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- The risk of developing severe COVID-19 disease for a fully vaccinated individual is very low in younger adults and middle-aged adults with no risk factors for severe COVID-19, and low in older adults or people with underlying risk factors.
- The risk of developing severe COVID-19 disease for an unvaccinated individual who has been in contact with a fully vaccinated person exposed to SARS-CoV-2 infection is very low to low in younger adults and middle-aged adults with no risk factors for severe COVID-19, and moderate in older adults or persons with underlying risk factors (limited evidence available so far).
- When fully vaccinated individuals meet other fully vaccinated individuals (very low/low risk), physical distancing and the wearing of face masks can be relaxed;
- When an unvaccinated individual or unvaccinated individuals from the same household or social bubble meet fully vaccinated individuals, physical distancing and the wearing of face masks can be relaxed if there are no risk factors for severe disease or lower vaccine effectiveness in anyone present (e.g. older age, immunosuppression, other underlying conditions);
- When contact tracing, vaccinated contacts who have been exposed to a confirmed case should continue to be managed according to existing ECDC guidance. However, health authorities may consider undertaking a risk assessment on a case-by-case basis and subsequently classify some fully vaccinated contacts as low-risk contacts. Factors that need to be taken into consideration in such assessments include, for example, the local epidemiological situation in terms of circulating?variants, the type?of vaccine received, and the age of the contact. The risk of onward transmission to vulnerable persons by the contact should also be considered.
- Requirements for testing and quarantine of travellers (if implemented) and regular testing at workplaces can be waived or modified for fully vaccinated individuals as long as there is no or very low level circulation of immune escape variants (in the community in the country of origin, in the case of travellers).
- In the current epidemiological context in the EU/EEA, in public spaces and in large gatherings, including during travel, NPIs should be maintained irrespective of the vaccination status of the individuals.
- Countries considering relaxing measures for fully vaccinated people should take into account the potential for uneven inequitable vaccine access across the population.
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Continua a diminuire la popolazione: al 1° gennaio 2021 i residenti in Italia ammontano a 59 milioni 259mila, 384mila in meno su base annua. Lo registra l'Istat. Si assiste al minimo di nascite e massimo di decessi: 7 neonati e 13 decessi per mille abitanti.
Flussi migratori con l'estero danno un saldo di +79 mila, pari a 1,3 per mille abitanti, la meta' del 2019. L'eta' media e' in ulteriore rialzo: 46 anni al 1° gennaio 2021. Il numero medio di figli per donna e' di 1,24, il piu' basso dal 2003.
Gli effetti pandemici - registra l'Istat - impattano su tutte le componenti del ricambio demografico. Nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha prodotto effetti non soltanto, per quanto prevalentemente, sulla mortalita' ma anche sulla mobilita' residenziale interna e con i Paesi esteri, arrivando a incidere persino sui comportamenti riproduttivi (nell'ultimo mese dell'anno) e nuziali. Ne scaturisce un quadro globale, gia' di per se' fortemente squilibrato da dinamiche demografiche deboli sul versante del ricambio della popolazione, nel quale le stesse problematiche risultano accentuate e moltiplicate. Alla luce di dati molto consolidati che coprono tutto il 2020 ma che per il momento sono da considerarsi provvisori 1 , le nascite risultano pari a 404mila mentre i decessi raggiungono il livello eccezionale di 746mila. Ne consegue una dinamica naturale (nascite-decessi) negativa nella misura di 342mila unita'.
Gli effetti del lockdown hanno poi determinato inevitabili ripercussioni sul versante dei trasferimenti di residenza. Le iscrizioni dall'estero sono state 221mila e le cancellazioni 142mila. Ne deriva un saldo migratorio con l'estero positivo per 79mila unita', il valore piu' basso degli anni 2000 e in grado di compensare solo in parte l'effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale. Per quanto riguarda la mobilita' interna si rileva una riduzione del volume complessivo di circa il 12%: sono 1 milione 308mila i trasferimenti registrati tra i Comuni italiani nel 2020 contro 1 milione 485mila dell'anno precedente. Infine, le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri motivi) comportano un saldo negativo per ulteriori 121mila unita'.
Il riflesso di tali andamenti comporta un'ulteriore riduzione della popolazione residente, scesa al 1° gennaio 2021 a 59 milioni 258mila. Ininterrottamente in calo da 7 anni consecutivi, e specificamente dal 2014 quando raggiunse la cifra record di 60,3 milioni di residenti, l'ammontare della popolazione registra nel 2020 una riduzione di 384mila unita' sull'anno precedente (-6,4 per mille residenti). Con l'eccezione del Trentino-Alto Adige, dove si registra una variazione annuale della popolazione pari a +0,4 per mille, tutte le regioni sono interessate da un decremento demografico. Il fenomeno colpisce maggiormente il Mezzogiorno (-7 per mille) rispetto al Centro (-6,4) e al Nord (-6,1). Molise (- 13,2) e Basilicata (-10,3) sono le regioni piu' colpite; tra quelle del Nord spiccano Piemonte (-8,8), Valle d'Aosta (-9,1) e soprattutto Liguria (-9,9). Scendendo di un livello nell'analisi territoriale, la provincia di Isernia e' quella che evidenzia la situazione maggiormente critica, per via di un tasso di variazione che in un anno le sottrae circa l'1,5% della popolazione. Sono comunque numerose, e concentrate nel Nord-ovest, le province che nel 2020 perdono almeno l'1% della popolazione. In particolare, le province di Vercelli, Asti, Alessandria e Biella in Piemonte; le province di Savona e Genova in Liguria, quelle di Pavia e Cremona in Lombardia.
Nel Centro del Paese soltanto la provincia di Macerata si trova nelle medesime condizioni mentre nel Sud, oltre alla citata Isernia, figurano anche le province di Benevento, Avellino, Campobasso, Potenza e Crotone. Nelle Isole, infine, il decremento demografico interessa le province di Caltanissetta, Enna, Nuoro e Oristano. La provincia di Bolzano (+2 per mille), al contrario, e' l'unica a vantare un saldo demografico positivo.
"Riformare sistema sanitario in vista della nuova cronicita': il long Covid. Se non lo facciamo sara' un'occasione persa". A dirlo e' Pierluigi Lopalco, virologo e assessore alla sanita' della Regione Puglia, nel corso del webinar sulla 'Sindrome Long Covid', organizzato dall'associazione Giuseppe Dossetti.
"Il tema del long Covid - spiega Lopalco - e' importantissimo, uno dei tanti che la pandemia ci sta facendo scoprire. Possiamo ragionare, fin da subito, sull'esenzione del ticket per queste persone colpite dalla sindrome long Covid perche' e' importante che venga riconosciuto a questi pazienti un diritto di cura nel post infezione".
"Il long Covid e' una cronicita' a tutti gli effetti e che si e' manifestata in tutta la sua durezza a causa della debolezza della nostra assistenza territoriale - sottolinea Lopalco. C'e' stato uno tsunami sulla sanita' territoriale ma dopo l'ondata pandemica e' stato da subito chiaro che la vita non riprende come prima, per questa ragione serve riconoscere queste nuove forme patologiche costituite dal post-Covid.
La maggior parte dei nostri sistemi ha mostrato falle - spiega l'assessore - e bisogna riportare questi sistemi in efficacia perche' dopo la pandemia avremo un carico di cronicita' aumentato: per un anno tutte le campagne di prevenzione, anche secondaria, si sono fermate. La gestione del paziente cronico, pur essendoci, e' stata inferiore alle attese - denuncia Lopalco - Tutto questo ci portera' a fare i conti con una richiesta di salute enorme ma che deve essere soddisfatta sulla base della medicina territoriale e di prossimita'. A tal fine occorre riformare il sistema sanitario, se non lo facciamo e' un'occasione persa", chiosa Lopalco.
La pandemia da Covid ha messo in secondo piano la cura di numerose patologie in tutta Italia. Ne sono un esempio gli interventi per tumore alla mammella, diminuiti del 22,05% rispetto allo scorso anno.
Accompagnano il segno meno anche gli interventi per cancro alla prostata, diminuiti del 24,02%, e quelli di tumore al colon, che si attestano a -32,64%. Nemmeno gli screening godono di buona salute: le percentuali variano da un -16,04% ad un -40,72% in quello mammografico, mentre in quello colorettale la forbice e' compresa tra -15,68% e -48,3%. Segno meno anche per i ricoveri con almeno un intervento di angioplastica: dal -6,87% del Friuli Venezia Giulia si raggiunge il -44,71% della Puglia. Non mancano, pero', le buone notizie: il Lazio fa infatti registrare percentuali positive, rispettivamente con un +13,98% negli interventi di tumore alla prostata e +5,07% per quelli alla mammella.
Nuova contrazione per quanto riguarda i volumi delle schede di dimissioni ospedaliere in tutta Italia: se nei mesi compresi tra gennaio e giugno 2019 erano stati 4.313.846, nello stesso periodo del 2020 sono stati 3.091.559. Dunque, meno 1.222.287, pari ad un -28,3%. Sono alcuni dei numeri relativi alla contrazione generale delle prestazioni sanitarie a causa del Covid.
Una foto in bianco e nero, scattata dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), in collaborazione con il Laboratorio Management e Sanita' (MeS) della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, che ha prodotto un'analisi preliminare delle prestazioni effettuate dal Ssn, sia in regime ospedaliero sia in ambito di specialistica ambulatoriale, mettendo a confronto i dati dei primi mesi del 2020, in piena emergenza epidemiologica, con quelli dello stesso periodo 2019. Il lavoro ha previsto l'elaborazione, in via sperimentale, di 24 indicatori, raggruppati in tre tipologie: area attivita' non procrastinabile, area indicatori di qualita' e area tenuta complessiva del sistema ospedaliero.
Nella prima sono raggruppati indicatori che monitorano volumi di interventi per i quali sono presenti indicazioni nazionali che li considerano prioritari e non differibili. La seconda include indicatori di qualita' ospedalieri che non dovrebbero subire variazioni anche in condizioni di emergenza perche' basati su standard nazionali. L'ultima comprende indicatori di sistema, relativi a macro-categorie di prestazioni ospedaliere e indicatori inerenti ad attivita' potenzialmente differibili, rispetto alle quali e' lecito presumere un rebound nei mesi successivi. Prendendo in esame la prima area, in particolare nell'ambito oncologico, per quanto riguarda l'andamento delle variazioni percentuali dei volumi degli interventi per tumore alla mammella per classe di priorita', si registra una contrazione in tutte le regioni italiane ad eccezione di Sardegna e Lazio, che fanno segnare, rispettivamente, un +5,93% e un +5,07%. In coda il Molise (-62,75%), la Provincia Autonoma di Trento (-52,31%) e la Calabria (-48,39%). La media nazionale fa segnare un -22,05%. Tranne che in due regioni, un calo percentuale si registra in quasi tutta Italia anche per quanto riguarda l'andamento delle variazioni percentuali dei volumi di intervento per tumore alla prostata per classe di priorita'.
Le buone notizie arrivano ancora dal Lazio (+13,98%), affiancato dall'Umbria (+1,04). Male soprattutto la Provincia Autonoma di Bolzano (-66,67%), seguita dalla Lombardia (-42,59%) e dalle Marche (-39,83%). In questo caso la media nazionale e' pari a -24,02%. Emerge, invece, sempre il segno meno se si analizza l'andamento delle variazioni percentuali dei volumi di intervento per tumore al colon. In una media nazionale pari a -32,64%, la maglia nera va all'Umbria (-54,46%), tallonata dalle Marche (-54,17%) e dalla Liguria (-47,17%). Male, ma con numeri decisamente meno gravi, il Lazio (-19,16%) e il Piemonte (19,66%). Un calo si registra in tutta Italia se si prende in esame l'andamento della variazione percentuale per volumi dello screening mammografico: le percentuali variano da un -16,04% del Friuli Venezia Giulia al -40,72% della Sardegna.
Non va meglio se si analizzano i dati relativi all'andamento della variazione percentuale per volumi dello screening colorettale: la Calabria fa segnare un -48,3%, seguita dalla Lombardia (-44,01%) e dalla Liguria (-41,59%). Piu' staccate le Marche e l'Umbria(entrambe a -19,87%) e l'Abruzzo (-15,68%). Anche nella seconda area si registra in tutto il paese una riduzione dei volumi per ricoveri con almeno un intervento di angioplastica. Spiccano il -44,71% della Puglia, il -44,58% delle Marche, il -42,26% del Molise e il -41,05% della Lombardia.
Il Friuli Venezia Giulia, invece, fa segnare un -6,87%. Contrazione in tutta Italia anche sul fronte dei volumi per ricoveri per ictus ischemico. In fondo alla classifica troviamo la Valle d'Aosta (-54,22%), seguita dal Molise (-49,73%) e dalle Marche (-42,48%). L'Umbria si attesta invece a un -10,4%. Seguono Friuli Venezia Giulia (-11,87%) e Veneto (-14,41%). Le buone notizie arrivano dalla terza area, in particolare dall'andamento delle variazioni percentuali per le fratture operate entro 48 ore. La medaglia d'oro va al Molise (+15,37%), seguito dalla Puglia (+8,96%) e dalla Sicilia (+6,09). Bene anche la Calabria (5,54%). Fanalino di coda la Valle d'Aosta (-11,62%). Il segno meno, accompagnato pero' dal segno piu', torna a fare la propria comparsa, analizzando l'andamento delle variazioni dei parti cesarei. Se la Valle d'Aosta fa segnare un -8,28%, la Basilicata puo' vantare un +2,06%. Bene anche la Liguria (+0,61%) e il Molise (+0,49%).
Lo studio ha messo in evidenza un'ulteriore riduzione delle variazioni percentuali dei volumi dei ricoveri urgenti, tema presente nella quarta area. La regione con la percentuale negativa piu' elevata e' il Molise (-55,12%). Seguono le Marche (-42,61%) e la Puglia (-41,11%). La Lombardia fa segnare un -12,02%, l'Emilia Romagna un -16,11% e il Piemonte un -16,4%. Tutti i risultati si trovano sulla sezione 'Resilienza' del portale Covid-19 dell'Agenas accessibile all'indirizzo https://www.agenas.gov.it/covid19/web/index.php.
"Il Covid-19 ha avuto un forte impatto su tutti coloro che convivono con il cancro: la pandemia ha creato un'interruzione dei servizi di screening e prevenzione. Gli ultimi dati riportano che il 2020 ha visto un calo di circa il 40% delle diagnosi di cancro. 'Women for Oncology Italy' si associa al grido di allarme delle Organizzazioni incentrate sul cancro per affermare che bisogna fare qualcosa e bisogna farlo immediatamente.
Proprio per questo motivo con convinzione firma la lettera appello per sostenere i Governi nello sforzo di aiutare i malati di cancro a livello globale", si legge nella nota dell'Associazione. "Tutti noi impegnati nella lotta contro il Cancro crediamo che i Governi dovrebbero: Garantire che i pazienti possano accedere alla diagnosi e al trattamento in modo sicuro; Identificare l'impatto della pandemia sui servizi contro il cancro e progettare servizi per mitigarlo; Fornire servizi per il cancro in modo appropriato e sicuro a lungo termine".
"Condividiamo pienamente l'appello e siamo al fianco dei nostri pazienti e dei familiari che si prendono cura di loro nel chiedere con convinzione alle istituzioni politiche di tenere alta l'attenzione sui pazienti oncologici - sottolinea Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology - Italy - Dall'inizio della pandemia tutti gli sforzi delle istituzioni politiche sono stati principalmente indirizzati a contrastare l'infezione da COVID-19, ma il cancro non si ferma, per cui ci faremo promotrici di queste importante richieste con i decisori politici a livello nazionale e regionale". "Oggi vogliamo che tutti i governi facciano la differenza, dicendo: 'Mi impegno e investiro' nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nel trattamento del cancro'.
Perche' cio' avvenga, e avvenga in tempi rapidi, 'Women For Oncology - Italy' si mette a disposizione con le sue competenze e la sua volonta' di impegnarsi quotidianamente nella lotta contro il cancro. Prendendo spunto dalla pandemia occorre rafforzare il nostro SSN. Solo in questo modo potremo evitare che in caso di nuove pandemie o situazioni altamente critiche il sistema non imploda e nessun paziente venga lasciato solo", conclude la nota.
"Sara' il Complesso infettivologico piu' attrezzato e importante della Sicilia e avra' sede a Palermo, ma servira' anche le altre province dell'Isola. Dalla pandemia dobbiamo saper trarre ogni utile lezione".
È il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, a dare l'annuncio della nuova struttura che sara' realizzata nell'ex Centro traumatologico ortopedico, situato di fronte allo stadio 'Renzo Barbera', in viale del Fante. Il progetto di trasformazione, rientrante nel Piano per il potenziamento della Rete ospedaliera dell'Isola voluto dal governo regionale, e' ormai nella fase finale.
Il commissario tecnico per l'emergenza Covid, Tuccio D'Urso, dopo un confronto con il governatore, ha appena emanato gli ultimi "Ordini di attivazione" per ottenere nel giro di trenta giorni la progettazione esecutiva di tutti gli interventi previsti. A regime saranno disponibili: 52 posti letto ordinari, 16 di terapia sub intensiva e 22 di rianimazione.
Un programma clinico in sei step per valutare quali siano (e se ci siano) gli effetti a lungo termine del Covid-19 sull'eta' pediatrica. Si chiama 'Conoscere per prevenire' ed e' promosso dalla Societa' italiana per le malattie respiratorie infantili (Simri), guidata dallo pneumologo Fabio Midulla, responsabile del pronto soccorso pediatrico del Policlinico Umberto I di Roma.
Gia' a febbraio Midulla era stato promotore, nell'ambito del Policlinico, di un progetto di visite gratuite e follow-up per minori che avevano contratto l'infezione da SARS-Cov-2. Ora, grazie alla Simri, il progetto si e' diffuso a livello nazionale, coinvolgendo 25 Centri di Pneumologia pediatrica distribuiti su tutto il territorio, dal Nord al Sud del Paese. "Abbiamo creato una road map di esami da effettuare ai minori tra 0 e 18 anni che hanno avuto la malattia, sia in forma sintomatica che asintomatica- spiega Midulla- concentrandoci sulla valutazione pneumologica perche', come si sa, l'infezione da Sars-CoV-2 interessa prevalentemente l'apparato respiratorio". Scopo del programma clinico e' "cercare di identificare precocemente eventuali problemi a livello polmonare che, se intercettati prima, possono essere risolti in maniera piu' brillante", spiega lo pneumologo.
I primi risultati tracciano gia' un quadro abbastanza chiaro della situazione: "Dai follow up che abbiamo eseguito al Policlinico (150 in due mesi, ndr) ci siamo resi conto che la maggior parte dei bambini sta bene, non ha grossi problemi di tipo pneumologico. Il long Covid, soprattutto nei ragazzi dai 12 anni in poi, e' piu' di tipo psicologico", spiega Midulla. All'Umberto I, infatti, alla valutazione di tipo pneumologico ne viene affiancata anche una di tipo neurologico. "Vediamo ragazzini con ansia, depressione, paura di quello che gli puo' succedere o che somatizzano tutta una serie di sintomi come tosse, cefalea, dolori articolari". Non solo. "Nel nostro pronto soccorso- dice il pediatra- abbiamo notato molti piu' preadolescenti e adolescenti arrivati per episodi di autolesionismo, atti che arrivano fino all'estremo. Il numero si e' triplicato rispetto all'anno prima del Covid".
Gli adolescenti sono stati, probabilmente, la fascia d'eta' piu' colpita dalle restrizioni dovute alla pandemia e che ha piu' sofferto il lockdown. Ma cosa prevede la road map stilata dalla SIMRI? "Innanzitutto consigliamo di fare il follow up a tre mesi di distanza dalla malattia- spiega Midulla- nello specifico il percorso prevede il dosaggio degli anticorpi anti Sars-CoV-2, la visita pneumologica, la saturimetria basale, le prove di funzionalita' respiratoria, il 'walking test' e l'ecografia polmonare". Il presidente Simri spiega che proprio quest'ultimo esame, non invasivo, "ha permesso di riscontrare, in un gruppo di pazienti, sia sintomatici che asintomatici, delle piccole lesioni a livello ecografico. Si tratta di piccole anomalie, degli artefatti, delle quali pero' e' dubbio quale sia il significato perche' dal punto di vista clinico- spiega- la saturimetria o il walking test non hanno assolutamente messo in evidenza problemi".
Midulla precisa poi come il Sars-CoV-2 sia un virus particolare perche' "nonostante faccia parte della famiglia dei Coronavirus, ossia virus endemici che colpiscono i bambini- dice- il Sars-CoV-2 ha riguardato pochissimo l'eta' pediatrica". E' anche per fare chiarezza su questo punto che lo pneumologo anticipa di star portando avanti uno studio per capire "se ci sia una differenza tra i bambini che hanno fatto la vaccinazione antinfluenzale e quelli che non l'hanno fatta. Chiediamo a tutti i bambini che vengono a fare il follow up se si sono vaccinati- spiega- ed e' un dato che ci ripromettiamo di valutare in seguito al fine di confrontare la percentuale di bambini vaccinati che hanno avuto il Covid con quella di bambini vaccinati che non l'hanno avuto".
Un'analisi importante perche' "ci sono dati in letteratura che sembrerebbero dimostrare come il vaccino antinfluenzale protegga un pò dall'infezione contro il Covid- spiega lo pneumologo- una delle teorie per le quali si pensa che i bambini si ammalino meno degli adulti, infatti, e' proprio perche' ricevono numerose vaccinazioni e questo puo' determinare quello che gli inglesi definiscono 'trained immunity' cioe' l'immunita' allenata. Quindi il vaccino non solo protegge contro uno specifico virus ma stimola l'immunita' innata. I bambini dunque hanno un sistema immunitario allenato e piu' pronto a rispondere a un'infezione tipo quella da Sars-CoV-2. E' una delle teorie per le quali si pensa che i bambini siano piu' protetti dal virus rispetto agli adulti", conclude Midulla.
I vaccini anti-covid conferiscono una protezione che va dal 60% a oltre il 90% ma ancora non è stato dimostrato che non si venga infettati dal coronavirus Sars-Cov-2.
Ciò vuol dire che, anche dopo la doppia vaccinazione, qualcuno può ancora ammalarsi, una volta entrata in contatto con il virus. Ovviamente non è una certezza ma una probabilità. Come chiarito da Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano "il vaccino protegge dalla gravità della malattia, dall'andamento patologico dell'infezione, ma non dalla possibilità che il virus possa infettare".
"Si presume - ha aggiunto l'esperta - che l'infezione che potrebbe verificarsi nei vaccinati produca una carica virale bassa e che quindi sia probabilmente poco infettante, anche se non ci sono le prove. Tant'è vero che più volte abbiamo raccomandato di mantenere le misure anti-contagio" come mascherine e distanziamento, "perché, soprattutto nei confronti di pazienti anziani o fragili, potremmo diventare vettori di infezione anche se vaccinati". "Tutti questi - precisa comunque Gismondo - sono studi in itinere".
"Non tutti siamo uguali c'è chi risponde meglio e peggio al vaccino", ricorda Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria.
"Il vaccino non è una cortina impenetrabile per il virus, non è uno schermo né il mantello magico di Harry Potter al di sotto del quale si diventa invisibili al Sars- Cov-2. Voglio dire che, ad oggi, non ci sono evidenze che i vaccinati non si possano mai più infettare, magari senza avere sintomi di alcun genere, e quindi contagiare altre persone," ha sottolineato all'Adnkronos Salute l'immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione italiana di medicina personalizzata, chiarendo sui casi di infezione anche dopo due dosi di vaccino anti-Covid.
"Il vaccino fa sì che, una volta entrato nell’organismo che ha provveduto ad infettare, il vero Sars-Cov-2 trovi pronti gli anticorpi che, impedendogli di riprodursi, lo bloccano facendo in modo che la persona non si ammali - osserva l'immunologo -. Conseguentemente il concetto va esteso anche alle misure di prevenzione, ai dispositivi di protezione che andranno usati da chi si è vaccinato non tanto per proteggere se stessi, ma soprattutto per proteggere gli altri".
"Il vaccino non è l'attestato del 'liberi tutti'. Solo col tempo, la campagna vaccinale condotta su grandi numeri e la presa d’atto dell’andamento dell’epidemia nelle comunità di vaccinati, potranno dare certezze circa il reale effetto protettivo dei vaccini non solo verso chi li ha ricevuti ma anche verso terzi non protetti da adeguata vaccinoprofilassi", conclude Minelli.
Protezione del vaccino e durata
Come si legge sul sito dell'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) "la durata della protezione non è ancora definita con certezza, perché fino ad ora il periodo di osservazione è stato necessariamente di pochi mesi, ma le conoscenze sugli altri tipi di coronavirus suggeriscono che dovrebbe essere di almeno 9-12 mesi".
Le persone vaccinate possono trasmettere comunque l’infezione ad altre persone?
"Lo scopo degli studi registrativi era di valutare l’efficacia dei vaccini nel proteggere dalla malattia COVID-19. Gli studi per stabilire se le persone vaccinate, infettate in modo asintomatico, possano contagiare altre persone sono in corso. Poiché è possibile che, nonostante l’immunità protettiva, in qualche caso il virus possa persistere nascosto nella mucosa nasale, le persone vaccinate e quelle che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID-19", spiega ancora l'Aifa.
Se mi infetto dopo la prima dose di vaccino, devo comunque fare la seconda?
Secondo l'Aifa la seconda dose non è indicata.
Vaccino mRNA e caratteristiche
Pfizer
L’efficacia del vaccino è stata dimostrata dopo una settimana dalla seconda dose. I risultati di questi studi hanno dimostrato che due dosi del vaccino Comirnaty* somministrate a distanza di 21 giorni l’una dall’altra possono impedire al 95% degli adulti dai 16 anni in poi di sviluppare la malattia COVID-19 con risultati sostanzialmente omogenei per classi di età, genere ed etnia. Il 95% di riduzione si riferisce alla differenza tra i 162 casi che si sono avuti nel gruppo dei 18.325 che hanno ricevuto il placebo e i soli 8 casi che si sono avuti nei 18.198 che hanno ricevuto il vaccino.
Moderna
L’efficacia è stata completata dopo due settimane dalla seconda dose. I risultati degli studi hanno dimostrato che due dosi del vaccino Moderna, somministrate a distanza di 28 giorni l’una dall’altra, sono state in grado di impedire al 94,1% degli adulti dai 18 anni, vaccinati, di sviluppare la malattia COVID-19. I casi riferiti erano 11 tra i vaccinati e 185 nel gruppo placebo: risultati sostanzialmente omogenei per classi di età, genere ed etnia. Tutti i casi gravi di COVID-19 (30 in totale, con 1 decesso) verificatisi tra i partecipanti allo studio si sono registrati nel gruppo di controllo: risultati che confermano la capacità del vaccino di prevenire la forma severa della malattia provocata da SARS-CoV-2.
Vaccini a vettore virale (AstraZeneca e Johnson&Johnson)
AstraZeneca
La protezione inizia da circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose di Vaxzevria e persiste fino a 12 settimane. Tuttavia, fino a 15 giorni dopo la somministrazione della seconda dose la protezione potrebbe essere incompleta. Inoltre, come accade con tutti i vaccini, anche la vaccinazione con Vaxzevria potrebbe non proteggere tutti i soggetti vaccinati.
Nei soggetti vaccinati con il regime posologico approvato (2 dosi a distanza di 4-12 settimane l’una dall’altra) sono stati osservati 64 casi di COVID-19 su 5.258 individui vaccinati e 154 casi su 5.210 del gruppo di controllo. Complessivamente l'efficacia vaccinale di Vaxzevria è risultata pari al 59,5% nel prevenire la malattia sintomatica. Nei partecipanti che presentavano una o più comorbilità, l'efficacia del vaccino è stata molto simile (58,3%).
Nei partecipanti che hanno avuto la seconda dose dopo 12 settimane dalla prima, l’efficacia dopo 14 giorni dalla seconda dose è stata dell’82,4%.
In tutti i partecipanti che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, a partire da 22 giorni dopo la prima dose non si sono osservati casi di ospedalizzazione (0%, su 8.032), rispetto a 14 casi (0,2%, su 8.026), di cui uno fatale, segnalati per il controllo.
J&J
Quattordici giorni dopo la vaccinazione, nelle persone vaccinate sono stati osservati 116 casi di COVID-19 su 19.630 a fronte dei 348 casi sui 19.691 del gruppo di controllo. Pertanto, l’efficacia vaccinale di COVID-19 Vaccine Janssen è risultata pari al 66,9% nel prevenire la malattia COVID-19 sintomatica da moderata a grave/critica. Il risultato include le persone di età uguale o superiore ai 60 anni.
L’efficacia osservata è stata del 66,1% dopo 28 giorni dalla vaccinazione (66 casi osservati tra le persone che avevano ricevuto il vaccino COVID-19 Janssen da almeno 28 giorni, rispetto a 193 casi nel gruppo placebo). Inoltre, a 14 giorni dalla vaccinazione, si sono verificati 14 casi severi nel gruppo delle persone vaccinate e 60 casi nel gruppo di controllo (efficacia 76,7% nel prevenire la malattia grave/critica), mentre dopo 28 giorni si sono verificati 5 casi nel gruppo vaccinato e 34 nel gruppo placebo (efficacia 85,4%).
Tra le persone che hanno presentato malattia severa a 14 giorni dalla vaccinazione - 14 tra i vaccinati e 60 del gruppo placebo - rispettivamente 2 e 6 casi hanno richiesto ospedalizzazione. Tre persone sono decedute (tutte nel gruppo placebo). Complessivamente, l’efficacia del vaccino è stata simile nei diversi gruppi analizzati in base a età, presenza di comorbidità, sesso ed etnia.
New York City tornerà ad essere una città completamente riaperta dal prossimo primo luglio. Lo ha annunciato il sindaco Bill de Blasio, affermando che per quella data prevede che ristoranti, bar, teatri e le altre attività potranno funzionare normalmente senza restrizioni, in occasione dell'avvio della stagione turistica estiva.
"Questa sarà l'estate di New York, vedrete attività incredibili, torneranno le attività culturali, credo che la gente verrà a frotte a New York, perché vogliono riprendere a vivere" ha detto il sindaco alla trasmissione televisiva 'Morning Joe', spiegando che a New York "la vaccinazione sta vincendo" la gara contro le varianti del Covid.
"Con 6,3 milioni di vaccinazioni, i numeri del Covid sono precipitati", ha aggiunto. De Blasio si è detto soddisfatto della risposta dei newyorkesi alla campagna di vaccinazione: "Stiamo vedendo una risposta in numeri eccezionali, stiamo facendo molto per arrivare a tutte le persone", ha affermato il sindaco democratico.
Ambulatori di Igiene Pubblica impegnati con il Covid-19 e famiglie disorientate o preoccupate del contagio. Una combinazione micidiale che ha portato a una diminuzione delle coperture vaccinali per malattie prevenibili come polmoniti, meningiti, morbillo e varicella.
Nella settimana che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dedica alle vaccinazioni, la Federazione Italiana Medici Pediatri lancia l’allarme sugli effetti indiretti della pandemia e fa appello alle Istituzioni: “Fateci vaccinare i bambini – dichiara il Presidente Paolo Biasci -. Abbiamo siglato in tal senso un Protocollo d’Intesa con il Ministero della Salute, che ci permette di occuparci interamente del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale oltre che della vaccinazione COVID quando sarà disponibile un vaccino per l’età pediatrica, ma occorre un deciso input alle Regioni, affinché mettano in moto accordi attuativi a livello locale. Facciamo in modo che questa Settimana di sensibilizzazione non sia di rituali denunce e buone intenzioni, ma occasione di interventi fattivi attesi dai noi Pediatri di Famiglia, ma soprattutto dalle famiglie che assistiamo”.
“È indubbio che la vaccinazione anti Covid-19 sia una priorità – continua Biasci – ma è fondamentale non lasciare indietro l’immunizzazione di routine che, se ulteriormente trascurata, potrebbe avere gravi e durature ripercussioni sulla salute dei nostri bambini. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità aveva indicato la strada maestra per evitare questo scenario, raccomandando di far coincidere le somministrazioni vaccinali con i Bilanci di Salute. Un’indicazione importante che nel quadro assistenziale italiano si traduce nell’affidare questa attività alla Pediatria del territorio, presente in modo capillare e professionalmente preparata a svolgere tale incarico. In quelle Regioni e Province dove ci siamo già fatti carico della vaccinazioni, ci sono esperienze radicate e diffuse di buone pratiche e ottima Sanità. Cerchiamo di recuperare il gap denunciato anche dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro continuando a coniugare il nostro impegno con l’evidente necessità di lasciare all’Igiene Pubblica risorse adeguate da dedicare al contenimento della pandemia”.
“Siamo pronti a vaccinare contro il Covid-19 genitori e caregiver dei bambini fragili – conclude Giorgio Conforti dell’Area Vaccini FIMP – sollevando dal compito i Servizi di Prevenzione su tutto il territorio nazionale. Nei nostri oltre 7000 studi continuiamo a contribuire alla tenuta del Sistema Sanitario e quando sarà disponibile, organizzeremo le somministrazioni per gli under 16, accedendo e aggiornando l’anagrafe vaccinale in tempo reale e così rafforzando l’efficacia delle campagne di profilassi.
«Vaccines bring us closer», “I vaccini ci avvicinano” è slogan della Settimana mondiale promossa dall’OMS. Proteggere i bambini da malattie che è possibile non contrarre semplicemente grazie a un vaccino, ci risparmia costi umani, sociali ed economici. Evitiamo la sofferenza e le complicanze dei più piccoli, il contagio degli adulti, le giornate di lavoro perse da parte dei genitori. Cerchiamo di avere una visione lungimirante sul futuro dei bambini e del Paese”.
PharmaMar (MSE:PHM) annuncia oggi di aver ottenuto dall'Agenzia spagnola per i medicinali e i prodotti sanitari (AEMPS) l'autorizzazione a iniziare lo studio clinico di Fase III NEPTUNO, che determinerà l'efficacia della plitidepsina per il trattamento di pazienti ospedalizzati con infezione moderata da COVID-19.
Questa autorizzazione è stata ottenuta attraverso la procedura di armonizzazione volontaria dell'Unione Europea (VHP) per le prove cliniche, che permette la valutazione simultanea della prova clinica da parte delle autorità competenti in tutti gli Stati membri partecipanti. Gli altri Paesi che partecipano a questa procedura (Francia, Portogallo e Svezia) aderiranno all'autorizzazione man mano che le loro agenzie di regolamentazione la ratificheranno.
Questo si aggiunge all'autorizzazione già ricevuta dalla British Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (MHRA).
Sia il disegno del protocollo di questo studio che la sua autorizzazione da parte delle autorità regolatorie si basano sulle prove scientifiche di sicurezza ed efficacia ottenute nello studio di fase I-II APLICOV-PC con plitidepsina per il trattamento dei pazienti con COVID-19, così come tutti i dati dei 1.300 pazienti già trattati con plitidepsina in altre indicazioni.
L'obiettivo principale dello studio è quello di valutare la plitidepsina rispetto allo standard di cura autorizzato e somministrato in ogni paese (desametasone o desametasone in combinazione con remdesivir). L'endpoint primario sarà la percentuale di pazienti che raggiungono la guarigione completa entro il giorno 8 (±1), e che non sono riammessi per infezione da COVID-19 dopo 31 giorni.
Questo è uno studio clinico multicentrico, randomizzato, controllato, di fase III per determinare l'efficacia e la sicurezza di due livelli di dose di plitidepsina rispetto al controllo in pazienti adulti che richiedono l'ospedalizzazione per il trattamento medico dell'infezione moderata da COVID-19.
Questo studio dovrebbe arruolare più di 600 pazienti. Oltre all'Europa, la sperimentazione si aprirà in diversi altri paesi del mondo man mano che le approvazioni saranno ottenute.
Lo scorso gennaio, la rivista Science ha pubblicato un articolo di ricerca intitolato "Plitidepsin ha una potente efficacia preclinica contro la SARS-CoV-2 colpendo la proteina ospite eEF1A". L'articolo afferma che "l'attività antivirale della plitidepsina contro la SARS-CoV-2 avviene attraverso l'inibizione del target noto eEF1A" e aggiunge che la plitidepsina in vitro ha dimostrato una forte potenza antivirale, rispetto ad altri antivirali contro la SARS-CoV-2, con una buona finestra terapeutica. In due diversi modelli animali di infezione da SARS-CoV-2 il test ha dimostrato una ridotta replicazione virale, con una diminuzione del 99% della carica virale nel polmone degli animali trattati con plitidepsina.
La plitidepsina agisce bloccando la proteina eEF1A, che è presente nelle cellule umane ed è usata dal SARS-CoV-2 per replicarsi e infettare altre cellule. Questo blocco impedisce al virus di riprodursi all'interno della cellula, rendendolo non vitale e impedendogli di diffondersi ad altre cellule.
Presi alla sprovvista dalla pandemia, i professionisti della Sanità non si sono tirati indietro e dall’inizio del 2020 a oggi hanno salvato centinaia di migliaia di vite, e sono stati sempre accanto a tutti, anche a chi non ce l’ha fatta.
Ma ogni professione ha perso anche decine, centinaia di colleghi che hanno contratto il virus per non lasciare mai soli i cittadini.
A poco più di un anno dall’inizio di tutto questo, e mentre ancora gli operatori della Sanità sono impegnati tutti in prima linea – dalla diagnosi e la terapia, all’assistenza e all’accesso a farmaci e dispositivi, dalla ricerca al supporto psicologico, dall’assistenza alle donne nel percorso nascita, ai fragili e alle loro famiglie, alla guida per salvaguardare la salute anche con azioni mirate alla riduzione del contagio nella campagna vaccinale - il ministero dello Sviluppo economico ha deciso di testimoniare la loro dedizione con un francobollo della serie ”il senso Civico” e fissare nella memoria il loro operato. Da sempre l’emissione di un francobollo commemorativo svolge una funzione culturale rilevante e da sempre segna i momenti cruciali nella storia di un paese.
L’impegno di chi lavora per la tutela della salute è quello di curare e assistere tutti, anche prevenendo per quanto possibile la diffusione del virus”, hanno dichiarato i rappresentanti delle oltre 30 Federazioni che rappresentano più di 1,5 milioni di professionisti della Sanità.
Proprio perché non ci si limiti alle celebrazioni, le Federazioni ribadiscono la loro richiesta di dare impulso alle campagne vaccinali, calibrare l’assistenza e la cura non solo negli ospedali, essenziali per la cura delle persone, ma anche sul territorio perché a nessuno sia negata la continuità assistenziale e le cure finalizzate innanzitutto a ridurre la sofferenza dei malati e delle persone che gli sono accanto.
Si rinnova, quindi, un doppio appello: alle istituzioni e ai cittadini.
Alle istituzioni perché diano il maggiore impulso possibile alla campagna vaccinale, snellendo i processi decisionali, investendo sulle competenze di tutti i professionisti e accelerando approvvigionamenti e vaccinazioni per raggiungere al più presto l’immunità di comunità.
Ai cittadini, perché rispettino le regole di buon senso, finalizzate alla prevenzione senza le quali aumenta esponenzialmente, nonostante gli sforzi, il numero dei contagi.
Infine, i professionisti in prima linea nella lotta contro la pandemia dedicano questo francobollo, che li ricorda tutti, coloro che con la loro attenzione e partecipazione possono aiutarli ad arginare e poi fermare la diffusione del virus. Il messaggio delle Professioni è chiaro: “Per sconfiggere il virus è necessaria la collaborazione di tutti e nessuno può sottrarsi”.
Anticipare di 14 giorni l'andamento territoriale del contagio rispetto al tracciamento tradizionale con i tamponi, analizzando la presenza del covid nei reflui fognari. E' il risultato garantito dal nuovo sistema messo a punto da Arpal, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure, e dall'Universita' di Genova, validato dall'Istituto superiore di sanita'.
"A differenza dello screening- spiega il governatore e assessore alla Sanita' della Regione Liguria, Giovanni Toti- potremo rilevare la diffusione del virus in tutta la popolazione, anche quella asintomatica, e avere in anticipo un quadro completo della situazione su cui prendere decisioni mirate e di buonsenso per le riaperture e il futuro del Paese". Arpal e Universita' hanno ottimizzato anche per depuratori di medie e piccole dimensioni, come quelli liguri, il sistema di sorveglianza ambientale del covid nelle fogne proposto dall'Istituto superiore di sanita', offrendone una versione ora utilizzata come metodo ufficiale in tutta Italia e che soddisfa la richiesta della Commissione Europea relativa a questo tipo di sorveglianza della pandemia.
"Abbiamo garantito una migliore efficacia ed efficienza della rilevazione, con risultati delle analisi su campioni freschi entro 24-48 ore dal prelievo", spiega il direttore generale di Arpal, Carlo Emanuele Pepe. "Il processo si compone di quattro step- aggiunge Mauro Mariotti, docente del dipartimento di Scienze della terra, dell'ambiente e della vita dell'ateneo genovese- il campionamento sulle acque reflue, la concentrazione, l'estrazione del materiale genico e l'analisi dei dati. È stata molto importante la condivisione del metodo, che in futuro potra' essere utile anche per rilevare la presenza di varianti e altri virus".
In Liguria, dove i campionamenti sono partiti nel luglio 2020, il sistema e' gia' attivo a Genova e nei tre capoluoghi di provincia, oltre che nei comuni sopra i 10.000 abitanti, grazie anche a 160.000 euro di finanziamento della Regione, che ha consentito di mettere a un punto un laboratorio di analisi di ultima generazione, nella sede centrale di Arpal.
"Non sono dati che entrano nel cruscotto nazionale- precisa Toti- ma e' un sistema sperimentale e in Italia siamo i primi ad adottarlo", anche se da ottobre sara' obbligatorio per tutte le regioni. "Abbiamo rilevato tracce di covid in tutti i 27 depuratori monitorati- aggiunge Elena Nicosia di Arpal- con concentrazioni piu' o meno rilevanti. Siamo riusciti a rilevare il virus anche con poche coppie genomiche, riuscendo quindi a scovare gli asintomatici o i positivi non ancora sintomatici". Per il rettore Federico Delfino si tratta di "un principio di collaborazione molto costruttivo: la ricerca applicata, in questo momento, e' focalizzata al contrasto alla pandemia, in diversi settori dell'ateneo. Si mettono insieme sinergie che provengono da diversi ambiti del sapere che connotano il nostro ateneo generalista".
"A causa del Covid sono diminuite le somministrazioni di diverse vaccinazioni, una tra tutte e' la protezione contro l'HPV, su cui dobbiamo assolutamente recuperare". Il direttore della prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, lancia un grido di allarme sul calo delle vaccinazioni tra gli adulti.
L'occasione e' data dal webinar della Societa' di malattie infettive e tropicali sul tema 'Vaccinazione dell'adulto: le innovazioni oltre al Covid-19 e le raccomandazioni Simit'.
"La pandemia da Sars-CoV-2 e' un'emergenza gravosa ed un'estenuante cronicita', che ha acuito le altre problematiche sanitarie - avverte Rezza- Diversi mesi fa facemmo un'indagine con le Regioni, chiedendo se le vaccinazioni dei bambini e degli adulti erano state trascurate, in particolare sulle vaccinazioni di routine, e chiedemmo inoltre se il personale sanitario dedito alle vaccinazioni era stato dirottato sul fronte Covid. Emerse che il ritardo nei vaccini c'era stato, non per i bambini, e che lo spostamento di personale c'e' stato ma abbiamo potuto assumere altro personale per compensare e fronteggiare il grosso del carico della malattia Covid.
Il problema dei ritardi pero' deve essere ancora recuperato". Ma Rezza conta pero' di recuperare con l'aggiornamento del piano vaccinale nazionale, che trae origine dal 'calendario della vita': "un programma che fu lanciato da alcune societa' scientifiche, e che ha avuto impatto sulla redazione dei piani vaccinali nazionali. L'ultimo, il piano 2017-2019 del ministero trae molti spunti dal lavoro delle societa' scientifiche sul 'calendario della vita'.
Questo lavoro sul piano ha evidenziato ancora di piu' l'importanza di proteggere anche gli adulti, anche se nel 2020, a causa della pandemia, non abbiamo potuto mettere in pratica il piano. Teniamo pero' conto che le vaccinazioni sono incluse nei LEA e appena riusciremo ad essere nuovamente aderenti al piano, faremo un aggiornamento del piano anche alla luce del progresso tecnologico di questi ultimi anni sulle malattie infettive, portando il piano a diventare triennale, quindi fino al 2023, su cui stiamo lavorando al ministero".
In Italia le cure ospedaliere rivolte ai pazienti con un decorso letale di covid-19 sono state garantite senza disparita' fra coloro che erano e non erano affetti da un disturbo mentale, anche nei primi mesi dell'emergenza pandemica: i tempi di accesso ai test per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 sono risultati sovrapponibili e non sono emerse differenze nell'accesso alla terapia intensiva correlate alla diagnosi di patologia psichiatrica.
Ciononostante, i pazienti affetti da un disturbo psichiatrico grave muoiono con il covid-19 a un'eta' piu' giovane rispetto ai pazienti senza una diagnosi di disturbo mentale, al netto degli altri fattori esaminati, incluse le comorbilita' non psichiatriche. Sono questi i risultati principali emersi da uno studio (Doi: 10.1016/j.eclinm.2021.100854) condotto dal gruppo di lavoro 'Cause di mortalita' COVID-19' coordinato dal dottore Graziano Onder, appena pubblicato su EclinicalMedicine. La riflessione sui dati raccolti ha coinvolto numerosi ricercatori dell'Istituto superiore di Sanita' (Iss) che si occupano di salute mentale in diversi gruppi di lavoro e specialisti psichiatri anche del Ssn.
"La consapevolezza del diverso impatto della pandemia sulle popolazioni piu' vulnerabili fra le quali rientrano le persone affette da un disturbo mentale grave e da un disturbo del neurosviluppo, si e' andata diffondendo progressivamente", specificano Ilaria Lega e Lorenza Nistico', ricercatrici presso l'Iss e promotrici dello studio. Fin dai primi mesi della fase pandemica e' apparso evidente che la scarsa aderenza alle misure di protezione individuale legata a una ridotta consapevolezza del rischio, le frequenti comorbilita' cardiovascolari e metaboliche associate, la difficolta' nel riconoscere e riferire i sintomi fisici a causa delle alterazioni cognitive o della mancanza di motivazione, potessero esporre le persone affette dai disturbi mentali piu' gravi a un maggior rischio di infezione da SARS-CoV 2 e a un decorso piu' grave di covid-19.
Studi recenti hanno concluso che "l'essere affetti da un disturbo mentale costituisca un fattore di rischio indipendente per infezione da SARS-CoV-2- continua la nota dell'Iss- e possa associarsi ad un aumento della mortalita' da covid-19. Sulla base di queste evidenze alcuni paesi europei hanno incluso i pazienti con disturbi mentali gravi fra le categorie prioritarie per la vaccinazione anti SARS-CoV-2. In diversi Paesi sono state registrate nei primi mesi della pandemia concentrazioni di decessi nei grandi ospedali psichiatrici; nel Regno Unito e' emersa un'allarmante disparita' di accesso ai test di conferma dell'infezione e alle misure di protezione individuale a svantaggio dei pazienti con disturbi mentali rispetto ai pazienti affetti da altre patologie".
Per valutare la situazione in Italia, dove gli ospedali psichiatrici sono chiusi da oltre 40 anni, sono state prese in esame le cartelle cliniche di 4.020 pazienti deceduti con covid-19 in 365 ospedali italiani dal 21 febbraio al 3 agosto 2020, il 2,1% dei quali era affetto da un disturbo psichiatrico grave (schizofrenia o altro disturbo psicotico, disturbo bipolare), il 4,4% da un disturbo mentale comune (disturbo depressivo senza sintomi psicotici, disturbo d'ansia). L'eta' media al decesso dei pazienti con un disturbo psichiatrico grave e' risultata pari a 71,8 anni, rispetto ai 78,0 dei pazienti senza una diagnosi pregressa di disturbo mentale e ai 79,5 degli affetti da disturbo mentale comune.
Tutta la popolazione dei deceduti con covid-19 mostra un carico elevato di comorbilita' associate: i pazienti con 3 o piu' patologie somatiche sono il 61,2% fra coloro senza una diagnosi pregressa di disturbo psichiatrico, il 73,8% fra gli affetti da un disturbo psichiatrico grave, il 79,5% nel gruppo dei deceduti con un disturbo mentale comune. Ipertensione e diabete tipo 2 sono le patologie piu' frequenti nel gruppo senza una storia di disturbo mentale (rispettivamente 66,4% e 30,1%) e con un disturbo mentale comune (rispettivamente 64,9% e 27,0%), mentre fra i pazienti con un disturbo psichiatrico grave al secondo posto dopo l'ipertensione troviamo la demenza (rispettivamente 42,9% e 28,6%). Fra i deceduti con covid-19 e disturbi mentali comuni, le donne sono piu' rappresentate. Sia i pazienti con disturbi psichiatrici gravi che quelli con disturbi mentali comuni, piu' spesso dei deceduti senza un disturbo psichiatrico, provengono da un contesto di lungo degenza esterno al servizio di salute mentale, privo di funzioni riabilitative.
Fra le azioni in grado di tutelare la salute dei pazienti affetti da un disturbo mentale nel contesto pandemico, lo studio suggerisce l'opportunita' di includere i pazienti con disturbi psichiatrici gravi tra coloro con priorita' per la vaccinazione. Allo stesso tempo, come previsto dal DL 34 del 19 maggio 2020, relativo a misure urgenti in materia di salute e di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, e' necessario rafforzare i percorsi di presa in carico territoriale per le persone piu' fragili, prevedendo modalita' di intervento che riducano le scelte di istituzionalizzazione e favoriscano l'inclusione nella comunita' ispirandosi ai principi del recupero psicosociale in salute mentale, anche tramite strumenti innovativi come il budget di salute.
COVID-19 vaccines licensed in the EU/EEA have been shown during clinical trials to be highly effective in providing protection against symptomatic and severe COVID-19. Evidence from real-life usage of COVID-19 vaccines has confirmed these clinical trial findings and also showed high vaccine effectiveness against PCR-confirmed SARS-CoV-2 infection.
Limited evidence indicates that fully vaccinated individuals, if infected, may be less likely to transmit SARSCoV-2 to their unvaccinated contacts. Uncertainty remains regarding the duration of protection in such cases, as well as possible protection against emerging SARS-CoV-2 variants.
Viral circulation in the EU/EEA currently remains high, and the cumulative vaccination uptake in the EU/EEA is still low in the adult population aged 18 years and older, although higher in specific groups of the population targeted in the initial phases of the COVID-19 vaccine rollout, such as people aged 80 years and older and healthcare workers.
In the current context, and given the available evidence:
The overall reduction in risks of severe COVID-19 disease is dependent on vaccine uptake and vaccination coverage in the general population and is modulated by several other factors, such as age and underlying conditions, vaccine characteristics, variants of concern, setting, and the epidemiological situation.
To date, given the current risks as assessed, there are specific situations in which non-pharmaceutical interventions (NPIs) can be lifted:
Examples from countries where vaccination coverage is higher and severe COVID-related outcomes and SARS-CoV-2 incidence have subsequently declined, such as the United Kingdom (UK) and Israel, provide an indication of how population-level transmission can be reduced with the careful application and slow release of public health prevention measures while vaccination rollout is scaled up as quickly as possible throughout the EU/EEA.
Nel periodo compreso tra marzo e aprile 2020 il Covid e' stata la seconda causa di morte in Italia. I tumori occupano il gradino piu' alto del podio di questa triste classifica. È quanto rileva l'Istat. In questi due mesi, i deceduti residenti in Italia hanno subito un incremento del 45%.
Si tratta di 159.310 decessi, quasi 49.000 casi in piu' rispetto alla media calcolata nello stesso periodo del quinquennio 2015-2019. Il 60% e' attribuibile al Covid (29.210), il 10% a polmoniti e il 30% ad altre cause. Sul totale dei decessi per Covid, circa l'85% e' di individui di oltre 70 anni. Nella fascia d'eta' compresa tra i 50 e i 59 anni un decesso su cinque e' dovuto al Covid. L'incremento dei morti e' differenziato per luogo di decesso: +155% nelle strutture residenziali o socio-assistenziali, +46% negli istituti di cura, +27% nelle abitazioni. Sono 20.032 i decessi in piu' per cause diverse dal Covid.
Fra queste soprattutto polmoniti e influenza. L'incremento di mortalita' si concentra in particolar modo nelle regioni del nord-ovest, dove sono esplosi i primi focolai epidemici. In quest'area i decessi in piu' sono stati 34.449, con un raddoppio dei casi e un effetto dovuto all'invecchiamento piuttosto contenuto (+1.833 decessi).
Nel nord-ovest il Covid-19 e' responsabile di un terzo della mortalita' totale, quasi 19.000 decessi, il 64% dei decessi per Covid di tutta Italia. Circa il 20% (6.000) dei decessi riguarda residenti del nordest mentre nel resto del Paese si distribuisce il restante 16%. I certificati con menzione di Covid, sia come concausa che come causa iniziale, sono in totale 31.939: nel 92% dei casi il Covid e' la causa direttamente responsabile del decesso, nel restante 8% il Covid e' presente, ma il decesso si e' verificato per un'altra malattia. Nel periodo considerato, oltre al Covid, i decessi aumentano per quasi tutte le principali cause di morte rispetto a quanto osservato nello stesso periodo del quinquennio precedente.
L'incremento piu' importante nella frequenza dei decessi si osserva per polmoniti e influenza. Per questo gruppo di cause, rappresentato per oltre il 95% da polmoniti, la frequenza dei morti e' tre volte superiore a quella osservata in media nel periodo 2015-2019 (7.610 rispetto a 2.445). A tale aumento si accompagna anche la crescita dei decessi dovuti alle altre patologie a carico dell'apparato respiratorio (+26%), rilevata sia per le malattie croniche broncopolmonari che per il complesso delle restanti malattie respiratorie.
I decessi risultano in aumento anche per demenze e malattia di Alzheimer (+49%), per le malattie cardiache ipertensive (+40%) e per il diabete (+41%), cosi' come si ha un incremento per sintomi, segni e cause mal definite o sconosciute (+43%). Ad eccezione delle malattie cardiache ipertensive, le cause di morte ascrivibili al sistema circolatorio mostrano incrementi piu' contenuti, come nel caso delle malattie cerebrovascolari (+13%), delle malattie cardiache ischemiche (+5%) e delle restanti malattie circolatorie (+10%). Non si rilevano incrementi nel numero di decessi per tumori e malattie infettive.
"In Sardegna la campagna vaccinale non decolla e non siamo certo un esempio da seguire per quanto riguarda le dosi vaccinali inoculate". Cosi' Marina Fancellu, Segretario Regionale del Sindacato Medici Italiani della Sardegna in una dichiarazione lancia l'allarme sull'andamento della campagna vaccinale nell'isola.
"Sia Regione, che l'Azienda per la Tutela della Salute (ATS), dopo avere spinto per avere l'accordo regionale con i medici di medicina generale per la loro partecipazione alla vaccinazione di massa anti Covid, stanno adducendo, in questi giorni, futili motivi che di fatto impediscono la loro partecipazione attiva alla campagna vaccinale. I medici di medicina generale, infatti, verrebbero coinvolti solo per il disbrigo delle parti burocratiche delle vaccinazioni, mansioni che non prevedono una retribuzione, avendo come conseguenza un rallentamento delle inoculazioni. Allo stesso tempo, la scelta di non utilizzare i MMG comporta che al loro posto siano impiegati medici dipendenti e ospedalieri che sguarniscono reparti gia' carenti di organico a discapito delle cure per patologie non Covid. A tutto cio' si devono aggiungere le difficolta' nella registrazione e nell'accreditamento dei medici sulla piattaforma regionale Avacs, fondamentali per poter vaccinare, oltre che la mancata consegna delle dosi richieste per i propri pazienti allettati".
Per Fancellu "al momento nella vaccinazione di massa sono coinvolti solo i medici dipendenti e gli infermieri (non certo a titolo gratuito, giustamente, ma retribuiti in quanto prestazioni aggiuntive) e si tengono in disparte i medici convenzionati, quelli di famiglia e della Continuita' Assistenziale, che verrebbero retribuiti a quota unitaria di vaccino somministrato.
Davanti a tanta inefficacia, alle discriminazioni verso i medici, all'efficacia ridotta nel contrasto della pandemia, all'urgenza di salvaguardare la salute di tutti i cittadini sardi stiamo valutando di ritirare la nostra firma dall'accordo regionale, perche' le responsabilita' della Regione e delle parti pubbliche sono evidenti. Non siamo disponibili, attraverso una campagna mediatica, ad essere messi sul banco degli imputati e additati, anche al cospetto dei nostri pazienti, del fallimento della campagna vaccinale. La realta' e' un'altra. Dopo un mese dalla firma dell'accordo regionale, i medici di medicina generale non hanno le condizioni minime per partecipare attivamente alle vaccinazioni. Il Commissario Figliuolo intervenga".
Menarini Diagnostics, azienda del Gruppo Menarini, lancia Leasy Kit, un reagente innovativo, frutto della sua ricerca e totalmente “made in Italy”, per isolare l’RNA virale dopo il tampone molecolare. I vantaggi del Leasy kit sono un risparmio notevole di tempo, lavoro e risorse mantenendo alto il livello delle performance.
Mentre le metodiche tradizionali prevedono l’«estrazione e purificazione dell’RNA» virale dal campione prelevato al paziente, con tempi lunghi e costi maggiori, i team di Ricerca e Sviluppo Menarini hanno sviluppato una metodica innovativa. Con Leasy Kit la membrana esterna del virus che racchiude l’RNA viene dissolta rapidamente liberando l’RNA in soluzione con grande velocità, rendendolo disponibile per l’amplificazione con i test molecolari Covid-19.
Per semplificare, immaginiamo che l’RNA sia una pallina all’interno di una bottiglia dal collo stretto: con il metodo tradizionale bisogna estrarla, mentre con questa nuova tecnica la bottiglia viene semplicemente rotta.
Il nuovo reagente, nato dalla ricerca di Menarini Silicon Biosystems a Bologna, è già in produzione nei laboratori, appositamente realizzati, a Pisa.
“I nostri team di Ricerca e Sviluppo e Manufacturing hanno lavorato con determinazione in questi mesi per portare a disposizione dei laboratori una soluzione innovativa in grado di minimizzare tempi e costi delle routine molecolari, garantendo al contempo risultati accurati e ampia flessibilità” ha commentato Fabio Piazzalunga, General Manager di Menarini Diagnostics e Presidente di Menarini Silicon Biosystems “Si tratta del primo prodotto Menarini in diagnostica molecolare interamente sviluppato e prodotto in Italia. Grazie agli importanti investimenti fatti, siamo in grado di offrire soluzioni innovative che consentono di velocizzare i tempi e ridurre i costi”.
Il Leasy, essendo un kit che può essere utilizzato in combinazione con vari test di amplificazione, è indicato come Research Use Only e richiede una semplice validazione del laboratorio per essere utilizzato nell’ambito delle proprie routine.
MSD, nota come Merck negli USA e Canada, e Ridgeback Biotherapeutics hanno condiviso un aggiornamento sull’avanzamento del programma di sviluppo clinico di molnupiravir (MK-4482/ EIDD-2801), un antivirale orale in fase di sperimentazione clinica.
In base a una analisi preliminare dei dati di Fase 2, con particolare riferimento alla parte sulla determinazione del dosaggio dei due studi di Fase 2/3 in corso, controllati con placebo, per la valutazione di molnupiravir somministrato due volte al giorno per cinque giorni nei pazienti con COVID-19 non ospedalizzati (MOVe-OUT) o ospedalizzati (MOVe-IN), e a precedenti studi di Fase 2a con l’utilizzo di vari dosaggi di molnupiravir nei pazienti non ospedalizzati, è stata presa la decisione di procedere con la Fase 3 (Parte 2) per quanto riguarda lo studio MOVe-OUT nei pazienti non ospedalizzati con COVID-19. Tale Fase di studio prenderà in esame l’utilizzo di molnupiravir con un dosaggio di 800 mg. E una somministrazione si due 2 volte al giorno.
I dati dello studio MOVe-IN indicano che molnupiravir non sembrerebbe portare benefici clinici rilevanti nei pazienti ospedalizzati, i quali generalmente presentano una sintomatologia che ha una durata più lunga prima di entrare nello studio. Per questa ragione, si è deciso di non procedere alla fase 3.
“Stiamo continuando a fare progressi nello sviluppo clinico di molnupiravir, il nostro candidato antivirale orale in fase di sviluppo clinico. I dati rilevati nella fase 2 relativi alla determinazione del dosaggio sono coerenti con il meccanismo d’azione e forniscono evidenze significative del potenziale antivirale del farmaco nella dose da 800 mg – dichiara Roy Baynes, senior vice president e capo dello sviluppo clinico globale, oltre che chief medical officer presso MSD Research Laboratories.
“In base ai risultati di tali studi, stiamo procedendo alla Fase 3 del nostro programma di sviluppo clinico per quanto riguarda i pazienti non ospedalizzati che si appoggerà sul nostro network di centri per l’arruolamento dei pazienti idonei in tutto il mondo.”
“Siamo felici che molnupiravir continui a dimostrarsi promettente come potenziale trattamento per i pazienti non ospedalizzati con COVID-19”, ha aggiunto Wendy Holman, Chief Executive Officer presso Ridgeback Biotherapeutics.
“ I dati provenienti dallo studio EIDD-2801-2003 (MK-4482-006) condotto da Ridgeback, insieme a quelli rilevati tramite lo studio MK-4482-002 di MSD, forniscono forti evidenze dell’attività antivirale di molnupiravir. Attendiamo l’inizio e il completamento della Fase 3 dello studio MOVe-OUT.”
Aggiornamento sugli studi MOVe-OUT (MK-4482-002) e MOVe-IN (MK-4482-001)
MOVe-OUT è uno studio di Fase 2/3 in corso, randomizzato, controllato con placebo in doppio cieco, condotto in diversi centri, che valuta l’efficacia, la sicurezza e la farmacocinetica di molnupiravir somministrato per via orale nei pazienti non ospedalizzati con COVID-19 confermato utilizzando la reazione a catena della polimerasi.
L'obiettivo primario di efficacia dello studio MOVe-OUT è la valutazione dell'efficacia di molnupiravir rispetto al placebo intesa come la percentuale di pazienti ospedalizzati e/o deceduti dal momento della randomizzazione fino al giorno 29. La parte 1 dello studio MOVe-OUT ha arruolato un totale di 302 partecipanti, con sintomi insorti entro 7 giorni prima della randomizzazione. Ai partecipanti è stato somministrato molnupiravir nelle dosi da 200 mg (75 pazienti), 400 mg (77 pazienti), o 800 mg (76 pazienti), o il placebo (74).
La percentuale di pazienti ricoverati in ospedale e/o deceduti nella Parte 1 dello studio MOVe-OUT era inferiore nei gruppi trattati con molnupiravir rispetto al braccio placebo; il numero di eventi riportati non è sufficiente a fornire una misura significativa dell'effetto clinico.
Sia nello studio MOVe-OUT che nello studio MOVe-IN, l'analisi di SARS-CoV-2 in tamponi nasofaringei e orofaringei di pazienti utilizzando la reazione a catena della polimerasi quantitativa e qualitativa, che rappresenta un endpoint esplorativo, ha indicato che molnupiravir inibisce la replicazione del virus, come dimostrato da una maggiore diminuzione dal basale dell'RNA virale rispetto al placebo al Giorno 5 e al Giorno 10 e da una percentuale maggiore di partecipanti con RNA virale non rilevabile al Giorno 10 e al Giorno 15 dopo la fine del trattamento. L'effetto antivirale maggiore è stato osservato con la dose di 800 mg rispetto alle dosi da 200 mg e 400 mg. Queste differenze negli endpoint virologici erano più pronunciate nei soggetti arruolati entro i 5 giorni dall'insorgenza dei sintomi. Tra i 299 pazienti che hanno ricevuto almento una dose nell’ambito dello studio MOVe-OUT, il 6.2% (14/225) di quelli che hanno ricevuto molnupiravir e il 6.8% (5/74) di quelli che hanno ricevuto il placebo hanno riferito eventi avversi correlati al farmaco. Nello studio MOVe-IN, dei 293 pazienti che hanno ricevuto almento una dose, l’11% (24/218) di quelli trattati con molnupiravir e il 21.3% (16/75) di quelli che hanno ricevuto il placebo hanno riferito eventi avversi correlati al farmaco.
Ad oggi, i dati di laboratorio provenienti dagli studi MOVe-IN e MOVe-OUT non forniscono nessuna evidenza di risultati inattesi con nessuna delle dosi studiate.
In entrambi gli studi, nessun decesso è stato correlato all’assunzione del farmaco e non si sono verificati eventi avversi correlati al farmaco che abbiano portato all’interruzione del trattamento nei partecipanti che hanno ricevuto molnupiravir.
I risultati preliminari di entrambi gli studi MOVe-IN e MOVe-OUT, incluse le evidenze virologiche e l’analisi di farmacocinetica, sono state condivise con gli enti regolatori e verranno presentati nel corso di un prossimo evento scientifico.
Il Comitato esterno per il monitoraggio dei dati ha notato che l’analisi dei sottogruppi supporta un potenziale beneficio del trattamento e suggerisce una revisione del protocollo di arruolamento dello studio MOVe-OUT, che si focalizzerà sui pazienti in uno stadio precoce della patologia e sui pazienti considerati ad alto rischio (ad esempio, i pazienti anziani, obesi o con diabete). In base a tali raccomandazioni, MSD cambierà i criteri di inclusione dello studio MOVe-OUT riducendo a 5 giorni il range di tempo massimo dall’insorgenza dei sintomi e arruolando pazienti con almeno un fattore di rischio di una progressione a malattia grave.
MSD inizierà ad arruolare i pazienti per la Fase 3 (Parte 2) dello studio MOVe-OUT (Parte 2) entro la fine di Aprile/inizio di Maggio.
Si stima che i dati finali di Fase 3 dello studio MOVe-OUT (Parte 2) saranno disponibili a settembre/ottobre 2021. MSD anticipa che, in base agli eventuali risultati positivi ottenuti nello studio MOVe-OUT, la sottomissione per l’autorizzazione di molnupiravir in Emergency Use verrà presentata nella seconda metà del 2021. MSD e Ridgeback Biotherapeutics condivideranno ulteriori dati provenienti dal programma di sviluppo clinico di molnupiravir con le agenzie regolatorie, man mano che saranno disponibili.
Inoltre, MSD sta pianificando di iniziare un programma clinico di valutazione di molnupiravir per la profilassi post esposizione, nella seconda metà del 2021.
MOVe-OUT – Disegno dello studio
MOVe-OUT (MK-4482-002) è uno studio multicentrico di Fase 2/3 randomizzato, controllato verso placebo, in doppio cieco, che valuta l’efficacia, sicurezza e farmacocinetica di molnupiravir somministrato per via orale nei pazienti non ospedalizzati di almeno 18 anni di età, con diagnosi di COVID-19 confermata in laboratorio e con sintomi insorti entro 7 giorni prima della randomizzazione. Lo studio coinvolgerà un totale di 1.850 partecipanti con COVID-19 da lieve a moderata. La Fase 2 ha coinvolto 302 pazienti randomizzati 1:1:1:1 per ricevere molnupiravir nelle dosi da 200mg, 400 mg o 800 mg, o placebo, 2 volte al giorno per 5 giorni.
L'obiettivo primario di efficacia è la valutazione dell'efficacia di molnupiravir rispetto al placebo intesa come la percentuale di soggetti ricoverati e/o deceduti durante il periodo dalla randomizzazione fino al giorno 29. Gli endpoint esplorativi che supportano la selezione della dose per la Fase 3 (Parte 2) includono i cambiamenti rispetto al basale dei livelli plasmatici dell’RNA di SARS-CoV-2 e la percentuale di partecipanti con viremia non rilevabile, il tasso di mutazione dell'RNA virale valutato confrontando il sequenziamento del virus al basale e post-basale e i dati di farmacocinetica (per esempio Ctrough, Cmax, tmax, t1 / 2, AUC0-12). In seguito al completamento della Parte 1, i criteri di inclusione per MOVe-OUT sono stati modificati riducendo la durata dei sintomi consentita per l'arruolamento a meno di 5 giorni e aumentando l'arruolamento di partecipanti considerati ad alto rischio di decorso grave di COVID-19 (ad esempio pazienti anziani, con obesità e diabete).
Per ulteriori informazioni sullo studio consultare clinicaltrials.gov.
L’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il terzo Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini COVID-19. I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 marzo 2021 per i tre vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso.
Nel periodo considerato sono pervenute 46.237 segnalazioni su un totale di 9.068.349 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 510 ogni 100.000 dosi), di cui il 92,7% sono riferite a eventi non gravi, che si risolvono completamente, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari.
Le segnalazioni gravi corrispondono al 7,1% del totale, con un tasso di 36 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione.
La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Comirnaty* (81%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (68% delle dosi somministrate), con un aumento delle segnalazioni per il vaccino Vaxzevria (17%) a seguito dell’incremento dell’uso di questo vaccino (27% delle dosi somministrate). Le segnalazioni relative al vaccino Moderna rappresentano invece il 2% del totale e sono proporzionali al numero più limitato di dosi somministrate (5%).
Gli eventi segnalati insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (87% dei casi).
Per tutti i vaccini gli eventi avversi più segnalati sono febbre, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea, in linea con le informazioni note sui vaccini finora utilizzati in Italia.
Un focus è dedicato agli eventi tromboembolici dopo la somministrazione di Vaxzevria. Si sono verificati, entro 2 settimane dalla vaccinazione, dei casi molto rari di trombi associati a bassi livelli di piastrine nel sangue. Su un totale di 62 casi inseriti in Eudravigilance in Italia sono stati segnalati 7 casi (con due decessi) di trombosi dei seni venosi intracranici (CSVT) fino al 22 marzo 2021 e 4 casi (con due decessi) di trombosi di più vasi sanguigni in sede atipica sui 24 inseriti nello stesso periodo nella rete di sorveglianza europea. L’approfondimento a livello nazionale di queste segnalazioni è condotto con il supporto di un “Gruppo di Lavoro per la valutazione dei rischi trombotici da vaccini anti-COVID-19”, costituito da alcuni dei massimi esperti nazionali di trombosi ed emostasi.
Gli eventi avversi non noti sono oggetto di continuo approfondimento a livello nazionale ed europeo.
Il Rapporto è consultabile sul sito dell’AIFA alla pagina Farmacovigilanza su vaccini COVID-19 accessibile dal box "Link correlati".
In attuazione del Decreto del Ministero della Salute del 6 febbraio 2021 (pubblicato nella G.U. serie generale n.32 dell’8/2/21), l’Agenzia Italiana del Farmaco ha provveduto a sviluppare il registro di monitoraggio degli anticorpi monoclonali per il trattamento del COVID-19.
Sono quindi presentati i risultati del monitoraggio attraverso il registro AIFA, relativo agli anticorpi attualmente disponibili: bamlanivimab (Determina AIFA nella GU n.58 del 09.03.2021), bamlanivimab ed etesevimab (Determina AIFA nella GU n.66 del 17.03.2021) e casirivimab ed imdevimab (Determina AIFA nella GU n.71 del 23.03.2021).
I dati sono stati estratti alle ore 05.00 del 9 aprile 2021 e si riferiscono alla settimana dal 2 aprile all’8 aprile 2021.
I centri abilitati dalle Regioni alla compilazione del registro AIFA sono disponibili al seguente link.
Si è conclusa l’analisi dei dati dello studio clinico randomizzato e controllato chiamato TSUNAMI, promosso da ISS e AIFA e coordinato da ISS, sul ruolo terapeutico del plasma convalescente nei pazienti che hanno sviluppato malattia COVID-19. Lo studio ha confrontato l’effetto del plasma convalescente ad alto titolo di anticorpi neutralizzanti (≥1:160), associato alla terapia standard, rispetto alla sola terapia standard in pazienti con COVID-19 e polmonite con compromissione ventilatoria da lieve a moderata (definita da un rapporto PaO2/FiO2 tra 350 e 200).
Hanno partecipato allo studio 27 centri clinici distribuiti in tutto il territorio nazionale che hanno arruolato 487 pazienti (di cui 324 in Toscana, 77 in Umbria, 66 in Lombardia e 20 da altre regioni). Le caratteristiche demografiche, le comorbidità esistenti e le terapie concomitanti sono risultate simili nei due gruppi di pazienti, 241 assegnati al trattamento con plasma e terapia standard (231 valutabili), e 246 alla sola terapia standard (239 valutabili). Non è stata osservata una differenza statisticamente significativa nell’end-point primario (“necessità di ventilazione meccanica invasiva, definita da un rapporto tra PaO2/FiO2 < 150, o decesso entro trenta giorni dalla data di randomizzazione”) tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard. Nel complesso TSUNAMI non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni.
L’analisi dei differenti sottogruppi ha confermato l’assenza di differenze significative tra i due trattamenti. Solo nel caso dei pazienti con una compromissione respiratoria meno grave (con un rapporto PaO2/FiO2 ≥ 300 all’arruolamento), è emerso un segnale a favore del plasma che non ha però raggiunto la significatività statistica (p=0.059). Questo potrebbe suggerire l’opportunità di studiare ulteriormente il potenziale ruolo terapeutico del plasma nei soggetti con COVID lieve- moderato e nelle primissime fasi della malattia. Il trattamento è risultato complessivamente ben tollerato, anche se gli eventi avversi sono risultati più frequenti nel gruppo che ha ricevuto il plasma.
I risultati dello studio TSUNAMI sono in linea con quelli della letteratura internazionale, prevalentemente negativa, fatta eccezione per casistiche di pazienti trattati molto precocemente con plasma ad alto titolo. Lo studio TSUNAMI, che ha coinvolto una rete di centri trasfusionali, laboratori di virologia e centri clinici a livello nazionale, rappresenta un modello virtuoso di piattaforma di ricerca che conferma la capacità del nostro paese di produrre evidenze scientifiche di alto livello, anche in situazioni emergenziali come quelle che connotano un periodo pandemico. Queste evidenze sono indispensabili per migliorare la qualità dell’assistenza clinica ai malati.
"Da febbraio a oggi abbiamo visitato circa 150 under 18 che nei mesi scorsi hanno avuto il Covid. Piu' della meta' sono adolescenti (dai 14 anni in su) e di questi almeno il 20% si porta dietro problemi di tipo psicologico come ansia, depressione, paura di quello che e' successo o potra' succedere".
A dirlo e' Fabio Midulla, pneumologo, responsabile del pronto soccorso pediatrico del Policlinico Umberto I di Roma e promotore di un progetto di visite gratuite e follow-up per minori che hanno contratto l'infezione da SARS-Cov-2. A distanza di due mesi dall'avvio del progetto Midulla tira le somme: "Fondamentalmente possiamo dire che, a differenza dell'adulto, i bambini e i ragazzi che hanno contratto il virus non si portano dietro grandi conseguenze dal punto di vista fisico, non soffrono del cosiddetto 'Long Covid'- sottolinea lo pneumologo- I problemi che riscontriamo sono di tipo psicologico".
Gli adolescenti sono stati, probabilmente, la fascia d'eta' piu' colpita dalle restrizioni dovute alla pandemia "sono quelli che hanno piu' bisogno di socializzare- sottolinea Midulla- e che quindi sono stati piu' danneggiati dal lockdown". Tanto e' vero che al d i la' del progetto di follow-up, il medico evidenzia come "rispetto a due anni fa, quando il Covid non c'era, anche in pronto soccorso vediamo piu' giovani pazienti con problemi di depressione, di ansia o che hanno compiuto atti di autolesionismo". Del resto "ci sono molti dati in letteratura- spiega lo pneumologo- che dimostrano come il periodo del lockdown abbia slatentizzato problemi di tipo psichiatrico e psicologico".
Da qui l'importanza del progetto dell'Umberto I che oltre a monitorare gli effetti a lungo termine sui minori che hanno avuto la malattia, punta a fare una diagnosi precoce, ossia a "conoscere per prevenire- dice Midulla, precisando che- quando troviamo dei ragazzi che hanno bisogno di essere visti in maniera piu' approfondita o di essere presi in carico dal punto di vista psicologico, lo facciamo col nostro servizio di Neurologia in collaborazione con la Neuropsichiatria infantile".
Enorme il riscontro che il progetto di visite gratuite ha avuto: "Siamo passati da due a cinque pazienti al giorno per cercare di smaltire le liste d'attesa e abbiamo prenotazioni fino a novembre- precisa Midulla- ne siamo felici ed e' indice che la nostra idea risponde a un'esigenza delle famiglie, ossia la necessita' di avere un contatto con gli specialisti per essere rassicurati sulle conseguenze a distanza del Covid".
Per prenotare la visita gratuita si possono chiamare i numeri 0649979363/0649979375 o inviare un'email a pediatriaumberto1@gmail.com
Bristol Myers Squibb supporta la creazione delle stanze degli abbracci in dieci RSA su tutto il territorio nazionale.
Un grande risultato, raggiunto grazie alle generose donazioni dei dipendenti, poi raddoppiate dall’azienda, che dimostra quanto il valore dell’inclusione sia vissuto in Bristol Myers Squibb. Il progetto si aggiunge alle numerose iniziative e donazioni supportate dall’azienda in favore della comunità e delle categorie più fragili, durante la grave e delicata situazione legata all’emergenza da Covid-19.
Le stanze degli abbracci sono diventate celebri in epoca di pandemia. Si tratta di spazi allestiti all’interno di strutture ospedaliere o RSA, dove poter avere un contatto fisico con i propri cari in piena sicurezza.
“L’abbraccio è simbolo di inclusione e condivisione di emozioni – afferma Emma Charles, General Manager Bristol Myers Squibb Italia -. Supportando questo progetto abbiamo voluto testimoniare la nostra vicinanza a tutti i pazienti COVID ed in particolare agli anziani. Abbiamo scelto le RSA come destinatarie di questa iniziativa perché la popolazione anziana è stata quella più colpita dalla pandemia e perché queste strutture hanno dovuto gestire negli ultimi mesi un’emergenza nell’emergenza.
La stanza degli abbracci incarna i valori dell’inclusione e dell’attenzione al paziente che sono alla base della cultura delle persone che lavorano in Bristol Myers Squibb. È un’iniziativa di natura sociale e di grande spessore emotivo che risponde a qualcosa di più di un’esigenza pratica, cogliendo i bisogni delle persone. La stanza degli abbracci rappresenta il calore, il sostegno, la vicinanza, l’affetto che ognuno vorrebbe dare e ricevere per sentire e fare sentire la propria presenza in un momento di grande emergenza e spesso di solitudine”.
Proseguiranno fino al 30 giugno i voli Covid tested di Alitalia da e per New York, iniziati lo scorso 8 dicembre. Una modalita' di viaggio che ha riscontrato il favore di circa diecimila passeggeri che in questi quattro mesi hanno viaggiato da e per gli Stati Uniti.
Per viaggiare sui tre voli settimanali Alitalia da e per gli USA i passeggeri dovranno quindi continuare a presentare una certificazione comprovante la negativita' al Covid 19, effettuata nelle 48 ore antecedenti il volo, oppure eseguire il test antigenico direttamente all'aeroporto prima di imbarcarsi. Per i passeggeri in arrivo dagli Stati Uniti il secondo test antigenico effettuato all'aeroporto di Fiumicino continuera' a esentarli dall'obbligo di quarantena.
Inoltre, come previsto da un provvedimento del Ministero della Salute, tutti i passeggeri che viaggiano sui voli Covid tested dovranno compilare i moduli digitali Passenger Locator Forms, iniziativa fortemente voluta dall'Unione Europea di cui Alitalia e' stata compagnia test, e che si pone l'obiettivo di rendere piu' rapido il tracciamento dei contatti, nei casi di positivita' al virus. Restano in vigore le consuete precauzioni di viaggio, pertanto anche per i voli Covid-tested e' obbligatorio indossare sempre una mascherina chirurgica protettiva, munendosi preventivamente di un numero adeguato di ricambi per poterla sostituire ogni 4 ore. Alitalia ricorda che tutti i suoi aeromobili vengono sanificati quotidianamente con prodotti ad alto potere igienizzante e, grazie ai filtri HEPA e alla circolazione verticale, l'aria a bordo e' rinnovata ogni tre minuti e pura al 99,7 per cento, come in una sala sterile, a conferma che il trasporto aereo resta la modalita' di viaggio piu' sicura.