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Continua il calo costante e progressivo dei ricoveri Covid in Italia. Il numero di pazienti ricoverati nelle aree Covid, sia reparti ordinari sia terapie intensive, si è ridotto in una settimana del 13%. E' quanto emerge dal report degli ospedali sentinella della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) del 31 maggio.
Il ritmo di discesa delle ospedalizzazioni - indica il rapporto - è ormai stabile da 2 settimane: nella rilevazione del 24 maggio era stata registrata una riduzione dei pazienti del 16%, mentre i dati del bollettino del 17 maggio avevano evidenziato una diminuzione del 14%.
Nei reparti Covid ordinari, di malattie infettive e medicina, la riduzione settimanale si attesta al 15%. Nelle rianimazioni, invece, ci sono stati 11 nuovi ingressi, per lo più pazienti ricoverati nei reparti ordinari e aggravatisi, ma si tratta di lievi oscillazioni nella norma. Inoltre, per la Fiaso occorre sottolineare che i nuovi ricoverati in terapia intensiva sono quasi tutti soggetti no vax e nel 100% dei casi pazienti affetti da altre patologie: la quota di non vaccinati nei letti delle rianimazioni è ancora del 30%.
Drastica riduzione anche dei pazienti sotto i 18 anni ricoverati: in una settimana il numero di bambini e ragazzi ospedalizzati si è praticamente dimezzato, registrando un calo del 45%. I dati provengono dai quattro ospedali pediatrici e dai reparti di pediatria degli ospedali aderenti alla rete dei sentinella Fiaso.
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L’azienda farmaceutica Pfizer Schweiz AG ha presentato a Swissmedic una domanda per il vaccino pediatrico anti-COVID-19 (Comirnaty® 10 microgrammi/dose). La domanda per una nuova posologia raccomandata include una vaccinazione di richiamo (dose booster) per i bambini di età compresa tra i cinque e gli undici anni, da eseguire almeno 6 mesi dopo l’immunizzazione di base.
Swissmedic valuta rischi e benefici della nuova posologia raccomandata basandosi sui dati presentati. Il vaccino Comirnaty di Pfizer/BioNTech per i bambini dai 5 agli 11 anni è omologato in Svizzera dal 10 dicembre 2021. Dosaggio e uso differiscono da quelli del vaccino Comirnaty per le persone di età pari o superiore a 12 anni. Il vaccino usato nei bambini ha una concentrazione più bassa (10 microgrammi) e il volume di iniezione (0,25 millilitri) è quattro volte inferiore rispetto a quello per gli adulti. Il richiamo è una dose supplementare di vaccino che viene somministrata alle persone vaccinate che hanno completato il ciclo di immunizzazione di base al fine di stimolare la memoria immunologica.
Pechino tenta la 'carta' di un'assicurazione per "incidenti di vaccinazione", per convincere gli ultrasessantenni a vaccinarsi contro Sars-Cov-2, una misura senza precedenti in Cina.
Pechino, con 22 milioni di abitanti e 'cuore' della strategia Zero-Covid del gigante asiatico, offrirà una polizza sanitaria che contempla fino a 500.000 yuan (quasi 70.000 euro) in caso di "incidenti" legati alla vaccinazione, secondo le notizie dei media ufficiali raccolte da Bloomberg. In passato c'erano state altre iniziative per promuovere la vaccinazione, anche 'premi' da 1.000 yuan, ma questa è inedita. Secondo i dati ufficiali, tra gli ultrasessantenni l'82% ha completato il ciclo vaccinale e il 64% ha ricevuto una dose booster. Oggi le autorità sanitarie del gigante asiatico, con una popolazione di 1,4 miliardi di persone, hanno segnalato 354 nuovi casi di Covid-19, 274 dei quali - stando all'agenzia ufficiale Xinhua - relativi a soggetti asintomatici e un altro decesso a Shanghai, la capitale economica del Paese, teatro del lockdown duro in nome della strategia Zero-Covid.
E' anche in questo contesto che si inserisce l'allarme arrivato ieri dal premier Li Keqiang, secondo il quale l'economia cinese risente della nuova ondata di Covid e della guerra in Ucraina e rischia una contrazione nel secondo trimestre dell'anno.
Il picco della pandemia da COVID-19 è alle spalle e ad aprile la «situazione particolare» è stata revocata. È tempo di tracciare un bilancio anche dalla prospettiva di genere. La Commissione federale per le questioni femminili CFQF ha sottoposto le restrizioni e le misure di aiuto della Confederazione a un’analisi di genere e ha formulato raccomandazioni.
Già all'inizio della pandemia è parso evidente che la crisi non colpiva donne e uomini allo stesso modo. Da un giorno all'altro, settori professionali con un'elevata quota femminile tra cui quello delle cure o dell'accudimento dei bambini sono stati riconosciuti come essenziali. La chiusura delle scuole e l'obbligo del telelavoro hanno messa a dura prova l'organizzazione delle famiglie. In questa situazione, la Commissione federale per le questioni femminili CFQF ha incaricato il Büro BASS di effettuare un'analisi dell'impatto di genere per stabilire quali effetti hanno avuto le misure di protezione e gli aiuti della Confederazione sulla vita professionale e familiare, come ha inciso la pandemia sull'occupazione, sul reddito e sulla ripartizione delle mansioni familiari, e se donne e uomini hanno usufruito in ugual misura degli aiuti della Confederazione.
Lo studio «Genderspezifische Effekte der staatlichen Massnahmen zur Bekämpfung des Coronavirus Covid-19» [Effetti di genere delle misure statali per combattere il COVID-19] dà una risposta a tutti questi interrogativi. L'obiettivo è quello di trarre insegnamenti e formulare raccomandazioni in vista di future crisi.
Le misure anti COVID-19 hanno rafforzato squilibri di genere esistenti
L'analisi si è concentrata dapprima sull'impatto delle misure restrittive come la chiusura degli asili nido e delle scuole o l'obbligo del telelavoro sugli uomini e sulle donne. Come in altri Paesi, anche in Svizzera la chiusura delle strutture per la custodia extra-familiare dei figli e degli istituti di formazione ha rafforzato la ripartizione di genere del lavoro. Le donne si sono fatte maggiormente carico dell'accudimento dei bambini e hanno ridotto la loro attività professionale. Inoltre, l'obbligo del telelavoro ha in parte acuito i conflitti legati alla conciliabilità soprattutto laddove le condizioni quadro dell'home office non erano regolamentate e bisognava nel contempo occuparsi dei figli.
I perdenti della pandemia sono le donne con i gradi di occupazione più bassi, le economie domestiche con redditi bassi e il personale domestico
In Svizzera, grazie alla buona situazione economica e alla pronta decisione della Confederazione di erogare aiuti finanziari, è stato possibile mantenere molti posti di lavoro. Tuttavia, in alcuni settori l'occupazione è sensibilmente diminuita. Tra quelli più colpiti vi è il settore alberghiero e della ristorazione. Il calo più importante del volume di lavoro è stato rilevato tra le donne con gradi di occupazione inferiori al metà tempo. Agli aiuti finanziari si deve anche il fatto che il livello generale dei salari non sia sceso. Ciò nonostante, analisi approfondite mostrano che nelle fasce di reddito più basse la situazione è peggiorata. Soprattutto le economie domestiche con redditi bassi e pertanto un numero sproporzionato di donne hanno guadagnato meno. L'analisi dei flussi di fondi statali mostra inoltre che alle aziende del settore «altri servizi», che comprende servizi alla persona come parrucchieri e saloni di bellezza con una quota femminile elevata, sono giunti meno aiuti del previsto sotto forma di
indennità per lavoro ridotto e aiuti finanziari.
Gli indipendenti avevano a disposizione le indennità per perdita di guadagno ma è probabile che non tutti quelli a tempo parziale abbiano soddisfatto la condizione del reddito minimo richiesto e che quindi non abbiano potuto accedere agli aiuti. Ma la crisi del COVID-19 ha creato precarietà innanzitutto tra i dipendenti completamente esclusi dagli aiuti messi in campo, in particolare tra il personale domestico costituito per quasi il 90 per cento da donne, spesso con un reddito molto basso e uno status di soggiorno incerto. Sebbene durante la pandemia facessero parte dei gruppi particolarmente vulnerabili, queste donne non hanno ottenuto alcun aiuto e sono state semplicemente indirizzate all'assicurazione contro la disoccupazione.
Mancano dati essenziali
Nella gestione della pandemia si è ancora una volta persa l'occasione di rilevare dati di genere a partire dall'inizio. Per esempio, nel lavoro ridotto, che con 13 miliardi di franchi spesi al 2021 è stata la principale misura di aiuto della Confederazione, ancora oggi non sappiamo esattamente quante donne e quanti uomini abbiano ricevuto fondi. Ciò rende difficile non solo l'analisi ma anche ricavarne misure di genere e insegnamenti per future crisi.
L'uguaglianza rende la società più resiliente
Se le misure per lottare contro la pandemia hanno acuito le disuguaglianze di genere ciò è in gran parte dovuto al fatto che sono state adottate in un contesto di squilibri già esistenti. È ora giunto il momento di stabilire un buon equilibrio nel rapporto tra i generi. Le raccomandazioni della CFQF intendono fornire un contributo in tal senso, nella convinzione che più una società è egualitaria, più è resiliente anche alle crisi.
Oltre ad avanzare richieste specifiche, la CFQF ritiene in linea di principio che la Confederazione abbia il dovere di far progredire l'uguaglianza di genere, di coinvolgere specialisti di politica della parità sin dall'inizio di una crisi nonché di rilevare e valutare dati disaggregati per genere.
Conclusioni e raccomandazioni a colpo d'occhio
1 La chiusura degli asili nido e delle scuole pregiudica l'integrazione delle madri nel mercato del lavoro
Potenziare le strutture per la custodia dei figli complementare alla famiglia e parascolastica nonché il loro finanziamento da parte dello Stato e mantenerle operative durante le crisi
2 L'obbligo del telelavoro può acuire i conflitti legati alla conciliabilità
Definire condizioni quadro per il telelavoro e ripartire il lavoro di cura in modo egualitario
3 Evoluzione dell'occupazione: colpiti in particolare i dipendenti a tempo parziale
Rafforzare l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro e introdurre il diritto dei genitori di ridurre il grado di occupazione alla nascita di un figlio e di riportarlo al livello originario in un secondo momento
4 Evoluzione del reddito: colpiti in particolare i dipendenti a basso salario
a) Promuovere in modo mirato la riqualificazione delle donne
b) Valorizzare il lavoro a basso salario e garantire una migliore protezione salariale in caso di crisi
5 Accesso alle misure di aiuto: i servizi alla persona sono sottorappresentati
Tenere conto delle esigenze delle piccole imprese nei settori tipicamente femminili
6 Lacune nella rete di sicurezza: personale domestico
Offrire un aiuto specifico al personale domestico
7 Efficacia delle indennità per lavoro ridotto: mancano dati essenziali
Raccogliere e valutare dati specifici di genere
8 Durante la pandemia le disuguaglianze di genere si sono acuite
Progettare le misure di intervento in caso di crisi nel rispetto del genere
9 Le misure statali intervengono su squilibri già esistenti
Rafforzare la resilienza dell'economia e della società con più uguaglianza
Studio
Heidi Stutz, Severin Bischof e Lena Liechti: Genderspezifische Effekte der staatlichen Massnahmen zur Bekämpfung des Coronavirus Covid-19 [Effetti di genere delle misure statali per combattere il COVID-19], Büro für arbeits- und sozialpolitische Studien BASS, Berna, maggio 2022, XXI,107p.
Raccomandazioni
Commissione federale per le questioni femminili CFQF: Raccomandazioni relative allo studio «Effetti di genere delle misure statali per combattere il COVID-19», maggio 2022.
È stata avviata in Italia la fase pilota del progetto Eucare (“European cohorts of patients and schools to advance response to epidemics) il più importante studio scientifico internazionale su Covid e scuole, finanziato dall’ Unione Europea, coordinato da EuResist Network, che coinvolge 27partner in 4 continenti fra cui l’Istituto Europeo di Oncologia. L’obiettivo dello studio è raccogliere sul campo le evidenze scientifiche che permettono l’adozione delle migliori pratiche per tutelare tutti i cittadini e segnatamente bambini e ragazzi in fase di pandemia.
La diffusione mondiale dell’infezione da SARS-CoV-2 ha infatti comportato la chiusura temporanea delle scuole nella maggior parte dei Paesi nella primavera del 2020 e parzialmente nel 2021, con un impatto su oltre il 90% degli studenti in tutto il mondo, pari a circa 1,6 miliardi di bambini e giovani.
La fase pilota in Italia durerà fino alla fine dell’anno scolastico per verificare il funzionamento della complessa macchina dello studio e per raccogliere i primi dati. Hanno aderito alla prima parte dello studio una scuola della provincia di Lodi: Istituto Maria Ausiliatrice Delle Salesiane Di Don Bosco; e stanno per partirne due di Lecce: il Liceo scientifico "De Giorgi" e l’Ist. Comprensivo "Ammirato-Falcone" di Lecce. Lo studio vero e proprio partirà poi a settembre con l’inizio dell’anno scolastico, con il coinvolgimento di un maggior numero di scuole in Italia e all’estero.
“Il progetto si propone di valutare l'effettivo percorso del contagio nelle scuole (se avviene dentro le scuole o se arriva a scuola da fuori e in che misura), l'efficacia reale delle diverse misure di contenimento (mascherine, distanziamento, aerazione ecc.) - spiega Sara Gandini, Responsabile dell’Unità “Molecular and Pharmaco-
Il “metodo Lolli” e? stato disegnato dall’Università? di Colonia ed e? stato implementato in circa 3700 scuole in Germania e in 400 scuole in Messico. È un metodo che si applica in due fasi, molto preciso, non invasivo e poco costoso per cui può essere implementato su larga scala. Nella prima fase i tamponi salivari di una intera classe vengono analizzati tutti insieme con un test PCR. Se il risultato è positivo significa che almeno uno dei componenti della classe è positivo quindi si passa alla seconda fase: i tamponi salivari della classe vengono analizzati singolarmente e i positivi vengono individuati. Se il risultato sulla classe è negativo significa che non ci sono positivi nella classe e non è necessario fare i test singoli. L’efficacia di questo metodo nel prevenire e/o ridurre l’entità di focolai da Covid-19 viene valutata con un trial randomizzato confrontando i contagi nelle classi che saranno assegnate al Lolli-Methode (“gruppo intervento”) con quelli individuati nelle classi che proseguiranno il tracciamento secondo le regole standard (“gruppo controllo”).
“Il fine ultimo dello studio è quello di individuare un metodo efficace e sostenibile che permetta agli studenti di continuare ad andare a scuola senza interrompere la didattica in presenza, godendo al massimo della socialità necessaria e al tempo stesso di ridurre la paura di contagio”, conclude Gandini.
“Solo uno studio scientifico su dati reali e che dia voce agli studenti investigando anche le loro reazioni alle misure di prevenzione può rispondere ai quesiti ancora rimasti aperti. – afferma Francesca Incardona, coordinatrice del progetto. - Per questo l’adesione delle scuole e degli studenti allo studio è molto importante.”
Nel periodo 4 maggio-17 maggio, l'Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 0,86 (range 0,83-0,90), in diminuzione rispetto alla settimana precedente.
L'indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero è al di sotto della soglia epidemica e stabile rispetto alla settimana precedente: RT=0,83 (0,80-0,86) al 17/5/2022 vs Rt=0,84 (0,81-0,87) al 10/5/2022. Sono alcuni dei dati principali che emergono dal monitoraggio della Cabina di regia Iss-ministero della Salute sul Covid-19. Il documento evidenzia anche una diminuzione dell'incidenza settimanale a livello nazionale: 261 ogni 100.000 abitanti (20/05/2022-26/05/2022) vs 375 ogni 100.000 abitanti (13/05/2022-19/05/2022).
Il tasso di occupazione in terapia intensiva scende al 2,6% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 26 maggio) vs il 3,1% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 19 maggio). Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale scende al 9% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 26 maggio) vs il 10,9% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 19 maggio). È quanto emerge dal monitoraggio della Cabina di regia Iss-ministero della Salute sul Covid-19.
Sulle origini della pandemia covid un quarto degli italiani è 'complottista'. Nel senso che non credono sia stata una casualità ma sono convinti che dietro ci sia la mano di qualcuno.
E' uno dei dati che emerge nel Rapporto Italia 2022 di Eurispes. L'istituto di ricerca ha voluto sondare le diverse posizioni della popolazione tricolore sulla pandemia. Risultato: poco meno della metà (46,6%) ammette di non avere idea di come si sia originata, e poco più di un intervistato su 4 (25,7%), appunto, ritiene che ci sia dietro una 'longa manus'. Infine, il 22,9% ha le idee più chiare: è stato solo una casualità. Un più contenuto 4,8% è invece totalmente negazionista e afferma, al di là di ogni evidenza, che non esiste nessuna vera pandemia.
Indagando all'interno di quella fetta di popolazione che ritiene non un caso quello che è successo in questi ultimi 2 anni, emergono varie posizioni: il 42,1% di loro ritiene che il virus sia stato creato in laboratorio e poi sfuggito dal controllo, il 25,7% pensa invece che sia stato creato in laboratorio e diffuso di proposito nel mondo. Per un 15,4% ci si sarebbe accorti troppo tardi dell'esistenza del virus e non si è stati capaci di fermarlo, per l'11,3% il virus è un normale virus influenzale, ma è stato usato per altri scopi. Nell'indicare un responsabile, gli intervistati 'complottisti' citano in quasi un terzo dei casi (31,4%) il governo cinese; un altro 27,3% attribuisce la responsabilità ai poteri forti globali, un 12,1% alle multinazionali farmaceutiche.
Ai cittadini che credono che la pandemia non sia scoppiata per caso è stato poi chiesto anche quale sia, a loro avviso, lo scopo per cui è stata creata. Ecco le risposte: fare enormi profitti risulta l'obiettivo più citato (29,3%), seguito da "controllare meglio le persone" (20,1%) e "indebolire le democrazie" (18,4%). Ottengono percentuali degne di nota anche "ridurre la popolazione mondiale" (14,7%), "creare un clima di paura" (10%), "consolidare il potere delle élite internazionali" (9,2%) e, con percentuali più contenute, "nascondere altri problemi gravissimi" (7%) e "giustificare l’intervento dello stato in economia" (6%).
Oltre metà italiani boccia gestione pandemia
Il 55,8% degli italiani non approva la strategia della gestione italiana della pandemia, contro il 44,1% di giudizi positivi, si legge ancora nel Rapporto. Bocciati anche i media. I cittadini, si legge nella sintesi del report, danno un giudizio negativo anche sulla qualità dell'informazione italiana sulla pandemia: il 68,5% è critico, a fronte di un 31,5% soddisfatto. Invece solo il 17,6% ha visto diminuire la propria fede nella scienza.
La netta maggioranza dei cittadini ha avvertito, dall'inizio della pandemia, limitazioni della propria libertà personale: oltre un terzo (35,6%) afferma di essersi sentito limitato sia per la situazione sanitaria sia per le scelte governative, il 29% per i rischi legati al Covid-19, il 19,1% solo a causa delle scelte del Governo. Soltanto il 16,3% degli italiani non ha mai avvertito questo disagio. Agli intervistati è stato poi chiesto se, in caso di necessità, sarebbero disposti ad un'ulteriore limitazione della propria libertà individuale: il 38% si dice disposto, se necessario (il 29,5% abbastanza, l'8,5% molto), ma un più cospicuo 62% manifesta un atteggiamento di chiusura (il 39,3% è poco disposto, il 22,7% per niente).
C'è un prima e un dopo, in mezzo un evento che ha sconvolto la vita. Si evince anche dal fatto che la pandemia ha inciso pure sul modo di essere delle persone: la maggioranza dei cittadini, secondo il sondaggio, afferma di essersi sentita di umore più instabile (58,4%), più demotivata (57,3%), più ansiosa (53,3%) dall'inizio della pandemia. Il 42,9% riferisce di essersi sentito più depresso.
A 33% cittadini rimandato intervento chirurgico
Il 44% degli italiani afferma di aver evitato di far visite di controllo nel corso dell’ultimo anno per non frequentare luoghi a rischio di contagio Covid ed il 42,4% ha incontrato difficoltà per essere visitato dal medico di base. Un terzo dei cittadini (33,3%) si è visto rimandare un intervento chirurgico o una terapia per indisponibilità delle strutture sanitarie, una quota di poco inferiore (31,8%) ha incontrato difficoltà a trovare assistenza sanitaria dopo aver contratto il Covid, il 28,5% quando ha avuto un problema di salute ha rinunciato a visite e/o esami per timore di contagiarsi nelle strutture sanitarie.
Quanti hanno visto rimandare un intervento chirurgico e/o una terapia per indisponibilità delle strutture sanitarie sono più numerosi della media al Sud (42,5%), meno al Centro (22,8%).
Da luglio 2021 ad oggi il servizio dell’Ambulatorio mobile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha effettuato quasi 700 vaccinazioni nei campi Rom della capitale.
Dal 2016, gli operatori sanitari del progetto “Nontiscordardimé”, nato dall’esperienza del Giubileo della Misericordia voluto da papa Francesco, sono impegnati ad offrire assistenza sanitaria e non solo alle fasce più fragili della popolazione. Negli ultimi due anni l’attività del progetto è stata dedicata particolarmente alla gestione dell’emergenza Covid-19 nelle realtà periferiche della città e, anche nelle fasi più critiche, l’Ambulatorio mobile dell’ospedale della Santa Sede ha raggiunto con regolarità i campi Rom di Castel Romano, Salone, Salviati, Candoni.
I sanitari hanno promosso la conoscenza delle norme igienico-sanitarie per il contrasto al Covid e attuato il controllo clinico dei bambini per il rientro a scuola dopo le assenze. In collaborazione con i colleghi del SISP (Servizio di Igiene e Sanità pubblica) delle ASL di appartenenza dei campi si sono occupati del monitoraggio dei bambini e lattanti Covid positivi che hanno trascorso il periodo di isolamento al campo. Hanno, inoltre, facilitato l’accesso ai tamponi naso-faringei gratuiti per i bambini muniti di tessera STP (Straniero temporaneamente presente, per persone di Paesi fuori dall’UE) o ENI (Europei non iscritti al SSN) per i quali non è possibile eseguire la prescrizione regionale elettronica.
Da luglio 2021 l’Ospedale Bambino Gesù ha proposto il vaccino anti-Covid nei campi Rom agli adolescenti e ai giovani adulti e da gennaio 2022 ai bambini della fascia di età 5-11. La campagna di sensibilizzazione e vaccinazione ha coinvolto il personale del Dipartimento di Emergenza, accettazione e Pediatria generale dell’Ospedale Pediatrico con l’aiuto degli autisti volontari dell’Associazione Bambino Gesù.
Sono stati vaccinati quasi 500 tra bambini, adolescenti e giovani adulti, per un totale di circa 700 dosi di vaccino somministrate. In particolare, nella fascia pediatrica 90 bambini hanno già completato il ciclo vaccinale mentre, per quanto riguarda gli adolescenti, 123 hanno completato il ciclo vaccinale e 33 hanno ricevuto anche la dose booster.
Spiega la dottoressa Rosaria Giampaolo che cura il progetto dell’Ambulatorio mobile: «Abbiamo registrato una buona adesione alla campagna di vaccinazione, riuscendo a vincere la diffidenza iniziale. Ha prevalso il desiderio di proteggere se stessi e i familiari dagli effetti di una malattia potenzialmente grave e di non essere esclusi dalla partecipazione alla vita sociale». «La campagna di vaccinazione – prosegue Giampaolo - ha permesso ai piccoli e giovani Rom di essere vaccinati direttamente nei campi superando le difficoltà pratiche di accesso ai servizi sanitari». L’attività dell’Ambulatorio mobile ha dato, quindi, «un contributo importante nel cercare di contrastare e contenere la diffusione del SARS Cov2 sul territorio di Roma e nel promuovere la tutela della salute in una fascia di popolazione per la quale il vaccino rischiava di rimanere precluso a causa di problemi culturali e sociali».
A seguito della decisione della Commissione tecnico scientifica (Cts) dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) che ha uniformato i criteri di prescrizione degli antivirali (remdesivir, nirmatrelvir/ritonavir e molnupiravir) e degli anticorpi monoclonali anti-SarS-CoV-2, in quanto diretti alla stessa fascia di popolazione rappresentata dai soggetti con la malattia da Covid-19 lieve/moderata e ad alto rischio di sviluppo di malattia severa, l’Agenzia rende disponibile il nuovo piano terapeutico per la prescrizione del Paxlovid*.
I sistemi informatizzati di prescrizione (Pt web-based per la prescrizione di nirmatrelvir/ritonavir da parte del medico di medicina generale, e registri di monitoraggio Aifa per la prescrizione di remdesivir, molnupiravir e anticorpi monoclonali da parte dei centri individuati dalle Regioni) - informa l'Agenzia del farmaco sul suo sito - sono stati implementati con le opportune modifiche e sono operativi dal 24 maggio 2022.
Dunque, per avere accesso al Paxlovid devono essere soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 18 anni di età; test molecolare o antigenico positivo per SarS-CoV-2; se sintomatico, esordio dei sintomi da non oltre 5 giorni; soggetto non ospedalizzato per Covid-19; soggetto non in ossigenoterapia (o, in caso di soggetto già in ossigenoterapia per sottostanti comorbidità, non deve richiedere un incremento a seguito del Covid-19); soggetto non in stato di compromissione renale severa (eGFR>30 mL/min); soggetto non in stato di compromissione epatica severa (Classe Child-Pugh A-B).
E ancora: presenza di almeno uno tra i seguenti fattori di rischio: patologia oncologica/oncoematologica in fase attiva; insufficienza renale cronica; broncopneuomopatia cronica ostruttiva e/o altra malattia respiratoria cronica (ad es. soggetti affetti da asma, fibrosi polmonare o che necessitano di ossigenoterapia per ragioni differenti da SarS-CoV-2); immunodeficienza primaria o acquisita; obesità (Bmi >30); malattia cardio-cerebrovascolare (scompenso cardiaco, malattia coronarica, cardiomiopatia, ipertensione con concomitante danno d’organo, ictus); diabete mellito non compensato (HbA1c>9.0% 75 mmol/mol) o con complicanze croniche, età superiore ai 65 anni; epatopatia cronica; emoglobinopatie; patologie del neurosviluppo e patologie neurodegenerative
Si prevede inoltre che vi sia assenza di gravidanza in atto e in proposito si sottolinea comunque che non sono disponibili dati riguardo all’uso di Paxlovid nelle donne incinte che diano indicazioni sul rischio associato al medicinale di effetti avversi sullo sviluppo. In caso di paziente donna potenzialmente fertile, la donna deve accettare di evitare di iniziare una gravidanza durante il trattamento con Paxlovid e, come misura precauzionale, per 7 giorni dopo il completamento di Paxlovid.
Da sottolineare inoltre - si legge sul sito Aifa - che l’uso di ritonavir può ridurre l’efficacia dei contraccettivi ormonali combinati e in caso di paziente donna potenzialmente fertile, la donna deve accettare di utilizzare un metodo contraccettivo alternativo efficace o un metodo contraccettivo di barriera aggiuntivo durante il trattamento con Paxlovid e fino a un ciclo mestruale dopo aver interrotto Paxlovid.
L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e la Commissione federale per le vaccinazioni (CFV) adeguano la raccomandazione di vaccinazione per le persone con un sistema immunitario fortemente indebolito.
A queste persone è raccomandata un’ulteriore vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA, se quest’ultima è considerata potenzialmente efficace dopo valutazione del medico curante. Per tutte le altre persone dai 12 anni in su non è al momento opportuna un’ulteriore vaccinazione di richiamo, ma ne è sufficiente una dopo l’immunizzazione di base.
I pazienti con un sistema immunitario fortemente indebolito continuano a correre un rischio elevato di ammalarsi gravemente di COVID-19. Malgrado la ripetuta vaccinazione anti-COVID-19, non riescono a sviluppare una protezione immunitaria efficace. Per questo motivo l’UFSP e la CFV raccomandano loro una seconda vaccinazione di richiamo, a condizione tuttavia che uno specialista ne presuma l’efficacia.
Inoltre, da poco le persone con un sistema immunitario fortemente indebolito, che non rispondono sufficientemente alla vaccinazione, possono essere trattate con il medicamento Tixagevimab/Cilgavimab (Evusheld®). La combinazione di anticorpi per l’immunizzazione passiva è somministrata a scopo preventivo. Secondo i dati disponibili, offre una buona protezione dalla COVID-19 per almeno sei mesi. Swissmedic non ha ancora omologato Tixagevimab/Cilgavimab (Evusheld®); il medicamento può essere somministrato esclusivamente su prescrizione medica ed è indicato soltanto per determinati gruppi a rischio.
Non vi è attualmente alcuna raccomandazione di un’ulteriore vaccinazione di richiamo per la popolazione in generale
Per la popolazione in generale non è al momento necessaria un’ulteriore vaccinazione di richiamo. Secondo i dati attuali, chi è vaccinato completamente oppure vaccinato e guarito continua a beneficiare di una buona protezione da un decorso grave della malattia. L’UFSP e la CFV continuano a raccomandare al resto della popolazione dai 12 anni in su un’immunizzazione di base con due dosi di un vaccino a mRNA e una vaccinazione di richiamo almeno quattro mesi dopo.
Al più tardi prima delle vacanze estive, l’UFSP e la CFV forniranno le loro raccomandazioni di vaccinazione per l’autunno e l’inverno 2022/2023. Si prefigura uno spettro di possibili scenari per l’autunno, che spazia da un’ulteriore vaccinazione di richiamo per le persone particolarmente a rischio (persone al di sopra dei 65 anni e persone affette da determinate malattie croniche) a una possibile vaccinazione di richiamo per la popolazione in generale. In qualsiasi caso la Svizzera dispone di sufficienti dosi di vaccino.
Viaggi all’estero
Per le persone che hanno bisogno di una vaccinazione di richiamo per un prossimo viaggio in estate o in autunno, la Confederazione sta valutando le possibilità di accedervi in tempo.
Continueranno, come finora, ad essere rilasciati certificati in seguito a vaccinazioni (immunizzazioni di base, vaccinazioni di richiamo), a un test PCR attestante un’infezione o al risultato negativo di un test.
Situazione attuale e sorveglianza
La situazione epidemiologica sta evolvendo in modo positivo; grazie all’elevata immunizzazione della popolazione, è improbabile che si verifichi un sovraccarico del sistema sanitario malgrado il virus continui a circolare. Al momento non si può prevedere con precisione come sarà la situazione nei mesi autunnali e invernali.
La Confederazione continua a sorvegliare la situazione in modo affidabile e costante, per esempio mantenendo il sistema di dichiarazione obbligatoria (numero di casi, test, tasso di positività), completato dai dati del sistema di dichiarazione Sentinella. Inoltre ha potenziato notevolmente il monitoraggio delle acque reflue e può così controllare attivamente la diffusione dei virus in oltre il 70 per cento della popolazione e individuare rapidamente focolai di vasta portata. La sorveglianza genomica si concentra sulle varianti del virus che causano decorsi gravi e ospedalizzazioni.
La Confederazione sorveglia anche l’immunità della popolazione e riceve quindi indicazioni sul numero di persone già entrate in contatto con il virus o vaccinate completamente e che hanno sviluppato anticorpi COVID-19. Le conoscenze tratte dai dati rilevati forniscono importanti basi per decidere come proseguire nella lotta all’epidemia di coronavirus.
"A quasi 18 mesi dalla prima somministrazione di un vaccino contro il COVID-19, sono stati compiuti incredibili progressi: i Paesi a basso reddito hanno somministrato miliardi di vaccini contro il COVID-19 con uno storico lancio globale che non ha precedenti in termini di velocità, scala e popolazione raggiunta.
Tuttavia, nonostante questi progressi e l'allentamento dei vincoli di fornitura a livello globale, le disuguaglianze tra i Paesi a basso e alto reddito continuano a costare vite umane e a prolungare la pandemia, aumentando la minaccia rappresentata dall'emergere di nuove varianti del virus, potenzialmente più pericolose".
È quanto afferma Unicef in una nota. "Solo il 16% delle persone nei Paesi a basso reddito- continua Unicef- ha ricevuto una singola dose di vaccino, rispetto all'80% dei Paesi ad alto reddito. In alcuni Paesi a basso reddito, molte delle persone più a rischio della società - operatori sanitari, anziani e persone con condizioni di salute precarie - non sono protette, mentre giovani adulti sani ricevono dosi di richiamo nei Paesi più ricchi. Il mondo deve agire con urgenza per colmare questo divario di equità. Dopo un anno di forti limitazioni, ci troviamo ora in una situazione che due anni fa sarebbe sembrata impossibile: l'offerta globale è sufficientemente elevata da supportare l'obiettivo generale di sostenere una vaccinazione equa e completa di tutte le popolazioni adulte e adolescenti a livello globale".
COVAX - l'azione globale per accelerare lo sviluppo e l'accesso ai vaccini contro il COVID-19, guidata da CEPI, Gavi e OMS, in collaborazione con l'Unicef - ha accesso a un numero di dosi più che sufficiente per consentire a 91 Paesi a basso reddito sostenuti dal COVAX Advance Market Commitment (AMC) - che fornisce dosi finanziate dai donatori di un'ampia gamma di vaccini contro il COVID-19 - di raggiungere i propri traguardi alla luce dell'obiettivo globale dell'OMS di proteggere il 70% della popolazione di ciascun Paese. "Possiamo aiutare questi Paesi a raggiungere gli obiettivi individuali e a dare priorità alla copertura completa dei gruppi ad alto rischio. COVAX è ora aperto alle richieste di dosi per le campagne di richiamo da parte dei Paesi, e le incoraggia".
COVAX è anche in grado di consegnare queste dosi per farle arrivare a chi ne ha bisogno. In soli 15 mesi, COVAX - in qualità di pilastro per i vaccini del partenariato ACT-Accelerator per un accesso equo agli strumenti contro il COVID-19 - ha spedito oltre 1,3 miliardi di vaccini a 87 Paesi a basso e medio reddito in tutto il mondo. Le spedizioni COVAX rappresentano l'82% dei vaccini consegnati ai Paesi a basso reddito e la maggior parte dei vaccini contro il COVID-19 somministrati in ambito umanitario. Guidando lo sforzo di vaccinazione globale più rapido, vasto e complesso della storia, il lavoro di COVAX ha contribuito ad aumentare la percentuale media di persone protette da un ciclo completo di vaccini in questi Paesi a basso e medio reddito, portandola al 46%.
"Ora si tratta di costruire su queste basi per aiutare i Paesi a proteggere completamente i gruppi ad alto rischio, a raggiungere gli obiettivi nazionali di vaccinazione e a colmare definitivamente il divario di equità del vaccino contro il COVID-19 a livello globale. Tuttavia, rimangono ancora degli ostacoli: la domanda e la capacità di assorbimento sono basse, con i Paesi a basso reddito che rimangono i più indietro", conclude Unicef.
La Confederazione ha concluso un contratto con Pfizer SA per l’acquisto di Paxlovid*, un medicamento destinato al trattamento della COVID-19 in pazienti con un elevato rischio di decorso grave.
La Confederazione ha firmato un contratto con Pfizer SA per l’acquisto di 12 000 confezioni di Paxlovid*. I primi trattamenti saranno possibili già nel maggio del 2022, in appositi centri cantonali autorizzati alla dispensazione, per determinati pazienti a rischio. In una seconda fase il medicamento, soggetto a prescrizione medica, sarà ottenibile anche tramite i medici di famiglia e le farmacie. La Confederazione si fa carico dei costi per l’impiego in ambito ambulatoriale.
Paxlovid* consta di due preparati, contenenti i principi attivi nirmatrelvir [PF-07321332] e ritonavir, che vengono assunti sotto forma di compresse. Paxlovid* è un farmaco combinato che va assunto al più presto dopo l’accertamento di un’infezione da COVID-19.
Attualmente questo medicamento non è omologato ma, in virtù dell’ordinanza 3 COVID-19, può essere impiegato per il trattamento di pazienti affetti da COVID-19 già durante la procedura di omologazione in corso. La domanda di omologazione è attualmente in fase di valutazione da parte di Swissmedic.
A corto di personale nel 91% dei casi e di letti nel 70%, ospedali in affanno tra Covid, Long Covid e gli altri pazienti che tornano a bussare alle loro porte, con il 45,8 per cento degli ospedali che denuncia un aumento delle infezioni no-Covid rispetto a prima della pandemia.
A fotografare lo stato di affanno della rete ospedaliera italiana nell'era post-emergenza è la Survey lanciata da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, che hanno in carico il 70% dei pazienti Covid, dal 21 al 23 maggio in Congresso a Roma. Con Long Covid un paziente su 10 ma nel 62,5% dei casi servizi di assistenza insufficienti o assenti. Dopo lockdown e mascherine infezioni no-Covid in aumento rispetto all'era pre-pandemica in quasi la metà delle strutture.
Omicron o non Omicron il Long Covid continua a perseguitare anche dopo la guarigione un paziente su dieci, ma nel 50% dei casi i servizi dedicati per prestare loro assistenza sono ancora insufficienti. Anche perché la fine dello stato di emergenza non avrà cancellato il virus, ma ridotto la paura nei suoi confronti si e gli assistiti sono tornati a bussare alle porte degli ospedali, mettendo a nudo i problemi di sempre: carenza di personale, lamentata nel 91,7% dei nostri nosocomi, mancanza di posti letto (nel 70,8% dei casi), difficoltà organizzative (75%). Il tutto con le problematiche poste dalla necessità di conciliare i percorsi dei pazienti Covid con quelli non Covid, che comunque distraggono personale e letti, mettendo in difficoltà il 70,8% delle strutture.
Una indagine che ha coinvolto tutte le regioni e che non sembra smentire del tutto la teoria, lanciata da alcuni studi, circa l'indebolimento del nostro sistema immunitario generato da lockdown e uso di mascherine, che sarebbe tra le cause delle epatiti pediatriche di origine sconosciuta. A fronte di un 54,2% degli ospedali che non ha rilevato infatti alcuna recrudescenza delle malattie infettive no-Covid rispetto all'era pre-pandemica, il 37,5% ha denunciato un aumento, sia pur lieve. Consistente nell'8,3%% delle strutture. Rispetto all'anno scorso per il 40% dei casi invece l'abrogazione dell'obbligo delle mascherine in molti luoghi anche al chiuso e la cancellazione delle altre restrizioni è probabilmente alla base dell'aumento dei pazienti con malattie infettive ricoverati recentemente negli ospedali. Aumento consistente nel 16% delle strutture, lieve nel 44%.
LONG COVID: MANCANO ANCORA RISPOSTE ASSISTENZIALI ADEGUATE
Tornando al Long Covid nel 58,3% degli ospedali i pazienti che non si liberano dei postumi dopo essersi negativizzati sono tra il 5 e il 10%, nel 29,2% tra il 10 e il 20%, mentre solo il 12,5% è sotto la quota del 5%. In media quindi un paziente su dieci ne è afflitto, ma nel 50% degli ospedali i percorsi dedicati all'assistenza dei pazienti Long Covid non sembrano essere sufficienti rispetto ai bisogni, mentre nel 12,5% delle strutture non è stato attivato alcun servizio, invece presente ed in grado di rispondere efficacemente alla domanda di assistenza nel 37,5% degli ospedali.
Il sintomo più diffuso resta quello della stanchezza cronica, accusata dal 91,7% dei pazienti affetti da Long Covid, seguito dalle difficoltà respiratorie (62,5%), la cosiddetta "nebbia cerebrale", che rende difficile mettere ordine nei pensieri e concentrarsi nelle attività lavorative o di studio e che colpisce il 58,3% dei pazienti. Problemi cardiaci sono rilevati nel 29,2% di loro, mentre il 25% accusa problemi di natura neurologica. L'età media nel 70,8% dei casi è compresa tra i 30 e i 60 anni. Praticamente non rilevati gli under 30, mentre in oltre il 29% dei casi si tratta di over 60, con una quota di circa il 5% di ultraottantenni.
In circa l'87% delle strutture con la variante Omicron è rimasta sostanzialmente invariata la percentuale di pazienti Long Covid, mentre nel 12,5% delle strutture si è osservato persino un aumento dei casi. Tra pazienti che cercano di recuperare interventi e ricoveri saltati nella fase acuta della pandemia, Long Covid e necessità di isolare gli ancora settemila e passa pazienti positivi, gli ospedali sono sempre più con il fiato corto, mostrando le ferite inferte da anni di definanziamento della sanità, con percentuali schiaccianti di strutture che denunciano buchi in pianta organica, mancanza di letti, difficoltà organizzative di vario genere. Con uno zero per cento tondo tondo che dichiara di essere a posto così. "A fronte di questo quadro - afferma Dario Manfellotto, Presidente Fadoi- l'ospedale va ripensato secondo la cosiddetta 'progressive patient care', un modello che raggruppa i malati non più per singola specialità medica ma in base al grado di intensità di cura della quale necessitano: intensivo, medio-alto, basso.
Un approccio necessariamente multidisciplinare, capace di passare dalla medicina spezzatino - effetto indesiderato dell'iper-specializzazione - a una presa in carico globale, non più della malattia, ma del malato, che spesso di patologie ne ha più di una. E in questo contesto l'esperienza pandemica dimostra quanto sia sbagliata l'idea che i reparti di medicina interna assistano pazienti a bassa intensità di cura, perché al di là dei malati Covid, nei nostri reparti arrivano pazienti molto complessi, che richiedono una risposta multispecialistica, coordinata proprio dai medici internisti ospedalieri". "Alla missione salute il PNRR destina complessivamente oltre 20 miliardi, 8,6 destinati agli ospedali a alla loro innovazione tecnologica. I soldi ci sono. Però -conclude Manfellotto- il piano finanzia tecnologie e strutture ma non può avere un'anima, e per averla serve una riorganizzazione del SSN, a partire dall'ospedale del futuro, individuando le giuste sinergie con il territorio. Una progettualità, al momento, ancora insoddisfacente".
Con la variante Omicron il rischio di contagiarsi nuovamente, dopo aver già avuto il Covid, è più alto tra gli under 50, nelle donne, tra chi ha contratto la prima volta il virus da oltre 7 mesi, tra i non vaccinati o gli immunizzati con una sola dose e tra gli operatori sanitari.
E' quanto emerge dal report settimanale dell'Istituto superiore di Sanità (Iss) sulla sorveglianza epidemiologica di Covid-19 e l'efficacia vaccinale, diffuso nella versione integrale, dal quale risulta inoltre che - dal 24 agosto 2021 al 18 maggio 2022 - sono stati segnalati 489.414 casi di reinfezione, pari al 3,9% del totale dei casi notificati. Percentuale che nell'ultima settimana risulta pari a 6%, stabile rispetto alla settimana precedente.
Dunque, l'analisi del rischio di reinfezione evidenzia che esso è significativamente maggiore: nei soggetti con prima diagnosi di Covid notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi di Covid-19 fra i 90 e i 210 giorni precedenti; tra non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni; nelle femmine rispetto ai maschi (fenomeno verosimilmente dovuto alla maggiore presenza di donne in ambito scolastico -più dell'80%), dove viene effettuata una intensa attività di screening e al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito familiare. E nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni (verosimilmente attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio, rispetto alle fasce d'età over 60), e tra gli operatori sanitari più esposti rispetto al resto della popolazione.
IL CONTAGIO - L'efficacia del booster del vaccino anti Covid, nel periodo di prevalenza Omicron, nel prevenire il contagio è pari al 58% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster rispetto ai non vaccinati. Percentuale che si attesta al 44% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, al 34% tra i 91 e 120 giorni e al 46% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale.
Dal report emerge inoltre che chi ha fatto il booster ha un rischio inferiore dell'88% di ammalarsi in modo grave rispetto ai non vaccinati, del 70% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, del 69% con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e del 71% tra chi ha completato la vaccinazione da oltre 120 giorni.
Salgono a 11 i vaccini anti-Covid inseriti dall'Organizzazione mondiale della sanità nel suo 'Elenco per l'uso di emergenza (Eul).
A quelli già in lista si è aggiunto Convidecia* della cinese CanSino Biologics, un prodotto a vettore adenovirale, che si somministra in un'unica dose e che il gruppo di esperti Oms sull'immunizzazione (Sage) raccomanda per l'uso nella popolazione over 18. In una nota, l'Oms indica per Convidecia un'efficacia del 64% contro Covid-19 sintomatico e del 92% contro Covid grave.
Covid e morbillo più contagiosi del vaiolo delle scimmie, la malattia salita alla ribalta anche in Italia dopo i primi casi individuati. A delineare il quadro -tra virulenza, sintomi e mortalità- è il virologo Mauro Pistello, direttore dell'Unità di virologia dell'Azienda ospedaliera universitaria di Pisa e vicepresidente della Società italiana di microbiologia.
"Ci sono varie tipologie del vaiolo delle scimmie, quello che è stato riscontrato per ora è quello meno virulento dell'Africa-Occidentale e poi c'è il lignaggio del Congo, con una mortalità intorno al 10%, ma ha avuto sempre una diffusione molto locale. Per quanto riguarda i casi europei abbiamo un vantaggio,che questo vaiolo delle scimmie è molto meno contagioso rispetto a Sars-CoV-2 o al morbillo", dice all'Adnkronos Salute.
Sulla possibilità che il caso individuato all'Inmi Spallanzani di Roma possa essere il 'paziente zero' di un possibile focolaio, "è un po' presto per dirlo, c'è un periodo di incubazione di 2-3 settimane", avverte Pistello. "Ma credo che sia difficile - aggiunge - l'infezione ha sintomi evidenti ed è quindi facile da intercettare e isolare. Non credo si debba essere allarmati. Monitoriamo e tracciamo i contatti dei casi" .
Da luoghi di assistenza a centri in cui si promuove la salute: il tema è stato al centro del National summit “Dall’emergenza all’eccellenza - il futuro delle RSA nel post Covid-19”, evento realizzato da Quotidiano Sanità e Popular Science, con il contributo non condizionante di GSK, che ha visto confrontarsi istituzioni e stakeholder alla luce della gestione dell’emergenza pandemica.
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L’impatto del Covid19 ha messo a dura prova le residenze sanitarie assistenziali e i pazienti più fragili, da cui è emerso il bisogno di una nuova governance anche in ottica di prevenzione. “Abbiamo una popolazione di anziani che conta quindicimila centenari in Italia e quasi ottocentomila ultranovantenni – ha dichiarato Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva -. La maggioranza sono donne affette anche da forme di demenza e la tendenza è di una crescente solitudine per il mancato ricambio generazionale. La sanità in generale deve quindi prevedere luoghi di accoglienza e investire in strumenti di prevenzione efficaci e non onerosi per il paziente. Le vaccinazioni sono gratis e dimostrano di dare una difesa a lungo termine negli anni”. Serve quindi una pianificazione sanitaria, ha proseguito Bernabei, che faccia delle Rsa “degli ‘hub&spoke’ di salute. Addirittura, la vaccinazione di popolazione all’interno di queste strutture sarebbe molto agevole anche grazie al fatto che sono diffuse sul territorio. L’indirizzo del Pnrr è di avere il rapporto di una casa della comunità per 50mila abitanti e un ospedale di comunità per 60mila».
Un aspetto che secondo Ernesto Palummeri, responsabile Alisa per l'emergenza Covid nelle Rsa della Liguria non è ben delineato negli orientamenti del Pnrr perché poco chiaro. “Le Rsa sono anche luogo di conoscenza e si possono aprire al territorio. Ci sono esperienze nel rendere servizi al di fuori delle mura della struttura, il potenziale di sviluppo è enorme per valorizzare le competenze”. Nella regione più vecchia di Europa il Covid ha inciso pesantemente sulla popolazione non solo delle residenze sanitarie, ma anche di tutte le comunità chiuse come carceri e conventi. “In Rsa ci sono i più fragili tra i fragili, anziani con polipatologie croniche, demenza, fragilità. Per cui è stato fondamentale distribuire un questionario tra gli operatori che ci ha indicato quali provvedimenti prendere. Abbiamo così ridotto la mortalità anche del 65,6% e contemporaneamente abbiamo vaccinato oltre il 95% tra ospiti e personale. Oggi i malati con Covid nelle Rsa liguri sono l’1%”.
Rispetto agli obiettivi posti dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale, anche nelle residenze sanitarie assistenziali è ormai necessario implementare le coperture, come ha segnalato Claudio Mastroianni, presidente della Società italiana di Malattie infettive e Tropicali SIMIT, ordinario di Malattie infettive alla Sapienza di Roma e direttore UOC Malattie infettive all’Umberto I. “I vaccini, in particolare l’antipneumococco e l’antiinfluenzale, hanno il ruolo di ridurre la pandemia silente dell’antimicrobico resistenza. Evitare l’infezione consente di non dover ricorrere agli antibiotici, di ridurre l’ospedalizzazione e altri interventi di sanità pubblica, oltre a prevenire lo sviluppo di germi multiresistenti che colpiscono gli anziani, un evento classico nelle Rsa. E ciò vale anche per l’anti herpes zoster, che può provocare una nevralgia post erpetica molto invalidante. Ora la nuova tecnologia ricombinante, da poco introdotta, consente di estendere la vaccinazione anche a soggetti immunocompromessi e può dare una protezione fino al 95% anche in età avanzata”.
“Manca ancora una cultura vaccinale dei soggetti adulti, che sono così esposti a malattie prevenibili e prevedibili – ha proseguito Mastroianni -. Gli specialisti inoltre spesso non hanno consapevolezza di avere, oltre alla terapia della patologia di loro competenza, armi di prevenzione importanti ed efficaci. Ma occorrono anche percorsi vaccinali che coincidano con il momento di cura, includendo anche le Rsa per raggiungere i più fragili”.
E proprio a proposito di herpes zoster i dati di un nuovo studio osservazionale su larga scala condotto da GSK negli Stati Uniti (quasi 2 milioni i pazienti coinvolti) e pubblicato sulla rivista Open Forum Infectious Diseases edita dalla Infectious Diseases Society of America, mostra come Covid-19 potrebbe creare, nei primi sei mesi successivi alla diagnosi, una vulnerabilità al cosiddetto “Fuoco di Sant’Antonio” nelle persone di età superiore ai 50 anni. In questo studio di coorte retrospettivo, infatti, gli over50 che hanno contratto l’infezione da Sars Cov-2 mostrano il 15% di probabilità in più di sviluppare l'herpes zoster rispetto a chi non aveva contratto il Covid. Inoltre, in coloro che hanno avuto un ricovero in ospedale per Covid, tale percentuale sale al 21% di probabilità in più.
La presa di consapevolezza riguarda quindi una visione di rete, perché la presenza di presidi sul territorio che intercettino i bisogni, come ad esempio è accaduto durante la pandemia con le farmacie, ora deve coinvolgere anche le residenze sanitarie assistenziali. “Sono professionalità da mettere insieme per dare risposte alla terza età e dare un futuro migliore a chi invecchia – ha affermato Luca Pallavicini, presidente nazionale di Confcommercio Salute, Sanità e Cura -. Sono luoghi in cui è possibile dare spazio alle relazioni, a favorire i rapporti sociali con le famiglie e dare qualità di una vita serena. Per una programmazione futura, dobbiamo fare informazione e coesione tra servizio pubblico e sociosanitario e privato accreditato”.
“Le Rsa non siano viste come luogo chiuso da evitare – ha quindi evidenziato Matteo Marastoni, responsabile governo clinico del Gruppo La Villa – e l’emergenza Covid ha chiuso ancora di più le porte per ragioni di sicurezza. Il futuro delle Rsa sarà invece diverso rispetto due anni fa. La prevenzione e la cura renderanno ancora più efficace la loro funzione. Ad esempio, la vaccinazione contro l’herpes zoster è praticabile nelle nostre strutture ed è molto utile per i grandi anziani poter fare un vaccino nel luogo in cui sono assistiti, anche per un migliore monitoraggio nei giorni seguenti. A fronte di una difformità di presenza e di linee guida nelle varie regioni, è fondamentale che le Rsa siano parte attiva verso le istituzioni sanitarie affinché diventino luogo di prevenzione e cura”, ha concluso.
Swissmedic ha approvato l’estensione dell’indicazione del vaccino anti-COVID-19 Spikevax® di Moderna ai bambini di età compresa tra 6 e 11 anni. I bambini di età pari o superiore a 6 anni, a differenza degli adulti e degli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni, ricevono due volte metà della dose (50 microgrammi) a distanza di 4 settimane.
La sperimentazione principale nei bambini di età compresa tra 6 e 11 anni ha dimostrato che la risposta immunitaria contro il virus SARS-CoV-2 indotta dal vaccino è paragonabile a quella nei giovani adulti.
Gli effetti collaterali più comunemente notificati (p.es. dolore, arrossamento o gonfiore in sede di iniezione, stanchezza, mal di testa, brividi o nausea) sono stati simili a quelli osservati negli adolescenti e nei giovani adulti. Nei bambini la febbre è stata più comune, mentre i dolori muscolari e articolari sono stati più rari rispetto agli adolescenti e agli adulti. Gli effetti indesiderati sono stati in genere di intensità da lieve a moderata e sono durati pochi giorni.
Dalla vaccinazione possono trarre beneficio soprattutto i bambini con malattie preesistenti, nei quali il rischio di un decorso grave del COVID-19 risulta aumentato. I bambini di età compresa tra 6 e 11 anni, a differenza dei soggetti di età superiore, ricevono la metà della dose di vaccino (50 microgrammi invece di 100 microgrammi) a distanza di 4 settimane.
La sicurezza, l’efficacia e la qualità di tutti i vaccini anti-COVID-19 utilizzati continueranno a essere attentamente monitorate nei bambini e negli adulti in tutto il mondo, sia attraverso dispositivi di notifica spontanea (sistema di farmacovigilanza) sia nell’ambito di sperimentazioni cliniche in corso e supplementari.
I dati finora disponibili sulla quarta dose di vaccino anti-Covid mostrano "alcuni benefici a breve termine nelle categorie a più alto rischio (operatori sanitari, over 60 e persone immunocompromesse).
Tuttavia, le informazioni sono disponibili solo per i vaccini mRna e ci sono dati limitati sulla durata della protezione e sui benefici di un secondo booster per i giovani sani". L'Organizzazione mondiale della sanità sceglie frasi caute sulla quarta dose vaccinale, e in particolare sulla prospettiva di estenderla a fasce più ampie di popolazione, secondo quanto emerge dalle raccomandazioni provvisorie redatte sul tema dall'Oms con il supporto del suo gruppo di esperti di immunizzazione (Sage).
Lo statement riconosce "le crescenti evidenze sul valore di una dose di richiamo aggiuntiva per alcuni gruppi di popolazione", ma mette in evidenza anche alcune "lacune nella ricerca". Dopo avere esaminato i dati di 7 studi pubblicati, l'Oms e i suoi specialisti ritengono soprattutto "necessari ulteriori dati per valutare i benefici di un secondo booster per altri gruppi di popolazione e piattaforme vaccinali" più differenziate. "Quando questi dati saranno disponibili, il Sage aggiornerà le sue raccomandazioni di conseguenza".
Nel frattempo, però, in linea generale l'agenzia delle Nazioni Unite per la sanità raccomanda ai "Paesi che considerano l'introduzione di una quarta dose" di vaccino Covid-19 di "valutare attentamente le sfide finanziarie e di programmazione" di una campagna di questo tipo, "rispetto ai benefici incrementali previsti" in termini di protezione.
I vaccini anti-Covid a mRna, rispetto a quelli a vettore virale, proteggono in misura maggiore dal rischio di essere contagiati da varianti di preoccupazione (Voc) di Sars-CoV-2, Omicron compresa.
E' la conclusione di uno studio olandese pubblicato su 'Plos Medicine', che ha confrontato le performance di 4 vaccini Covid-19: quelli a Rna messaggero di Pfizer-BioNTech e di Moderna, e quelli a vettore adenovirale di AstraZeneca a Janssen (J&J). "Sebbene tutti prevengano efficacemente le forme gravi di Covid" e le loro conseguenze, premettono gli autori, "le persone che hanno ricevuto un vaccino a vettore virale risultano più vulnerabili all'infezione da varianti".
Il gruppo di Marit J. van Gils dell'università di Amsterdam, Paesi Bassi, ha prelevato campioni di sangue da 165 operatori sanitari rispettivamente 3 e 4 settimane dopo la prima e la seconda dose dei vaccini di Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca, e da 4 a 5-8 settimane dopo l'iniezione con il monodose di Janssen. Campioni di sangue sono stati raccolti anche prima e 4 settimane dopo un booster di vaccino Pfizer-BioNTech.
I ricercatori hanno così osservato che, 4 settimane dopo il ciclo vaccinale primario, le risposte anticorpali dirette contro il ceppo originario del coronavirus pandemico erano più alte in chi aveva ricevuto Moderna, seguiti dai vaccinati Pfizer-BioNTech, mentre apparivano "sostanzialmente inferiori" in chi aveva ricevuto vaccini a vettore virale. Ma anche nei confronti delle varianti Alfa, Beta, Gamma, Delta e Omicron - sottolineano gli autori - il livello di anticorpi neutralizzanti era più alto nei vaccinati con prodotti a mRna.
Rispetto all'efficacia protettiva contro il virus originario, comunque, "la capacità di neutralizzare le varianti è risultata ridotta per tutti i vaccini, con il calo maggiore contro Omicron". Tuttavia, "un booster di vaccino Pfizer-BioNTech ha aumentato le risposte anticorpali in tutti i gruppi" di vaccinati, "con un sostanziale miglioramento contro le varianti inclusa Omicron".
Come limite all'impianto del loro lavoro, gli studiosi evidenziano che il gruppo di vaccinati AstraZeneca analizzato era "significativamente più anziano, a causa di problemi di sicurezza del vaccino nelle fasce d'età più giovane". E "poiché le risposte immunitarie tendono a indebolirsi con l'età, questo potrebbe aver influito sui risultati". Il gruppo di vaccinati AstraZeneca era anche più piccolo rispetto agli altri, considerando che il governo olandese ha interrotto l'uso del prodotto per un periodo.
Ciò precisato, la conclusione di van Gils è che "4 vaccini Covid-19 inducono risposte anticorpali sostanzialmente diverse".
"Dai nostri studi emerge che Omicron 4 e 5 hanno una 'fuga' immunologica, hanno mutazioni particolari dello stesso numero e nello stesso punto.
Possono quindi dar fastidio al sistema anticorpale e al vaccino anti-Covid, ma in maniera blanda. Abbiamo anche un dato 'real life' che conferma questo aspetto: in Sudafrica dove queste varianti hanno avuto un forte impatto sull'aumento dei contagi, i numeri dei ricoveri e delle terapie intensive non sono cambiati rispetto a quanto accaduto con Omicron 1 e 2. Dobbiamo vigilare, sequenziare e stare attenti, ma non fare terrorismo". Lo spiega all'Adnkronos Salute Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma.
Covid oggi Italia e impennata delle reinfezioni. Dai dati contenuti nell'ultimo rapporto dell’Iss emerge che continua a crescere la percentuale di chi si reinfetta. Ma chi rischia di più?
Reinfezioni e report Iss
Aumentano i casi di reinfezione al Covid-19 in Italia. Secondo quanto emerge dal report esteso dell'Istituto superiore di sanità (Iss), "dal 24 agosto 2021 al 11 maggio 2022 sono stati segnalati 438.726 casi di reinfezione, pari a 3,6% del totale dei casi notificati. Nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati risulta pari a 5,8%, in aumento rispetto alla settimana precedente (il cui valore era 5%)".
In Italia i riflettori restano accesi sulla variante Omicron e sottovarianti. Omicron ha una prevalenza stimata al 100%, con la sottovariante BA.2 predominante a sfiorare il 94% e la presenza di alcuni casi delle sottovarianti BA.4 e BA.5. In data 12 maggio, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie Ecdc ha inoltre riclassificato questi due sottolignaggi della variante Omicron di Sars-CoV-2, BA.4 e BA.5, da varianti di interesse a Voc. BA.4 e BA.5 sono state identificate per la prima volta in Sudafrica, rispettivamente a gennaio e febbraio 2022, e da allora sono diventate le varianti dominanti in quell'area. L'Ecdc evidenzia come entrambi i lignaggi contengano delle mutazioni specifiche nel dominio che lega il recettore della proteina Spike (Rbd) rispetto a Omicron 2 (BA.2). Studi preliminari suggeriscono un cambiamento significativo nelle proprietà antigeniche di BA.4 e BA.5 rispetto a Omicron 1 e 2, soprattutto rispetto a Omicron 1.
Le reinfezioni da Sars-Cov 2 "sono in aumento e arrivano al 6%. E' una costante che osserviamo da quando circola la variante Omicron", riferisce Anna Teresa Palamara, direttrice Malattie infettive dell'Istituto superiore di Sanità, nel video di commento al monitoraggio settimanale sull'epidemia di Covid-19, sottolineando che "fortunatamente queste reinfezioni non sono associate a casi gravi o a casi che richiedono troppe ospedalizzazioni".
Omicron e reinfezioni, chi rischia di più
In Italia "la sottovariante Omicron Ba.2 ha quasi completamente soppiantato la Ba.1, mentre vengono già segnalati i primi casi di Ba.4. Allo stato attuale delle conoscenze, queste nuove sotto-varianti di Omicron sembrano avere una maggior trasmissibilità rispetto a Ba.2 e, soprattutto, una maggior capacità di evadere la protezione immunitaria, sia da vaccino, sia da pregressa infezione: questo determina una probabilità più elevata di reinfezione, oltre ad una maggiore resistenza di queste varianti agli anticorpi monoclonali", ha sottolineato la Fondazione Gimbe nell'ultimo report.
"Il rischio di reinfezione colpisce in particolare i più giovani (fascia d’età 12-49 anni), le donne rispetto agli uomini, le persone con prima diagnosi di Covid-19 notificata da oltre 210 giorni, le persone non vaccinate o vaccinate con almeno una dose da oltre 120 giorni, gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione", rileva Gimbe.
Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie Ecdc ha riclassificato questi due sottolignaggi della variante Omicron di Sars-CoV-2, BA.4 e BA.5, da varianti di interesse a Voc.
E' quanto comunica l'ente europeo nell'ultimo aggiornamento epidemiologico diffuso oggi, citando il Portogallo come esempio dello scenario che sembra prospettarsi.
BA.4 e BA.5 sono state identificate per la prima volta in Sudafrica, rispettivamente a gennaio e febbraio 2022, e da allora sono diventate le varianti dominanti in quell'area. L'Ecdc evidenzia come entrambi i lignaggi contengano delle mutazioni specifiche nel dominio che lega il recettore della proteina Spike (Rbd) rispetto a Omicron 2 (BA.2). Studi preliminari suggeriscono un cambiamento significativo nelle proprietà antigeniche di BA.4 e BA.5 rispetto a Omicron 1 e 2, soprattutto rispetto a Omicron 1.
Quello che mostra il Portogallo è che c'è una tendenza all'aumento delle proporzioni delle varianti per BA.5 nelle ultime settimane, accompagnata da un aumento del numero di casi Covid e del tasso di positività ai test. L'Istituto nazionale della salute portoghese ha stimato che BA.5 rappresentava già circa il 37% dei casi positivi all'8 maggio 2022. Il vantaggio di crescita giornaliero stimato per BA.5 rispetto a BA.2 è del 13%, in linea con quello riportato dal Sudafrica. Supponendo tale tasso di crescita, evidenzia l'Ecdc, BA.5 diventerà la variante dominante in Portogallo entro il 22 maggio 2022.
Il rischio di reinfezione con una forma severa o letale di Covid-19 resta estremamente basso, anche a distanza di 12 mesi dalla prima infezione. È quanto rivela un nuovo studio -il primo al mondo con questa scala temporale- pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health e coordinato da Lamberto Manzoli, professore al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell'Università di Bologna.
L'indagine ha seguito i casi di oltre 100.000 pazienti di una regione italiana, l'Abruzzo, che hanno contratto il Covid-19 dall'inizio della pandemia fino allo scorso febbraio, indagando il tasso di reinfezione e di malattia secondaria ad oltre un anno di distanza dalla prima guarigione. "Esiste già un'ampia letteratura internazionale che mostra un rischio molto basso di malattia grave per i guariti, ma fino ad oggi nessuno aveva seguito i pazienti per oltre dodici mesi", afferma Manzoli.
"È stato quindi importante constatare che, come per gli altri coronavirus, anche per il Sars-CoV-2 l'immunità naturale conferisce una protezione buona e duratura, perlomeno fino a diciotto mesi". Dai dati raccolti è infatti emerso che meno dell'1% dei guariti ha avuto una seconda infezione. Ma soprattutto, meno di uno su 10.000 ha avuto una forma grave di Covid-19 dopo la guarigione. Nel dettaglio, su 119.266 pazienti si sono registrate 729 reinfezioni, con otto casi di ospedalizzazione e due decessi. Altro dato: i casi di reinfezione sono rimasti sostanzialmente costanti nel tempo, anche a distanza di 18-22 dalla guarigione: elemento che, spiegano i ricercatori, suggerisce come la protezione che deriva dall'immunità naturale resista di norma anche più di 12 mesi.
Nonostante l'arrivo della variante Omicron, estremamente contagiosa, abbia fatto però aumentare il rischio di contrarre la malattia anche per chi è già guarito, secondo lo studio dell'Alma mater i casi di malattia grave o decesso restano vicini allo zero. E lo studio ha evidenziato che il vaccino continua a fornire uno scudo di protezione significativo: per i vaccinati il rischio di reinfezione è infatti di circa il 70% inferiore rispetto ai non vaccinati, viene sottolineato dall'Università di Bologna.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health con il titolo "Risk of SARS-CoV-2 Reinfection 18 Months After Primary Infection: Population-Level Observational Study". L'indagine è stata coordinata da Lamberto Manzoli dell'Università di Bologna; hanno partecipato inoltre Cecilia Acuti Martellucci e Maria Elena Flacco dell'Università di Ferrara, insieme a Graziella Soldato, Giuseppe Di Martino, Roberto Carota e Antonio Caponetti della ASL di Pescara.
Niente più obbligo di mascherina in aereo da lunedì 16 maggio, secondo quanto prevede un aggiornamento delle misure di sicurezza per i viaggi, pubblicato dall'Agenzia dell'Unione europea per la sicurezza aerea (Easa) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).
Il dispositivo di protezione non sarà più obbligatorio nemmeno negli aeroporti, spiegano Easa ed Ecdc, precisando tuttavia che "la mascherina resta una delle difese migliori contro la trasmissione di Covid-19", e che usarla è fortemente raccomandato per chi tossisce o starnutisce, nonché per tutte le persone fragili.
La revisione del protocollo congiunto Easa-Ecdc tiene conto degli ultimi sviluppi della pandemia, in particolare dei livelli di vaccinazione anti-Covid e dell'immunità acquisita naturalmente, e della conseguente revoca delle restrizioni in un numero crescente di Paesi europei. Oltre alle nuove disposizioni relative alle mascherine, è previsto anche un allentamento delle misure più rigorose relative alle operazioni aeree.
Anche dopo il 16 maggio, comunque, le regole sulla mascherina dipenderanno per alcuni aspetti dalla compagnia aerea con la quale si viaggia. In particolare, "i voli da o verso una destinazione in cui è ancora richiesto l'uso della mascherina sui mezzi di trasporto pubblico - puntualizzano Easa ed Ecdc in una nota - dovrebbero continuare a incoraggiare l'impiego del dispositivo, secondo le raccomandazioni". Quanto ai passeggeri vulnerabili, "dovrebbero continuare a indossare una mascherina indipendentemente dalle regole, idealmente di tipo Ffp2/N95/Kn95, che offre un livello di protezione superiore rispetto a una mascherina chirurgica standard".
"I passeggeri - evidenziano ancora Easa ed Ecdc - sono incoraggiati a osservare le misure di distanziamento nelle aree interne, anche in aeroporto, ove possibile". A riguardo, però, agli operatori aeroportuali viene suggerito "un approccio pragmatico: ad esempio, dovrebbero evitare di imporre regole di distanziamento, se queste molto probabilmente produrranno un 'collo di bottiglia' in un'altra zona" ossia in uno degli step successivi del movimento dei passeggeri, "soprattutto se requisiti" di distanza "non sono richiesti a livello nazionale o regionale in altri contesti simili".
Sebbene molti Stati non richiedano più ai passeggeri il Modulo per la localizzazione in formato digitale (il dPlf, Digital Passenger Locator Form), "le compagnie aeree dovrebbero mantenere i loro sistemi di raccolta dati in standby - prescrive l'aggiornamento Easa-Ecdc - in modo da poter mettere queste informazioni a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche, se necessario, ad esempio nel caso" emerga per Sars-CoV-2 "una nuova variante preoccupante (Voc) identificata come potenzialmente più pericoloso. Nuove Voc, infatti, vengono spesso individuate - si ricorda - con vari livelli di capacità di fuga immunitaria e di gravità dei sintomi".
"Il personale aeroportuale, i membri dell'equipaggio e i passeggeri - concludono Easa ed Ecdc - devono essere vigili e seguire le raccomandazioni e i requisiti delle autorità nazionali dello Stato o della regione in cui si trovano".