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- Diabete e vaccinazione anti-Covid, le ragioni di una scelta necessaria e salva-vita
- Test Covid e nuove varianti. Quali sono affidabili?
- Da Aifa ok alla sperimentazione al vaccino Covid-eVax
- Gli Italiani e la seconda fase del Covid-19, il ritorno dell’ incertezza
- - Nella nuova normalità della pandemia, alcuni comportamenti, come ad esempio l’uso delle mascherine, sono ormai acquisiti, ma l’accettazione delle misure che limitano le libertà personali si è ridotta rispetto al primo lockdown.
- - Nonostante questo, circa la metà degli italiani chiede un inasprimento delle misure di contenimento del virus, mentre solo un quinto chiede di alleggerirle.
- - Rimane alto il pessimismo sullo sviluppo della situazione economica. Le famiglie percepiscono la situazione come stagnante e sono ormai rassegnate a non vedere un rimbalzo economico positivo nell’immediato futuro.
- - Rimane alta e diffusa in tutte le categorie la percezione del rischio di perdita del posto di lavoro. Questa percezione cresce a dicembre anche tra i dipendenti pubblici, anche se rimane più accentuata tra i dipendenti del settore privato e lavoratori autonomi.
- - Tra gli italiani intervistati, 6 su 10 (60%) dichiarano di essere disponibili a vaccinarsi.
- - Gli scettici sono circa il 30%. ll 12% degli intervistati è certo di non volersi vaccinare, il 18% lo ritiene poco probabile.
- -Tuttavia, solo un 6% del campione può essere fatto rientrare nella categoria No Vax, cioè quelli che non vogliono vaccinarsi perché contrari ai vaccini per principio.
- - Molto più frequenti, 16%, le persone che non sono propense a vaccinarsi perché timorose degli effetti collaterali del vaccino.
- Questo dato sottolinea la necessità e l’urgenza di una capillare campagna informativa sulla vaccinazione.
- - La grande maggioranza degli italiani è d’accordo con la chiusura delle Università (circa 7 su 10) e delle scuole superiori (circa 6 su 10), ma la quota di favorevoli si riduce di molto per le scuole medie (circa 5 su 10), elementari e dell’infanzia (circa 4 su 10).
- -Sul versante della didattica a distanza (DaD) le opinioni degli italiani intervistati sono piuttosto negative.
- - La maggioranza degli intervistati (73%) ritiene che la scuola italiana non sia attrezzata per gestire la DaD.
- - Diverse anche le preoccupazioni circa le conseguenze sociali negative della DaD.
- -La maggioranza degli intervistati (circa 6 su 10) pensa che la DaD produca un aumento delle disuguaglianze sociali e dei disagi psicologici degli alunni.
- - Quasi tre quarti degli intervistati (73%) teme che le ripercussioni della DaD si faranno sentire in modo significativo sui genitori che lavorano.
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- Personen, die in einer Branche tätig sind, die aufgrund der Massnahmen von Bund und Kantonen finanziell betroffen ist (z.B. Gastgewerbe, Kultur, Tourismus). Zudem sind Personen, bei denen die finanziellen Reserven abgenommen haben, mit 28 Prozent doppelt so häufig von schweren depressiven Symptomen betroffen als Personen mit unveränderten oder gewachsenen Reserven (14 Prozent).
- Personen aus der französischen Schweiz sind mit einer Häufigkeit schwerer depressiver Symptome von 22 Prozent stärker betroffen als Personen aus der Deutschschweiz mit 17 Prozent oder der italienischen Schweiz mit 16 Prozent. Zudem fanden die Forschenden einen Zusammenhang zwischen der Stärke der zweiten Welle (Inzidenz von Neuinfektionen) und der Häufigkeit schwerer depressiver Symptome in den Kantonen.
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- Avviso pubblico per la creazione di un elenco di laureati in medicina e chirurgia abilitati all’esercizio della professione medica e iscritti agli albi professionali, nonché di infermieri e assistenti sanitari iscritti ai rispettivi Albi professionali, per l’attuazione del piano di somministrazione dei vaccini anti Sars-Cov-2
- Avviso di procedura aperta di massima urgenza per la conclusione di un accordo quadro con un massimo di 5 agenzie per il lavoro avente ad oggetto l’affidamento del servizio di somministrazione di lavoro a tempo determinato di laureati in medicina e di infermieri e assistenti sanitari professionali per l’attuazione del piano di somministrazione dei vaccini anti SARS-COV-2.
- Info:
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- Coronavirus COVID-19 a Milano già a inizio dicembre 2019
Sono state recentemente pubblicate le “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19” a cura del Ministero della Salute, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Istituto Superiore di Sanità, Agenas e AIFA.
Le Società Scientifiche Pneumologiche raccomandano quindi ai propri Soci e a tutti i Colleghi Pneumologi la massima diffusione di una corretta informazione su questo cruciale argomento.
In questo documento viene stabilito l’ordine di priorità delle persone da vaccinare, con particolare rilievo a considerazioni di carattere sanitario, definito sulla base del criterio del maggior rischio di letalità correlato al COVID-19. I parametri presi in considerazione a tal fine, sulla base delle analisi condotte dagli studi scientifici a disposizione, sono l’età e la presenza di condizioni patologiche che rappresentano le variabili principali di correlazione con la mortalità per COVID-19.
In particolare, la prima categoria in ordine di priorità della seconda fase di vaccinazione sarà quella delle persone estremamente vulnerabili. In questa categoria, i pazienti a più alta priorità nell’area delle patologie respiratorie sono quelli affetti da fibrosi polmonare idiopatica e da altre patologie che necessitino di ossigenoterapia. Tale indicazione è stata identificata, insieme al Consiglio Superiore di Sanità, sulla base di tre elementi: la relativa ridotta numerosità di questa popolazione di pazienti, l’età media comunque generalmente alta e il documentato aumentato rischio di mortalità in caso di infezione con virus SARS-CoV-2.
Il COVID è un nemico importante per le persone con diabete. Per questo la Società Italiana di Diabetologia, insieme all’Associazione Medici Diabetologi e alla Società Italiana di Endocrinologia si sono fatte promotrici della richiesta di rendere prioritaria la vaccinazione anti-COVID per le persone con diabete.
A ulteriore conferma di quanto il vaccino sia fondamentale per la popolazione diabetica, arrivano i risultati aggiornati dello studio CORONADO, pubblicati oggi su Diabetologia (la rivista della European Association for the Study of Diabetes, EASD) dai professori Bertrand Carioue Samy Hadjadj, dell’Università di Nantes (Francia). I dati pubblicati a maggio evidenziavano che il 10% delle persone con diabete e COVID moriva entro la prima settimana di ricovero. La nuova analisi, effettuata su 2.796 partecipanti (arruolati presso 68 centri ospedalieri francesi), evidenzia che un paziente su 5, tra i diabetici ricoverati per COVID, muore entro 28 giorni dal ricovero. Una glicemia elevata al momento del ricovero si associa ad un aumentato rischio di morte.
“La pandemia di Covid-19 – afferma il professor Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – continua a mietere vittime e le vittime sono certamente molto più numerose tra le persone già affette da altre patologie. Tra queste, purtroppo, vanno sicuramente incluse le persone con diabete. Questo traspare già dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo i quali il diabete mellito è presente nel 30% dei pazienti deceduti per COVID-19, una percentuale significativamente superiore rispetto alla prevalenza della malattia diabetica nella popolazione generale (In Italia, il 6,7 %). E recentissimi studi internazionali non fanno che confermare questo dato drammatico. Un lavoro inglese del dottor Andrew McGovern dell’Università di Exeter, appena pubblicato online su Diabetologia, dimostra che tra i soggetti affetti da COVID -19, il rischio di morte in un individuo di 50 anni con diabete è pari al rischio di morte di un soggetto di 66 anni senza diabete.
Lo studio osservazionale francese CORONADO, pubblicato oggi su Diabetologia, riporta che su una coorte di pazienti diabetici ospedalizzati per Covid-19 ben 1 su 5 va incontro al decesso durante le prime 4 settimane di ricovero. Sono dati drammatici, che sottolineano ancora volta quanto sia fondamentale ed irrinunciabile, per tutti, ma in particolare per le persone con il diabete, prevenire il contagio e proteggersi con il vaccino”.
Al momento le uniche azioni efficaci per la protezione control’infezione da SARS Cov-2 sono il distanziamento sociale e la profilassi vaccinale. “Tutti i dati ad oggi disponibili – conclude Consoli – dimostrano che anche nelle persone con diabete la vaccinazione anti-SARS Cov 2 è efficace e sicura. E’ quindi necessario che le persone affette da questa condizione si rendano conto di quanto sia fondamentale la protezione offerta dal vaccino e corrano a vaccinarsi appena questo sarà possibile nelle loro sedi. Questo sempre continuando a rispettare scrupolosamente nei comportamenti le norme di sicurezza generali necessarie per limitare la trasmissione del virus”.
I test per la diagnosi di Covid che si usano attualmente sono in grado di rilevare le varianti di Sars-CoV-2? "In linea generale -scrive l'Istituto superiore di sanità in una nuova Faq dello speciale varianti aggiornato online -, i test diagnostici attualmente in uso funzionano correttamente". L'Iss rimanda comunque alle indicazioni diffuse nei giorni scorsi dal ministero della Salute.
"Il ministero della Salute - spiega - raccomanda l'uso di test molecolari non esclusivamente basati sul gene S. Si può ricorrere ai test antigenici, ma per le eventuali conferme sono necessari i test antigenici non rapidi (di laboratorio) o quelli rapidi con lettura in fluorescenza (cioè letti con apposite apparecchiature), che garantiscano alta specificità e sensibilità". Invece, "per potere distinguere se un'infezione è determinata da una variante - precisa l'Iss - è necessario un test specifico altamente specialistico che è detto 'sequenziamento', tramite il quale si determina la composizione esatta del genoma del virus. Il sequenziamento non è un'analisi a disposizione del pubblico, ma è un tipo di test che viene effettuato solo in centri specializzati per motivi di sanità pubblica".
L'Agenzia italiana del Farmaco ha dato l'autorizzazione alla sperimentazione clinica di COVID-eVax, il vaccino contro il COVID-19 ideato da Takis e sviluppato in collaborazione con Rottapharm Biotech.
Lo studio clinico di fase I e II potra' partire a febbraio, sara' svolto presso l'Istituto nazionale Tumori IRCCS Pascale di Napoli, l'Istituto nazionale sulle Malattie Infettive Spallanzani di Roma e l'ospedale San Gerardo di Monza, in collaborazione con l'Universita' di Milano- Bicocca, e fornira' i primi risultati sulla sicurezza e immunogenicita' "circa 3 mesi dopo l'inizio della sperimentazione". A differenza delle altre piattaforme gia' approvate dall'Agenzia Europea del Farmaco, come l'mRNA e i vettori Adenovirali, COVID-eVax e' basato su un frammento di Dna iniettato nel muscolo, che promuove la produzione di una porzione specifica della proteina 'spike' del virus, stimolando una forte reazione immunitaria contro il virus.
L'efficienza del processo e' aumentata dalla tecnica dell''elettroporazione', che favorisce il passaggio del Dna all'interno delle cellule in maniera semplice, rapida e senza effetti collaterali grazie a lievi e brevi stimoli elettrici.
"L'autorizzazione di Aifa rappresenta il primo importante passo per lo sviluppo della tecnologia del Dna contro il Covid-19 ma anche per altre patologie- commenta Luigi Aurisicchio, amministratore delegato e direttore scientifico di Takis- Tra gli importanti vantaggi, il Dna e' economico, non ha bisogno di complesse formulazioni, puo' essere prodotto in larga scala e non ha necessita' della catena del freddo. Ma soprattutto la vaccinazione puo' essere ripetuta nel tempo per aumentare e mantenere la risposta immunitaria e la sua flessibilita' consente di essere facilmente adattata contro le nuove varianti del virus che stanno emergendo, qualora queste dovessero diventare resistenti alle attuali terapie vaccinali e agli anticorpi terapeutici".
Secondo Lucio Rovati, presidente e direttore scientifico di Rottapharm Biotech, COVID-eVax e' un "vaccino che nasce in Italia, si sta sviluppando in Italia con tecnologie tutte italiane, verra' sperimentato in Italia e, in caso di successo degli studi clinici, sara' prodotto in Italia grazie ad un consorzio solido e altamente competente che sta gia' lavorando alla possibile fase di industrializzazione", conclude.
"Finalmente, dopo un anno super impegnativo in cui abbiamo creato un vaccino unico nel suo genere e sviluppato in tempi record una tecnologia, che sara' utilizzata per Covid-19, ma anche per altre patologie come il cancro, la malaria ed altre malattie infettive, abbiamo ottenuto l'autorizzazione dell'Aifa". Lo scrive su Facebook Luigi Aurisicchio, amministratore delegato e direttore scientifico di Takis, dopo l'ok da parte dell'Agenzia italiana del Farmaco alla sperimentazione clinica di COVID-eVax, il vaccino contro il COVID-19 ideato da Takis e sviluppato in collaborazione con Rottapharm Biotech.
"Finalmente possiamo dare il nostro contributo per combattere la pandemia- prosegue Aurisicchio- Finalmente, grazie alla nostra passione, all'aiuto di tante piccole donazioni di amici, persone generose e alla ottima collaborazione con la Rottapharm Biotech. Finalmente, nonostante un incendio dei nostri laboratori che ha rallentato il nostro lavoro. Finalmente, orgogliosamente in Italia- conclude- da sud a nord e senza un solo euro pubblico".
Siamo ormai a un anno dall’individuazione dei primi casi di COVID-19 in Italia. Durante l’estate gli italiani sembravano vedere la luce in fondo al tunnel e questo dicevano i dati raccolti con il monitoraggio svolto da SPS TREND Lab dell’Università Statale di Milano tra aprile e luglio 2020, durante la prima ondata di Coronavirus. Invece, l’arrivo anche in Italia della seconda ondata della pandemia di Coronavirus ha spento le speranze di un rapido ritorno alla normalità pre-Covid 19.
Come stanno dunque reagendo gli italiani alla “nuova normalità” che la convivenza protratta col virus ha determinato? In questo contesto, gli italiani guardano ai vaccini con speranza o scetticismo? E cosa pensano invece dell’impatto che la pandemia sta avendo sul mondo della scuola? A queste e altre domande fornisce una risposta il rapporto del progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19.
L’indagine, coordinata dal prof. Cristiano Vezzoni e dal prof. Antonio Chiesi, è a cura di SPS TREND Lab, presso il dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Statale di Milano. Il progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19 proseguirà anche nel 2021, grazie a un finanziamento della Fondazione Cariplo.
La rilevazione su cui si basano le analisi presentate nel rapporto include 3000 interviste svolte nel periodo dal 21 al 31 dicembre, in collaborazione con SWG.
I PUNTI SALIENTI DELL’INDAGINE
APPROFONDIMENTO VACCINI
-Tra i più propensi a vaccinarsi, troviamo gli anziani (75%) e i giovani (67%). Le loro motivazioni a vaccinarsi sono probabilmente differenti: gli anziani sono consapevoli di essere i più esposti agli esiti gravi della malattia; i giovani vogliono tornare alla vita normale e la vaccinazione può essere la soluzione.
- Gli intervistati favorevoli all’introduzione dell’obbligatorietà per il vaccino anti COVID-19 sono il 43% e sopravanzano i contrari (30%).
APPROFONDIMENTO SCUOLA E DIDATTICA A DISTANZA (DAD)
- Il giudizio degli italiani intervistati circa il modo in cui il Governo Conte ha gestito la questione scuola è decisamente negativo (media 4,4 su una scala 0-10).
Il rapporto completo è disponibile online alla pagina: https://spstrend.unimi.it/
"Si sa ancora poco di quali siano gli effetti a distanza dell'infezione da SARS-CoV-2 nei bambini e questa incognita spaventa le famiglie. Vediamo arrivare in pronto soccorso bimbi con semplici raffreddori, mal di gola o febbre perche' magari nei mesi precedenti hanno contratto il Covid e i genitori hanno paura che possa essere tutto collegato. Ecco, questa incertezza ci ha fatto capire che c'era la necessita' di sostenere e prendere in carico i bambini e le loro famiglie".
A dirlo e' Fabio Midulla, pneumologo, responsabile del pronto soccorso pediatrico del Policlinico Umberto I di Roma e promotore di un progetto di visite gratuite e follow-up per minori, che hanno avuto l'infezione da SARS-Cov-2. "Siamo partiti lunedi' con le prenotazioni e in soli due giorni ne abbiamo gia' registrate oltre 200- dice Midulla- sintomo che nella popolazione c'e' un disagio e, come dipartimento Materno-Infantile del Policlinico, ci e' sembrato giusto intercettarlo, anche per supportare i pediatri del territorio. La Fimp (Federazione Italiana Medici Pediatri) ha sposato con entusiasmo la nostra iniziativa e ha inviato delle lettere a tutti i suoi medici".
I follow-up sono importanti anche nell'ambito della prevenzione. "Fare controlli a distanza di tempo da quando e' stato contratto il virus- precisa il pediatra- consente di identificare precocemente qualcosa che poi puo' essere prevenuta". Oggi sono partite le prime visite "e andremo avanti fin quando ce ne sara' richiesta", sottolinea Midulla. "Al momento abbiamo avuto rischieste di prenotazioni soprattutto per bambini sopra i 10 anni, che hanno avuto l'infezione da settembre in poi". Al progetto possono partecipare tutti i minori di 18 anni che hanno avuto il Covid sia in forma sintomatica che asintomatica. Le visite si svolgono dal lunedi' al venerdi' "ma non prenotiamo piu' di due bambini al giorno- precisa Midulla- per avere la possibilita' e il tempo di lavorare al meglio".
L'equipe che si occupa dei follow up e' composta da pneumologo, neurologo, cardiologo e allergologo, "con l'aiuto degli specializzandi in Pediatria", sottolinea il medico. Il percorso prevede "l'apertura della cartella clinica, la visita pneumologica, un prelievo di sangue per dosare gli anticorpi contro il Covid e vedere qual e' la risposta immunologica di questi bambini- spiega- alcuni esami di routine per sondare le condizioni generali, la spirometria, la valutazione ecografica del polmone, la saturimetria a riposo e con il 'walking test', e poi ancora la valutazione con il neurologo per verificare se ci sono problemi psicosomatici; la valutazione cardiologica con visita, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma; la valutazione allergologica intesa come patologie del naso- precisa il pediatra- perche' alcuni bambini hanno anche il problema della perdita di olfatto". Alla fine di tutto questo percorso "se troveremo bambini che pensiamo debbano essere visti in maniera piu' approfondita, apriremo dei percorsi specifici per le specifiche patologie", sottolinea il medico.
Le pazienti che in Italia vivono con un tumore al seno, il più diffuso tra le donne, dovrebbero essere inserite nel primo gruppo della campagna vaccinale anti Covid-19. L’infezione da Coronavirus potrebbe, infatti, avere conseguenze gravi per il decorso della patologia e più in generale per il loro stato di salute.
È quanto sostiene il Movimento Europa Donna Italia che, per questo pomeriggio, ha organizzato una diretta Facebook alla quale partecipano rappresentanti dei clinici, dei pazienti e dei caregiver.
“L’immunizzazione andrebbe estesa e resa quanto prima disponibile anche a tutti i volontari delle associazioni che prestano assistenza all’interno degli ospedali oppure a domicilio. Stiamo parlando di centinaia di persone che, sull’intero territorio nazionale, aiutano le donne alle prese con le problematiche indotte dal cancro al seno. In particolare, all’interno dei centri di senologia, dove il volontariato ha un ruolo preciso definito dalle linee guida ministeriali, queste persone svolgono un lavoro fondamentale e aiutano tutti i giorni i professionisti del sistema sanitario nazionale. Il loro supporto è sempre più importante soprattutto in un periodo complicato da un punto di vista socio-sanitario come quello che stiamo vivendo. Per questo, andrebbero tutelate, al pari degli operatori sanitari, attraverso la somministrazione dei vaccini contro il Coronavirus. Siamo consapevoli che al momento sono subentrate difficoltà organizzative e si segnalano carenze di questi presidi sanitari. L’auspicio è che le problematiche si risolvano al più presto e che la campagna vaccinale possa proseguire.”
All’evento on line di Europa Donna Italia intervengono come relatori Massimo Galli (Direttore SC Malattie Infettive 3 dell’Ospedale Fatebenefratelli Sacco di Milano nonché della Divisione clinicizzata di Malattie Infettive dell’Università di Milano) e Francesco Cognetti (Presidente di FOCE-ConFederazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi). “Il vaccino ci aiuterà a superare l’emergenza, ma con tempi lunghi di quelli auspicati e previsti dalla campagna. Dobbiamo quindi proteggere prima le categorie più esposte e quelle più vulnerabili, continuando nel frattempo a mantenere tutte le cautele del caso. Con il ritardo dei vaccini, il virus che circola dentro e fuori i confini e l’eventuale arrivo di nuove varianti più contagiose e che potrebbero sostituirsi a quelle che circolano attualmente, una terza ondata non può essere esclusa. Abbassare la guardia non è ancora possibile” sostiene Galli.
“Come FOCE abbiamo chiesto fin dall’inizio che la vaccinazione sia estesa ai pazienti oncologici,oncoematologici e cardiaci – aggiunge Cognetti – Si tratta, infatti, di una categoria di uomini e donne in cui il Coronavirus può avere una maggiore mortalità. È stato dimostrato da numerosi studi scientifici condotti nell’ultimo anno. Per quanto riguarda il tumore al seno, la malattia ha un forte impatto sull’intero sistema Paese in quanto presenta una grande diffusione epidemiologica. Ogni anno si registrano in Italia 55mila nuovi casi e il tasso di sopravvivenza a cinque anni si attesta all’87%. Tuttavia, rimane alto il numero dei decessi e ammontano a 37mila i casi di malattia metastatica che sono i più difficili da trattare. Riteniamo quindi fondamentale proteggere le pazienti con carcinoma mammario da un ulteriore fattore di rischio come il Covid”.
L’evento on line di oggi fa parte di un ciclo di dirette Facebook che Europa Donna Italia promuove dallo scorso maggio. “Fin dall’inizio della pandemia abbiamo deciso di non lasciare sole le donne – e anche gli uomini – che vivono direttamente o indirettamente con un tumore al seno – conclude Rosanna D’Antona – Riceviamo continue richieste da parte di persone giustamente preoccupate dalla pandemia. Fornire una corretta e qualificata informazione a malati e caregiver è uno dei nostri obiettivi. E può essere anche un contributo per sconfiggere un terribile virus che da ormai un anno continua a imperversare nel nostro Paese.”
È possibile seguire l’evento on line di oggi a partire dalle 16:30 sulla pagina facebook di Europa Donna Italia a questo link facebook.com/EuropaDonnaItalia
"La preoccupazione che condivido con specialisti in prima linea come Carlo Selmi e con il responsabile del pronto soccorso in Humanitas, Antonio Voza, è che vediamo pazienti in fasi precoci arrivare già trattati con cortisone". Ad accendere una spia è l'immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University.
"La chiave per affrontare Covid-19 è che dobbiamo imparare ad usare le armi che si rendono disponibili al momento giusto e sul paziente giusto. C'è una preoccupazione, che ha espresso anche l'immunologo Anthony Fauci. E riguarda l'unico farmaco che, al momento, secondo studi confermati, ha dimostrato di bloccare l'infiammazione e ha cambiato la storia della malattia: si tratta dei cortisonici. I dati che abbiamo si riferiscono al suo utilizzo in una finestra precisa - sottolinea l'esperto - tutti i protocolli e le linee guida fanno riferimento a questo".
L'esperto solleva un tema delicato: quello dell'utilizzo di armi preziose ma nel momento sbagliato, un tempismo mancato che rischia di avere un effetto boomerang. "I cortisonici - spiega all'Adnkronos Salute - sono immunosoppressori. Ma se nelle fasi tardive di Covid-19 il sistema immunitario, quando va 'fuori giri', causa danni, nelle fasi precoci invece il sistema immunitario fa sì che fino al 50% dei pazienti siano asintomatici o paucisintomatici, è quello che fa guarire i malati e i cortisonici usati troppo presto potrebbero ostacolarlo. Ci sono dati che arrivano dalla Reumatologia e da Selmi che suggeriscono che, usati fuori dalla finestra corretta individuata, possono peggiorare Covid-19. C'è la preoccupazione che sia così. E occorre dunque usare saggiamente questa importante arma che abbiamo". Quanto a possibili nuovi alleati che si affacciano all'orizzonte, alcuni studi accendono speranze sul potere antinfiammatorio della colchicina, vecchio farmaco per la gotta. "Il punto è che c'è solo un annuncio alla stampa al momento - osserva Mantovani - sembra promettente ma il mio giudizio lo darò quando vedrò gli studi con tutti i dati".
Sempre per quanto riguarda la 'lotta' all'infiammazione che è l'aspetto più critico di Covid-19, continua lo scienziato, "abbiamo dati molto incoraggianti in arrivo su diversi inibitori di citochine, per esempio su un inibitore dell'enzima Jak. Che questo enzima fosse importante lo abbiamo capito tanti anni fa grazie a due grandi scienziati, Luigi Notarangelo e Anna Villa, che hanno scoperto come fosse alla radice di una forte immunodeficienza in alcuni bimbi. Ci sono studi promettenti su questo per Covid-19, e anche sull'inibizione dell'interleuchina 6 e su un antagonista dell'interleuchina 1, anche stavolta usati nei pazienti giusti e nelle finestre giuste".
E poi c'è il capitolo anticorpi monoclonali: "Io sono un immunologo e ho un pregiudizio positivo, sono convinto che ci aiuteranno a curare Covid - dice Mantovani - Si stanno esplorando le loro potenzialitàsoli o con gli inibitori di citochine. Sono fiducioso e i dati sono incoraggianti". C'è chi dice che in Italia ci siano detrattori di questo strumento.
"In realtà in Italia abbiamo diversi gruppi, come per esempio quello di Rino Rappuoli, che stanno facendo sperimentazione su questo fronte. E non è l'unico anticorpo italiano in corsa. Ci sono diverse strategie di questo tipo. Stiamo facendo quel che si deve fare, una sperimentazione rigorosa. In alcuni campi noi europei siamo più cauti. In ogni caso anche gli anticorpi monoclonali dovremo imparare a usarli bene. E quindi occorre uno sforzo su genetica e marcatori per dare al paziente la terapia su misura nel momento ideale".
Tra gli effetti collaterali del Covid, questa volta in positivo, c'e' la 'scomparsa' della bronchiolite, la patologia associata al virus respiratorio sincinziale che colpisce in particolare i bambini sotto ai 2 anni di vita. "A partire da ottobre, e con un picco tra gennaio e febbraio, eravamo abituati a vedere le corsie degli ospedali pieni di bambini con insufficienza respiratoria o con problemi comunque correlati a un quadro di bronchiolite.
Quest'anno, invece, all'ospedale pediatrico Bambino Gesu' nessun tampone fatto da ottobre ad oggi e' risultato positivo al virus respiratorio sincinziale". A tracciare il quadro e' Elena Bozzola, segretario nazionale della Societa' italiana di pediatria (Sip). Il 'merito' e' proprio del coronavirus o meglio delle misure adottate in seguito alla scoppio della pandemia. "Il distanziamento sociale, la corretta igiene delle mani, l'utilizzo delle mascherine, le limitazioni ai viaggi e agli spostamenti, i divieti di assembramento sono tutte misure che insieme hanno contribuito a un rallentamento delle infezioni virali con beneficio, ovviamente, dei piu' piccolini- spiega Bozzola- nonostante sotto ai 6 anni non vi sia l'obbligo di portare la mascherina".
Ma cos'e' la bronchiolite? "E' il primo episodio di infezione delle vie respiratorie che si riscontra nel bambino. All'auscultazione si presenta con ronchi, rantoli, fischi, ossia il cosiddetto concerto- spiega la pediatra- ed e' molto piu' grave rispetto agli episodi di bronchite proprio perche' generalmente colpisce i piu' piccolini". Una patologia con dei costi ospedalieri importanti e disagi forti nelle famiglie. "Il bambino manifesta un quadro clinico con difficolta' respiratorie e per questo puo' smettere di mangiare, motivo per cui, visto che soprattutto i piccolini tendono a disidratarsi, c'e' bisogno subito di un'attenta valutazione da parte del pediatra ed eventualmente anche di cure ospedaliere". La profilassi esiste "ma viene effettuata a pochi e selezionati bambini in base alle note Aifa, soprattutto ai piccoli nati prematuri o con gravi patologie pregresse". Alla luce di tutto questo Bozzola consiglia "da mamma e da pediatra, di non abbassare le misure precauzionali che ci hanno aiutato nei confronti del coronavirus e che ci stanno aiutando contro tante altre infezioni".
GENOMICA, azienda di diagnostica molecolare del gruppo PharmaMar (MSE:PHM), annuncia di aver convalidato il suo kit qCOVID-19 Respiratory COMBO per l'uso in campioni diretti di saliva. Questo kit è in grado di rilevare la SARS-CoV-2 da campioni di saliva.
L'uso della saliva facilita il processo di raccolta dei campioni e riduce il contatto con il personale sanitario, il che riduce significativamente la loro esposizione e i potenziali rischi di contagio durante il processo di raccolta. Una volta in laboratorio, l'uso diretto della saliva per la PCR elimina la necessità di eseguire la fase di estrazione, che è un collo di bottiglia in molti laboratori.
Il kit GENOMICA porta con queste innovazioni dei vantaggi rispetto ad altri kit di PCR attualmente sul mercato, il che in pratica significa un risparmio di tempo e di costi per ottenere risultati.
Questa convalida permette di estendere il tipo di campioni accettati per il suo kit PCR qCOVID-19 Respiratory Combo, includendo ora la saliva, così come l'essudato nasofaringeo per il rilevamento della SARS-CoV-2. I dati sono stati ottenuti nel quadro della collaborazione nel progetto COVID-LOT, uno studio condotto dall'Università Complutense di Madrid, guidato dal dottor Francisco Javier Arroyo, dal dottor José Manuel Bautista e dal dottor Jesús Pérez-Gil nel coordinamento e nella direzione scientifica.
Il progetto ha confrontato i risultati di 72 campioni nasofaringei e di saliva ottenuti simultaneamente. L'analisi di COVID-19 con il test PCR di GENOMICA ha ottenuto una sensibilità del 100%, che permette anche l'individuazione di casi asintomatici.
Il test qCOVID 19 Respiratory Combo, che ora espande le sue applicazioni, è stato lanciato nel novembre 2020 e si basa su una PCR in tempo reale o qPCR. L'inclusione di campioni di saliva permette una diagnosi rapida e accurata, in modo che i medici possano classificare i pazienti e determinare il trattamento più appropriato e le misure di isolamento per ogni caso.
GENOMICA ha accordi commerciali in più di 20 paesi distribuiti globalmente.
L'azienda rimane impegnata a fornire le istituzioni spagnole. Dal lancio del primo kit PCR per COVID-19 con marchio CE fino ad oggi, migliaia di pazienti sono stati testati per SARS-CoV-2 con i kit di GENOMICA, che sono prodotti nei suoi stabilimenti di Madrid. Ora, questa novità fornirà agli ospedali spagnoli e internazionali un nuovo strumento contro COVID-19, aiutando una diagnosi rapida e accurata.
I coronavirus sono una famiglia diffusa di virus che possono causare il comune raffreddore, ma anche malattie gravi come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria mediorientale (MERS).
I Carabinieri del Nucleo AIFA alle dirette dipendenze del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, in collaborazione con i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli DI Fiumicino, coadiuvati dalla competente Direzione Antifrode e Controlli, hanno rinvenuto e sottoposto a sequestro, presso l’Aeroporto Internazionale “Leonardo da Vinci”, circa 6.840 capsule e 66 confezioni di flaconi, per un valore di circa 30 mila euro, di specialità medicinali, provenienti dal continente africano, di natura antibiotica e antinfiammatoria ad uso umano, utilizzati anche nella terapia anti COVID-19.
I farmaci, trasportati clandestinamente all’interno di un bagaglio di un cittadino africano, erano sprovvisti di idonea certificazione medico sanitaria e delle prescritte autorizzazioni ministeriali e risultavano potenzialmente pericolosi per la salute umana a causa della presenza di principi attivi altamente tossici, in grado di provocare importanti reazioni avverse sull’apparato cardiocircolatorio.
“Voglio ringraziare i Nas - Comando Carabinieri per la Tutela della Salute che in questi giorni hanno messo a segno diverse importanti operazioni di sequestro in tutta Italia di farmaci illegali distribuiti come rimedi anti Covid-19. Su medicinali e dispositivi medici ci dobbiamo fidare dei nostri farmacisti e professionisti sanitari e diffidare di canali di distribuzione alternativi”. Queste le parole del Ministro della Salute, Roberto Speranza, dopo l’operazione dei Nas a Milano che segue quelle di Roma e Firenze dei giorni scorsi.
Solo nell’ultimo periodo i Carabinieri NAS hanno rinvenuto e sequestrato oltre 73.000 farmaci illegali anti-covid, sgominando il relativo tentato commercio sul territorio nazionale.
L’intervento, nell’ambito del protocollo d’intesa per la costante attività di contrasto al traffico illegale di farmaci anti covid-19 sul territorio nazionale, è frutto della fattiva e sinergica collaborazione tra l’Agenzia delle Dogane e Monopoli e il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, teso a garantire la tutela della salute pubblica e, allo stesso tempo, impedire la vendita e la somministrazione di farmaci prodotti con modalità ignote, non sottoposte ad alcun controllo di sicurezza ed efficacia da parte delle competenti Autorità Sanitarie e quindi pericolosi per i cittadini.
“Diamo il benvenuto ai nuovi componenti della Giunta regionale con l’assoluta convinzione che questo momento è straordinariamente importante per il nostro Esecutivo e per la nostra Regione”.
Così il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, nella conferenza stampa in cui ha presentato la sua nuova squadra di governo, di cui fanno parte la vicepresidente e assessore al Welfare Letizia Moratti, l’assessore allo Sviluppo economico Guido Guidesi e l’assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari opportunità, Alessandra Locatelli.
“Stiamo ancora affrontando l’epidemia – ha aggiunto il governatore della Lombardia – con la nuova fase delle vaccinazioni anti-Covid. Siamo consapevoli che dall’entusiasmo, dalla determinazione e dalla coscienza nel lavoro della nostra nuova Giunta dipende il rilancio della Lombardia e dell’intero Paese”.
“Siamo anche consapevoli – ha continuato il presidente delle pesanti conseguenze che l’epidemia ha prodotto sulle nostre attività economiche. Il nostro impegno è lavorare per il rilancio di tutto il sistema”.
In apertura di conferenza stampa il presidente ha precisato che è stato firmato il provvedimento con cui viene istituita la nuova Giunta. “Ribadisco e rinnovo i ringraziamenti ai tre assessori che hanno operato in questi due anni e mezzo, Martina Cambiaghi, Silvia Pini e Giulio Gallera – ha detto il presidente Fontana – e per il contributo che hanno dato alla nostra Giunta”.
Lombardia zona arancione, venerdì aggiornamento su dati RT
Rispondendo alle domande dei giornalisti, il presidente Fontana si è soffermato sul recente passaggio della Lombardia a ‘zona arancione’.
“I prossimi colori delle Regioni – ha chiarito – si decideranno venerdì, quando arriveranno i risultati al Cts. Dovremo capire se l’RT e gli altri parametri che determinano il passaggio di colore peggioreranno nella prossima settimana, o miglioreranno. Nel caso in cui dovessero peggiorare, noi siamo vicini al rosso, c’è la possibilità che dal venerdì della prossima settimana, per la Lombardia scatti la zona rossa”.
“Dall’inizio di dicembre – ha proseguito Fontana – l’indicazione dei parametri che determinano il passaggio delle Regioni da una zona all’altra, è stata modificata e resa più rigorosa. I dati che non scendono indicano che dobbiamo prestare attenzione, non possiamo ritenere che il problema si sia risolto”.
Gli obiettivi dei nuovi assessori
Letizia Moratti: da subito al servizio dei lombardi
“Il mio ringraziamento – ha esordito la nuova vicepresidente della Giunta regionale Letizia Moratti – va al presidente Fontana che mi ha proposto in maniera inaspettata questo ruolo. È un compito difficile, in un momento complesso e per alcuni drammatico”. “Ho deciso di prendere responsabilità, mettendomi al servizio dei cittadini lombardi – ha continuato – e lo faccio con tutto il mio impegno, mettendomi a disposizione per un lavoro di squadra. Sono lombarda e fiera e orgogliosa di esserlo, convinta che questa terra abbia enormi potenzialità di crescita e sono fiera di essere a disposizione”.
Confronto con maggioranza e opposizione
“Intendo confrontarmi con la maggioranza e con l’opposizione in maniera convinta – ha spiegato – perché sono certa che possiamo uscire da questa emergenza se saremo tutti uniti, lavorando con medici, infermieri e con tutte le professioni sanitarie e confrontandoci con il Governo nazionale e per vincere la guerra al Covid per far ripartire la Lombardia, come la Lombardia merita. Se vince la Lombardia vince il Paese”.
“Aprirò un Tavolo di confronto con tutti i direttori generali delle Ats, delle Asst, degli operatori accreditati, dei sindacati dei medici e delle professioni sanitarie, con i presidi delle facoltà e del mondo del volontariato, sindaci del territorio” ha anticipato la vicepresidente e nuovo assessore al Welfare della Regione Lombardia.
“Bisognerà – ha precisato – porre una ancora maggiore attenzione al territorio: questo l’impegno che abbiamo preso e che intendo portare avanti con determinazione”.
Riordino della Legge 23
Rispondendo alle domande dei giornalisti, Letizia Moratti ha evidenziato la necessità di “rivedere la legge di riordino della Sanità (Legge 23) in tempi rapidi per incrementare da subito un’organizzazione strutturata che è la migliore risposta a tematiche che non devono essere viste solo nell’emergenza ma anche nella gestione delle altre patologie”.
“Cercherò di avere anche grande attenzione – ha detto ancora – alle liste di attesa rispetto alle altre patologie, la nostra sanità non si esaurisce nel Covid”.
“Lavorare per me è una costante – ha chiosato Moratti – mi metto al lavoro per la mia regione e di tutti i cittadini con spirito di servizio”.
Sul tema vaccini, la vicepresidente Moratti ha sottolineato: “non ho preso ancora contatto con il commissario Arcuri, il piano vaccinale prosegue nei tempi e faremo il possibile per accelerare. La buona notizia è che Moderna ha avuto il via libera da Ema: bene che la Ue abbia acquistato altri vaccini”.
“Speriamo che con queste nuove dosi – ha aggiunto – si possa incrementare il nostro Piano vaccini e lo faremo anche nel momento in cui sapremo com’è nuovo piano del governo”.
Die neueste Umfrage der Universität Basel zur psychischen Belastung in der zweiten Covid-19-Welle hat ergeben, dass der psychische Stress im Vergleich zum Frühjahr deutlich zugenommen hat.
Der Anteil Personen mit schweren depressiven Symptomen betrug während des Lockdowns im April rund 9 Prozent und stieg im November auf 18 Prozent. Besonders stark betroffen sind junge Leute und Personen, die durch die Pandemie finanzielle Einbussen erfahren. Ferner ist die Romandie stärker betroffen als die übrige Schweiz.
An der erneuten Umfrage im Rahmen der Swiss Corona Stress Study unter der Leitung von Prof. Dr. Dominique de Quervain haben sich über 11'000 Personen aus der gesamten Schweiz beteiligt. Aufgrund der Art der Datenerhebung handelt es sich per Definition nicht um eine repräsentative Umfrage. Allerdings bildet die Population der Befragten bezüglich soziodemographischer Merkmale ein breites Spektrum der Schweizer Bevölkerung ab und die aktuelle Erhebung unterscheidet sich in diesen Merkmalen nicht von der ersten Umfrage während des Lockdowns im April 2020. Alle berichteten Zusammenhänge und Vergleiche sind statistisch hoch signifikant.
Der aktuellen Erhebung zufolge hat der Stress im Vergleich zur ersten Welle deutlich zugenommen. Betrug der Anteil an Personen, die maximalen Stress angaben, während des Lockdowns im April rund 11 Prozent, stieg er in der zweiten Welle im November auf 20 Prozent an. Auch die depressiven Symptome nahmen zu.
Finanzielle Probleme, Konflikte zuhause und Zukunftsängste
Zu den Haupttreibern von psychischem Stress und depressiven Symptomen zählen die Belastung durch eine Covid-19-bedingte veränderte Situation bei der Arbeit, an der Schule oder in der Ausbildung. Weitere Faktoren sind die Belastung durch Covid-19-bedingte finanzielle Einbussen, die Belastung durch die Zunahme von Konflikten zuhause und Zukunftsängste.
Im Vergleich zur Zeit des Lockdowns im April werden diese Faktoren von den Befragten aktuell als belastender gewertet. Als nach wie vor belastend empfanden die Studienteilnehmenden die Angst, dass jemand aus dem engsten Umfeld an Covid-19 schwer erkranken oder sterben könnte sowie die Belastung durch die sozialen Einschränkungen.
Zunahme schwerer depressiver Symptome
Während der Anteil von Befragten mit schweren depressiven Symptomen vor der Pandemie 3 Prozent betrug, während des Lockdowns im April 9 Prozent und in der Zeit der Lockerungen im Mai 12 Prozent, stieg er im November auf 18 Prozent an.
Besonders stark betroffen, sind:
Stressreduzierende Faktoren
Wie schon in den früheren Datenerhebungen fand das Forschungsteam auch bei der aktuellen Umfrage, dass Personen, die körperlich aktiv sind, durchschnittlich leicht weniger Stress und depressive Symptome aufweisen als die körperlich weniger aktiven. Aus früheren Studien ist die stressreduzierende Wirkung von Sport bekannt.
Die Forschenden empfehlen Betroffenen mit belastenden depressiven Symptomen, Hilfe in Anspruch zu nehmen. Diese wird angeboten unter der Telefonnummer 143, für Kinder und Jugendliche 147, oder bei psychologischen und psychiatrischen Fachpersonen. Ein kurzer, anonymer Selbsttest für depressive Symptome findet sich unter www.coronastress.ch.
Zudem weisen die Forschenden darauf hin, dass junge Menschen besonders stark von den psychischen Auswirkungen der Pandemie betroffen sind, und Schulen diesem Umstand mit einer flexiblen Handhabung des Lehrplans Rechnung tragen sollten.
Die Daten zeigen ferner, dass Covid-19-bedingte finanzielle Einbussen einen signifikanten psychischen Belastungsfaktor darstellen. Eine Kompensation der Ausfälle ist daher für die psychische Gesundheit wichtig.
Die Resultate beziehen sich auf den Erhebungszeitraum vom 11.–19. November 2020. In diesem Zeitraum haben 11’612 Personen aus der gesamten Schweiz an der anonymen Online-Umfrage unter www.coronastress.ch teilgenommen.
Originalquelle (Preprint)
Dominique de Quervain, Amanda Aerni, Ehssan Amini, Dorothée Bentz, David Coynel, Virginie Freytag, Christiane Gerhards, Andreas Papassotiropoulos, Nathalie Schicktanz, Thomas Schlitt, Anja Zimmer, Priska Zuber
The Swiss Corona Stress Study: second pandemic wave, November 2020
OSF Preprint server (2020)
L'Unicef ha annunciato che nei paesi del mondo, i bambini migranti e sfollati sono stati in gran parte esclusi dai piani nazionali di risposta e recupero alla pandemia da Covid-19 e hanno vissuto una significativa riduzione nell'accesso ai servizi essenziali e di cura.
Questi risultati si basano sui dati raccolti attraverso una recente ricerca dell'Unicef condotta in 159 paesi in cui ha una presenza operativa. Stando a quanto riporta in una nota il Fondo Onu per l'Infanzia e l'adolescenza, dei 272 milioni di migranti internazionali stimati a livello globale, 33 milioni sono bambini, compresi 12,6 milioni di bambini rifugiati e 1,5 milioni di richiedenti asilo. Altre decine di milioni si spostano all'interno dei loro paesi - solo l'India ospita circa 93 milioni di bambini migranti interni. Nel mondo, 21,5 milioni di bambini sono sfollati interni a causa di conflitti, violenze o disastri.
Nella Giornata internazionale dei Migranti, l'Unicef ha chiesto, dunque, ai governi di assicurare che tutti i bambini vulnerabili - compresi coloro che vivono come rifugiati, migranti o sfollati interni - siano considerati prioritari nella risposta alla pandemia e negli sforzi di recupero, indipendentemente dal loro status e vengano raggiunti con protezione di qualita', assistenza sanitaria, acqua, servizi igienico-sanitari e istruzione.
"I risultati di questa indagine sono un segnale che indica che i bambini piu' vulnerabili sono lasciati soli a gestire le conseguenze della pandemia", ha dichiarato Henrietta Fore, direttore generale dell'Unicef. Secondo l'Unicef, alcune delle riduzioni piu' marcate dei servizi si stanno verificando in paesi con crisi in corso, come conflitti o disastri, in cui i bambini migranti incontravano gia' barriere nell'accesso all'assistenza sanitaria, all'acqua pulita e a servizi igienici adeguati. Secondo i sondaggi dell'Unicef il 50 per cento dei Paesi in cui il Fondo Onu ha operazioni umanitarie attive segnala una riduzione dell'accesso all'assistenza sanitaria tra le popolazioni sfollate e rifugiate.
Quasi un quarto degli stessi paesi segnala un'interruzione dei servizi idrici e igienico-sanitari nei campi per rifugiati o sfollati. Piu' in generale, al di la' di contesti fragili, i dati dell'indagine mostrano che i bambini rifugiati, migranti e sfollati non vengono raggiunti dalla risposta socioeconomica e dagli sforzi di recupero. Ad esempio il Il 58 % degli uffici paese dell'Unicef intervistati riferisce che le opzioni di apprendimento a distanza sono inadeguate per i bambini vulnerabili, compresi quelli che vivono come rifugiati, migranti o sfollati interni. Il 36 % riferisce di una riduzione dei servizi di protezione per i bambini migranti e sfollati. Il 50 % invece riferisce che i rifugiati e i richiedenti asilo non sono coperti da nuove o ampliate misure di protezione sociale dei governi legate al Covid-19.
L'Unicef e' anche preoccupato per le percezioni sempre piu' negative e l'ostilita' espressa nei confronti dei bambini migranti, una tendenza che dovrebbe intensificarsi con l'aggravarsi della crisi socio-economica generata dal COVID-19 e il ritorno di milioni di migranti in paesi con tassi di disoccupazione in aumento: il 39 per cento degli uffici paese dell'Unicef riferisce di un aumento della tensione nei confronti delle popolazioni migranti e degli sfollati, cosi' come di coloro che rimpatriano; con un aumento di quasi il 50 per cento nei paesi con contesti fragili.
Passato il V-Day e consegnate le prime dosi del siero, in Italia esplode il dibattito fra politici ed esperti. Con opinioni a volte molto discordanti fra favorevoli e contrari.
L'ultimo a intervenire sul tema in ordine di tempo è Raffaele Bruno, direttore Malattie infettive del Policlinico San Matteo Pavia, intervenendo oggi nel corso della trasmissione 'Agorà' su Rai Tre. "Non perdiamo tempo con gli scettici. Vacciniamo chi si vuole vaccinare. Per gli operatori sanitari penso che sia un obbligo deontologico verso il vaccino. Questo è un problema di sanità pubblica non di sanità individuale", ha spiegato.
Sempre oggi Agostino Miozzo, coordinatore del comitato tecnico scientifico sul coronavirus, dalle pagine del Messaggero rilancia: "Medici, infermieri, personale sanitario: il vaccino anticovid deve essere obbligatorio. Lo stesso deve valere per chi lavora nelle Residenze sanitarie, dobbiamo difendere gli anziani". "Un operatore sanitario deve vaccinarsi- ribadisce Miozzo - E secondo me l'obbligo deve valere anche per chi lavora in una Rsa, non solo per chi assiste gli ospiti ma anche per chi entra a fare le pulizie". "Ma io andrei anche oltre. Penso a tutte le strutture pubbliche, alle scuole, a chi lavora a contatto con molte persone".
"Non sono grande appassionata dell'obbligo in campo vaccinale, il governo si è raccomandato e penso che una raccomandazione forte sia il modo migliore per raggiungere l'immunità di gregge", aveva affermato ieri il ministro per la Pa Fabiana Dadone, replicando a distanza alla sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa, per la quale invece l'obbligatorietà" del vaccino anti-Covid dovrebbe essere una pre condizione per chi lavora nel settore pubblico. "Un metodo coercitivo è assurdo", ha aggiunto Dadone intervistata a 'L'aria che tira' su La 7.
"Credo che l'obbligatorietà" del vaccino anti-Covid "possa essere una precondizione per chi lavora nel" settore "pubblico", sottolineava ieri la sottosegretaria Zampa, intervenuta ad 'Agorà' su Rai 3 sull'ipotesi obbligatorietà per alcune categorie. "Cominciare a discutere dell’obbligo farebbe un danno ulteriore. Oggi dobbiamo avere la pazienza di spiegare, la campagna di comunicazione è in partenza. Credo che debba essere una precondizione per chi lavora nel pubblico. Se dovessimo renderci conto che c’è un rifiuto che non si riesce a superare, io penso che nel pubblico non si possa lavorare", spiegava.
"Non si può stare in una Rsa, dove si dovrebbe lavorare per la salute delle persone ospitate, e mettere a rischio la loro vita. Il nostro paese ha deciso che i bambini, se non sono vaccinati, non possono andare nelle scuole pubbliche. Non credo che possa non valere per i medici, per gli operatori sanitari, per gli insegnanti", sottolineava la sottosegretaria.
Sul tema era poi intervenuto anche il viceministro Pierpaolo Sileri nel corso della trasmissione 'Gli Inascoltabili' in onda su Nsl Radio e Tv. "Adesso - aveva spiegato - si punta alla non obbligatorietà". L'obbligo "non c'è, ma non vorrei che ci si dovesse arrivare, perché significherebbe dover mettere una costrizione per colpa di pochi individui", sottolineava.
Per il viceministro, inoltre, l'idea di un "passaporto sanitario" per chi ha ricevuto il vaccino in futuro è una ipotesi da non escludere. "È molto probabile - spiegava ieri Sileri all'Adnkronos - che nel prossimo futuro per svolgere diversi tipi di attività sarà richiesto" in qualche occasione "di comprovare l'avvenuta somministrazione del vaccino. Non è però un tema di competenza esclusivamente interna: istituzioni internazionali quali la Commissione Europea e l'Oms stanno valutando una proposta di certificato internazionale digitale. Già ora, una volta effettuata, viene rilasciata una normale certificazione di avvenuta vaccinazione". "Da questo documento al 'passaporto sanitario' c'è ancora molta strada da fare, ma è senz'altro uno sviluppo possibile".
Evitare la sovrapposizione dei clienti e gestire a tal fine gli spazi, favorire l’areazione corretta e frequente degli ambienti, provvedere alla disinfezione degli strumenti non monouso, all’utilizzo di dispositivi medici e di protezione individuale, alla formazione e informazione del personale, senza trascurare la collaborazione attiva dei clienti.
Sono questi i punti salienti contenuti nel nuovo documento tecnico, Indicazioni sulle misure contenitive del contagio da Sars-Cov-2 nel settore della cura della persona, per le attività di: tatuaggio, dermopigmentazione e piercing, redatto dall’ISS in collaborazione con l’INAIL, allo scopo di minimizzare i rischi di trasmissione di SARS-CoV-2.
Il documento fornisce le indicazioni e le misure specifiche relative al settore del tatuaggio, della dermopigmentazione e del piercing, attività che comportano intrinsecamente una certa invasività.
Le misure e le indicazioni contenute nel presente documento si applicano alle attività di tatuaggio, dermopigmentazione (intesa come micropigmentazione, trucco permanente, trucco semipermanente, tricopigmentazione) e piercing. È importante sottolineare che oltre alle misure di prevenzione collettive e individuali è necessaria anche un’adeguata informativa per la collaborazione attiva dell’utenza che dovrà continuare a mettere in pratica i comportamenti generali previsti per il contrasto alla diffusione dell’epidemia, come previsto dai DPCM in vigore e da eventuali decreti/ ordinanze regionali.
Per i locali con più postazioni di lavoro, il numero di clienti presenti dovrà essere tale da evitare affollamenti sia in sala di attesa sia nelle aree di trattamento. Al fine di ottimizzare l’efficacia dei DP e del protocollo igienico, l’operatore deve rimuovere anelli, bracciali, orologi e monili in genere all’inizio del proprio turno di lavoro e, successivamente, deve provvedere al lavaggio delle mani o alla loro igienizzazione.
L’area di lavoro deve essere allestita con tutte le barriere di superficie necessarie per garantire la sicurezza del cliente e dell’operatore stesso.
Una delle preoccupanti considerazioni derivate dalla pandemia da SARS-COV-2 è stata che il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad una insufficienza respiratoria talora mortale, ma attacca tutti gli organi causando alcuni deficit che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.
Recentemente una pubblicazione della Rockfeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati , perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza.
Altre alterazioni: riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad attacco ischemico transitorio nell'immediato ma anche nel medio-periodo legati all'alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da Motore Sanità. I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve e/o moderata.
Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante. Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati. Oggi c’è un farmaco che modula gli effetti della tempesta citochimica e potrebbe avere influenza anche su manifestazioni croniche.
“La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alza – ha spiegato Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.
Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze. “Si registra una condizione di elevato impatto emotivo – ha spiegato Giancarlo Bosio, Direttore Pneumologia Ospedale di Cremona -: la paura di infettarsi è stata elevata ma comunque minore della paura di infettare i familiari; il livello di benessere soggettivo è drasticamente diminuito e anche nella fase successiva post emergenziale non è tornata ai livelli precedenti: l'impatto emotivo è stato generalizzato e sono presenti per alcuni operatori manifestazioni persistenti degli eventi critici associate a difficoltà nel sonno e ad ansia; quasi due operatori su 3 accetta un supporto o sostegno emotivo”.
Quello che già si sta osservando negli ambulatori è una recidiva dei pazienti che hanno una sindrome dell'intestino irritabile, che hanno avuto un'infezione da Covid, l’elemento trigger che riaccende i sintomi funzionali. “Ma ci sono dei pazienti che non hanno mai avuto sintomi funzionali, hanno fatto l’infezione da Covid e sviluppano una sindrome tipica della sindrome dell’intestino irritabile, e non è una cosa nuova – ha ammesso Franco Radaelli, Direttore UOC Gastroenterologia Ospedale Valduce di Como -. Sappiamo che dopo una infezione del tratto gastroenterico circa un 10% dei pazienti sviluppa una sindrome dell'intestino irritabile post-infettiva. Il danno citopatico diretto del virus dà un'alterazione della permeabilità intestinale che dà una attivazione del sistema immunitario enterico che porta un'alterata motilità, una iperalgesia viscerale, a una disbiosi intestinale (i tre meccanismi fisiopatologici principali dei disturbi funzionali dell'apparato gastroenterico).
Inoltre, la sindrome post Covid è caratterizzata da un'alterazione dello stato psichico (ansia, depressione), che nel doppio legame che c'è nell'asse cervello-intestino influenza negativamente la percezione di tutti i sintomi gastrointestinali. Ci aspetteremo nel prossimo futuro proprio un aumento dei pazienti nelle cliniche dei disturbi funzionali che hanno avuto infezione da Covid”. C’è una relazione importante tra le malattie cardiovascolari e il Covid.
“Sia perché che le malattie cardiovascolari preesistenti, in qualche modo, influenzano la prognosi e la storia clinica del paziente Covid, sia perché il Covid di per sé determina malattie cardiovascolari - ha spiegato Claudio Bilato, Direttore UO Cardiologia Ospedale "Cazzavillan" Arzignano -. Sicuramente c'è una persistenza di sintomi post Covid che sembrerebbe non riguardare almeno in gran parte la patologia cardiovascolare, ma sicuramente i danni miocardici e polmonari accusati durante l’infezione da Covid possono determinare delle sequele importanti non solo in termini di scompenso ma, per esempio, se si pensa ad una fibrosi polmonare, può determinare una ipertensione polmonare cronica, malattia che sicuramente oltre a rappresentare una prognosi compromessa peggiora anche drasticamente la qualità di vita”. Quando parliamo di qualità di vita post Covid si devono considerare le caratteristiche cliniche dei pazienti trattati. “Ipertesi nel 64,5% dei casi, problematiche cardiache quasi nel 29% dei casi, diabetici nel 21%, obesi nel 18,8%, con dislipidemia nel 17,7% dei casi, con problemi oncologici nel 16,7% e con problematiche neurologiche legate alla senescenza nel 50% dei casi e con terapie molto complesse nel 67% - ha snocciolato i dati Sebastiano Marra, Direttore Dipartimento Cardiologia Villa Pia Hospital Torino che, a 60 giorni dal ricovero acuto, nel programma di riabilitazione, ha registrato un buon recupero di questi pazienti “sia sui parametri oggettivi sia su quelli clinici di recupero di soggettività e di normalizzazione della vita”.
Presso l’IRCCS San Martino di Genova è stato creato un follow up a brevissimo termine per monitorare il paziente dimesso dalla terapia intensiva e sottoporlo ad un vero e proprio programma di riabilitazione intenso in cui la fisioterapia ha un ruolo fondamentale. “I pazienti vengono mantenuti dai 3 ai 10 ai 15 giorni perché almeno il 30%-35% di loro presentano ulteriori problematiche che necessitano di essere trattate in maniera molto rapida - ha spiegato Paolo Pelosi, Professore Ordinario in Anestesiologia e Rianimazione, Direttore UOC Anestesia e Terapia Intensiva IRCCS San Martino Genova -. E’ estremamente importante il monitoraggio continuo della saturazione e della fatica respiratoria e l’intubazione precoce nei pazienti con grave difficoltà respiratoria”.
“E’ necessario un controllo prolungato nel tempo dei pazienti e i sistemi di telemonitoraggio, teleconsulto, teleriabilitazione possono svolgere un ruolo estremamente importante per affrontare in modo concreto questi problemi che si prolungano dopo la dimissione, considerando che non tutti i pazienti possono essere seguiti in modo ambulatoriale tradizionale – ha spiegato Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Ovviamente è fondamentale un follow up costante che dirà, nel lungo periodo, su quali ulteriori problematiche dovremo concentrare la nostra attenzione dal punto di vista riabilitativo per restituire pienamente questi pazienti alla loro vita pre Covid”. Invece, per affrontare le positività persistenti in pazienti e operatori sanitari, nei laboratori di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova sono stati messi a punto degli esami molecolari ulteriori per poter dare degli aiuti ulteriori ai clinici. “Il nostro obiettivo è verificare se queste bassissime positività persistenti sono legate ad un virus che è ancora in fase replicativa oppure se sono solo una scia in cui il virus non è più infettante – ha spiegato Lucia Rossi, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova -. In questi mesi, in parallelo abbiamo fatto sia le colture cellulari sia la ricerca del mRNA subgenomico – ha aggiunto Elisa Franchin, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova -. Stiamo adottando questi tipi criteri di ricerca del campione del virus per la gestione dei pazienti e del personale che deve rientrare al lavoro”.
“A fronte di un numero importante di ricoveri negli ospedali e di ricoveri in terapie intensive, quindi di un importante numero di pazienti che dovranno essere presi in carico dopo le dimissioni, le istituzioni devono pensare di favorire lo sviluppo di percorsi appropriati di salute nell’ambito di queste patologie - ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio Sanitari Regione Piemonte - ovvero modelli che devono partire da linee guida, che devono essere tradotti dal punto di vista organizzativo e soprattutto valutati”.
Le feste di Natale sono alle porte e quest’anno saranno vissute in maniera diversa, come è stato diverso tutto il 2020 a causa della pandemia, soprattutto per le persone più fragili come le persone con Malattia di Alzheimer per le quali la Società Italiana di Neurologia fa il punto su come affrontare questi giorni di vacanza alla luce delle precauzioni di sicurezza indicate dal Governo.
“Ci sono alcune indicazioni nell’ultimo dpcm – ha affermato la Prof.ssa Amalia Bruni, Presidente SINdem (Società Italiana di Neurologia per le Demenze) - che corrispondono alle necessità dei pazienti con la malattia di Alzheimer: il divieto di festeggiare con molte persone a favore di visite al massimo di un paio di persone a volta, ad esempio, è funzionale per evitare il caos e il trambusto dei festeggiamenti natalizi che generalmente stressano il paziente e amplificano lo stato di incertezza e confusione che spesso domina le fasi intermedie ed avanzate di malattia. Così come il divieto di circolazione dopo le ore 22 favorirà maggiori occasioni di incontro a pranzo rispetto all’ora di cena, senza aggravare quindi il frequente stato di agitazione che caratterizza i pazienti verso le ore serali (sindrome del tramonto)”.
Sicuramente la possibilità di praticare attività motoria o di far visita una volta al giorno ad amici o parenti permetterà ai pazienti di uscire di casa per distrarsi e quindi, nei momenti di maggior difficoltà, di ridurre l'ansia.
“In queste giornate di festa la routine varia inevitabilmente – ha commentato il Prof. Gioacchino Tedeschi, Presidente della Società Italiana di Neurologia - ed è quindi importante coinvolgere il paziente già nella fase dei preparativi, in un clima allegro, accogliente e magari preceduto da segnali chiari, quali addobbi e decorazioni che scandiscano l’evento imminente. È importante, inoltre, adeguare l’ambiente in funzione delle necessità delle persone più vulnerabili per far sì che il periodo natalizio diventi un’occasione speciale per tutta la famiglia: attenzione a luci lampeggianti, che possono confondere o spaventare una persona con demenza. Anche i regali vanno scelti e adeguati rispetto ai desideri della persona (non dei familiari) e devono essere adatti alla fase di malattia: abbigliamento comodo, audiocassette di musica preferita, video e album fotografici ma anche, per esempio per le donne e se in fase severa, un bambolotto grande e morbido, risveglia l’istinto materno mai sopito”.
Nelle molte ore che si trascorrono comunque in casa durante le vacanze natalizie, è importante prevedere passatempo adatti da svolgere tutti insieme: la persona con Alzheimer può trovare conforto nel cantare vecchie canzoni della tradizione o sfogliare album di foto di famiglia, raccontare e farsi raccontare. È importante coinvolgerla nell’organizzazione dei preparativi, come incartare i regali, decorare, apparecchiare la tavola, persino cucinare.
È stata pubblicata oggi la sentenza n. 8943/2020 con la quale la Terza Sezione del Consiglio di Stato, in accoglimento dell'appello della Regione Lazio, ha riformato la sentenza del TAR Lazio, n. 11991/2020, che aveva ritenuto sussistente, sulla base dell'art. 4 bis del D.L. n. 18/2020, il divieto per i medici di medicina generale di effettuare visite domiciliari ai pazienti Covid in quarantena domiciliare.
La Sezione ha chiarito che "il senso della disposizione emergenziale in commento" non e' quello di esonerare i medici di medicina generale, ma e' solo "quello di alleggerire i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i medici di continuita' assistenziale, dal "carico" derivante dall'esplosione pandemica, affiancando loro una struttura capace di intervenire a domicilio del paziente".
Gli USCAR, previsti dall'art. 4 bis del D.L. n. 18/2020 sono quindi destinati ad operare in sinergia e nel rispetto delle competenze e prerogative dei medici di medicina generale e degli altri medici indicati, i quali, in scienza e coscienza e nel rispetto dei protocolli di sicurezza, possono continuare ad effettuare visite domiciliari, anche se il paziente e' affetto da Covid 19.
Per la prima volta al mondo nei giorni scorsi è stato effettuato con successo un trapianto di fegato da un donatore Covid positivo in un ricevente Covid positivo, presso l'ospedale Molinette di Torino dall'équipe del professor Renato Romagnoli.
A seguito dell’apertura da parte del Centro Nazionale Trapianti di un programma di donazione di organi salvavita da soggetti con infezione da SARS-CoV-2 (da riservare a riceventi anch’essi positivi), il 10 dicembre scorso la Rianimazione dell’ospedale di Domodossola (VCO) ha segnalato al Centro Regionale Trapianti piemontese (diretto dal professor Antonio Amoroso) la volontà donativa espressa dai familiari di una donna di 66 anni risultata positiva al virus.
Le condizioni del fegato erano compatibili con la donazione, mentre lo screening per SARS-CoV-2 era risultato positivo sia sul tampone nasofaringeo sia sulle secrezioni bronchiali. L’offerta di tale organo è stata immediatamente accettata dal Centro Trapianto di Fegato di Torino nella serata del 10 dicembre, in quanto quel giorno stesso era stato riattivato nella lista d’attesa un uomo di 63 anni originario dalla Calabria, affetto da cirrosi complicata da neoplasia epatica primitiva, compatibile con la donatrice. L’uomo, inserito in lista d’attesa il 15 ottobre, era risultato per la prima volta positivo al Covid su tampone nasofaringeo il 9 novembre, dopo aver avuto per alcuni giorni febbre e tosse.
Le sue condizioni respiratorie si erano mantenute stabili ed era stato posto in isolamento domiciliare, senza necessità di ricovero ospedaliero. Scaduti i 21 giorni di isolamento, il paziente era stato visitato dal responsabile della Terapia Insufficienza Epatica, dottor Antonio Ottobrelli, in data 1° dicembre, allorchè il tampone nasofaringeo era risultato ancora positivo per SARS-CoV-2, mentre gli esami ematici e radiologici avevano evidenziato un chiaro peggioramento della situazione tumorale. Il mattino del 10 dicembre il dosaggio su sangue degli anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 aveva mostrato un livello elevato, mentre il tampone nasofaringeo era risultato per la prima volta negativo. Posto di fronte alla possibilità di eseguire un trapianto con il fegato di una donatrice Covid positiva, il paziente aveva immediatamente fornito il suo consenso, ben conscio che l’evoluzione della sua patologia tumorale epatica avrebbe potuto in brevissimo tempo portarlo all’esclusione dalla lista d’attesa.
Così, nella notte tra il 10 e l’11 dicembre l’équipe del Centro Trapianto Fegato, equipaggiata con idonei dispositivi di protezione individuale, ha proceduto con il prelievo del fegato della donatrice Covid positiva nella sala operatoria allestita nell’ospedale di Domodossola. Contemporaneamente, il candidato ricevente è stato convocato e sottoposto agli accertamenti pre-operatori necessari per accedere alla sala operatoria per il trapianto. Come di routine in questo periodo di pandemia, è stato sottoposto ad un ulteriore tampone nasofaringeo per ricerca SARS-CoV-2. Dopo poche ore, ovvero poco prima di entrare in sala operatoria, il referto del tampone ha evidenziato tracce ancora misurabili del virus.
Di fronte all’improvvisa necessità di scegliere se proseguire o meno con il trapianto salva-vita, il bilancio rischi-benefici ha fatto propendere l’équipe medico-chirurgica per andare avanti con il trapianto. La sala operatoria del Centro Trapianto Fegato è stata rapidamente convertita in Sala Covid dal personale infermieristico e gli anestesisti dell’Anestesia Rianimazione 2 (diretta dal dottor Roberto Balagna), adeguatamente protetti, hanno proceduto con la preparazione del paziente per l’intervento. L’intervento chirurgico, durato 9 ore, è stato eseguito in prima persona dal professor Renato Romagnoli, coadiuvato dai suoi più validi collaboratori.
A causa delle condizioni cliniche del ricevente e della necessità di operare muniti di idonei dispositivi di protezione, l’operazione è stata non solo tecnicamente difficile, ma anche particolarmente faticosa. La ricerca del virus sulle secrezioni bronchiali del paziente durante il trapianto ha confermato la presenza di una carica virale. Per questo motivo, come indicato dalla Direzione Sanitaria Molinette, il paziente a fine trapianto è stato ricoverato presso la Rianimazione Covid 1 (diretta dal professor Luca Brazzi). Già 24 ore dopo il trapianto il paziente, ben risvegliato grazie alla buona funzione del fegato trapiantato, è stato estubato. La ricerca del virus sulle secrezioni bronchiali è risultata ancora positiva in 1° e 3° giornata post-operatoria, mentre il tampone nasofaringeo si è negativizzato, a testimoniare lo stato di infezione in via di risoluzione.
La funzione respiratoria e gli esami radiologici polmonari sono attualmente nella norma, ed il paziente verrà a breve trasferito presso l’Area Semintensiva Chirurgica del Centro Trapianto Fegato. Ancora una volta, lo sforzo multidisciplinare - non solo clinico ma anche organizzativo - di un grande ospedale italiano ha reso possibile quanto fino a poco tempo fa era ritenuto del tutto impensabile. In questo caso sono risultati fondamentali il supporto del laboratorio di Microbiologia (diretto dalla professoressa Rossana Cavallo) e dell’Infettivologia (diretta dal professor Francesco De Rosa). La recente infezione da coronavirus non impedisce dunque la donazione ed il trapianto di organi in sicurezza.
Il coronavirus Sars-CoV-2 causa una malattia più grave dell'influenza stagionale e, tra i pazienti che finiscono in ospedale, ha un tasso di mortalità quasi 3 volte più alto.
E' uno studio francese pubblicato su 'The Lancet Respiratory Medicine' a mettere un punto fermo nel dibattito che si è aperto fin da quando Covid-19 ha dato segno di sé, ormai quasi un anno fa. La malattia è più cattiva di quella provocata dai classici virus che negli anni hanno caratterizzato la stagione invernale e più pazienti colpiti da Covid richiedono cure intensive.
Gli scienziati autori del lavoro sono arrivati a queste conclusioni confrontando i dati di oltre 130mila pazienti ospedalizzati per entrambe le cause: 89.530 con Covid-19, ricoverati tra l'1 marzo e il 30 aprile 2020, e 45.819 ricoverati con influenza stagionale tra l'1 dicembre 2018 e il 28 febbraio 2019. Quasi il doppio delle persone sono state ricoverate in ospedale per Covid al culmine della pandemia, rispetto all'influenza al culmine della stagione 2018/2019, rileva lo studio basato su dati nazionali francesi attraverso i quali sono stati raffrontati 2 mesi di Sars-CoV-2 e 3 mesi di stagione influenzale. Il tasso di mortalità tra i malati Covid esaminati era del 16,9%, contro il 5,8% osservato fra i pazienti colpiti da influenza. Il 16,3% dei casi Covid ha avuto bisogno di cure intensive contro il 10,8% dei casi d'influenza, e la permanenza in terapia intensiva è stata quasi il doppio con Covid (15 giorni contro 8).
Ben diverso il quadro per i più piccoli: meno bambini e ragazzi di età inferiore a 18 anni sono stati ospedalizzati con Covid-19 rispetto all'influenza stagionale (1,4% contro il 19,5%), anche se una percentuale maggiore di quelli di età inferiore a 5 anni ha richiesto cure intensive per Covid-19 (2,3% contro 0,9%). Il tasso di mortalità nei bambini sotto i 5 anni era simile per entrambi i gruppi ed era molto basso (0,5% per Covid e 0,2% per influenza). In quelli tra 11 e 17 anni, invece, questo dato sembrava essere 10 volte più alto fra i ricoverati Covid (1,1% contro 0,1%), tuttavia al riguardo gli autori avvertono che i numeri sono troppo piccoli per trarre conclusioni significative.
"Il nostro studio è il più ampio fino ad oggi a confrontare le due malattie e conferma che Covid-19 è molto più grave dell'influenza", sottolinea Catherine Quantin, dell'ospedale universitario di Digione e dell'Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (Inserm), che ha guidato congiuntamente la ricerca. "La scoperta che il tasso di mortalità Covid era 3 volte superiore a quello dell'influenza stagionale è particolarmente sorprendente, se si ricorda che la stagione influenzale 2018/2019 è stata la peggiore negli ultimi 5 anni in Francia in termini di numero di morti", puntualizza.
Gli autori fanno notare che il fatto che un numero molto più alto di adulti sia finito in ospedale per Covid può essere in parte dovuto a una differenza di base: mentre nella popolazione c'è immunità per l'influenza, come risultato di una precedente infezione o vaccinazione, Sars-CoV-2 è al contrario un nuovo virus contro il quale ci si aspetterebbe che pochissime persone abbiano una precedente immunità. I dati emersi dal lavoro sono un monito poiché diversi Paesi si preparano vivere una coincidenza fra focolai Covid e influenzali, ragionano gli autori che fanno presenti anche potenziali limiti dello studio, come le differenze nella pratica dei test per l'influenza e per Covid che potrebbe influire sui dati. Limiti che, secondo quanto puntualizza in un commento collegato Eskild Petersen, non coinvolta nello studio, dell'Università di Aarhus (Danimarca), non pregiudicherebbero i risultati che "dimostrano chiaramente la maggiore gravità di Covid".
Secondo il lavoro, più di un paziente su 4 con Covid ha manifestato insufficienza respiratoria acuta, rispetto a meno di un paziente su 5 con influenza (27,2% dei casi Covid contro il 17,4% dei casi di influenza). Le patologie preesistenti più comuni fra i ricoverati Covid erano ipertensione arteriosa (33,1%), sovrappeso o obesità (11,3%) e diabete (19%).
"In un momento in cui nessun trattamento si è dimostrato efficace nel prevenire la malattia grave nei pazienti Covid, questo studio evidenzia l'importanza di tutte le misure" anti-contagio "e sottolinea l'importanza di vaccini efficaci", ammonisce Pascale Tubert-Bitter, dell'Università Paris-Saclay, direttore della ricerca dell'Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (Inserm), che ha co-guidato lo studio.
Covid-19 o influenza? In presenza di sintomi come febbre, tosse o raffreddore, una diagnosi immediata, precisa e che riesca a distinguere queste due patologie è cruciale, soprattutto nel pieno della stagione invernale.
Menarini Diagnostics ha introdotto un nuovo test che riesce a identificare, con un unico esame diagnostico e un unico tampone, se il paziente è positivo al Covid-19 o se ha contratto l’influenza di tipo A o B.
Il test si effettua sulla piattaforma VitaPCR™, lo strumento “portatile” (Point of Care) usato principalmente per la diagnosi molecolare del Covid-19, distribuito dallo scorso aprile da Menarini Diagnostics e già in uso in centinaia di strutture europee con oltre 1.400 unità. Con l’utilizzo di un nuovo kit, contenente degli appositi reagenti, questi stessi strumenti saranno, quindi, in grado di intercettare, in soli 20 minuti e con grandissima precisione, non solo l’eventuale presenza dell’RNA virale di SARS-CoV2, ma anche quella dei virus dell’influenza A e B. Grazie all’utilizzo della tecnologia PCR (Polymerase Chain Reaction), lo strumento rispetta standard altissimi di precisione e affidabilità. Oltre a rappresentare un valido supporto per i sistemi sanitari, l’utilizzo di questi test permetterà nei casi di influenza, di evitare l’isolamento preventivo del paziente e, nei casi Covid, di avviare tempestivamente il protocollo previsto dallo Stato.
Il nuovo kit, con marcatura CE, è già disponibile ed è distribuito da Menarini in Italia, Austria, Belgio, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito.
“Nei prossimi mesi vedremo un aumento di persone con sintomi simil-influenzali che potrebbero essere attribuiti sia a un’infezione da SARS-CoV-2 che all'influenza A e B - ha detto Fabio Piazzalunga, General Manager di Menarini Diagnostics - Questo test è di fondamentale importanza per l’immediata diagnosi e per offrire tempestivamente ai pazienti il trattamento più adeguato”.
COME FUNZIONA IL TEST:
Una volta prelevato con un tampone naso o orofaringeo, da personale sanitario, il campione viene inserito in un flaconcino contenente un liquido, e agitato. Il suo contenuto verrà quindi versato in un altro flaconcino, contenente il reagente che, una volta richiuso, verrà inserito all’interno del sistema VitaPCR™, avviando il processo di analisi. Entro 20 minuti lo strumento rilascia il risultato sul proprio schermo, indicando negatività o positività per Covid-19, influenza A e influenza B.
Il Comitato Scientifico per la sorveglianza post-marketing dei Vaccini Covid19 (CSV-Covid19), istituito il 14 dicembre 2020 dall'Agenzia Italiana del Farmaco in accordo con il Ministero della Salute e il Commissario Straordinario per l'emergenza Covid-19, si è riunito oggi, 15 dicembre 2020, per l'avvio dei lavori.
E' quanto si legge nella nota dell'Aifa. Il CSV-Covid19, che afferisce alla Direzione Generale dell'Aifa, rimarra' in carica per due anni e potra' essere rinnovato in base all'evoluzione della pandemia e all'andamento della campagna vaccinale Covid-19. "Questo Comitato scientifico rappresenta un punto di riferimento per il Sistema sanitario nazionale per garantire una sorveglianza attiva sulla sicurezza di tutti i vaccini Covid-19 che arriveranno in Italia. Composto da esperti di alto profilo e provata indipendenza scientifica, assicurera' giudizi trasparenti sulla piena sicurezza di tutti i nuovi vaccini e il pieno rispetto dei protocolli seguiti nella campagna di vaccinazione. Il CSV-Covid19 contribuira' a rafforzare l'Italia quale autorevole membro della comunita' di ricerca globale", ha affermato il Direttore Generale dell'Aifa, Nicola Magrini.
OBIETTIVI
Il CSV-Covid19 ha l'obiettivo di coordinare le attivita' di farmacovigilanza e collaborare al piano vaccinale relativo all'epidemia Covid-19, svolgendo una funzione strategica di supporto scientifico all'AIFA, al Ministero della Salute e al SSN.
COMPITI
Esaminare obiettivi e metodi impiegati nei progetti di farmacovigilanza (ordinari e straordinari) sostenuti dall'AIFA al fine di assicurarne la coerenza e la qualita' dei risultati, svolgendo anche una funzione di indirizzo e di monitoraggio per identificare eventuali criticita' e suggerire soluzioni adeguate; formulare raccomandazioni all'Aifa, in base alle evidenze disponibili, sugli orientamenti strategici utili a garantire la sicurezza e a perseguire l'efficacia delle attivita' di vaccinazione nel Paese; a partire dalle attivita' di studio e monitoraggio, indicare la necessita' di specifici approfondimenti e formulare proposte per la realizzazione di studi integrativi o per il riorientamento degli studi in corso; suggerire obiettivi e possibili articolazioni delle iniziative di formazione e informazione in materia di vaccinazione Covid-19 e contribuire alla costruzione di uno specifico piano nazionale di comunicazione a supporto della campagna di vaccinazione Covid-19; promuovere la partecipazione e la collaborazione con le attivita' di altri gruppi di supporto con compiti analoghi presenti in sede europea e internazionale; collaborare con la Commissione tecnico-scientifica nella valutazione complessiva della sovrapponibilita' tra i diversi vaccini.
Il CSV-Covid19 e' composto da esperti indipendenti, identificati nel campo dell'epidemiologia e sorveglianza delle vaccinazioni, dell'organizzazione territoriale delle vaccinazioni, degli aspetti regolatori dei vaccini, delle risposte immunitarie alle vaccinazioni, della farmacovigilanza sui vaccini, di trial clinici sui vaccini, delle attivita' di formazione dei professionisti sanitari e di comunicazione al pubblico sulle vaccinazioni.
I NOMI
Gli esperti indipendenti nominati sono: Vittorio Demicheli, epidemiologo, Milano - Presidente; Nicola Magrini, farmacologo, Direttore Generale AIFA, Roma - Vicepresidente; Maurizio Bonati, epidemiologo/pediatra, Milano; Donato Greco, epidemiologo, Roma; Stefania Salmaso, epidemiologa, Roma; Rodolfo Saracci, epidemiologo, Lione (Francia); Guido Forni, Immunologo, Torino; Angela Santoni, immunologa, Roma; Giovanna Zanoni, immunologa clinica, Verona; Giorgio Palu', virologo, Presidente AIFA, Roma; Carlo Pini, biologo, Roma; Francesco Salvo, farmaco-epidemiologo, Bordeaux (Francia); Miriam Sturkenboom, farmaco-epidemiologa, Utrecht (Olanda); Eva Benelli, giornalista scientifica, Roma.
Alle attivita' del CSV-Covid19 contribuiranno anche alcuni osservatori designati dalle varie istituzioni nazionali e regionali coinvolte nella pianificazione e nella gestione della campagna di vaccinazione, con il compito di garantire che le informazioni siano tempestive e complete.
Gli osservatori designati sono: Giuseppe Ippolito - Istituto Nazionale Malattie Infettive "Lazzaro Spallanzani", Roma; Franco Locatelli - Consiglio Superiore di Sanita', Roma; Patrizia Popoli - Istituto Superiore di Sanita' e Commissione Tecnico-Scientifica Aifa, Roma; Giovanni Rezza - Ministero della Salute, Roma; Silvia Mancini - Medici Senza Frontiere; Antonio Gaudioso - Cittadinanzattiva. La Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni designa un osservatore con successivo proprio provvedimento.
Al via la ricerca di medici, infermieri e assistenti sanitari in vista del piano di vaccinazione anti-Covid in tutta Italia.
Il Commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri, ha emanato l’avviso pubblico per assumere con un contratto a tempo determinato fino a 3.000 medici e 12.000 infermieri e assistenti sanitari, che dovranno sostenere la campagna di somministrazione del vaccino nelle 1.500 strutture individuate e distribuite su tutto il territorio nazionale.
Dal 16 dicembre prossimo medici, infermieri e assistenti sanitari, potranno inviare la loro candidatura per via telematica sul sito del Governo all’indirizzo http://www.governo.it/it/dipartimenti/commissario-straordinario-lemergenza-covid-19/cscovid19-bandi/14487.
L’avviso è rivolto a cittadini italiani, UE ed extra UE. Potranno aderire i medici pensionati, i laureati oltre agli infermieri e agli assistenti sanitari. I contratti avranno una durata massima di nove mesi, rinnovabili in caso di necessità.
“Se fossimo in guerra sarebbe una sorta di “chiamata alle armi” – ha commentato il Commissario Straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri – Per dirla meglio è un richiamo accorato alla responsabilità e alla solidarietà da parte di quei cittadini italiani che possono aiutarci ad effettuare la più grande campagna di vaccinazione di massa degli ultimi decenni con efficacia e tempestività”.
E’ partita anche la gara per selezionare fino a cinque agenzie per il lavoro con le quali il Commissario Straordinario stipulerà un accordo quadro per la selezione, assunzione e la gestione amministrativa del personale sanitario che sarà impiegato nella somministrazione dei vaccini. La scadenza della gara è fissata per il 28 dicembre 2020 alle ore 18.00.
Le offerte possono essere presentate unicamente online attraverso il portale https://ingate.invitalia.it
Consulta
La malattia da COVID-19 circolava a Milano già all’inizio di dicembre 2019 e ora Gian Vincenzo Zuccotti, presidente del Comitato di direzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano comunica i risultati dello studio coordinato dalla professoressa Elisabetta Tanzi e condotto presso il Laboratorio Subnazionale accreditato OMS per la Sorveglianza di Morbillo e Rosolia (MoRoNET) nel CRC EpiSoMI “Epidemiologia e Sorveglianza Molecolare delle Infezioni”.
Lo studio pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases dimostra la presenza di SARS-CoV-2-RNA in un tampone oro-faringeo raccolto da un bambino di Milano all'inizio di dicembre 2019, circa 3 mesi prima del primo caso riportato di COVID-19 in Italia. Si tratta di un risultato che rivoluziona le conoscenze sulla diffusione spazio-temporale del nuovo coronavirus.
“L’idea – dice la Dott.ssa Silvia Bianchi – è stata quella di indagare retrospettivamente tutti i casi di malattia esantematica identificati a Milano dalla rete di sorveglianza di morbillo e rosolia nel periodo Settembre 2019 – Febbraio 2020, risultati negativi alle indagini di laboratorio per la conferma di morbillo”.
L’infezione da SARS-CoV-2 può infatti dar luogo a sindrome Kawasaki-like e a manifestazioni cutanee, spesso comuni ad altre infezioni virali, come il morbillo. Le iniziali descrizioni di tali sintomatologie associate a COVID-19 sono arrivate proprio dai dermatologi della Lombardia, prima area duramente colpita dalla pandemia.
Che il virus circolasse da tempo indisturbato era ipotizzabile dall’impatto brusco e repentino con cui si è manifestata la pandemia e dalle successive evidenze scientifiche, prima fra tutte quella relativa al ritrovamento di SARS-CoV-2 nelle acque reflue di Milano a metà dicembre 2019. La lunga e non riconosciuta diffusione di SARS-CoV-2 nel Nord Italia potrebbe spiegare, almeno in parte, l'impatto devastante e il rapido decorso della prima ondata di COVID-19.
“Un sistema di sorveglianza virologica sensibile e di qualità – afferma la Prof.ssa Antonella Amendola, responsabile dell’attività di sorveglianza del morbillo in MoRoNET - è uno strumento fondamentale per identificare tempestivamente i patogeni emergenti e per monitorare l’evolversi dei focolai in una popolazione. I risultati dello studio forniscono indicazioni sui futuri sforzi da mettere in atto per il controllo delle malattie infettive e sulla necessità di implementare la sorveglianza virologica a livello territoriale come strategia prioritaria per un’adeguata risposta alle emergenze pandemiche”.