familiare e comunitaria; proteggendo i bambini da pratiche dannose, come il matrimonio infantile. I Governi devono dare priorità alle scuole tenendole aperte e sicure; questo può essere fatto applicando le linee guida che comprendono distanziamento, turnazioni, indossare mascherine e lavare le mani.
Naturalmente il percorso più sicuro per uscire da questa pandemia è una distribuzione globale ed equa di vaccini, terapie e strumenti diagnostici. La corsa globale alla vaccinazione sarà vinta quando gli Stati membri faranno piani sostenibili per finanziare e sostenere completamente l'iniziativa COVAX, supportando al contempo l'espansione della capacità di produzione del vaccino, anche attraverso la concessione proattiva di licenze di proprietà intellettuale e il trasferimento tecnologico.
Queste misure sono fondamentali, ma non cambieranno nulla dall'oggi al domani. Condividere immediatamente le dosi in eccesso disponibili è una misura minima, essenziale e di emergenza, ed è necessaria adesso. Così come il finanziamento per sostenere il lancio dei vaccini. Come parte del suo appello umanitario annuale per i bambini, l'UNICEF ha chiesto 659 milioni di dollari per aiutare i paesi con la consegna di vaccini, terapie e strumenti diagnostici nel 2021".
"Riteniamo che la vaccinazione con tecnica mRNA protegga gli adulti per circa 16 mesi da forme lievi di COVID-19 e per tre anni dalle forme gravi. Per gli adulti la durata della protezione è verosimilmente più breve, rispettivamente di circa 10-14 mesi e 15-24 mesi. La protezione a seguito di un’infezione naturale è più breve rispetto a quella in seguito a vaccinazione". E' quanto afferma la Task Force Covid-19 della Svizzera.
"Sia l’infezione naturale che la vaccinazione offrono protezione contro la trasmissione di SARS-CoV-2 e contro la malattia COVID-19, attivando risposte immunitarie antivirali. In particolare, la produzione di anticorpi specifici contro il virus è importante ai fini della prevenzione dell’infezione e della malattia.
La durata della protezione è un fattore cruciale per determinare la necessità e le tempistiche della vaccinazione di richiamo e la validità dei certificati COVID a seguito di vaccinazione o guarigione. Nei soggetti di età inferiore a 65 anni, secondo le stime una pregressa infezione da SARS-CoV-2 fornisce per 8 mesi un livello di protezione pari ad almeno il 50% contro il rischio di nuova infezione e di forme gravi della malattia e per 16 mesi una protezione dell’80% contro forme gravi della malattia.
Per gli ultrasessantacinquenni si prevede una minore durata della copertura: 3-6 mesi contro le forme lievi della malattia e 10-12 mesi contro quelle gravi. La somministrazione di due dosi di vaccino a mRNA (quali Pfizer/Biontech o Moderna) induce risposte anticorpali dalle 2 alle 4 volte maggiori rispetto a dopo un’infezione naturale. La copertura durerà più a lungo: 50% di protezione per 16 mesi contro forme lievi della malattia e 80% contro forme gravi durante tre anni in soggetti al di sotto dei 75 anni. Per le persone di fascia di età superiore, riteniamo che la copertura sia più breve: 7-10 mesi (forme lievi della malattia) e 15-24 mesi (forme gravi).
Queste stime si basano su studi da cui emerge che la concentrazione di anticorpi specifici contro SARS-CoV-2 dopo infezione o vaccinazione decade con un’emivita di circa 100 giorni. Secondo le stime degli scienziati, è necessario circa il 20% della risposta iniziale di anticorpi dopo l’infezione per fornire il 50% di protezione contro il rischio di una nuova infezione e di una forma lieve della malattia e che il 3% del volume iniziale serva da protezione contro le forme gravi della malattia. I livelli di anticorpi richiesti per proteggersi dalle varianti del virus come la Delta sono tuttavia cinque volte maggiori.
Pertanto, la durata della protezione sarà più breve di quanto previsto se le varianti dei virus diventeranno dominanti e anticipare le vaccinazioni di richiamo può essere indicato in particolare per le persone anziane. Gli attuali dati suggeriscono che la durata di 6 mesi del certificato COVID sembra appropriata dopo un’infezione di SARS-CoV-2. Per i soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale con vaccini a mRNA, sembra giustificabile sul piano scientifico un’estensione della durata del certificato a 12 mesi."