- Obbligo di test per il personale sanitario e sociosanitario non vaccinato e certificato Covid per i visitatori delle strutture sociosanitarie in Ticino
Il personale a contatto stretto con pazienti, residenti o utenti vulnerabili sarà tenuto a esibire un certificato Covid oppure a partecipare a un programma di test mirati e ripetuti organizzati in azienda, in modo da disporre di un test con esito negativo non più vecchio di quattro giorni.
Inoltre i visitatori che vorranno accedere alle strutture sanitarie e socio-sanitarie dovranno esibire un certificato Covid. È quanto ha deciso il Consiglio di Stato su proposta del Dipartimento della sanità e della socialità nel corso della sua seduta odierna.
Alla luce dell’evoluzione epidemiologica delle ultime settimane e con la volontà di proteggere ulteriormente le persone particolarmente vulnerabili da infezioni da Coronavirus, il Consiglio di Stato ha deciso nella sua seduta settimanale di rendere obbligatorio il test per il personale sociosanitario non in possesso del certificato Covid, ovvero in particolare non vaccinato, e il certificato Covid per i visitatori delle strutture. L’obbligo per questi ultimi entra in vigore dal 15 settembre, mentre alle strutture e ai servizi è dato tempo fino al 1° di ottobre per organizzare test mirati e ripetuti per il proprio personale, che dovrà disporre di un test con esito negativo risalente al massimo a quattro giorni.
La decisione governativa odierna infatti incarica le strutture sanitarie (ospedali e cliniche) e socio-sanitarie (case per anziani e istituti per invalidi), così come altri servizi del settore (centri diurni per anziani terapeutici e socio-assistenziali, centri diurni per invalidi, strutture residenziali per tossicodipendenti e servizi di assistenza e cura a domicilio), di promuovere test mirati e ripetuti per i propri dipendenti privi di certificato Covid ai sensi dell’Ordinanza 3 Covid-19.
Queste strutture possono decidere di prevedere anche una frequenza maggiore di test e sono responsabili del controllo dei certificati. Al contempo, sono invitate a continuare a promuovere la medicina basata sull’evidenza, anche in ambito vaccinale, incoraggiando la vaccinazione dei propri collaboratori.
Questa decisione recepisce quanto raccomandato dall’Ufficio federale della sanità pubblica e segue l’esempio di alcuni altri Cantoni. Il Governo è persuaso che questi provvedimenti rappresentino un ulteriore importante tassello nella strategia di contenimento della diffusione del Coronavirus in Ticino.
Informazioni:
- Terapia intensiva, 90% non è vaccinato contro il Covid
"Oltre il 90% di chi è oggi in terapia intensiva negli ospedali italiani è non vaccinato, sono per la maggior parte persone con un'età medio-alta ma si vede anche qualche giovane". A dirlo all'Adnkronos Salute è Flavia Petrini, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti).
"Entrare in rianimazione Covid vuol dire avere una prognosi a rischio decesso o invalidità grave - avverte la presidente -. Sopravvivere con una tracheotomia o con danni funzionali respiratori è molto dura. Quindi non capisco davvero come, a fronte di effetti avversi rarissimi delle vaccinazioni, ancora ci siano persone che non vogliono vaccinarsi e rischiare anche di morire".
"Si parla spesso di terapia intensiva - prosegue Petrini - ma anche chi è in semi-intensiva ha una sintomatologia medio-grave con strascichi come una fibrosi polmonare, e se questi pazienti hanno un'età avanzata rischiano una compromissione di vari organi e apparati. Per questo è ancora più importante che le persone ancora non immunizzate si convincano e facciano il vaccino".
"In questo momento viaggiamo con numeri in leggero incremento, ma non c'è lo stress dei mesi più difficili e questo è un successo dei vaccini", ha detto ancora Petrini facendo il punto sulla situazione delle terapie intensive in Italia. "Noi siamo degli accaniti sostenitori della vaccinazione a tappeto quindi non mi stupirei se si andasse verso questa direzione e abbiamo apprezzato, in questo senso, le parole di Speranza e Draghi", prosegue Petrini.
"I vaccini in passato hanno debellato tante malattie e non vedo perché oggi non possano essere usati per uscire da questa pandemia", suggerisce la presidente della Siaarti.
Informazioni:
- Vaccino anti Covid, terza dose da settembre in Italia
"La terza dose" di vaccino anti-Covid "in Italia ci sarà. Noi partiremo sicuramente già nel mese di settembre per le persone che hanno fragilità di natura immunitaria, penso ad alcune categorie di pazienti oncologici, ai trapiantati e a coloro che hanno avuto una risposta immunitaria fragile rispetto alla somministrazione delle prime due dosi".
Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, nella conferenza stampa conclusiva del G20 Salute, a Roma, ricordando che "su questo punto si sono espressi molto chiaramente sia l'Ema", l'Agenzia europea del farmaco, "che l'Ecdc", il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.
Dunque "già nel mese di settembre partiranno queste prime terze dosi", ha ribadito il ministro. "Poi - ha aggiunto - continueremo ad analizzare tutti i dati, e con tutta probabilità la campagna della terza dose continuerà e naturalmente continuando a tenere come bussola la questione della fragilità: quindi da un lato le persone più anziane, ultra80enni, dall'altro ad esempio chi vive nelle Rsa, dove si è pagato un prezzo altissimo, e la stessa cosa può valere per il personale sanitario: sono le prime categorie che hanno ricevuto il vaccino e con tutta probabilità da quelle si partirà. I nostri organismi, l'Aifa, il Cts, si esprimeranno", ha riferito il ministro, "ma penso che già nel mese di settembre si partirà".
Alla domanda se non ci sia una contraddizione tra l'obiettivo di aiutare prima i Paesi che non sono stati vaccinati e il fatto che i Paesi più ricchi già partano con la terza dose, il ministro ha sottolineato come "le due cose si devono tenere insieme. Non possiamo disperdere il livello di protezione che abbiamo raggiunto nei Paesi dove la campagna è già avanti; sarebbe un errore perché significherebbe tornare indietro, ma contemporaneamente però" bisogna "fare una grande operazione in tutti gli altri Paesi del mondo. Le cose non devono essere una alternativa all'altra".
Rispondendo a un'altra domanda relativa all'Italia, Speranza ha poi evidenziato che, "se abbiamo passato il mese di agosto con restrizioni limitate, se abbiamo avuto una vita molto diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto in passato, quando le restrizioni erano molto più forti, questo è avvenuto grazie soprattutto ai vaccini. Questa è la verità". Per questo "il mio messaggio continua ad essere molto netto alle persone che non hanno ancora avuto il vaccino, a chi lo ha avuto e sarà chiamato a fare una terza dose: il vaccino è la chiave per aprire la porta di una stagione veramente diversa. Quindi bisogna continuare a vaccinarsi, vaccinarsi, vaccinarsi", ha concluso il ministro.
Informazioni:
- Pronazione dei pazienti migliora i casi gravi di Covid. Protocollo Universita' di Bristol
Sul Journal of Frailty and Aging è stato pubblicato un nuovo protocollo per il posizionamento prono, una tecnica comunemente usata per trattare i pazienti affetti da COVID-19 in difficoltà respiratoria, accendendoli in avanti per aumentare il flusso di ossigeno ai polmoni.
I ricercatori dell'Università di Bristol in collaborazione con i medici del Royal United Hospital di Bath, hanno condotto una revisione della letteratura sulla manovra per sviluppare un protocollo standard per il trattamento adiuvante, che può essere utilizzato per i pazienti COVID-19 ad alto rischio di morire in trattamento nei normali reparti ospedalieri.
Usato per alleviare l'ipossia (basso livello di ossigeno nel sangue) dagli anni '70, il proning è associato al miglioramento degli esiti in coloro che soffrono di distress respiratorio ed è comunemente usato durante l'anestesia e nei pazienti intubati e ventilati. Tuttavia, nonostante il suo utilizzo da diversi decenni, i medici hanno una guida limitata sull'uso ottimale della manovra e sul monitoraggio necessario.
Un team multidisciplinare con esperienza nella cura degli anziani con infezione acuta da COVID-19 e con sede nel gruppo di ricerca sull'invecchiamento e il movimento nelle Scienze della salute della popolazione di Bristol ha cercato di progettare un mezzo con cui il posizionamento alternativo delle persone con gravi infezioni polmonari potrebbe migliorare i loro livelli di ossigeno. Hanno esaminato cinque studi che fornivano dettagli sulla tecnica che prevedeva l'assistenza ai pazienti sdraiati sul davanti. Questa procedura è ampiamente utilizzata negli ambienti di terapia intensiva, ma i livelli di esperienza, familiarità e personale spesso ne precludono l'uso nei normali ambienti del reparto NHS.
Due dei cinque studi hanno testato il protocollo in pazienti con ventilazione non invasiva e tre hanno descritto un protocollo ma non lo hanno testato sui pazienti. Utilizzando i dati di questi cinque articoli e delle linee guida cliniche pertinenti, lo studio ha dimostrato che, oltre ad essere conveniente, quando i pazienti sono in posizione prona, la loro ossigenazione migliora notevolmente. Sebbene gli studi non abbiano fornito prove conclusive per suggerire un consenso sulla durata ottimale nella popolazione COVID-19, gli studi, che hanno confrontato la durata, mostrano una tendenza verso periodi più lunghi di maggiore beneficio.
"Lavorando in prima linea durante la pandemia, ho purtroppo visto morire un gran numero di anziani in particolare, a seguito di una grave infezione da Covid-19- afferma la dottoressa Emily Henderson, Consulente Onorario Geriatra presso il Royal United Hospital Bath e Senior Lecturer presso l'Università di Bristol e autore senior dello studio -Il posizionamento prono viene spesso utilizzato negli ambienti di terapia intensiva ed è stata una strategia di successo che abbiamo sperimentato durante la pandemia. Siamo rimasti colpiti dalla poca ricerca che ci fosse per guidare chi potesse trarre beneficio da questo e come potesse essere adottato nella pratica in modo sicuro. Siamo lieti di aver sviluppato un protocollo per questo potenziale trattamento adiuvante. Non vediamo l'ora di esplorare se questo, oltre ai trattamenti farmacologici che vengono sviluppati e testati in ampi studi, possa migliorare la sopravvivenza e i risultati.
"Il posizionamento prono per le persone con Covid-19 è un'opzione promettente, ma c'è molto da considerare prima e durante la procedura conclude Danielle Brazier, fisioterapista accademica presso l'Università di Bristol- Abbiamo progettato un protocollo semplice per guidare i medici che si prendono cura delle persone con infezione da Covid-19. È stato fantastico lavorare con un team multidisciplinare di accademici e clinici per sviluppare questa guida”.
Antonio Caperna
Informazioni:
Prone Positioning of Older Adults with COVID-19: A Brief Review and Proposed Protocol by D. Brazier, N. Perneta, F.E. Lithander, E.J. Henderson in the Journal of Frailty and Aging.
Prone Positioning of Older Adults with COVID-19: A Brief Review and Proposed Protocol by D. Brazier, N. Perneta, F.E. Lithander, E.J. Henderson in the Journal of Frailty and Aging.
- Ricerca Covid, cellule dendritiche plasmacitoidi e interferone frenano la progressione della malattia
L'interferone svolge un ruolo chiave nel prevenire la progressione della malattia da coronavirus. Lo suggerisce uno studio coordinato dall'Istituto Superiore di Sanità, pubblicato su 'Plos Pathogens'.
Un team di ricercatori (Università San Raffaele di Milano, Policlinico di Tor Vergata, Università di Padova, Metabolic Fitness Association), guidati dall’Iss, hanno messo sotto la lente, infatti, i meccanismi delle risposte immunitarie innate nella patogenesi della Covid-19.
Più nel dettaglio, la ricerca ha evidenziato che la risposta immunitaria innata stimolata dall’interferone di tipo I, rilasciato a sua volta dalle cellule dendritiche plasmacitoidi nella fase iniziale dell'infezione da Sars-Cov-2, svolge un ruolo determinante nel prevenire la progressione della malattia da Covid-19. "Abbiamo studiato l'interazione precoce tra Sars-Cov-2 e le cellule del sistema immunitario in un modello sperimentale in vitro basato sulle cellule del sangue periferico umano – spiega Eliana Coccia dell’Iss a capo dell’indagine - e abbiamo visto che anche in assenza di una replicazione virale produttiva, il virus promuove un importante rilascio di interferone di tipo I e III e di citochine e chemochine infiammatorie (ovvero molecole che agiscono come mediatori dell’immunità naturale e della risposta infiammatoria), note per contribuire alla tempesta di citochine, osservata nella Covid-19".
"È stato interessante - continua la studiosa - osservare che l’interferone di tipo I, rilasciato dalle cellule dendritiche plasmacitoidi, è in grado di stimolare la risposta antivirale nelle cellule epiteliali polmonari infette”. A partire da queste evidenze in vitro, i ricercatori hanno caratterizzato il fenotipo delle cellule dendritiche plasmacitoidi e l'equilibrio tra citochine antivirali e citochine pro-infiammatorie dei pazienti Covid-19 in base alla gravità della malattia. Hanno quindi osservato che l’espressione del marcatore PD-L1 sulla superficie delle cellule dendritiche plasmacitoidi , così come la loro frequenza nel sangue periferico, presenta delle differenze se il paziente è asintomatico o se manifesta una sintomatologia grave.
"I soggetti asintomatici – aggiunge Nicola Clementi dell’Università Vita-Salute San Raffaele - hanno in circolo cellule dendritiche plasmacitoidi, che rilasciano gli interferoni di tipo I e questo dato si combina perfettamente con livelli sierici molto elevati di questi fattori e con l'induzione di geni anti-virali stimolati dallo stesso interferone. Al contrario, i pazienti ospedalizzati con Covid-19 grave mostrano una frequenza molto bassa di cellule dendritiche plasmacitoidi circolanti con un fenotipo infiammatorio e alti livelli di chemochine e citochine pro-infiammatorie nel siero".
"Il nostro studio – concludono gli autori - conferma il ruolo cruciale e protettivo nella malattia da Covid-19 dell'asse cellule dendritiche plasmacitoidi/ interferone di tipo I, la cui maggiore comprensione può contribuire allo sviluppo di nuove strategie farmacologiche e/o di terapie volte a potenziare la risposta delle cellule dendritiche plasmacitoidi fin dalle prime fasi dell'infezione da Sars-Cov-2".
Informazioni:
- Terapia niclosamide, farmaco anti tenia contro il Covid
La niclosamide è stata ampiamente utilizzata in passato per il trattamento dell'infezione da tenia negli adulti e nei bambini. Il profilo di sicurezza di questo farmaco è stato testato nel tempo ed è stato trovato sicuro per il consumo umano a diversi livelli di dose.
Presso il King's College di Londra sono stati sottoposti a screening 3.800 farmaci fino a oggi, di cui i primi 45 testati direttamente sul virus in collaborazione con l'Imperial College. Questo insieme di test consente al professor Mauro Giacca, docente di cardiologia al King's College e al suo team di comprendere in modo più approfondito il comportamento del virus, ad esempio la massiccia formazione di cellule anomale, osservata nei polmoni dei pazienti infetti.
Questi possono essere attribuiti alla proteina Spike (S), che il virus usa per fondere la propria membrana con quella della sua cellula bersaglio. Il processo di fusione di diverse cellule viene poi imitato in laboratorio per valutare l'efficacia dei farmaci. L'elenco dei 45 farmaci emersi dallo screening ha dimostrato di bloccare tale attività di fusione cellulare.
La fase finale di questo lavoro di ricerca è stata quella di elencare ulteriormente questi farmaci, rivelandone tre, tra cui la niclosamide, che hanno la massima efficacia nella protezione contro l'infezione virale. Sono già iniziate discussioni con gli organi di governo del Regno Unito per riutilizzare i farmaci di maggior successo per la cura dei pazienti COVID-19.
In India la CSIR e la Laxai Life Sciences Private Limited hanno avviato studi clinici di fase II sul farmaco anti-elminitico, per il trattamento dei pazienti COVID-19. La niclosamide è stata identificata come un promettente farmaco riproposto da un gruppo di ricerca del King's College di Londra, che ha collaborato a questo progetto.
Indipendentemente, una ricerca collaborativa tra CSIR-Indian Institute of Integrative Medicine (IIIM), Jammu e il National Center for Biological Sciences aveva recentemente dimostrato che la niclosamide poteva essere un potenziale inibitore dell'ingresso di SARS-CoV2, bloccando l'ingresso virale attraverso la via endocitica dipendente dal pH.
- Niclosamide, potential to target the COVID-19 coronavirus
To date, 3,800 drugs have been screened, with the top 45 having been tested directly on the virus in collaboration with Imperial College. This scale of testing allows Mauro Giacca, progessor of cardiovascular science (King's College of London) and his team to understand the behaviour of the virus in more depth, for example, the massive formation of abnormal cells observed in the lungs of infected patients.
These can be attributed to the Spike (S) protein, which the virus uses to fuse its own membrane with that of its target cell. The process of fusion of different cells is then mimicked in the laboratory to assess the effectiveness of the drugs. The list of 45 drugs that emerged from the screening have been seen to block such cell fusion activity.
The final phase of this research work has been to further shortlist these drugs, revealing three that have maximum effectiveness in protection against viral infection. Discussions have already started with the governing bodies in the UK to repurpose the most successful of these drugs for the cure of COVID-19 patients.
- Ricerca covid, con 2 dosi di vaccino meno ricoveri e casi sintomatici
Dopo due dosi di vaccino anti-Covid il rischio di essere ricoverati in ospedale per un'infezione da coronavirus si riduce di oltre due terzi, e sono quasi doppie le probabilità che un eventuale nuovo contagio risulti completamente asintomatico.
Non solo: in chi ha completato il ciclo vaccinale è più che dimezzato il rischio di long Covid, forme di malattia con sintomi, che persistono per almeno 28 giorni dopo la positività al tampone. E' quanto emerge da uno studio su larga scala pubblicato su 'The Lancet Infectious Diseases', con autore principale Claire Steves del King's College di Londra.
I ricercatori hanno utilizzato dati provenienti dal Covid Symptom Study del Regno Unito, informazioni auto-riferite attraverso l'App Zoe dall'8 dicembre 2020 al 4 luglio 2021. Gli autori calcolano che, su oltre 1,2 milioni di adulti che hanno ricevuto almeno una dose dei vaccini di Pfizer/BioNTech, Oxford-AstraZeneca o Moderna, meno dello 0,5% ha riportato una cosidetta infezione breakthrough più di 14 giorni dopo la prima dose (6.030 casi positivi dopo 1.240.09 prime dosi di vaccino). E tra gli adulti che hanno ricevuto due dosi, meno dello 0,2% ha avuto una reinfezione più di 7 giorni dopo la seconda (2.370 positivi dopo 971.504 seconde dosi di vaccino).
Fra i ricontagiati - calcolano gli studiosi - le probabilità che la nuova infezione fosse asintomatica erano del 63% maggiori dopo la prima dose di vaccino e del 94% superiori dopo la seconda. Il rischio di ospedalizzazione era ridotto di circa il 70% dopo una o due dosi, mentre il pericolo di contrarre una malattia grave (5 o più sintomi nella prima settimana) appariva circa un terzo inferiore. Dopo due dosi di vaccino, le probabilità di long Covid sono diminuite del 50%.
Nelle persone che dopo una o due dosi di vaccino hanno manifestato sintomi Covid come affaticamento, tosse, febbre e perdita del gusto e dell'olfatto, quasi tutti i disturbi sono stati riportati meno frequentemente rispetto alle persone non vaccinate.
Lo studio indica inoltre che a rischiare di più una reinfezione da coronavirus pandemico post-vaccino sono gli over 60 fragili, con malattie preesistenti (obesità, cardiopatie, patologie renali o polmonari) o residenti in aree svantaggiate come contesti urbani densamente popolati, specie dopo una sola iniezione. In particolare, negli ultra 60enni più vulnerabili, rispetto ai sani, le probabilità di un'infezione breakthrough dopo una dose di vaccino risultavano quasi raddoppiate.
"Siamo a un punto critico della pandemia, poiché vediamo casi in aumento in tutto il mondo a causa della variante Delta" di Sars-CoV-2, commenta Steves. "Infezioni breakthrough sono attese, ma questo - precisa la scienziata - non cancella il fatto che questi vaccini stanno facendo esattamente ciò per cui sono stati progettati: salvare vite umane e prevenire malattie gravi. Altre ricerche hanno mostrato un tasso di mortalità fino al 27% per i pazienti Covid-19 ricoverati. Possiamo ridurre notevolmente questo dato tenendo le persone fuori dall'ospedale, in primo luogo attraverso la vaccinazione. I nostri risultati - conclude l'autrice - evidenziano il ruolo cruciale che i vaccini svolgono nell'ambito di sforzi più ampi volti a prevenire le infezioni, che dovrebbero comunque includere altre misure di protezione personale come l'uso di mascherine, test frequenti e distanziamento".
Informazioni:
- SANITA' SARDEGNA. COVID E CARENZA PERSONALE, DRAMMA PRONTO SOCCORSO
In Sardegna medici, infermieri e operatori sanitari dei pronto soccorso sono sfiniti. Da un anno e mezzo lavorano senza sosta per curare e salvare il maggior numero di pazienti colpiti dal Covid e affetti da altre patologie, ma i medici non sono sufficienti per lavorare in continua emergenza, e mancano infermieri e Operatori socio sanitari.
È quanto emerso nel corso della seduta della commissione Salute del Consiglio regionale, presieduta dal vice presidente Daniele Cocco, che ha sentito ieri in audizione i direttori dei pronto soccorso di Cagliari e Sassari, il commissario straordinario Arnas, Paolo Cannas, la commissaria dell'Aou di Cagliari, Agnese Foddis, il commissario straordinario dell'Aou di Sassari, Antonio Lorenzo Spano.
Per il pronto soccorso dell'Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari è intervenuta la direttrice Rosanna Laconi: "La situazione è molto difficile anche perché siamo sotto pressione da molto tempo- le parole del medico-. Abbiamo avuto un mese di agosto molto duro, perché i numeri sono saliti enormemente e la capacità e la possibilità di ricoverare questi pazienti nelle strutture covid era veramente molto scarsa". La direttrice del pronto soccorso ha evidenziato che nel reparto ci sono pazienti covid in attesa di ricovero e che ad agosto c'è stata una degenza media di 3,5 giorni. "Stiamo rincorrendo il virus- ha detto- non riusciamo a garantire una risposta efficace ai pazienti che arrivano al pronto soccorso. È chiaro che questa situazione sta compromettendo l'assistenza per tutti gli altri pazienti, perché noi e il Brotzu siamo gli unici due pronto soccorso nell'area metropolitana".
Per la commissaria straordinaria dell'Aou di Cagliari, Foddis, "la situazione del personale è delicata, in quanto è sufficiente che qualcuno si assenti per qualunque motivo per mandare in crisi la struttura". Dal punto di vista logistico non ci sono problemi, ha sottolineato, "ma i numeri sono talmente alti che ci sono comunque i pazienti che attendono anche sette ore in ambulanza".
Una richiesta di maggiore filtro da parte dell'Usca è arrivata dal direttore del pronto soccorso del Brotzu, Fabrizio Polo: "Al Brotzu ci sono quattro pazienti Covid con una degenza media intorno alle 48 ore. Questa situazione ha comportato che quello che era un reparto di appoggio del pronto soccorso con 12 posti letto, sia stato trasformato in una semi intensiva Covid con pazienti, prevalentemente, in ventilazione assistita".
Polo ha sottolineato anche che, essendo il Brotzu un hub per moltissime patologie iperspecialistiche, come la neurochirurgia, la cardiochirurgia, il trauma cranico, "arrivano tanti codici rossi, circa sei al giorno, contro una media nazionale tra i 2,7 e i 2,9. L'impegno assistenziale per questa tipologia di pazienti è enorme: sono fiero di tutto il personale che ho, ma faccio presente che anche l'esercito migliore del mondo dopo un anno e mezzo di assedio crolla. Non saremo in grado di reggere un ottobre e novembre come quello del 2020". Polo ha ricordato il grande lavoro fatto da tutto il personale, ma ha parlato di "un massacro psicologico che dura da 18 mesi" per scegliere chi intubare, per valutare chi mettere in ventilazione assistita, ma anche il lavoro svolto con l'ansia che in una delle tante ambulanze in fila ci sia un paziente che rischia la vita se non trattato in tempo. Insomma per Polo la situazione non è più sostenibile, anche se ha rilevato che nelle ultime 24 ore "i numeri sono più accettabili, intorno ai 113 accessi".
Situazione più tranquilla all'Aou di Sassari. Il direttore del pronto soccorso, Mario Oppes, ha parlato di un numero di accessi complessivi pari a quelli degli anni precedenti al Covid, per la prima volta dall'inizio della pandemia, pari a circa 4.200 accessi nel mese di agosto. "Rispetto al sud Sardegna questa quarta ondata- ha detto- ci ha visto meno colpiti, nonostante abbiamo ricoverato 82 pazienti Covid e altrettanti li abbiamo dimessi a domicilio".
Il grosso problema per Oppes è che non è diminuito il numero degli accessi complessivi, mentre le precauzioni da adottare e i percorsi da seguire hanno notevolmente aumentato la permanenza e allungamento dei tempi del pronto soccorso. Per quanto riguarda il personale medico ha affermato di avere il numero giusto per una situazione di normalità, ma non sufficienti in un periodo come questo: "Tutto il personale non ce la fa più a reggere, sono molto preoccupato".
Informazioni:
- Covid, Pfizer sperimenta antivirale orale
Un antivirale a somministrazione orale contro il Covid per adulti sintomatici non ricoverati e che non rischiano una progressione verso forme gravi di malattia. Pfizer annuncia l'avvio di uno studio clinico di fase 2-3 che valuterà la sicurezza e l'efficacia di un farmaco antivirale sperimentale (PF-07321332) progettato per contrastare il virus. Una terapia che potrebbe quindi essere somministrata ai primi segni di infezione.
Lo studio, randomizzato in doppio cieco - informa il gruppo americano in una nota - arruolerà circa 1.140 partecipanti che riceveranno o PF-07321332 più ritonavir o placebo ogni 12 ore per 5 giorni. Gli inibitori della proteasi come PF-07321332 - ricorda Pfizer - sono disegnati per bloccare l'attività dell'enzima principale di cui il coronavirus necessita per replicarsi. L'idea è che la co-somministrazione con una bassa dose di ritonavir, un altro inibitore della proteasi, contribuisca a rallentare il metabolismo di PF-07321332 permettendogli di restare nell'organismo più a lungo a concentrazioni più elevate, continuando così ad agire per combattere Sars-CoV-2.
Il primo studio registrativo di fase 2-3 su PF07321332/ritonavir è partito a luglio su adulti sintomatici non ospedalizzati con diagnosi di Covid-19 ad aumentato rischio di progredire verso forme gravi. Il nuovo trial punta invece a testare l'approccio anche in pazienti sintomatici che non corrono questo rischio. In caso di successo del trial, evidenzia Pfizer, PF-07321332/ritonavir potrebbe rispondere a "una significativa esigenza medica non soddisfatta: fornire ai pazienti una nuova terapia orale, che potrebbe essere prescritta al primo segno di infezione, senza che si renda necessario il ricovero".
Informazioni:
- COVID, PROGETTO SCUOLE SENTINELLA PER TEST SALIVARI PERIODICI
Sono state ribattezzate 'scuole sentinella', ossia istituti in cui effettuare a cadenza regolare test salivari sugli alunni in modo da monitorare la circolazione del SARS-CoV-2 nell'ambito territoriale e adeguare le misure di sanità pubblica al variare dello scenario epidemiologico.
Il progetto, elaborato dall'Istituto superiore di sanità (Iss), coinvolgerà scuole primarie e secondarie di primo grado (elementari e medie) con l'obiettivo di ridurre al minimo il rischio della didattica a distanza, intercettando precocemente eventuali incrementi di casi positivi o l'insorgenza di focolai.
"Lo scopo delle 'scuole sentinella' è quello di capire come si muove il virus in una data porzione di territorio ed eventualmente mettere in campo meccanismi di controllo, mitigazione e tutela", spiega all'Agenzia Dire Fabio Ciciliano, dirigente medico della polizia di Stato, esperto di Medicina delle catastrofi e membro del Comitato tecnico scientifico (Cts). "In quest'ottica la scelta degli istituti sarà molto importante- continua l'esperto- perché devono essere rappresentativi della composizione socio-demografica del territorio. Non è indicato, ad esempio, individuare scuole posizionate in luoghi sperduti o isolati. Lo scopo del test salivare, infatti, non è quello di individuare quanti positivi o negativi ci siano in quella determinata scuola ma, al contrario, trarre dei dati indiretti con cui operare uno screening che consenta di fotografare l'andamento del virus nel contesto geografico e sociale", evidenzia Ciciliano. "E' un meccanismo che ha una valenza importante sull'intera comunità perché i bambini non sono avulsi dal contesto in cui vivono", rimarca il membro del Cts.
L'idea dell'Iss è che la raccolta dei campioni salivari possa essere effettuata direttamente a casa, dalle famiglie, e poi le provette analizzate in laboratori di riferimento. Perché limitarsi a fare i test nelle scuole elementari e medie escludendo nidi e materne? "Innanzitutto non sono scuola dell'obbligo- spiega Ciciliano- Poi, effettuare questi test salivari sui bambini piccoli è più complicato, dunque il risultato potrebbe essere influenzato dal modo in cui il test viene eseguito e si rischierebbe di avere un bias che non consentirebbe di trarre alcun tipo di conclusione accettabile dal punto di vista statistico". I test salivari "sono più semplici da eseguire rispetto ai tamponi rinofaringei, ma sono anche molto meno sensibili- precisa il medico- il che significa che hanno una minore capacità di rilevare la positività certa della presenza del virus. Hanno, però, una buona specificità, ossia bassa probabilità di rilevare falsi positivi. Per questo- precisa- non sono utili a fini diagnostici, quindi non possono sostituire i tamponi, ma possono essere utilizzati per finalità di screening. Inoltre il modo di usarli rende questi test molto 'operatore-dipendente' e dunque farli eseguire su bambini piccoli da chi non è avvezzo a farlo potrebbe alterare il risultato".
Discorso diverso per le scuole superiori, anche queste escluse dal progetto 'sentinella'. "In questo caso il 'problema' è l'elevata socialità dei ragazzi che li espone a un rischio di contagio diverso rispetto a quello che possono avere gli studenti delle elementari o delle medie- sottolinea Ciciliano- dunque fare i test su di loro costituirebbe un ulteriore elemento di distorsione del risultato". Da qui "l'importanza della scelta delle scuole sentinella che deve essere fatta in un contesto di analisi in ambito locale- ribadisce l'esperto- perché se, per esempio, dai test effettuati in una scuola elementare viene fuori una bassa percentuale di positività si può pensare con buona approssimazione che in quel contesto territoriale la circolazione del virus sia bassa. Al contrario- dice- se si incrementano i positivi nella scuola sentinella allora dovrò allargare le indagini anche alle scuole vicine che non sono sentinella". Un meccanismo che secondo Ciciliano "può aiutare a mantenere le scuole aperte consentendo la didattica in presenza". L'Iss sta lavorando all'elaborazione del piano e "si dovrà essere pronti per l'inizio dell'anno scolastico- auspica l'esperto- perché è proprio in questo momento, con la fine delle vacanze e il ritorno alla vita normale, che c'è maggior esigenza di analizzare l'andamento del virus", conclude.
Informazioni:
- Covid e' piu' trasmissibile 2 giorni prima e 3 giorni dopo la comparsa dei sintomi
C'è poca chiarezza tra gli esperti su quando esattamente e in che misura gli individui infetti hanno maggiori probabilità di diffondere il virus.
Ora, un nuovo studio co-guidato da un ricercatore della Boston University School of Public Health (BUSPH) ha scoperto che le persone infette dal virus sono più contagiose due giorni prima e tre giorni dopo, sviluppano i sintomi.
Pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine , lo studio ha anche scoperto che gli individui infetti avevano maggiori probabilità di essere asintomatici, se avevano contratto il virus da un caso primario (la prima persona infetta in un focolaio) che era anche asintomatico.
"Negli studi precedenti, la carica virale è stata utilizzata come misura indiretta della trasmissione- afferma il dott. Leonardo Martinez, assistente professore di epidemiologia presso BUSPH, e che ha co-diretto lo studio con il dott. Yang Ge, assistente di ricerca presso il Dipartimento di Epidemiologia e biostatistica presso l'Università della Georgia College of Public Health- Volevamo vedere se i risultati di questi studi passati, che mostrano che i casi di COVID sono più trasmissibili pochi giorni prima e dopo l'insorgenza dei sintomi, potessero essere confermati esaminando i casi secondari tra i contatti stretti".
Martinez e colleghi hanno condotto la ricerca dei contatti e studiato la trasmissione di COVID-19 tra circa 9.000 contatti stretti di casi primari nella provincia cinese di Zhejiang da gennaio 2020 ad agosto 2020. I contatti "stretti" includevano i contatti familiari (definiti come individui che vivevano nella stessa famiglia o che hanno cenato insieme), colleghi di lavoro, persone in ambienti ospedalieri e motociclisti in veicoli condivisi. I ricercatori hanno monitorato gli individui infetti per almeno 90 giorni dopo i risultati dei test COVID positivi iniziali per distinguere tra casi asintomatici e presintomatici.
Degli individui identificati come casi primari, l'89% ha sviluppato sintomi lievi o moderati e solo l'11 % era asintomatico e nessuno ha sviluppato sintomi gravi. I membri delle famiglie dei casi primari, così come le persone che sono state esposte a casi primari più volte o per periodi di tempo più lunghi, hanno avuto tassi di infezione più elevati rispetto ad altri contatti stretti. Ma indipendentemente da questi fattori di rischio, i contatti stretti avevano maggiori probabilità di contrarre COVID-19 dall'individuo infetto primario, se fossero stati esposti poco prima o dopo che l'individuo sviluppava sintomi evidenti.
"I nostri risultati suggeriscono che la tempistica dell'esposizione relativa ai sintomi del caso primario è importante per la trasmissione e questa comprensione fornisce ulteriori prove del fatto che i test rapidi e la quarantena, dopo che qualcuno si sente male è un passo fondamentale per controllare l'epidemia", aggiunge Martinez.
Rispetto agli individui sintomatici lievi e moderati, gli individui primari asintomatici avevano molte meno probabilità di trasmettere COVID ai contatti stretti, ma se lo avessero fatto, i contatti avrebbero avuto anche meno probabilità di manifestare sintomi evidenti.
"Questo studio sottolinea ulteriormente la necessità della vaccinazione, che riduce la gravità clinica tra le persone che sviluppano COVID", conclude.
Antonio Caperna
- TERAPIA COVID, USO MONOCLONALI PER APPENA 7.500 PAZIENTI
"Al momento, da quando è stato autorizzato l'uso dei monoclonali sono stati trattati circa 7.500 pazienti. C'è dunque un uso piuttosto regolare nel tempo, non è un uso particolarmente intensivo, il numero dei trattamenti non è particolarmente elevato".
Lo dice Patrizia Popoli, presidente della commissione tecnico-scientifica dell'Agenzia del farmaco di Aifa, ai microfoni di 'Radio anch'io', contenitore di RaiRadio1. Popoli aggiunge che "questo dipende anche dal fatto che, per poter essere somministrati, questi farmaci richiedono che il soggetto o venga ricoverato in ospedale per ricevere il trattamento o venga ricoverato presso una struttura che consenta un monitoraggio degli eventi avversi".
L'esponente di Aifa precisa, inltre, che "non è una cosa che si possa fare in casa e per questo motivo, probabilmente, il numero non è elevatissimo. Oltretutto ci si attende ovviamente che con il proseguire della campagna vaccinale i soggetti che si ammalano siano sempre di meno". Popoli conclude: "In questo periodo ci sono meno soggetti positivi, meno casi di infezione e questa è la prova principale che i vaccini funzionano. Di conseguenza anche i farmaci che vengono utilizzati per il trattamento dei soggetti che hanno contratto l'infezione sono utilizzati di meno".
Informazioni:
- COVID. PSICHIATRA, PER CAMBIO ABITUDINI SELEZIONE DI AMICI E COMPORTAMENTI
La ripresa di settembre 2021 somiglia molto a quella dello scorso anno, a tanti sembra di guardare un film già visto, di vivere un eterno ritorno del presente. Secondo Claudio Mencacci, psichiatra e presidente della Societa' italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf), a vivere questa condizione sono però coloro che si erano illusi che l'autunno e la campagna vaccinale in pieno corso avrebbero portato un definitivo ritorno alla normalità pre-pandemia.
A riprova, "dopo 18 mesi in cui sono state incamerate paura e incertezza, si incomnciano già a vedere, per chi non si era illuso, i segni attenuati della quarta ondata che- tiene a sottolineare lo psichiatra- nessuno poteva pensare non ci fosse. Comunque- aggiunge- tutto lascia pensare che avrà un impatto molto inferiore rispetto alle tre ondate precedenti. Però, questo non vuol dire che le cose tornino ad essere quelle che erano, perché non torneranno più come prima".
Nulla potrà tornare esattamente com'era prima della pandemia perché, spiega Mencacci, "quanto è accaduto ha cambiato profondamente la nostra vita. Ne ha cambiato le modalità lavorative, le relazioni sociali e affettive. Rispetto a questo grande cambiamento si muove un fiume carsico che non sempre emerge e sta corrodendo le nostre abitudini".
Cosa dobbiamo aspettarci, sul piano delle relazioni, all'indomani della fine di questa pandemia? "Da un lato- prevede il presidente Sinpf- ci sarà una sorta di impennata euforica, qualcuno ha citato l'epoca del 'Grande Gatsby' che, però, dobbiamo ricordare è finita malissimo. Abbiamo perso buona parte della rete della consuetudine (cene, eventi sociali, cinema, teatro, sport) e d'ora in poi faremo una prima selezione tra gli amici, in favore di una dimensione più raccolta e intima, meno 'social'. Dall'altro lato, ci sarà la diminuzione di esternazioni fisiche dell'affetto e dell'amicizia: abbracci, baci, strette di mano.
Si è annullato il primato del tatto e adesso quando ci si incontra, anche se si è tutti vaccinati, c'è più prudenza e meno contatto. Tutto questo porterà a uno spostamento delle relazioni su un piano più emotivo, dal contenitore al contenuto e ci sarà- conclude Mencacci- una maggiore selezione, sia rispetto alle amicizie che rispetto ai comportamenti".
- Covid, i test antigenici rapidi rilevano solo 2 infezioni su 3. Ogni 7 giorni 12.400 persone in Svizzera pensano di esser negative per errore
Un gruppo di ricerca dell'Inselspital, dell'Universitätsspital Bern e dell'Università di Berna ha confrontato direttamente i test rapidi dell'antigene con i test PCR in condizioni reali.
I test rapidi dell'antigene hanno mostrato un totale di solo due infezioni su tre e nemmeno la metà di quelle senza sintomi. Lo studio mostra che i test rapidi dell'antigene sono adatti solo in misura limitata per escludere in modo affidabile l'infezione da SARS-CoV-2.
Nell'attuale discussione sulla gestione della pandemia di Covid-19, si basa il cosiddetto metodo 3G: le persone che sono state vaccinate, guarite o testate dovrebbero beneficiare del sollievo nel contesto delle misure di protezione. I test PCR si sono dimostrati affidabili. I test rapidi dell'antigene devono essere utilizzati se non è possibile attendere 48-72 ore per un risultato. Il team di ricerca del Centro di emergenza universitario, della Clinica universitaria per le malattie infettive e dell'Istituto universitario di chimica clinica dell'Ospedale universitario di Berna, nonché dell'Istituto di malattie infettive dell'Università di Berna, ha quindi effettuato un confronto sistematico dei per la prima volta due metodi di prova in condizioni reali presso l'Istituto per le malattie infettive.
In totale, il test PCR ha rilevato 141 persone infette (9,6%) nel campione di 1465 test. Il test rapido dell'antigene, invece, ha riscontrato solo 95 infezioni (6,4%), cioè di tre persone positive alla PCR, solo due sono state identificate con il test rapido dell'antigene. L'errore era ancora più evidente nelle persone asintomatiche: solo il 44% delle persone positive alla PCR poteva essere identificato. I risultati dello studio si discostano quindi notevolmente dalle informazioni del produttore.
Confronto sistematico dei due metodi
Lo studio di Berna ha applicato standard molto severi: la raccolta è stata effettuata da esperti dell'Inselspital che avevano una formazione specifica nella gestione dei test. Come test rapido dell'antigene è stato utilizzato un prodotto di nota buona qualità. I test sono stati eseguiti parallelamente per la determinazione della PCR e per i test rapidi dell'antigene presso l'Istituto per le malattie infettive dell'Università di Berna. Con la pubblicazione sono disponibili per la prima volta risultati comparabili e affidabili della PCR e dei test rapidi dell'antigene. Grazie ad un campionamento controllato e ad una valutazione parallela, i risultati possono essere confrontati direttamente. La deviazione della sensibilità qui determinata dalle informazioni del produttore è stata sorprendente.
Utilizzare in pratica con punti interrogativi
I risultati dello studio mostrano l'affidabilità in un ambiente clinico con specialisti ben formati e dopo un'attenta valutazione. In pratica, si può presumere che, in particolare, quando si preleva un campione, si otterrebbero valori più poveri. Attualmente in Svizzera vengono effettuati circa 130.000 test rapidi alla settimana. Con circa il 18% di risultati positivi, 23.400 sono correttamente identificati come positivi, ma mancano 12.400 persone. “Queste 12.400 persone si sentono al sicuro, perché sono risultate negative al test e vanno alle feste di famiglia, ai concerti e alle partite di calcio. Esiste quindi un potenziale rischio che i test dell'antigene aggravino la pandemia invece di rallentarla ", afferma il capo dello studio, il prof. Michael Nagler.
“Da un punto di vista microbiologico e infettivo, si può stabilire che i test antigenici funzionano meglio con una carica virale elevata che con una carica virale bassa. L'infettività di una persona con una bassa carica virale è certamente inferiore a quella di una persona con un'alta carica virale ", afferma Franziska Suter-Riniker dell'Istituto per le malattie infettive dell'Università di Berna, co-prima autrice dello studio. "Quindi le persone altamente infettive hanno maggiori probabilità di risultare positive".
“Tuttavia, lo studio mostra anche che i test rapidi dell'antigene sono adatti solo in misura limitata per escludere in modo affidabile l'infezione da SARS-CoV-2. I test rapidi dell'antigene oggi disponibili dovrebbero quindi essere utilizzati solo con riserva nell'ambito delle misure Covid-19 ", afferma Nagler.
Lo Studio è su International Journal of Infectious Disease
- I test per il certificato Covid a pagamento dal 1 ottobre in Svizzera
Il Consiglio federale ha deciso di sottoporre preventivamente alla consultazione dei Cantoni e delle parti sociali, fino al 30 agosto, un rafforzamento dei provvedimenti contro la propagazione del coronavirus anche per quanto riguarda i test, che restano un provvedimento importante per tenere sotto controllo la pandemia, interrompere catene di contagio e prevenire il sovraccarico delle strutture ospedaliere.
Allo scopo vanno in particolare proseguiti i test a ripetizione nelle scuole e nelle aziende, che continueranno a essere finanziati dalla Confederazione.
Certificato COVID: test preventivi a carico di chi li richiede
Dal 1° ottobre 2021, i costi dei test effettuati per ottenere un certificato COVID saranno a carico delle persone che li richiedono. Tutti coloro che volevano farsi vaccinare hanno potuto farlo: il Consiglio federale ritiene che non sia più compito della collettività sostenere i costi dei test delle persone non vaccinate o non guarite. La popolazione ha tuttora la possibilità di farsi vaccinare gratuitamente contro la COVID-19.
Eccezioni per le persone con sintomi e per i giovani
Per le persone che presentano sintomi di un’infezione da coronavirus, i test rimangono a carico della Confederazione, ma non danno diritto al certificato COVID. La Confederazione continuerà a rimborsare anche i test antigenici rapidi per le persone che, per motivi medici, non possono essere vaccinate e per i bambini e i giovani al di sotto dei 16 anni. Anche chi si reca in una struttura sanitaria, per esempio in una casa di cura o per anziani o in un ospedale, potrà continuare a sottoporsi gratuitamente al test. Rimane infatti essenziale proteggere le persone particolarmente a rischio. Se il test dà esito negativo, invece del certificato sarà rilasciato un documento che ne attesta il risultato.
Test a campioni aggregati aperti a tutti
A chi non presenta sintomi, la Confederazione intende dare la possibilità di partecipare a proprie spese, in farmacia, ai test PCR salivari a campioni aggregati. Questi test hanno il vantaggio di essere più precisi e attendibili dei test antigenici rapidi. Sarà inoltre possibile prelevarsi autonomamente un campione salivare PCR a domicilio; tuttavia il prelievo dovrà essere controllato, così come andrà verificata l’identità della persona che si sottopone al test.
Risultati della consultazione
La grande maggioranza dei Cantoni e delle parti sociali consultati, come pure la competente commissione del Consiglio nazionale hanno accolto con favore l’adeguamento della strategia di test, in particolare il fatto che la Confederazione continuerà a finanziare i test a ripetizione condotti nelle scuole e nelle aziende. Hanno tuttavia proposto alcune modifiche relative al rimborso dei test e richiesto disposizioni più severe per evitare abusi. Il Consiglio federale ha parzialmente dato seguito a queste proposte, decidendo che i giovani fino a 16 anni potranno continuare a sottoporsi gratuitamente ai test e che, per le persone di oltre 16 anni, il certificato COVID attestante un risultato negativo sarà rilasciato soltanto se il test sarà stato pagato da chi lo ha richiesto.
Estensione dei test sulle acque reflue
Il Consiglio federale ha inoltre deciso di estendere i test sistematici su campioni di acque reflue, prelevati negli impianti di depurazione delle acque di scarico per rilevarvi tracce del coronavirus. I test copriranno ora un territorio in cui risiede il 60 per cento circa della popolazione e le zone turistiche di rilevanza epidemiologica. In questo modo si potranno identificare rapidamente eventuali focolai locali e adottare per tempo i necessari provvedimenti di contenimento.
Informazioni:
- Un veleno nel corpo simile al serpente, alti valori di fospolipasi sPLA2-IIA causano la morte per Covid
Un enzima con un ruolo elusivo nell'infiammazione grave può essere un meccanismo chiave che guida la gravità del COVID-19 e potrebbe fornire un nuovo obiettivo terapeutico per ridurre la mortalità, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Investigation .
I ricercatori dell'Università dell'Arizona, in collaborazione con la Stony Brook University e la Wake Forest University School of Medicine, hanno analizzato campioni di sangue di due coorti di pazienti COVID-19 e hanno scoperto che la circolazione dell'enzima - fosfolipasi A2 gruppo IIA secretoria o sPLA2-IIA - può essere il fattore più importante nel prevedere quali pazienti con COVID-19 grave alla fine soccombono al virus.
sPLA2-IIA, che ha somiglianze con un enzima attivo nel veleno del serpente a sonagli, si trova in basse concentrazioni in individui sani ed è noto da tempo per svolgere un ruolo critico nella difesa contro le infezioni batteriche, distruggendo le membrane cellulari microbiche.
Quando l'enzima attivato circola ad alti livelli ha la capacità di "distruggere" le membrane degli organi vitali, ha affermato Floyd (Ski) Chilton , autore senior dell'articolo e direttore dell'Arizona Precision Nutrition and Wellness Initiative dell'University's College of Agriculture and Life Sciences.
"È una curva a campana di resistenza alle malattie rispetto alla tolleranza dell'ospite- afferma Chilton- questo enzima sta cercando di uccidere il virus ma a un certo punto viene rilasciato in quantità così elevate che le cose vanno in una direzione davvero pessima, distruggendo le membrane cellulari del paziente e contribuendo così all'insufficienza e alla morte di più organi".
Insieme agli inibitori sPLA2-IIA clinicamente testati disponibili, "lo studio supporta un nuovo obiettivo terapeutico per ridurre o addirittura prevenire la mortalità da COVID-19", aggiunge il coautore dello studio, il prof. Maurizio Del Poeta, della SUNY presso il Dipartimento di Microbiologia e Immunologia in la Renaissance School of Medicine della Stony Brook University.
Collaborazione in mezzo al caos
"L'idea di identificare un potenziale fattore prognostico nei pazienti COVID-19 è nata dal dottor Chilton"-prosegue Del Poeta- Ci ha contattato per la prima volta lo scorso autunno con l'idea di analizzare lipidi e metaboliti nei campioni di sangue dei pazienti COVID-19".
Del Poeta e il suo team hanno raccolto campioni di plasma conservati e si sono messi al lavoro analizzando le cartelle cliniche e rintracciando i dati clinici critici di 127 pazienti ricoverati presso la Stony Brook University tra gennaio e luglio 2020. Una seconda coorte indipendente includeva un mix di 154 campioni di pazienti raccolti da Stony Brook e Banner University Medical Center di Tucson tra gennaio e novembre 2020.
"Si tratta di piccole coorti, è vero, ma è stato uno sforzo eroico ottenerle e tutti i parametri clinici associati da ciascun paziente in queste circostanze- prosegue-A differenza della maggior parte degli studi ben pianificati nel corso degli anni, questo è avvenuto in tempo reale nel reparto di terapia intensiva".
Il team di ricerca è stato in grado di analizzare migliaia dati dei pazienti, utilizzando algoritmi di apprendimento automatico. Oltre ai tradizionali fattori di rischio come l'età, l'indice di massa corporea e le condizioni preesistenti, il team si è concentrato anche sugli enzimi biochimici, nonché sui livelli di metaboliti lipidici dei pazienti.
"In questo studio, siamo stati in grado di identificare i modelli di metaboliti presenti negli individui che hanno ceduto alla malattia- sottolinea la prof.ssa Justin Snider, presso il Dipartimento di Nutrizione dell'Arizona e autrice principale dello studio- I metaboliti che sono emersi, hanno rivelato una disfunzione dell'energia cellulare e alti livelli dell'enzima sPLA2-IIA. Il primo era previsto ma non il secondo".
Utilizzando gli stessi metodi di apprendimento automatico, i ricercatori hanno sviluppato un albero decisionale, per prevedere la mortalità da COVID-19. La maggior parte degli individui sani ha livelli circolanti dell'enzima sPLA2-IIA, che si aggirano intorno a mezzo nanogrammo per millilitro. Secondo lo studio, il COVID-19 è stato letale nel 63% dei pazienti con COVID-19 grave e livelli di sPLA2-IIA pari o superiori a 10 nanogrammi per millilitro.
"Molti pazienti che sono morti di COVID-19 avevano alcuni dei livelli più alti di questo enzima che siano mai stati riportati", spiega Chilton, che ha studiato l'enzima per oltre tre decenni.
Un enzima con un morso
Il ruolo dell'enzima sPLA2-IIA è stato oggetto di studio per mezzo secolo ed è "forse il membro più esaminato della famiglia delle fosfolipasi", ha spiegato Chilton.
Charles McCall, ricercatore capo della Wake Forest University nello studio, si riferisce all'enzima come un "trituratore" per la sua nota prevalenza in eventi di infiammazione grave, come la sepsi batterica, nonché lo shock emorragico e cardiaco.
Ricerche precedenti hanno mostrato come l'enzima distrugga le membrane cellulari microbiche nelle infezioni batteriche, così come i suoi simili antenati genetici con un enzima chiave trovato nel veleno di serpente.
La proteina "condivide un'elevata omologia di sequenza con l'enzima attivo nel veleno del serpente a sonagli e, come il veleno che scorre attraverso il corpo, ha la capacità di legarsi ai recettori delle giunzioni neuromuscolari e potenzialmente disabilitare la funzione di questi muscoli- conclude Chilton- Circa un terzo delle persone sviluppa il long COVID e molti di loro erano individui attivi che ora non possono camminare per 100 metri. La domanda che stiamo indagando ora è: se questo enzima è ancora relativamente alto e attivo, potrebbe essere responsabile di parte dei lunghi esiti del COVID a cui stiamo assistendo?"
Informazioni:
- Crisi economica da Covid, 267.000 bambini morti in più nel 2020 nei Paesi a basso e medio reddito. Studio su BMJ
267.000 bambini in più probabilmente moriranno nel 2020 nei Paesi a basso e medio reddito a causa della crisi economica causata dal COVID-19, secondo uno studio di modellizzazione, pubblicato sulla rivista online BMJ Open .
Questo bilancio è del 7% superiore a quanto previsto per l'anno, affermano gli autori della Banca mondiale.
Si prevede che l'economia globale si sia contratta di quasi il 5% nel primo anno della pandemia, aumentando di 120 milioni il numero di persone che vivono in povertà. E a differenza delle crisi economiche nei paesi ad alto reddito, questi shock nei paesi a basso reddito generalmente aumentano i decessi tra i gruppi vulnerabili, come i bambini e gli anziani.
Le proiezioni precedentemente pubblicate del probabile impatto della pandemia sui decessi indiretti, quelli non causati dallo stesso COVID-19, si sono concentrati sull'entità delle presunte interruzioni dei servizi sanitari essenziali.
Gli autori di questo studio hanno invece esaminato l'impatto dello "shock di reddito" aggregato rappresentato dal previsto calo del prodotto interno lordo (PIL) - il valore totale dei beni e servizi annuali di un Paese - sulla sopravvivenza dei bambini di età superiore a 12 mesi nei paesi a basso e medio reddito.
Hanno collegato i dati sul PIL pro capite della popolazione a 5,2 milioni di nascite, riportati in Demographic and Health Surveys tra il 1985 e il 2018. La maggior parte (82%) di queste nascite era in paesi a basso e medio reddito. Hanno quindi applicato le proiezioni di crescita economica del Fondo monetario internazionale per il 2019 e il 2020 per prevedere l'effetto della recessione economica nel 2020 sulle morti infantili in 128 paesi.
I loro calcoli hanno indicato che nel 2020 sono morti altri 267.208 bambini nei paesi a basso e medio reddito, corrispondenti a un aumento di poco meno del 7% del numero di morti infantili previsto per quell'anno.
Il numero più alto di morti infantili in eccesso stimato si è verificato nell'Asia meridionale (8 paesi), per un totale di 113.141, con oltre un terzo dell'eccesso previsto in India (99.642). L'India ha il maggior numero di nascite annuali (24.238.000) e un deficit economico previsto particolarmente ampio del -17,3% per il 2020.
Gli autori osservano che sono state stimate 28.000-50.000 morti infantili in eccesso per l'Africa dopo la crisi finanziaria del 2009. Ciò si confronta con una cifra stimata di 82.239 per il 2020, che riflette le maggiori carenze stimate del PIL causate dalla pandemia.
Ci sono diverse limitazioni alle loro cifre previste, incluso il fatto che i loro calcoli si basano su dati retrospettivi e che hanno considerato solo l'impatto a breve termine delle fluttuazioni del PIL sui tassi di mortalità infantile. La differenza tra le proiezioni di crescita economica di ottobre 2019 e ottobre 2020 è stata interpretata in modo da rappresentare solo gli effetti della pandemia, anche se alcuni Paesi hanno subito altri grandi shock, come disastri naturali o crisi politiche, che potrebbero aver colpito anche i livelli di reddito nazionale, spiegano.
“Indipendentemente dal numero esatto di morti previsti, il gran numero di decessi infantili in eccesso, stimato nella nostra analisi, sottolinea la vulnerabilità di questa fascia di età a shock di reddito aggregato negativi, come quelli indotti dalla pandemia di COVID-19- scrivono i ricercatori- Diversi meccanismi stanno probabilmente guidando questo aumento della mortalità tra i bambini di età compresa tra 0 e 1 anno: l'impoverimento a livello familiare porterà a pratiche nutrizionali e di cura peggiori per i neonati e a una ridotta capacità di accedere ai servizi sanitari, mentre la crisi economica potrebbe colpire anche l'offerta e la qualità dei servizi offerti dai sistemi sanitari”.
Lo studio si concentra sull'impatto sulla sopravvivenza infantile ma è probabile che altri gruppi vulnerabili siano stati colpiti.
“Mentre i Paesi e i sistemi sanitari continuano gli sforzi per prevenire e curare il COVID-19, dovremmo anche considerare le risorse per stabilizzare i sistemi sanitari e rafforzare le reti di sicurezza sociale, al fine di mitigare le conseguenze umane, sociali ed economiche del pandemia e relative politiche di lockdown”, concludono gli autori dello studio.
Antonio Caperna
Informazioni:
- Obbligo vaccinale anti Covid, favorevole il Comitato Biosicurezza

Sì all'obbligo vaccinale contro il Covid, con specifico riferimento a coloro che svolgono funzioni pubbliche. E' il parere espresso dal Comitato nazionale di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della vita (Cnbbsv) della Presidenza del Consiglio dei ministri.
I componenti del Comitato, "pur lasciando doverosamente al Governo la sintesi delle posizioni e le modalità esecutive - sottolineano - esprimono parere favorevole ed auspicano una obbligatorietà della vaccinazione anti Sars-Cov2, con specifico riferimento a coloro che svolgono funzioni pubbliche e comunque attività lavorative che pongano il cittadino a stretto e continuo contatto con altri soggetti e con l’ovvia esclusione delle situazioni di rischio documentato di una possibile patologia post-vaccinale".
"Ormai siamo agli ultimi minuti o meglio in zona Cesarini per introdurre l'obbligo vaccinale" anti Covid, "corriamo dei rischi enormi se arriviamo con il 15% della popolazione italiana non vaccinata, parliamo di 50-60enni che rischiano di finire in ospedale tra pochi mesi". Lo rimarca all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, tornando sul tema della possibile estensione dell'obbligo vaccinale.
"Non so cosa stia facendo il Governo - continua Bassetti -, io faccio il medico e quelli seri, ovvero chi ha visto l'infezione da vicino, chiedono fortemente l'obbligo vaccinale. Non ascoltarci sarebbe grave e porrebbe il Governo quasi in antitesi al mondo della scienza e sarebbe difficile da gestire. Tutti gli esperti dicono di intervenire per evitare che si arrivi in inverno con troppe persone non vaccinate".
Cosa potrebbe accadere con una fetta della popolazione ancora non vaccinata in inverno? "E' già troppo tardi - risponde Bassetti - non possiamo pensare di mettere l'obbligo vaccinale con le terapie intensive Covid piene. Rischiamo di avere una parte della popolazione che ad ottobre, novembre o dicembre riempirà gli ospedali. Questo significa che le strutture che oggi curano i pazienti no-Covid dovranno essere riconvertite allungando le liste d'attesa e rinviando ricoveri e interventi. Tutto questo - rimarca - non possiamo permettercelo, chi decide di non vaccinarsi è come se passasse con il semaforo rosso. Si rendono conto dei rischi che stanno creando?".
"Chi ha certi atteggiamenti nei confronti del vaccino anti-Covid non può dire che c'è una scienza che mi piace che è quella dei farmaci e poi c'è quella dei vaccini. La scienza è sempre la stessa, dobbiamo crederci sempre e non solo quando ci fa comodo. Anche la politica sbaglia con un atteggiamento ondivago nei confronti del vaccino che può essere pericoloso", conclude Bassetti.
- Fine autorizzazione di emergenza, ora la FDA approva il vaccino Pfizer/ BioNTech. E' il primo contro il COVID-19
Oggi la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha approvato il primo vaccino contro il COVID-19. Conosciuto come vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19, sarà ora commercializzato come Comirnaty*, per la prevenzione della malattia COVID-19 in individui di età pari o superiore a 16 anni.
Il vaccino continua inoltre a essere disponibile con l'autorizzazione all'uso di emergenza (EUA), anche per gli individui di età compresa tra 12 e 15 anni e per la somministrazione di una terza dose in alcuni individui immunocompromessi.
"L'approvazione di questo vaccino da parte della FDA è una pietra miliare mentre continuiamo a combattere la pandemia di COVID-19. Sebbene questo e altri vaccini abbiano soddisfatto i rigorosi standard scientifici della FDA per l'autorizzazione all'uso di emergenza, come il primo vaccino COVID-19 approvato dalla FDA, il pubblico può essere molto fiducioso che questo vaccino soddisfi gli elevati standard di sicurezza, efficacia e qualità di produzione la FDA richiede un prodotto approvato- ha affermato il commissario ad interim della FDA, il dottor Janet Woodcock- Mentre milioni di persone hanno già ricevuto in modo sicuro vaccini COVID-19, riconosciamo che per alcuni, l'approvazione della FDA di un vaccino può ora infondere ulteriore fiducia per ottenere vaccinato”.
Dall'11 dicembre 2020, il vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19 è disponibile con l'autorizzazione all'uso di emergenza-EUA in individui di età pari o superiore a 16 anni e l'autorizzazione è stata ampliata per includere quelli di età compresa tra 12 e 15 anni il 10 maggio 2021. EUA può essere utilizzato dalla FDA durante le emergenze di salute pubblica per fornire accesso a prodotti medici che possono essere efficaci nella prevenzione, diagnosi o trattamento di una malattia, a condizione che la FDA determini che i benefici noti e potenziali di un prodotto, quando utilizzato per prevenire, diagnosticare o curare la malattia superano i rischi noti e potenziali del prodotto.
I vaccini approvati dalla FDA sono sottoposti al processo standard dell'agenzia per la revisione della qualità, della sicurezza e dell'efficacia dei prodotti medici. Per tutti i vaccini, la FDA valuta i dati e le informazioni inclusi nella presentazione da parte del produttore di una domanda di licenza per prodotti biologici (BLA). Un BLA è un documento completo che viene presentato all'agenzia fornendo requisiti molto specifici. Per Comirnaty*, il BLA si basa sugli ampi dati e informazioni precedentemente presentati a supporto dell'EUA, come dati e informazioni preclinici e clinici, nonché dettagli del processo di produzione, risultati dei test sui vaccini per garantire la qualità del vaccino e ispezioni dei siti dove viene prodotto il vaccino. L'agenzia conduce le proprie analisi delle informazioni nel BLA per assicurarsi che il vaccino sia sicuro ed efficace e soddisfi gli standard di approvazione della FDA.
Comirnaty* contiene RNA messaggero (mRNA), una sorta di materiale genetico. L'mRNA viene utilizzato dall'organismo per imitare una delle proteine ??del virus che causa il COVID-19. Il risultato di una persona che riceve questo vaccino è che il suo sistema immunitario alla fine reagirà difendendosi dal virus, che causa il COVID-19. L'mRNA in Comirnatyé è presente nel corpo solo per un breve periodo e non è incorporato - né altera - il materiale genetico di un individuo. Comirnaty ha la stessa formulazione del vaccino EUA e viene somministrato in una serie di due dosi, a distanza di tre settimane.
“I nostri esperti scientifici e medici hanno condotto una valutazione incredibilmente approfondita e ponderata di questo vaccino. Abbiamo esaminato i dati scientifici e le informazioni incluse in centinaia di migliaia di pagine, condotto le nostre analisi sulla sicurezza e l'efficacia di Comirnaty* ed eseguito una valutazione dettagliata dei processi di produzione, comprese le ispezioni degli impianti di produzione- ha aggiunto il prof. Peter Marks, direttore del Centro per la valutazione e la ricerca sui prodotti biologici della FDA- Non abbiamo perso di vista che la crisi sanitaria pubblica COVID-19 continua negli Stati Uniti e che il pubblico conta su vaccini sicuri ed efficaci. Il pubblico e la comunità medica possono essere certi che, sebbene abbiamo approvato rapidamente questo vaccino, è stato pienamente in linea con i nostri standard elevati esistenti per i vaccini negli Stati Uniti"
Valutazione della FDA dei dati di sicurezza ed efficacia per l'approvazione per i 16 anni di età e oltre
Il primo EUA , emesso l'11 dicembre, per il vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19 per individui di età pari o superiore a 16 anni si basava su dati di sicurezza ed efficacia provenienti da uno studio clinico randomizzato, controllato e in cieco in corso su migliaia di individui.
Per supportare la decisione di approvazione della FDA oggi, la FDA ha rivisto i dati aggiornati della sperimentazione clinica, che hanno supportato l'EUA e hanno incluso una durata più lunga del follow-up in una popolazione di studi clinici più ampia.
In particolare, nella revisione della FDA per l'approvazione, l'agenzia ha analizzato i dati sull'efficacia di circa 20.000 vaccini e 20.000 destinatari di placebo di età pari o superiore a 16 anni che non avevano evidenza dell'infezione da virus COVID-19 entro una settimana dalla ricezione della seconda dose. La sicurezza di Comirnaty* è stata valutata in circa 22.000 persone, che hanno ricevuto il vaccino e 22.000 persone che hanno ricevuto un placebo di età pari o superiore a 16 anni.
Sulla base dei risultati della sperimentazione clinica, il vaccino è stato efficace al 91% nel prevenire la malattia da COVID-19.
Più della metà dei partecipanti alla sperimentazione clinica è stata seguita per i risultati di sicurezza per almeno quattro mesi dopo la seconda dose. Complessivamente, sono stati seguiti per almeno 6 mesi circa 12.000 destinatari.
Gli effetti collaterali più comunemente riportati dai partecipanti alla sperimentazione clinica che hanno ricevuto Comirnaty sono stati dolore, arrossamento e gonfiore nel sito di iniezione, affaticamento, mal di testa, dolori muscolari o articolari, brividi e febbre. Il vaccino è efficace nel prevenire il COVID-19 e gli esiti potenzialmente gravi tra cui il ricovero in ospedale e la morte.
Inoltre, la FDA ha condotto una rigorosa valutazione dei dati di sorveglianza della sicurezza post-autorizzazione relativi a miocardite e pericardite a seguito della somministrazione del vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19 e ha stabilito che i dati dimostrano un aumento dei rischi, in particolare entro i sette giorni successivi al secondo dose. Il rischio osservato è maggiore tra i maschi di età inferiore ai 40 anni rispetto alle femmine e ai maschi più anziani. Il rischio osservato è più alto nei maschi di età compresa tra 12 e 17 anni. I dati disponibili dal follow-up a breve termine suggeriscono che la maggior parte delle persone ha avuto una risoluzione dei sintomi. Tuttavia, alcune persone hanno richiesto il supporto di terapia intensiva. Non sono ancora disponibili informazioni sui potenziali esiti di salute a lungo termine. Le informazioni sulla prescrizione di Comirnaty* includono un avvertimento su questi rischi.
Monitoraggio continuo della sicurezza
La FDA e i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie dispongono di sistemi di monitoraggio per garantire che eventuali problemi di sicurezza continuino a essere identificati e valutati in modo tempestivo. Inoltre, la FDA richiede all'azienda di condurre studi post-marketing, per valutare ulteriormente i rischi di miocardite e pericardite dopo la vaccinazione con Comirnaty*. Questi studi includeranno una valutazione degli esiti a lungo termine tra gli individui che sviluppano miocardite a seguito della vaccinazione con Comirnaty. Inoltre, sebbene non sia richiesto dalla FDA, l'azienda si è impegnata in ulteriori studi sulla sicurezza post-marketing, inclusa la conduzione di uno studio sul registro delle gravidanze per valutare gli esiti della gravidanza e del neonato dopo aver ricevuto Comirnaty durante la gravidanza.
La FDA ha concesso a questa domanda la revisione prioritaria . L'approvazione è stata concessa a BioNTech Manufacturing GmbH.
Informazioni:
- Covid Israele, vaccinazione anche a scuola
Le scuole israeliane riapriranno come previsto il primo settembre, malgrado vi fossero state richieste di rinvio a causa della ripresa dei contagi di Covid-19. Lo ha deciso oggi il governo, che ha previsto di effettuare vaccinazioni anche nelle scuole, durante le ore di lezione, previo consenso dei genitori.
Tutto il personale scolastico dovrà essere provvisto di Green pass, per certificare l'avvenuta vaccinazione o un test negativo recente.
Israele offre la vaccinazione a tutti i cittadini a partire dai 12 anni. Vi sono state vaccinazioni eccezionali di più piccoli, anche di 5 anni, in casi di particolare fragilità come obesità estrema, problemi cardiaci, gravi problemi respiratori cronici.
Per la riapertura delle scuole sono stati previsti test sierologici su 1,6 milioni di studenti: chi avrà anticorpi alti potrà evitare la quarantena nell'eventualità di casi positivi in classe. Nelle 'zone rosse' si farà lezione in presenza solo se il 70% degli allievi della classe sarà vaccinato. Infine sono previsti test rapidi a casa per due milioni di ragazzi giusto prima della ripresa delle lezioni.
Paese di 9,4 milioni di abitanti, primo ad iniziare le vaccinazioni, Israele sta affrontando una ripresa dei contagi dovuta alla variante Delta e a sacche di popolazione non ancora immunizzate. Nell'ultima settimana i morti sono stati 198, di cui 40 nel solo weekend, mentre nell'intero mese di giugno i decessi erano stati solo sette. Al momento il 59% della popolazione ha ricevuto due dosi. Dall'inizio di agosto è partita la campagna per una terza dose, ora aperta a tutti gli over 40, che ha raggiunto 1,4 milioni di persone.
Informazioni:
- Vaccino ad ampio spettro contro le varianti di Covid e i futuri focolai di coronavirus animali. Studio sul New England Journal of Medicine
Scienziati della Duke-NUS Medical School e del National Center for Infectious Diseases (NCID) hanno scoperto che i sopravvissuti alla SARS del 2003, che sono stati vaccinati con Pfizer-BioNTech hanno prodotto anticorpi funzionali altamente potenti in grado di neutralizzare non solo tutte le varianti note di SARS-CoV-2 (VOC) ma anche altri coronavirus animali, che hanno il potenziale di causare infezioni umane.
Questa scoperta, pubblicata sul New England Journal of Medicine, è la prima che mostra tale reattività cross-neutralizzante nell'uomo e aumenta ulteriormente le speranze di sviluppare un vaccino di prossima generazione efficace e ad ampio spettro contro diversi coronavirus.
Tra la famiglia dei coronavirus, un sottogruppo si affida alla molecola ACE2 per entrare nelle cellule umane. Sia SARS-CoV-1 che SARS-CoV-2 appartengono a questo gruppo così come un certo numero di coronavirus, che circolano in animali come pipistrelli, pangolini e zibetti. Sebbene l'esatta via di trasmissione rimanga sconosciuta, questi virus hanno il potenziale per passare dagli animali all'uomo e potrebbero iniziare la prossima pandemia. Nel complesso, questo gruppo di virus è chiamato sarbecovirus.
"Abbiamo esplorato la possibilità di indurre anticorpi neutralizzanti il ??pan-sarbecovirus in grado di bloccare la comune interazione umana ACE2-virus, che sarà protettiva non solo contro tutti i VOC SARS-CoV-2 noti e sconosciuti, ma anche futuri sarbecovirus", afferma il dott. Chee Wah Tan, Senior Research Fellow con il programma Emerging Infectious Diseases (EID) di Duke-NUS e co-primo autore di questo studio.
Per testare la loro ipotesi, i ricercatori hanno reclutato otto persone guarite da SARS-CoV-1, responsabile dell'epidemia di SARS del 2003, oltre a dieci persone sane e dieci sopravvissuti a COVID-19. Hanno quindi confrontato la risposta immunitaria dei tre gruppi prima e dopo la vaccinazione con il vaccino SARS-CoV-2. In particolare, volevano capire se gli anticorpi neutralizzanti sviluppati nel gruppo SARS-Vaccinated potessero spazzare via sia i virus SARS-CoV-1 che SARS-CoV-2 così come altri sarbecovirus, compresi quelli potenzialmente zoonotici, che sono stati identificati nei pipistrelli e pangolini.
“Prima della vaccinazione, i sopravvissuti alla SARS-CoV-1 avevano anticorpi neutralizzanti rilevabili contro SARS-CoV-1 ma anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 di basso livello o assenti. Dopo aver ricevuto due dosi del vaccino mRNA, tutti hanno mostrato alti livelli di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-1 e SARS-CoV-2 - aggiunge il dott. Wanni Chia, ricercatore presso il programma Duke-NUS EID e co-primo autore di questo studio- Soprattutto, sono l'unico gruppo con un ampio spettro di anticorpi neutralizzanti contro dieci sarbecovirus, che sono stati scelti per essere esaminati".
"Il nostro studio punta a una nuova strategia per lo sviluppo di vaccini di nuova generazione, che non solo ci aiuterà a controllare l'attuale pandemia da Covid , ma potrebbe anche prevenire o ridurre il rischio di future pandemie, causate da virus correlati", prosegue il professor Wang Linfa del programma EID Duke-NUS, autore corrispondente senior dello studio.
“Il team del professor Wang ha fatto un'astuta osservazione fortuita in uno studio nazionale multicentrico di monitoraggio immunitario sulla vaccinazione COVID-19 chiamato Singapore COVID-19 Vaccine Immune Response and Protection Study (SCOPE), coordinato dall'NCID. Poiché le varianti emergenti di preoccupazione hanno già dimostrato un certo grado di evasione immunitaria contro i vaccini di prima generazione, questa scoperta ha il potenziale per affrontare questo problema mentre il mondo continua la vaccinazione COVID-19 per uscire dalla pandemia. Inoltre, questo può potenzialmente fungere da vaccino preventivo altamente promettente contro future pandemie di coronavirus", sottolinea il prof. David Lye, direttore, Ufficio per la ricerca e la formazione sulle malattie infettive, NCID e corrispondente autore congiunto dello studio.
Il team ha condotto la propria indagine, utilizzando una versione migliorata del test di neutralizzazione del virus surrogato (sVNT) sviluppato da Duke-NUS all'inizio del 2020. Il prof. Wang e il suo team hanno inventato il test sVNT, denominato cPass [1] , a cui è stato concesso l'uso di emergenza da parte della FDA statunitense per determinare anticorpi neutralizzanti specifici per SARS-CoV-2 nei sieri umani a seguito di infezione o vaccinazione. Il Dr Tan e il Dr Chia fanno parte del team del Prof Wang e co-inventori del sVNT. Il multiplex sVNT migliorato consente il rilevamento simultaneo di anticorpi neutralizzanti contro diversi sarbecovirus in un singolo dispositivo, svolgendo così un ruolo fondamentale in studi come questo che richiedono un accurato confronto fianco a fianco dei livelli di anticorpi neutralizzanti contro virus diversi.
Il team sta attualmente conducendo uno studio di prova, per sviluppare un vaccino di terza generazione contro diversi coronavirus (3GCoVax) e ampi anticorpi neutralizzanti per la terapia e sta cercando di reclutare persone, che hanno superato l'infezione da SARS nel 2003. Chi desidera partecipare a studi in corso, può contattare l'indirizzo scrn@ncid.sg.
Antonio Caperna
Riferimenti: Chee Wah Tan, Wan Ni Chia, Barnaby E. Young, Feng Zhu, Beng Lee Lim, Wan Rong Sia, Tun-Linn Thein, Mark I- Cheng Chen, Yee-Sin Leo, David C. Lye and Lin-Fa Wang (2021). Pan-sarbecovirus neutralising antibodies in BNT162b2-immunised SARS-CoV-1 survivors. New England Journal of Medicine. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2108453
[1] Per ulteriori informazioni su cPass, fare riferimento a: Duke-NUS, GenScript and A*STAR launch first-in-the-world SARS-CoV-2 serology test to detect neutralising antibodies without need of containment facility or specimen
Informazioni:
- Screening Covid con ricerca degli anticorpi anti-interferone
Si chiamano autoanticorpi e neutralizzano delle molecole (gli interferoni) che hanno un ruolo essenziale nella corretta risposta immunitaria a Covid.
Le persone che li hanno, o che hanno difetti genetici che condizionano l'espressione di questi alleati della nostra difesa, tendono ad ammalarsi di forme particolarmente gravi della malattia da coronavirus Sars-CoV-2. A gettare luce su questo meccanismo sono due lavori su 'Science Immunology', che potranno avere importanti ricadute anche nella gestione clinica della malattia. Lavori che riportano i risultati dello studio di un consorzio internazionale di ricercatori, in cui figura anche un importante contributo italiano.
A dare linfa alla ricerca degli scienziati guidati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), dalla Rockefeller University (New York) e dall'Università di Parigi, è stato anche il super archivio 'Storm' dei pazienti Covid, coordinato dall'università di Milano-Bicocca in sinergia con l'Asst di Monza. Quello che è emerso è che la prevalenza degli interferoni di tipo I aumenta oltre i 60 anni d'età e questi sono alla base di circa il 20% di tutti i casi fatali di Covid-19. Ma c'è un dato ritenuto cruciale dagli esperti: la ricerca mostra che la presenza di autoanticorpi precede l'insorgenza di Covid-19. Questo permetterebbe di giocare d'anticipo, con vaccini e trattamenti precoci basati sull'uso di anticorpi monoclonali.
"Questi risultati - sottolineano Paolo Bonfanti, professore di Malattie infettive di Milano-Bicocca, e Andrea Biondi, professore di Pediatria dello stesso ateneo - potrebbero avere implicazioni terapeutiche molto importanti: anzitutto la ricerca degli anticorpi anti-interferone potrebbe divenire un test di screening vista la discreta frequenza di questi autoanticorpi nella popolazione generale con il progredire dell'età".
"In secondo luogo, i pazienti con autoanticorpi contro l'interferone di tipo I - proseguono Bonfanti e Biondi - dovrebbero essere vaccinati contro Covid prioritariamente. E infine, in caso di infezione da Sars-CoV-2, le persone non ancora vaccinate in cui fosse rilevata la presenza di questi autoanticorpi, dovrebbero essere ricoverate in ospedale per una corretta gestione clinica. Il trattamento precoce con anticorpi monoclonali potrebbe essere somministrato in questi pazienti prima che compaiono sintomi di polmonite da Covid".
Il progetto Storm (studio osservazionale sulla storia naturale dei pazienti ospedalizzati per Sars-Cov-2)che ha contribuito ai due lavori pubblicati è un archivio elettronico di dati clinici, diagnostici e terapeutici relativi ai pazienti Covid ricoverati all'ospedale San Gerardo di Monza. E' coordinato da Bonfanti e implementato dall'ufficio Bicocca Clinical Research Office (BiCRO). Per la ricerca pubblicata su 'Science Immunology', in particolare, è stato fondamentale l'apporto della raccolta del materiale biologico residuo derivante da tamponi e prelievi dei pazienti, coordinata su iniziativa di Biondi.
Questi studi, spiegano Bonfanti e Biondi, "sono la prosecuzione di un progetto di ricerca internazionale iniziato fin dai primi mesi della pandemia, volto a studiare le cause alla base dell'estrema multiformità della malattia, che può manifestarsi con uno spettro che varia dall'infezione asintomatica alla morte rapida. Da tempo le ricerche si sono concentrate sulle cause genetiche di tali diversità ed in particolare sul ruolo di alcune proteine prodotte dalle cellule del sistema immunitario, come gli interferoni, che condizionano la risposta favorevole a Covid-19".
Informazioni:
- COVID. 74% CONTAGI IN FASE PRE-SINTOMATICA. VACCINATI, 65% PROBABILITA' IN MENO DI INFETTARE
La variante Delta del Covid potrebbe correre anche sulle gambe di persone che stanno apparentemente bene, ma in realtà hanno già il virus e ancora non lo hanno scoperto.
Secondo l'analisi di un focolaio Covid che si è verificato nel Guangdong in Cina, le persone infette hanno maggiori probabilità di diffondere il virus prima di sviluppare i sintomi, rispetto chi si contagia con le 'versioni' precedenti di coronavirus. E questo potrebbe succedere nel 74% dei casi. Il lavoro che porta un gruppo di scienziati a tale conclusione è citato in un servizio pubblicato online sulla rivista 'Nature'.
Benjamin Cowling, epidemiologo dell'Università di Hong Kong coautore dello studio non ancora sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su una piattaforma di preprint ('medRxiv'), ha preso in considerazione con i colleghi i dati dei test di 101 persone contagiate tra maggio e giugno nel Guangdong e i dati dei loro contatti stretti. Gli scienziati hanno scoperto che in media le persone avevano quasi 2 giorni (1,8) di tempo per liberare Rna virale prima di mostrare i segni di Covid. Una finestra pericolosa e più ampia rispetto a quella calcolata in epoca pre-Delta (che era di 0,8 giorni).
I ricercatori hanno anche confermato che le persone infette da Delta avevano una carica virale più altadi quelli contagiati dal virus originario. E che i casi indice non vaccinati o con all'attivo solo la prima dose avevano maggiori probabilità di trasmettere l'infezione ai loro contatti rispetto a quelli che avevano ricevuto il ciclo completo a doppia dose. Il calcolo che viene riportato nel lavoro indicherebbe che il 74% delle infezioni da Delta si è verificato durante la fase pre-sintomatica (73,9%), una percentuale maggiore rispetto alle varianti precedenti. Questo alto tasso potrebbe aiutare a "spiegare come questa variante sia stata in grado di diventare il ceppo dominante in tutto il mondo", afferma Barnaby Young, medico del Centro nazionale per le malattie infettive di Singapore.
VACCINATI AVREBBERO 65% PROBABILITÀ IN MENO DI INFETTARE ALTRI
I ricercatori hanno anche calcolato il 'numero di riproduzione di base' (R0), cioè il numero medio di persone contagiate da un singolo infetto in una popolazione suscettibile. Per la variante Delta questo indice ha un valore di 6,4, molto più alto di quello stimato per la versione originaria di Sars-CoV-2 (cioè 2-4) stimato per la versione originale di SARS-CoV-2, afferma Marm Kilpatrick, University of California, Santa Cruz. "Delta si muove un po' più velocemente, ma è molto più trasmissibile", evidenzia.
Nello studio una piccola quota di partecipanti ha sviluppato infezioni 'breakthrough' da Delta, dopo 2 dosi di vaccino Covid basato su virus inattivato. Ma il prodotto ha ridotto la carica virale al picco dell'infezione. Ed è stato stimato che i vaccinati hanno anche il 65% di probabilità in meno di contagiare rispetto ai non vaccinati. Questa riduzione, conclude Young, rassicura sul fatto che "i vaccini rimangono efficaci e una parte vitale della nostra risposta alla pandemia".
- Profilassi Covid con anticorpi monoclonali AZD7442
Si chiama profilassi pre-esposizione. E' un approccio noto per esempio per l'Hiv, infezione per la quale si parla ormai in maniera diffusa di 'Prep', che consiste nell'assunzione da parte di soggetti ad alto rischio di un trattamento farmacologico in chiave preventiva, per evitare il contagio. AstraZeneca ha studiato questo stesso approccio per il coronavirus Sars-CoV-2.
E oggi comunica "risultati positivi" per lo studio di fase III sulla "prima combinazione di due anticorpi a lunga durata d'azione (Laab) per prevenire Covid-19". In questo studio di profilassi pre-esposizione, battezzato 'Provent', "AZD7442 ha ridotto del 77% il rischio di sviluppare Covid-19 in forma sintomatica, rispetto al placebo".
AZD7442 è una combinazione di anticorpi (non vaccini) modificata per fornire potenzialmente una protezione di lunga durata (potrebbe offrire "fino a 12 mesi di protezione") ed è, puntualizza l'azienda, "la prima che ha dimostrato la prevenzione di Covid in un trial clinico", ottenendo una "riduzione statisticamente significativa dell'incidenza di Covid sintomatico", che era l'endpoint primario. Ora AstraZeneca si prepara a presentare i dati di profilassi (dai trial Provent e Storm Chaser) alle autorità regolatorie per la potenziale autorizzazione all'uso di emergenza o approvazione condizionata di AZD7442.
Lo studio Provent ha accumulato 25 casi di Covid-19 sintomatico all'analisi primaria. Nel gruppo dei trattati con AZD7442 non ci sono stati casi di Covid grave o decessi Covid. Nel braccio che ha ricevuto il placebo, ci sono stati tre casi gravi, che includevano 2 decessi. Lo studio conta 5.197 partecipanti in totale (con il gruppo dei trattati col mix di anticorpi che ha numeri doppi rispetto al braccio placebo). Più del 75% aveva comorbilità, fra cui condizioni che causano ridotta risposta immunitaria alla vaccinazione. Il mix di anticorpi è stato "ben tollerato", riferisce AstraZeneca in una nota, e le analisi preliminari mostrano che gli eventi avversi sono stati bilanciati tra i gruppi placebo e AZD7442.
"I dati - spiega Myron J. Levin, professore di pediatria e medicina dell'University of Colorado School of Medicine (Usa) e ricercatore principale dello studio - mostrano che una dose di AZD7442, somministrata per via intramuscolare, può prevenire rapidamente ed efficacemente Covid sintomatico". Questo, prosegue, si prospetta come "uno strumento importante nel nostro arsenale per aiutare le persone che potrebbero aver bisogno di più di un vaccino per tornare alle loro vite normali".
"Abbiamo bisogno di approcci aggiuntivi per le persone che non sono adeguatamente protette dai vaccini Covid - gli fa eco Mene Pangalos, Executive Vice President, BioPharmaceuticals R&D - Siamo molto incoraggiati da questi dati di efficacia e sicurezza nelle persone ad alto rischio, che dimostrano che la combinazione di anticorpi a lunga durata d'azione ha il potenziale per proteggere da malattie sintomatiche e gravi, insieme ai vaccini. Non vediamo l'ora di condividere ulteriori dati dal programma di sperimentazione clinica di Fase III entro la fine dell'anno".
Da risultati preliminari 'in vitro' dei ricercatori dell'università di Oxford e della Columbia University, AZD7442 ha dimostrato di "neutralizzare le recenti varianti emergenti di Sars-CoV-2, inclusa la Delta", si legge nella nota. I risultati completi del trial Provent saranno inviati per la pubblicazione in una rivista medica sottoposta a revisione paritaria e presentati in un prossimo meeting medico.
Informazioni: