- COVID, LA MASCHERINA INDEBOLISCE RICONOSCIMENTO DELLE EMOZIONI
"E' stata documentata una sistematica anomalia nel modo in cui il nostro cervello reagisce ogni qual volta vediamo un volto coperto da una mascherina.
Una ricerca appena pubblicata sulla rivista internazionale Neuropsychologia dal professor Luca Tommasi e dalle ricercatrici Giulia Prete e Anita D'Anselmo del Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio dell'Università degli Studi 'Gabriele d'Annunzio (Unich)di Chieti-Pescara, ha dimostrato che il disagio psicologico, che sperimentiamo nell'interagire con persone che indossano la mascherina, è legato a doppio filo ad un cambiamento oggettivo e misurabile dell'attività cerebrale". Così si legge nella nota diffusa dall'Ateneo.
LO STUDIO "Ai partecipanti allo studio- si legge ancora- condotto dai ricercatori della d'Annunzio sono stati mostrati centinaia di volti arrabbiati o felici che indossavano o meno la mascherina mentre veniva registrata la loro attività elettrica cerebrale tramite elettroencefalografia (EEG). I risultati, oltre a confermare la difficoltà nel riconoscere le emozioni dei volti mascherati, hanno dimostrato che la risposta della corteccia cerebrale è alterata rispetto alla norma durante la visione di quei volti, soprattutto nei partecipanti quotidianamente meno esposti alle mascherine. Queste conclusioni giungono a conferma di altri studi internazionali che hanno già dimostrato l'impressione che le mascherine indeboliscono la nostra capacità di percepire gli altri, rendendo più difficile il riconoscimento di identità ed espressioni emotive.
"La pandemia da Covid-19 ha influenzato le abitudini e i comportamenti di tutti noi- spiega il professor Luca Tommasi, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica alla d'Annunzio- Fiumi di inchiostro sono stati spesi per commentare gli effetti psicologici e sociali spesso problematici che il virus ha portato con sé anche nella vita quotidiana. È il caso, appunto, delle mascherine, dispositivo di protezione fondamentale per ostacolare la diffusione virale ma che, allo stesso tempo abbiamo sperimentato essere un'interferenza negativa per la nostra vita sociale. Da oltre due anni ci siamo infatti abituati a interagire e parlare con persone con il volto parzialmente coperto dalla mascherina, ed è molto probabile che dovremo continuare a farlo ancora a lungo".
"I risultati delle nostre ricerche- sottolinea il professor Tommasi- costituiscono una dimostrazione scientifica di come il nostro cervello si stia adattando a vedere volti mascherati, a causa dei vincoli imposti dalla pandemia. Si tratta di un cambiamento cerebrale prevedibile sul piano teorico, ma che nessuno aveva ancora documentato e su cui la comunità scientifica dovrà interrogarsi ancora, anche in vista delle possibili ripercussioni di questo cambiamento sullo sviluppo delle capacità sociali nei bambini, nei quali la normale esposizione ai volti permette sin dalla nascita la costruzione di circuiti cerebrali predisposti a riconoscere le altre persone".
- Covid, Ok EMA per booster Moderna agli adolescenti 12- 17 anni
Via libera dell'agenzia europea del farmaco Ema al richiamo di vaccino anti-Covid Spikevax* di Moderna per i 12-17enni.
Ne dà notizia l'ente regolatorio Ue informando che il comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) ha raccomandato di estendere l'uso del vaccino, prodotto dall'azienda statunitense, come booster per gli adolescenti di questa fascia d'età (12-17). E' questa una delle decisioni assunte nell'ultimo meeting del Chmp che si è tenuto dal 18 al 21 luglio.
Il comitato ha anche approvato l'aggiornamento delle informazioni sul prodotto per informare che la stabilità di Spikevax è stata dimostrata per 12 mesi quando viene conservato in determinate condizioni. Il Chmp ha infine anche raccomandato di approvare un nuovo sito di produzione per il prodotto finito a Madrid.
- COVID E OBBLIGO VACCINO. MOZIONE FNOMCEO, TORNARE A GESTIONE ORDINARIA RISCHIO
Una mozione sull'obbligo vaccinale per medici e odontoiatri, per "tornare a una gestione ordinaria del rischio biologico e della sicurezza delle cure, lasciando agli Ordini territoriali il compito di valutare i comportamenti dei colleghi sotto il profilo deontologico".
È quella approvata all'unanimità dal Consiglio nazionale della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, in corso a Roma. La mozione, che rileva anche come alcune recenti ordinanze e decisioni della Magistratura amministrativa e ordinaria abbiano evidenziato "elementi di incertezza" sull'applicazione della normativa, "pervenendo, in alcuni casi, a interpretazioni contrarie a ogni evidenza scientifica" e chiede che, "nelle more di una revisione legislativa della materia, il ministero della Salute fornisca, con urgenza, quelle indicazioni operative, più volte sollecitate, indispensabili per una uniforme attività ordinistica", sarà inviata ai ministri della Salute e della Giustizia e al presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
In premessa, il Consiglio nazionale ringrazia "gli Ordini territoriali, i Presidenti, i colleghi dei Consigli direttivi, le Commissioni Albo Odontoiatri territoriali e non ultimo il personale amministrativo per i concreti risultati raggiunti a seguito delle attività svolte, anche se gravose, in ottemperanza alla Legge, al fine di tutelare i cittadini e garantire la sicurezza delle cure nelle strutture sanitarie ove operano i medici e gli odontoiatri".
Rileva con soddisfazione che la quasi totalità degli iscritti ha adempiuto agli obblighi di Legge: solo 4.432 - su 468.411, meno dell'1% - sono, ad oggi, i medici e gli odontoiatri sospesi per non essersi vaccinati contro il Covid. Ricorda i 374 colleghi deceduti per il Covid ed esprime solidarietà e vicinanza alle loro famiglie rilevando come la mortalità dei colleghi si sia sostanzialmente azzerata grazie all'uso del vaccino. Ribadisce dunque l'importanza del vaccino contro il Covid e invita tutti i colleghi a una piena adesione ai principi e alle norme del codice deontologico e condanna con fermezza le aggressioni agli Ordini territoriali. Riafferma inoltre la necessità di preservare la funzione pubblicistica degli Ordini, considera l'autonomia e l'indipendenza della professione "un requisito fondamentale, che ben si sposa con il principio di sussidiarietà in base al quale gli Ordini sono chiamati, in piena autonomia, al governo della Professione medica e odontoiatrica in coerenza con le norme costituzionali, legislative e deontologiche". Esprime soddisfazione per la grande partecipazione dei medici e degli Odontoiatri alle assemblee degli Ordini, "segno di condivisione delle scelte operate e di vicinanza ai consigli direttivi nonché di rispetto democratico delle opinioni di tutti".
- COVID. Rapporto ISS, Rt e incidenza in calo in Italia
Rt e incidenza in calo in Italia secondo il monitoraggio settimanale Covid della Cabina di regia Iss-ministero della Salute.
L'incidenza settimanale torna sotto i mille casi per 100mila abitanti: il valore si attesta a 977 su 100mila nel periodo 15-21 luglio, rispetto al dato di 1.158/100mila del periodo 8-14 luglio. Mentre "nel periodo 29 giugno-12 luglio, l'Rt medio calcolato sui casi" di Covid-19 "sintomatici è stato pari a 1,23 (range 1,16-1,33), in diminuzione rispetto alla settimana precedente" quando era di 1,34, "ma oltre la soglia epidemica", fa sapere l'Iss aggiungendo che "l'indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero è anch'esso in diminuzione e a cavallo della soglia epidemica: Rt 1 (0,98-1,02) al 12 luglio vs Rt 1,15 (1,12-1,17) al 5 luglio".
Continua intanto la crescita dei ricoveri per Covid-19 in Italia. "Il tasso di occupazione in terapia intensiva sale al 4,1% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 21 luglio)", contro il 3,9% al 14 luglio. "Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale sale al 17,1% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 21 luglio)", contro il 15,8% al 14 luglio secondo il monitoraggio settimanale della Cabina di regia Istituto superiore di sanità-ministero della Salute.
"Tre regioni/province autonome sono classificate a rischio basso" per Covid-19. "Quattordici regioni/pa sono classificate a rischio moderato", di cui "5 ad alta probabilità di progressione, mentre 3 sono classificate a rischio alto per la presenza di molteplici allerte di resilienza e una per non aver raggiunto la soglia minima di qualità dei dati trasmessi all'Iss". "Dodici regioni/pa riportano almeno una allerta di resilienza e 4 riportano molteplici allerte di resilienza", si legge ancora nel report.
"La percentuale dei casi" di Covid-19 "rilevati attraverso l'attività di tracciamento dei contatti è stabile rispetto alla settimana precedente (11%). In lieve aumento la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (40,5% vs 39%), e in lieve diminuzione la percentuale dei casi diagnosticati attraverso attività di screening (48% vs 50%)", viene inoltre spiegato.
- COVID, IL RUOLO PROTETTIVO DEL MICROBIOTA INTESTINALE NEI BAMBINI
Caratterizzato per la prima volta il profilo del microbiota intestinale dei bambini affetti da COVID-19 che, grazie a particolari proprietà antinfiammatorie, sembra proteggerli dalle forme gravi della malattia. L’identikit arriva dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che hanno condotto uno studio – il primo a livello internazionale – dedicato al rapporto tra il microbiota e l’infezione da SARS-CoV-2 in età pediatrica.
La ricerca, appena pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, suggerisce possibili interventi terapeutici sul microbiota per contribuire al controllo della malattia.
LO STUDIO DEL BAMBINO GESU’
Lo studio sulla composizione e sulla funzione del microbiota intestinale nei pazienti pediatrici con COVID-19 è stato condotto dall’Unità di Ricerca del Microbioma Umano, diretta dalla prof.ssa Lorenza Putignani, nell’ambito del progetto “CACTUS - Immunological studies in children affected by COVID and acute diseases” coordinato dal prof. Paolo Palma. L’indagine si è avvalsa della collaborazione clinica degli specialisti di vari Dipartimenti dell’Ospedale.
Nella ricerca sono stati inclusi 88 pazienti con sintomi di sospetta infezione da SARS-CoV-2, ricoverati tra marzo e settembre 2020 nel Centro COVID di Palidoro e nella sede del Gianicolo del Bambino Gesù. Sulla base del risultato del tampone naso-faringeo, sono stati suddivisi in 2 gruppi: pazienti con COVID-19 (tampone positivo) e pazienti affetti da altra infezione (tampone negativo).
I campioni di feci prelevati da ciascun partecipante sono stati analizzati con tecniche di metagenomica (sequenziamento del DNA di tutta la comunità microbica intestinale) che hanno consentito ai ricercatori di definire la composizione del microbiota. I dati dei due gruppi sono stati poi confrontati tra loro e con quelli di un gruppo di controllo di bambini sani. Inoltre, per il gruppo con COVID-19 è stato eseguito anche lo studio della funzione del microbiota.
I RISULTATI
Dalla ricerca è emerso che, al pari dell’età adulta, il microbiota intestinale dei bambini con COVID-19 è alterato e scarsamente diversificato rispetto a quello dei pazienti con altre infezioni o dei bambini sani. Nello specifico, è risultato ricco di batteri con azione prevalentemente pro-infiammatoria (Bacteroidetes e Fusobacteria) e povero di alcuni microrganismi “buoni” (Actinobacteria, Verrucomicrobia, Akkermansia, Blautia, Ruminococcus) che favoriscono il mantenimento dell’equilibrio intestinale (omeostasi).
Tuttavia, sempre rispetto al gruppo dei sani o con altre infezioni, nei bambini con COVID-19 è stato rilevato anche un aumento significativo del Faecalibacterium, un batterio noto per le sue proprietà benefiche e anti-infiammatorie che sostiene il sistema immunitario nella difesa dell’organismo. Nei pazienti adulti con la forma più grave di COVID-19 l’assenza di tale batterio è descritta proprio come indice di gravità. Inoltre, dallo studio funzionale del microbiota del gruppo COVID è emerso l’aumento di alcuni processi del metabolismo microbico che pure supportano indirettamente un’adeguata risposta immunologica.
MICROBIOTA INTESTINALE E PROTEZIONE DA COVID-19
Nell’insieme, i dati raccolti dai ricercatori del Bambino Gesù evidenziano un potenziale collegamento tra la funzione del microbiota intestinale e il decorso clinico del COVID-19 in età pediatrica. Le analisi del gruppo di ricerca supportano l'ipotesi che - rispetto agli adulti - il microbiota dei bambini, con le sue proprietà antinfiammatorie, contribuisca a ridurre la gravità dell’infezione. Lo studio apre all’ipotesi di interventi terapeutici sul microbiota per contribuire a controllare l'evoluzione di malattie importanti, incluso il COVID-19.
- Covid, la Confederazione svizzera acquista 1200 dosi di tixagevimab/ cilgavimab
L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) ha sottoscritto con AstraZeneca Svizzera un contratto per l’acquisto di circa 1200 dosi di tixagevimab/cilgavimab, un medicamento destinato alla prevenzione e al trattamento della COVID-19. Si tratta del secondo contratto concluso con l’azienda farmaceutica per riservare questo medicamento.
Il farmaco combinato consta dei due anticorpi tixagevimab e cilgavimab, e consente di proteggere le persone a rischio con un sistema immunitario indebolito da un decorso grave della COVID-19. Da studi recenti è emerso che il medicamento in questione, originariamente impiegato soltanto per un uso preventivo, è efficace anche per il trattamento di persone già ammalate di COVID-19. Per poter trattare anche queste ultime, la quantità di medicamento riservata è stata aumentata di conseguenza. Attualmente questo medicamento non è omologato, ma sulla base dell’ordinanza 3 COVID-19 può essere impiegato per il trattamento di pazienti affetti da COVID-19 già durante una procedura di omologazione in corso.
L’ordinanza 3 COVID-19 prevede alcune deroghe alla procedura di omologazione ordinaria, purché il medicamento in questione permetta, secondo i dati disponibili, di prevenire e contrastare la COVID-19. Gli anticorpi monoclonali sono prodotti mediante coltura cellulare e vengono iniettati nel paziente per neutralizzare il virus. Studi clinici mostrano che questi trattamenti offrono una protezione efficace contro le forme gravi della malattia.
- COVID. ISTAT-AGENAS, -22% RICOVERI PER ALTRE PATOLOGIE IN ITALIA NEL 2020
I ricoveri registrati nel 2020 sono stati 6,5 milioni, pari al 22% in meno rispetto al periodo pre-pandemico, con una riduzione dei ricoveri relativi ad altre patologie (diverse dal Covid, ndr) più marcata in corrispondenza della prima ondata.
In riferimento alla numerosità dei ricoveri per Covid-19, pari a 286.530, questi ultimi hanno seguito l'andamento delle ondate pandemiche, con due picchi in corrispondenza della prima (36% della casistica Covid-19 registrata nell'intero anno) e di quella di ottobre-dicembre (55%). È quanto emerge dal rapporto realizzato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e l'Istituto nazionale di statistica, che analizza per la prima volta l'impatto dell'epidemia da Sars-Cov-2 sul sistema ospedaliero italiano.
In particolare, lo studio prende in esame e descrive le caratteristiche dei ricoveri Covid-19, oltre a delineare gli effetti della pandemia sull'erogazione delle prestazioni e, più in generale, sulle attività delle strutture, grazie al confronto dei dati relativi al 2020 con la media del triennio 2017-2019. Dai dati, emerge come le diagnosi più frequentemente associate ai ricoveri Covid-19 siano state le malattie croniche del sistema respiratorio, l'ipertensione, il diabete mellito, il sovrappeso e l'obesità, e la malattia di Alzheimer.
"Con 16 milioni di contagi e oltre 160mila decessi associati alla diagnosi di infezione da Sars-Cov-2 registrati tra marzo 2020 e aprile 2022, l'Italia è stata, insieme alla Spagna, fra i Paesi europei più colpiti dalla pandemia, soprattutto nella prima fase. I dati che emergono dalla fonte amministrativa sui ricoveri ospedalieri offrono un'ulteriore conferma che l'impatto è stato molto forte- spiega Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'Istat- Il differimento delle cure e dei ricoveri non urgenti, particolarmente accentuati al Sud e nel Nord-ovest, ha lasciato un'eredità difficile, che il sistema sanitario deve ora affrontare mentre le varianti del virus continuano a diffondersi. La fruttuosa collaborazione con Agenas ha consentito di aggiungere un tassello importante alle analisi che la statistica ufficiale ha messo a disposizione di stakeholder, istituzioni nazionali e internazionali e cittadini per interpretare l'impatto dell'emergenza sanitaria da Covid-19".
"Siamo davvero molto soddisfatti della collaborazione con l'Istat- dichiara Enrico Coscioni, presidente dell'Agenas- che ci ha permesso di mettere a disposizione di tutti gli stakeholder del mondo della salute, in particolare del ministero della Salute e delle Regioni, importanti informazioni rispetto alla presa in carico dei pazienti Covid-19 all'interno dei nostri presidi ospedalieri. Ricordo che la Legge 5 giugno 2020 n.40 ha affidato all'Agenzia il compito di collaborare all'azione di potenziamento della rete di assistenza ospedaliera e territoriale, al fine di assicurare la più elevata risposta sanitaria all'emergenza epidemiologica. Questo documento attesta il nostro costante impegno per raggiungere questi risultati".
- Covid Italia, togliere isolamento e quarantena? forse si decidera' in autunno e sara' troppo tardi
Nuove regole per allentare l'isolamento dei positivi a Covid e ridurne la durata? "Come sempre arriviamo tardi. Queste cose andavano fatte un mese e mezzo o 2 mesi fa, quando qualcuno" fra gli esperti "già diceva di farle. Si sarebbe evitato di arrivare nella situazione di grandissima difficoltà che, lo assicuro, c'è in questo momento.
Io sento ogni giorno di proprietari di strutture alberghiere, ristoranti, stabilimenti balneari, ma anche ospedali, operatori della pubblica sicurezza, persone che purtroppo non stanno andando a lavorare" perché in isolamento, "e quindi stanno mancando una serie di servizi. Naturalmente noi arriviamo sempre per ultimi, come governo, e siamo obiettivamente in ritardo" anche su questo fronte. La pensa così Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova.
Mentre il ministero è al lavoro per valutare la fattibilità e la base scientifica di alcune ipotesi di quarantena 'light', Bassetti spiega all'Adnkronos Salute la sua visione: "Io credo che ci voglia un intervento drastico, cioè non si deve più contraporre lo Stato al cittadino come si è fatto fino ad oggi. Basta con la linea che dice: se non stai in quarantena noi quasi ti mettiamo in prigione. O, peggio, come succede altrove, i braccialetti elettronici o altre situazioni. Si deve invece arrivare ad avere una situazione in cui il cittadino capisce qual è l'importanza di autoisolarsi. E' attraverso la costruzione di un rapporto di fiducia che riusciremo a far capire l'importanza di tutto questo non solo per quanto riguarda Covid ma anche un domani per tutte le altre malattie infettive".
E' questo per Bassetti "il ragionamento che bisogna fare sulle quarantene, perché sennò la gente continuerà a farsi i tamponi fai-da-te e a non comunicare la propria positività. E' stato sbagliato tutto l'impianto della gestione del Covid. Oggi secondo me si può correre ai ripari, ma credo sia tardivo e non credo si possano trovare grandi soluzioni. In generale, comunque, la linea mi sembra positiva, ma tardiva nel senso che queste erano misure che andavano prima. Oggi ci troviamo nel mezzo di una fiammata" di contagi Covid "ed è chiaro che cambiare le regole in corsa è un problema". Insomma, conclude l'infettivologo, "nella gestione del Covid 2022 il voto è ampiamente insufficiente. Ho trovato lentezza, poca reazione, poca capacità di scambiare informazioni col resto d'Europa, chiusura, pessimismo". Se si dovesse dare un volto all'Italia, chiosa, sarebbe: "Rimandata. Vediamoci allora a settembre, e speriamo che questa estate si studino le cose, perché così non si va da nessuna parte".
- Covid, togliere isolamento e quarantena funziona in Europa. Italia indecisa
Una quarantena 'leggera' per le persone positive a Covid? "E' auspicabile che un provvedimento di questo tipo venga varato, e anche in fretta.
Abbiamo aspettato pure troppo" per la microbiologa Maria Rita Gismondo. "Bisogna cambiare regole veloci per tantissimi motivi", spiega all'Adnkronos Salute, sottolineandone in particolare due: da un lato "è inutile stare isolati per una tipologia di virus, come quella attuale, che causa una patologia così blanda"; dall'altra parte "è necessario che la gente non si assenti così tanto dal lavoro. In ambito, ad esempio, per questo motivo che sta veramente vivendo momenti di grande crisi sanitaria".
Commentando l'ipotesi di una circolare del ministero della Salute, che allenti le norme oggi in vigore per l'isolamento dei contagiati da Sars-CoV-2, la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano osserva che "si tratta di tipologie di misure adottate già da tempo in altri Paesi europei". Nella gestione di Covid-19 è da inizio pandemia che "l'Europa va sempre in ordine sparso", precisa Gismondo. "Come se diversomo un virus italiano diverso da quello tedesco, a sua volta da quello francese o da quello inglese, e così via", chiosa l'esperta.
- CRISANTI, IN AUTUNNO VACCINI ANTI COVID AGGIORNATI "PER MODO DI DIRE"
In autunno arriveranno "vaccini aggiornati per modo di dire". Lo sottolinea il virologo Andrea Crisanti, intervenuto a TimeLine su Sky Tg24. "Il vaccino, che verrà reso disponibile a ottobre-novembre, è tarato contro la variante Omicron superata, che non esiste più, non circola più.
Siamo arrivati a Omicron 5, e non sappiamo minimamente quale variante ci sarà a novembre. Di fronte a questo elevato numero di casi, farsi il richiamo adesso per gli over 60 e i fragili è la cosa giusta da fare. Non vale la pena aspettare e correre il rischio di infettarsi".
Non c'è alcuna motivazione, dunque, per rimandare la vaccinazione. "Il vaccino attuale - aggiunge Crisanti - ancora protegge contro le complicazioni gravi della malattia. Non ci dobbiamo aspettare in questo momento un vaccino che ci protegga contro la trasmissione del virus".
ONDATA ESTIVA -"Sembra che ci stiamo avvicinando al plateau" dei casi di Covid-19, dice Crisanti. Siamo quasi al picco di questa ondata estiva? "Con 100-150mila casi al giorno, probabilmente sottostimati della metà, quindi 300mila casi al giorno, dopo un mese di trasmissione il virus ha infettato o sta per infettare tutto quelli che poteva contagiare. Dunque, diminuendo la popolazione suscettibile, la dinamica di trasmissione del virus è in calo. Stiamo raggiungendo il plateau proprio per questo motivo: in questi ultimi 2 mesi, secondo le stime effettuate, si parla di 20-25 milioni di casi".
WEST NILE - West Nile è "un'infezione che si trasmette principalmente attraverso gli uccelli. L'uomo è solo un ospite secondario, è un danno collaterale", quando una zanzara infetta lo punge. "La Regione Veneto in passato ha implementato un programma di sorveglianza con trappole sul campo per verificare se ci fossero zanzare infette, perché prima si infettano appunto gli uccelli e le zanzare e poi l'uomo. Quindi in genere queste trappole funzionano da sentinella e danno un'idea della trasmissione tra gli uccelli. Nel momento in cui si incominciano a identificare zanzare infette, in genere si procede con ampio uso di disinfettanti. Si è fatto anche quest'anno. Senza questo sistema di sorveglianza, sicuramente la problematica sarebbe molto più ampia".
Perché proprio il Veneto risulta essere una delle aree più colpite in Italia? "Per una ragione molto semplice - ha chiarito Crisanti - Basta andare in giro per la campagna in quest'area e si vedranno una miriade di corsi d'acqua e tantissime fontane d'irrigazione. E' proprio dunque l'orografia del Veneto, che è una regione ricca d'acqua", insieme alla "fortissima vocazione agricola, che fanno sì che si generino sul campo le condizioni ideali per la moltiplicazione di zanzare".
Questo virus, ha ricordato l'esperto, "lo conosciamo da tanto tempo, da decine di anni. Si trasmetteva inizialmente nella fascia tropicale e subtropicale dell'Africa. Successivamente, circa 20-25 anni fa, per la prima volta è stato identificato a New York. In Italia le prime infezioni si sono registrate fra il 2008 e il 2010 e la peggiore epidemia di West Nile è stata nel 2018, con circa 5-6mila casi in Italia".
- COVID LOMBARDIA, IN FARMACIA PRESTO L' ANTIVIRALE PAXLOVID*
Dal "coinvolgimento della rete della distribuzione territoriale, quali grossisti e Farmacie", sarà presto reso disponibile ai cittadini lombardi il Paxlovid*, uno dei farmaci antivirali contro il Covid.
Lo ha annunciato- in un intervento scritto inviato per un'assenza forzata al convegno 'Il ruolo delle farmacie nella riforma della sanità lombarda', alla Veneranda biblioteca Ambrosiana di Milano- l'assessore regionale al welfare Letizia Moratti.
"Grazie all'utilizzo coordinato ed efficiente della rete dei distributori e, appunto, delle Farmacie siamo in grado di far arrivare il farmaco a livello di prossimità per il cittadino, garantendone la privacy. Un servizio molto apprezzato proprio perché risponde in modo tangibile a una domanda di assistenza fondamentale per i malati e per i loro assistenti", ha proseguito Moratti, che ha definito la distribuzione del Paxlovid "un progetto essenziale alla luce della recrudescenza del contagio".
La distribuzione dell'antivirale contro il Covid da parte delle farmacie è "un punto importante- sottolinea ancora la vicepresidente della Regione- perché va nella direzione di riportare alla prescrizione dei Medici di Medicina Generale e in Farmacia medicinali normalmente disponibili solo in ospedale, ma oggi indicati per uso domiciliare per il trattamento della cronicità".
- Covid, sintomi presenti ma tampone negativo. Bisogna ripetere il test dopo qualche giorno con Omicron 5.
Nell’ultimo periodo tra i contagiati dal virus SARS-CoV-2 c’è chi si è accorto di una stranezza rispetto ai primi anni di pandemia: si manifestano sintomi compatibili con quelli di Covid-19 ma il tampone risulta negativo (soprattutto quello antigenico), per diventare positivo solo quando i sintomi si sono affievoliti o quando addirittura sono del tutto scomparsi.
Uno scarto temporale, questo, che rischia di incrinare ulteriormente il già fragile sistema di contenimento dei contagi e che anche per questo ha attirato l’attenzione della comunità scientifica. Ne parla la rubrica 'Dottore, ma è vero che...?" della FNOMCeO..
È difficile stimare quanti casi riguardi, e quali persone siano più a rischio, soprattutto perché sempre meno ci si sottopone ai test ufficiali, che vengono poi tracciati dalle autorità sanitarie, ritenendo più pratici i tamponi fai-da-te da effettuare a casa. Molte persone potrebbero essere asintomatiche e quindi non accorgersi mai di aver contratto la malattia. Che questo ritardo sia reale e non solo una suggestione sembra ormai certo, ma allo stesso tempo restano parecchie incertezze sulle cause. Anche in questo caso speriamo arrivino presto le risposte, dal momento che diversi ricercatori in tutto il mondo stanno studiando l’argomento. Le prime ipotesi sono ben spiegate in un articolo uscito su The Atlantic e ripreso in Italia dal Post e da Wired.
L’ipotesi più popolare tra i ricercatori è legata al comportamento del nostro sistema immunitario: si pensa che i sintomi precedano il risultato positivo ai test, perché oggi il sistema immunitario si attiva molto più velocemente contro il virus. La comparsa dei primi sintomi sarebbe la conseguenza dell’attivazione del sistema immunitario, che combatte l’infezione. All’inizio della pandemia, infatti, i contagi avvenivano esclusivamente tra persone, che non avevano mai preso prima SARS-CoV-2 e che non erano vaccinate, e il virus poteva agire indisturbato per diversi giorni nell’organismo prima che l’infezione fosse tale da essere rilevata dal sistema immunitario. Oggi, invece, con la maggior parte della popolazione vaccinata o già esposta al virus, la reazione immunitaria avviene più rapidamente e può portare a casi in cui si hanno sintomi, ma non si risulta positivi a un test antigenico, perché la carica virale non è ancora sufficiente rispetto alla sensibilità del test. Contro questa ipotesi, tuttavia, c’è l’evidenza che anche persone che incontrano per la prima volta il virus manifestano comunque il ritardo nella positività dei tamponi.
Un’altra ipotesi riguarda la diversa dinamica con cui le più recenti varianti di SARS-CoV-2 (Omicron e le sue sottovarianti) circolano nell’organismo. Alcuni studi, infatti, hanno rilevato un minore accumulo delle particelle virali nelle cellule del naso, rendendo più probabili i falsi negativi, perché durante il prelievo con tampone non si raccoglie una quantità sufficiente per risultare positivi al test. Altri studi hanno anche scoperto che Omicron può, in alcune persone, essere rilevato in bocca o in gola prima che nelle narici.
Inoltre, i sintomi di Covid-19 sono meno specifici che in passato. Ad esempio, è oggi meno probabile che le persone positive perdano odori e sapori, mentre più spesso la malattia si manifesta con un semplice raffreddore. In alcuni casi quindi viene confusa con altro e non si può escludere che, in alcuni casi, i sintomi siano dovuti effettivamente ad altro, con solo una successiva infezione da coronavirus, che viene poi rilevata con la ripetizione dei test.
Una terza possibilità è che il ritardo sia il riflesso di come è cambiato nel tempo il modo in cui il tampone nasale viene eseguito. Il maggior ricorso ai tamponi fai-da-te, infatti, può incidere sulla qualità del risultato: molte persone non raccolgono con particolare cura né in grande profondità il materiale biologico nel naso, determinando una frequenza più alta dei falsi negativi.
Innanzitutto, la raccolta di una maggiore quantità di dati, sia tra la popolazione sia in laboratorio, potrebbe aiutare a stimare meglio la frequenza dei casi in cui il tampone sia risultato negativo già in presenza di sintomi e solo in seguito positivo.
Maggiori informazioni potrebbero anche portare a un cambiamento delle indicazioni sull’isolamento e le cautele da assumere, soprattutto in vista dell’autunno, in cui i casi potrebbero ulteriormente salire. Come sappiamo, infatti, nell’ultimo periodo le restrizioni e i tracciamenti si sono ridotti rispetto al passato e potrebbe essere necessario ripensare le strategie con l’evoluzione della situazione epidemiologica.
Per ora non è necessario preoccuparsi ma può essere utile prendere qualche precauzione in più. “Se inizi ad avere sintomi, supponi di essere contagioso", spiega Yonatan Grad, che sta studiando SARS-CoV-2 presso la School of Public Health di Harvard. "La gente dimentica che non appena si diventa sintomatici, bisognerebbe comportarsi in modo diverso. Un test negativo in presenza di sintomi non dovrebbe essere un lasciapassare per uscire”, conferma Emily Martin, epidemiologa esperta in malattie infettive dell’Università del Michigan. E questo vale in presenza di tutti i tipi di virus, non solo di SARS-CoV-2.
- VACCINO ANTI COVID, 42% CON FLUSSO MESTRUALE PIU' INTENSO. STUDIO SU SCIENCE ADVANCES
Un sanguinamento mestruale inaspettato, dopo la vaccinazione anti-Covid. "All'inizio del 2021 i casi sono stati molti", in età fertile e non, a seguito dell'iniezione contro il coronavirus, "ma a siccome in generale gli studi sui vaccini non indagano gli aspetti legati al ciclo, le segnalazioni sono state in gran parte ignorate".
E' partendo da questa osservazione che un gruppo di ricercatori americani ha lanciato uno studio su oltre 35mila partecipanti, che offre "la valutazione più completa condotta finora sui cambiamenti mestruali sperimentati nelle prime 2 settimane post-immunizzazione", spiegano gli autori su 'Science Advances'. "Un'indagine statistica - riportano - ha rilevato che il 42,1% degli interpellati ha riferito un flusso mestruale più intenso dopo la vaccinazione".
"Alcuni hanno sperimentato questo effetto nei primi 7 giorni" successivi all'iniezione, "ma molti altri hanno osservato alterazioni 8-14 giorni dopo". Va anche detto che "circa la stessa proporzione, il 43,6%, non ha riportato cambiamenti del flusso mestruale dopo il vaccino, e il 14,3% ha riferito nessun cambiamento o un flusso più leggero". Kathryn Clancy, docente di antropologia dell'Università dell'Illinois Urbana-Champaign, che ha guidato lo studio insieme a Katharine Lee, docente di antropologia dell'Università di Tulane, sottolinea come "i medici che si sono occupati dell'argomento, dopo avere raccolto le prime segnalazioni sulle alterazioni mestruali post-vaccinazione", si siano mostrati "spesso sprezzanti nei confronti delle preoccupazioni dei pazienti". Un atteggiamento al quale l'équipe di ricerca ha voluto porre rimedio con un sondaggio ad hoc, avviato nell'aprile 2021 con l'obiettivo di vederci più chiaro.
Poiché l'indagine si è basata su esperienze auto-riferite, "lo studio non può stabilire un nesso di causalità" tra vaccinazione anti-Covid e alterazioni del ciclo mestruale, tengono a precisare i ricercatori, "né essere considerato predittivo" di possibili effetti collaterali "nella popolazione generale. Però può indicare potenziali associazioni tra la storia riproduttiva di una persona, lo stato ormonale, i dati demografici e cambiamenti mestruali a seguito di vaccinazione Covid-19".
Le risposte sono state raccolte il 29 giugno 2021 e l'analisi ha incluso solo persone senza una precedente diagnosi di Covid-19, considerando che a volte la stessa infezione da Sars-CoV-2 si associa a mutamenti del ciclo mestruale. Non sono stati presi in considerazione nemmeno i dati di persone 45-55enni, per evitare fattori confondenti legati alla perimenopausa, tipicamente caratterizzata da alterazioni mestruali. "Ci siamo concentrati su chi aveva regolarmente le mestruazioni o non le aveva più, o perché in postmenopausa o perché in terapia ormonale che sopprime il ciclo", illustra Clancy.
L'analisi ha indicato ad esempio che chi aveva avuto una gravidanza mostrava maggiori probabilità di riportare sanguinamenti più pesanti post-vaccino, con un leggero aumento tra chi non aveva partorito. Ancora, la maggior parte degli intervistati senza mestruazioni perché in trattamento ormonale ha manifestato emorragie dopo la vaccinazione. L'effetto è stato inoltre segnalato da più del 70% di chi utilizzava una contraccezione reversibile a lunga durata d'azione, e dal 38,5% di chi assumeva trattamenti ormonali per l'affermazione di genere. I partecipanti all'indagine che si sono classificati come non bianchi, ispanici/latini o che erano più anziani, e quelli che hanno avuto febbre o senso di affaticamento come effetto collaterale della vaccinazione anti-Covid, avevano maggiori probabilità rispetto ad altri gruppi di riportare un flusso mestruale più intenso dopo l'iniezione. Come anche chi aveva sofferto di endometriosi, menorragia, fibromi o altri problemi riproduttivi.
Gli studiosi rimarcano che "altri vaccini, compresi quelli contro tifo, epatite B e Papillomavirus Hpv, sono talvolta associati a mutamenti nelle mestruazioni. Si ritiene che questi effetti collaterali siano legati a un aumento delle vie infiammatorie immuno-correlate - puntualizza Clancy - e che abbiano meno probabilità di essere determinati da cambiamenti ormonali". "L'ipotesi è che per la maggior parte delle persone le alterazioni mestruali post-vaccinazione anti-Covid siano di breve durata e incoraggiamo chiunque sia preoccupato a contattare il proprio medico", invita Lee. "Vogliamo ribadire - aggiunge - che vaccinarsi è uno dei modi migliori per evitare di ammalarsi gravemente di Covid-19 e sappiamo che contrarre Covid può portare non solo a cambiamenti nel ciclo, ma anche a ricoveri, Long Covid e morte".
- Covid, Ba.2.75 Centaurus potrebbe eludere l 'immunita' natuale delle altre varianti Omicron
"Penso che la dinamica di generazione delle varianti" da parte del coronavirus Sars-CoV-2 in versione Omicron "abbia una frequenza allarmante. Nel senso che nel giro di pochi mesi se ne sono generate una decina, alcune con notevole capacità infettiva". A evidenziarlo all'Adnkronos Salute è Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell'università di Padova.
"Nessuno può prevederne il percorso evolutivo - spiega - ma sicuramente siamo di fronte a un virus che ha acquisito una notevole plasticità, molto superiore" rispetto al passato. "Tutti i virus evolvono - precisa - ce ne sono alcuni che lo fanno più di altri. Il virus dell'Hiv ha un processo evolutivo spaventoso, tanto è vero che non è possibile fare un vaccino contro questo virus. Non è insolito", dunque, che nuove varianti si formino a distanza così ravvicinata.
La sottovariante di Omicron BA.2.75, continua Crisanti, è "una variante che desta preoccupazione principalmente perché è modificata la regione che viene riconosciuta dagli anticorpi neutralizzanti. Quindi di fatto questa variante potrebbe essere totalmente invisibile ai vaccini. Se ha il potenziale per diffondersi? Su questo esistono dei dati un po' contrastanti, perché l'indice di infezione secondario", che fa riferimento alla quota di casi secondari, che derivano dal contatto con un caso primario, "era piuttosto basso, perlomeno dalle prime misure. Devo dunque dire che è un po' prematuro vedere se questa variante ha una capacità di trasmissione uguale a queste ultime che abbiamo adesso".
"Non è detto" dunque, conclude Crisanti, che quella che sui social è stata ribattezzata la variante 'Centaurus' sarà la prossima variante dominante riuscendo a scalzare Omicron 5. "Non è detto, però sicuramente la preoccupazione degli organi di sorveglianza è direttamente legata a questi aspetti, alle caratteristiche delle mutazioni", che sarebbero un problema pure perché potrebbero eludere l'immunità naturale guadagnata con infezioni contratte da altre varianti Omicron. "A quel punto si riparte da zero - chiosa il virologo - Questo è il problema".
- Covid. Omicron Ba.2.75 Centaurus, numerose mutazioni ma non e' chiaro se piu' trasmissibile e grave
La sottovariante Omicron Ba.2.75, ribattezzata 'Centaurus', rilevata per la prima volta in India a inizio maggio e da allora registrata in una decina di Paesi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Germania e Canada, preoccupa i virologi perché sembra avere una capacità di trasmissibilità più elevata di Omicron 5. L'Ecdc l'ha definita il 7 luglio come "variante da monitorare".
Dalle prime rilevazioni 'Centaurus' potrebbe "essere più trasmissibile o associata a malattie più gravi,ma i dati su questo fronte sono ancora deboli". I virologi - riporta 'The Guardian' - sono stati allertati dal numero di mutazioni 'extra' contenute in BA.2.75, rispetto a BA.2 "da cui è probabile si sia evoluta".
"Non sono tanto le singole mutazioni, ma il numero di combinazioni di mutazioni che ci preoccupano - ha spiegato Tom Peacock, virologo dell'Imperial College London, che è stato il primo a identificare Omicron come potenziale problema nel novembre 2021 - È difficile prevedere l'effetto di così tante mutazioni insieme, un quadro che conferisce al virus una sorta di proprietà 'jolly' in cui la somma delle parti potrebbe essere peggiore di ciascuna di esse. Sicuramente 'Centaurus' è un potenziale candidato a sostituire BA.5. Oppure, è probabilmente il genere di cose con cui faremo i conti dopo, ovvero una 'variante di una variante'".
- VACCINI ANTI-COVID. BAMBINO GESUβ, PER GLI IMMUNODEPRESSI βSERVE STRATEGIA PERSONALIZZATAβ
Le immagini 3D mostrano gli anticorpi contro il SARS-CoV-2 (evidenziati in giallo e in azzurro) e la famosa proteina "Spike" del virus (in rosso). Gli anticorpi sono lo scudo, presente nelle persone vaccinate o guarite dalla malattia, che ostacola l'ingresso del virus nelle cellule umane.
Il ricorso ai vaccini contro il SARS-CoV-2 per i pazienti immunodepressi è fondamentale, ma nei soggetti particolarmente fragili la loro efficacia può essere minore a causa della patologia di base e o delle terapie a cui sono sottoposti.
È quanto è emerso da un gruppo di 5 studi, denominato CONVERS, condotti dai ricercatori del Bambino Gesù su diverse tipologie di pazienti fragili compresi tra i 12 e i 25 anni. L’ultimo studio, su bambini e ragazzi affetti da infezione perinatale da HIV, è stato appena pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases.
«La maggior parte dei soggetti immunodepressi - spiega Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia dell’Ospedale della Santa Sede – risponde al vaccino ma in misura minorerispetto ai soggetti sani, con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria non sviluppa purtroppo alcuna forma di immunità al virus. Per questi pazienti fragili è importante intervenire con una strategia vaccinale di rinforzo e personalizzata».
I 5 STUDI “CONVERS”
Gli studi sull’efficacia dei vaccini anti-COVID sugli immunodepressi sono stati condotti dai ricercatori dall’Unità di ricerca di Immunologia Clinica e Vaccinologia su 5 diverse categorie di bambini e ragazzi: con immunodeficienza primitiva, trapiantati di cuore/polmone, con malattia infiammatoria cronica intestinale, con Sindrome di Down e coninfezione perinatale da HIV.
Le indagini fanno parte del progetto denominato CONVERS, e sono state pubblicate, rispettivamente, sulle riviste scientifiche Frontiers in Immunology, Transplantation, Vaccines, Journal Clinical Medicine e Clinical Infectious Diseases. I primi due studi, quelli su immunodeficienza primitiva e trapianti di cuore/polmone erano stati pubblicati a ottobre 2021.
I progetti di ricerca sono stati condotti su una coorte complessiva di 165 pazienti di età compresa tra i 12 e i 25 anni, di cui 21 affetti da immunodeficienza primitiva, 34 sottoposti a trapianto di cuore e polmone (30 cuore, 2 cuore-rene, 2 polmone), 30 da malattia infiammatoria cronica intestinale, 40 da Sindrome di Down e 40 da HIV.
Nei vari gruppi è stata analizzata la risposta alle prime due dosi del vaccino Pfizer, sia quellasierologica (cioè la quantità di anticorpi presenti nel sangue) che, in 3 dei 5 gruppi, quella cellulare(ovvero la presenza di linfociti T specifici contro il SARS-CoV-2 e, nel caso dei trapiantati di fegato e rene, dei linfociti B). I dati sono stati poi confrontati con quelli di gruppi di controllo composti da persone sane, sottoposte alla vaccinazione anti-COVID nello stesso periodo.
I RISULTATI
Dai 5 studi emerge che la maggior parte dei bambini immunodepressi risponde al vaccino – risultato confortante – anche se in misura generalmente minore rispetto ai soggetti sani (meno anticorpi e meno linfociti specifici contro il SARS-CoV-2) e con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria di soggetti – particolarmente immunocompromessi – non sviluppa alcuna forma di immunità al virus.
Nel dettaglio, per quanto riguarda l’indagine sui pazienti con infezione perinatale da HIV (condotta in collaborazione col Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero del Bambino Gesù), l’analisi sierologica ha rilevato che il 100% dei ragazzi ha sviluppato anticorpi specifici per SARS-COV-2, ma significativamente inferiori rispetto al dato medio del gruppo di controllo. L’analisi cellulare ha invece rilevato nell’89% dei casi una mancata di espansione di linfociti T specifici a causa della condizione infiammatoria di base tipica dell’HIV e della capacità da parte del sistema immunitario del paziente di controllarla.
Nella ricerca sui soggetti con malattia infiammatoria cronica, condotta in collaborazione col Dipartimento di Pediatrie Specialistiche e Trapianto Fegato Rene, l'analisi sierologica ha mostrato una buona risposta, comparabile al gruppo di controllo. Tuttavia nei pazienti che utilizzano farmaci anti-TNF, degli anticorpi monoclonali per il trattamento di questa patologia, la risposta sierologica si è rivelata inferiore in media del 43% rispetto al gruppo con regimi terapeutici immunosoppressivi senza anti-TNF. In questi pazienti la causa della minore efficacia dipende quindi dalla tipologia di trattamento che seguono.
Lo studio sulla coorte con Sindrome di Down è stato realizzato con la collaborazione del Dipartimento di Emergenza, Accettazione e Pediatria Generale e ha rivelato in tutti i pazienti una risposta sierologica, ma comparabile a quella degli adulti di età superiore ai 65 anni. Quindi molto inferiore rispetto ai pari età sani. Il problema della minore risposta risiede nell’invecchiamento precoce del sistema immunitario tipica di questa sindrome.
Per quanto riguarda l’indagine sui pazienti con immunodeficienza primitiva, l’analisi sierologica ha rilevato che il 14% dei ragazzi non ha sviluppato anticorpi. Sul restante 86% è stata riscontrata una buona risposta anticorpale, benché inferiore al dato medio del gruppo di controllo. L’analisi cellulareha invece rilevato l’assenza dei linfociti T specifici nel 24% dei soggetti. Le ragioni della minore efficacia in questi soggetti sono da ricercare nel malfunzionamento del sistema immunitario tipico di questa patologia. La ricerca è stata condotta in collaborazione col Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero.
Infine, lo studio sui bambini sottoposti a trapianto di cuore e polmone ha rivelato come il 31% non abbia sviluppato anticorpi. Sul restante 69% è stata registrata una risposta anticorpale, ma a livelli significativamente inferiori a quelli del gruppo di controllo. Anche sul fronte dell’analisi cellulare, l’indagine realizzata in collaborazione col Dipartimento di Cardiochirurgia, Cardiologia e Trapianto Cuore Polmone, ha evidenziato un mancato incremento di linfociti T SARS-CoV2 specifici nel 31% dei pazienti. Nei soggetti con trapianto di cuore e polmone la bassa risposta dipende dallatipologia di trattamento a cui vengono sottoposti (quelli trattati con micofenolato hanno meno probabilità di rispondere adeguatamente).
Tutti e 5 gli studi si sono avvalsi della collaborazione del Dipartimento di Medicina Diagnostica e di Laboratorio e hanno confermato la sicurezza dei vaccini anti-SARS-CoV-2 anche per quanto riguarda i pazienti fragili: dopo la somministrazione delle dosi sono stati registrati solo effetti collaterali transitori e di lieve entità.
LE PROSPETTIVE FUTURE
Adesso si dovranno effettuare ulteriori studi per comprendere a fondo i meccanismi biologiciresponsabili della minore risposta vaccinale. Questo permetterà di intervenire in maniera personalizzata per ogni gruppo di bambini fragili risolvendo il problema della scarsa risposta vaccinale.
«La strategia vaccinale va adattata alle specificità di ogni gruppo di pazienti – spiega il professor Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù - Alcuni gruppi rispondono meglio a una vaccinazione eterologa, altri hanno bisogno di una formulazione specifica, altri ancora devono rimodulare i trattamenti a cui sono sottoposti e che influiscono negativamente sull’efficacia della vaccinazione. In attesa di individuare le migliori strategie vaccinale restano fondamentali le dosi aggiuntive che garantiscono comunque una valida forma di protezione in queste categorie di pazienti. La minore efficacia degli attuali vaccini anti-SARS-CoV-2 nelle diverse tipologie di soggetti fragili conferma inoltre l’importanza della vaccinazione sia dei loro caregivers che della popolazione in generale».
Proprio di vaccinazione nei pazienti fragili si occuperà la quarta conferenza internazionale sulla vaccinazione di precisione (IPVC) che si terrà dal 5 al 7 ottobre 2023 a Roma, per la prima volta in Italia, e che sarà ospitata dal Bambino Gesù in collaborazione con l’Università di Harvard ed il Boston Children’s Hospital.
- Covid, immunita' naturale superiore a quella da vaccino
Se contro Covid-19 l'immunità di gregge resterà o meno un'utopia, "non è possibile prevederlo adesso", perché "dipenderà dalle mutazioni future del virus. E comunque l'immunità naturale sarà sempre superiore a quella conferita da vaccini vecchi". Così all'Adnkronos Salute Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano.
"Questo virus è tutto ancora da scoprire" nelle evoluzioni che avrà, premette l'esperta. Però "noi - aggiunge - possiamo sempre guardare a quella che è stata la storia delle pandemie, che sono finite solo quando il virus si è diffuso, si è creata un'immunità e la maggior parte della popolazione si è trovata protetta". E' proprio nella speranza che la storia si ripeta che "io credo - ribadisce la microbiologa - che in questa fase in cui Sars-CoV-2 si sta diffondendo così significativamente, possiamo aspettarci che la popolazione rimanga immune e che la pandemia possa finire. Ripeto - tiene a precisare Gismondo - è un pensiero di esperto che si fonda su quelle che sono le conoscenze e su quella che è la storia delle pandemie. Se poi questo virus si comporterà diversamente, certamente non lo posso prevedere".
?
- Covid, ECDC / EMA raccomandano quarta dose per over 60 e fragili
"In Europa è attualmente in corso una nuova ondata" di Covid-19, "con tassi crescenti di ricoveri in ospedale e in terapia intensiva".
Pertanto, sulla quarta dose, "ora è fondamentale che le autorità sanitarie pubbliche considerino le persone tra i 60 e i 79 anni, nonché i vulnerabili di età, per un secondo booster" di vaccino contro Sars-CoV-2. Così il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e l'Agenzia europea del farmaco (Ema), in una dichiarazione congiunta, in cui raccomandano di procedere ora a una quarta dose vaccinale allargata.
Il secondo booster di vaccino anti-Covid può essere somministrato a over 60 e fragili indipendentemente dall'età "almeno 4 mesi dopo" l'ultima dose, "con particolare attenzione alle persone che hanno ricevuto il richiamo precedente più di 6 mesi fa", precisano Ecdc ed Ema, confermando che "i vaccini attualmente autorizzati continuano a essere altamente efficaci nel ridurre i ricoveri ospedalieri per Covid-19, le forme gravi di patologia e i decessi", anche mentre circolano nuove "varianti emergenti di Sars-CoV-2".
- Aiuti finanziari COVID-19 per lo sport, misure di rilancio nel 2022 in Svizzera
Durante la pandemia di COVID-19 circa mezzo milione di franchi in sostegni finanziari da parte della Confederazione hanno contribuito ad evitare l'indebolimento delle strutture dello sport svizzero.
Tuttavia, dopo la revoca di tutte le misure sanitarie le sfide nell'ambito dello sport non sono terminate. Per questo motivo, i 50 milioni di franchi stanziati per il 2022 sono stati destinati a misure di rilancio nello sport. Inoltre, l'Ufficio federale dello sport ha deciso come intende gestire le questioni aperte relative al versamento di contributi negli anni 2020 e 2021.
Fin dall'entrata in vigore delle misure di igiene e di comportamento dovute alla pandemia, la Confederazione ha sostenuto lo sport con numerosi pacchetti d'aiuti. Grazie a tale sostegno, pari a circa mezzo miliardo di franchi, è stato possibile evitare l'indebolimento delle strutture dello sport svizzero. Per lo sport di prestazione e lo sport di squadra professionistico sono stati finora concessi mutui e contributi a fondo perso per circa 186 milioni di franchi, mentre per lo sport femminile, delle giovani leve e di massa sono stati versati circa 300 milioni di franchi nel quadro di pacchetti di stabilizzazione.
50 milioni di franchi per rilanciare lo sport
Anche dopo la revoca di tutte le misure sanitarie, per lo sport le sfide legate alla pandemia non sono finite. Molte società, ad esempio, devono far fronte ad un'emorragia di associati. Per questo motivo si è deciso di protrarre il sostegno anche nel 2022.
Con l'approvazione a dicembre 2021 di 50 milioni di franchi per il 2022, il Consiglio federale e il Parlamento hanno espresso la volontà di sostenere lo sport anche nella fase di «rinascita» post pandemia di COVID-19. È questo lo scopo del pacchetto di stabilizzazione 2022 che vede in primo piano le misure di rilancio.
L'UFSPO definirà ora con Swiss Olympic il modo in cui questi contributi saranno impiegati nel dettaglio. È importante che anche in futuro lo sport svizzero disponga di buone strutture e che sia in grado di superare a lungo termine gli effetti della pandemia.
Verifica dei contributi versati a favore del calcio nel 2021 e nel 2022
Per quanto riguarda gli aiuti finanziari erogati negli anni 2021 e 2022, l'UFSPO ha effettuato verifiche approfondite nel calcio professionistico. Tali verifiche si basano anche su un rapporto della revisione interna del DDPS che aveva confermato le costatazioni alle quali erano giunti Swiss Olympic e UFSPO, secondo cui vi erano delle questioni aperte per quanto riguarda l'ammontare degli aiuti finanziari percepiti dai club della Swiss Football League destinati allo sport femminile, delle giovani leve e di massa e quelli destinati all'ambito professionistico. La questione della differenziazione è una tematica complessa.
Per quanto riguarda il 2020, nella sua analisi l'UFSPO è arrivato alla conclusione che l'ammontare dei contributi versati dal pacchetto di stabilizzazione ai club della Swiss Football League non rispettava in ogni singolo caso le finalità di tale pacchetto. Si tratta approssimativamente di 6 milioni di franchi.
L'UFSPO ha deciso di effettuare una ponderazione globale in merito ai pacchetti di aiuti. In questo modo si tiene in considerazione la situazione di grande urgenza creatasi all'inizio della pandemia nonché le insicurezze per quanto riguarda l'impiego dei fondi provenienti dai singoli pacchetti di aiuti dovute ai numerosi adeguamenti delle basi legali durante il processo di attuazione. Concretamente, in questa ponderazione globale la somma degli importi versati alle società sportive provenienti dal pacchetto di stabilizzazione e dei contributi a fondo perso non può superare i danni finanziari causati dalla pandemia e documentati dai club. In caso contrario sarebbe necessario il rimborso degli aiuti finanziari stanziati con i soldi dei contribuenti. L'UFSPO ha incaricato Swiss Olympic, in qualità di beneficiario dei sussidi, di attuare queste direttive. Tale attuazione è verificata da un organo indipendente.
Per il pacchetto di stabilizzazione 2021 non è possibile impiegare in modo analogo questa ponderazione globale. Durante l'attuazione del pacchetto di stabilizzazione 2021, Swiss Olympic e Associazione Svizzera di Football erano a conoscenza della necessità di fare chiarezza. L’importo in discussione ammonta a circa 4 milioni di franchi. In occasione di un incontro a fine agosto, la ministra dello sport Viola Amherd, Swiss Olympic nonché l'Associazione Svizzera di Football discuteranno su come procedere.
- COVID, COME RECUPERARE LA MEMORIA DI GUSTO E OLFATTO PERDUTI
Un nuovo trattamento contro il long Covid, per recuperare memoria, gusto e olfatto, persi da donne e uomini di tutto il mondo che in questi ultimi due anni hanno contratto il virus.
E' il protocollo 'Di Stadio', dal nome della scienziata italiana che lo ha inventato, una terapia che combina la riabilitazione olfattiva con una molecola anti-neuroinfiammazione, PEA-LUT, in grado di agire sul controllo delle alterazioni del sistema nervoso centrale. Il trattamento, sperimentato, è ormai diffuso negli ospedali italiani e anche all'estero, tra Stati Uniti, Spagna e Germania. Consente di tornare a sentire odori e sapori, con un recupero delle funzioni olfattive nel 92% dei casi (miglioramento) e un ritorno al normale olfatto in oltre il 50% dei Iasi, come spiegato nella pubblicazione su "Current Neuropharmacology".
In un altro studio in corso di revisione su Cells, è stato dimostrato che l'utilizzo del PEA-LUT associato con la riabilitazione olfattiva è in grado di migliorare la così detta "brain fog" in più del 50% dei pazienti; inoltre anche il solo utilizzo della molecola era in grado di far migliorare la brain fog, cosa assolutamente non osservata con la sola riabilitazione olfattiva. "La prevalenza complessiva della disfunzione olfattiva nei pazienti con Covid-19 è stata del 47,85%. Nel 54,4% dei pazienti europei, nel 51,11% dei nordamericani, nel 31,39% degli asiatici, nel 10,71% degli australiani- spiega la professoressa Arianna Di Stadio, Docente di Otorinolaringoiatria all'Università di Catania e ricercatore onorario per il Dipartimento Neuroscienze Queen Square Neurology UCL di Londra- In sintesi ben il 65% degli individui guariti dal Covid 19 sperimenta una disfunzione olfattiva di qualche forma 18 mesi dopo. Data la quantità di tempo trascorso dall'iniziale insulto al sistema olfattivo, il rischio è che questi problemi olfattivi, se non adeguatamente trattati, siano permanenti".
Da qui la messa a punto del protocollo, una sorta di fisioterapia 'nasale', la riabilitazione olfattiva, associata alla somministrazione di un alimento a fini medici speciali a base di PEALut. "Abbiamo combinato la riabilitazione olfattiva, unico trattamento scientificamente validato per i disturbi olfattivi prima del nostro studio, con la molecola anti-neuro-infiammazione PEALut- spiega l'esperta- l'utilizzo di questa molecola era basato sul concetto che la perdita dell'olfatto fosse causata da una neuroinfiammazione centrale causata appunto dall'infezione da Covid-19. Poiché la neuroinfiammazione non permette la normale trasmissione del segnale nel cervello, i pazienti affetti da anosmia post Covid non sono in grado di percepire gli odori a livello centrale, ma la porzione periferica dell'apparato olfattivo- il neuroepitelio che si trova nel naso- va generalmente incontro a un'infiammazione transitoria che sparisce in poco tempo, restituendo a questa struttura il suo normale funzionamento. I recettori degli odori a livello del naso però si saturano dopo pochi secondi di esposizione agli odori, impedendo così di sentire l'odore".
"La riabilitazione olfattiva tradizionale esponeva il paziente per un tempo troppo lungo a odori troppo intensi, tanto più considerando che il naso funzionava mentre era il cervello a non sentire. Tale modalità poteva aumentare il rischio di incappare in danni del neuroepitelio con conseguenti problematiche olfattive (ad esempio la parosmia). Nel protocollo, invece- sottolinea la neuroscienziata- i pazienti sono stati esposti agli odori per pochi secondi, con pause più lunghe tra lo sniffing dei vari elementi usati per la riabilitazione. Inoltre, abbiamo usato oli essenziali 100% organici che non venivano odorati direttamente dalla boccetta ma preparati in modo tale da non danneggiare i recettori nel naso".
- Covid Italia, aumento della congestione delle strutture ospedaliere ma pressione contenuta su terapie intensive
"Data l'elevata velocità di circolazione del virus" Sars-CoV-2, "e il fatto che d'estate ci sono sempre grandi eventi e grandi aggregazioni di persone", per proteggersi dal rischio di contagio Covid "è bene mantenere comportamenti prudenti e soprattutto usare la mascherina in caso di grandi aggregazioni".
Così il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, commenta in un video i dati emersi dal monitoraggio settimanale ministero-Istituto Superiore di Sanità sull'andamento epidemiologico Covid-19.
In Italia, spiega Rezza, si registra "un aumento della congestione delle strutture ospedaliere anche se, per fortuna, il tasso di occupazione dei posti di terapia intensiva è ancora relativamente basso".
Anche gli altri indicatori continuano a mostrare dati in aumento. "Continua a crescere anche questa settimana - riepiloga Rezza - il tasso di incidenza dei casi di Covid-19 nel nostro Paese, che si fissa intorno a 1.071 casi per 100mila abitanti, quindi abbiamo superato di nuovo quota 1.000. Anche l'Rt mostra una tendenza alla salita: siamo ormai a 1,4, quindi ben al di sopra dell'unità. Per quanto riguarda il tasso di occupazione dei posti letto di area medica e di terapia intensiva, siamo rispettivamente al 13,3% e al 3,5%".
Rezza torna poi a ricordare che "possiamo proteggere le persone più fragili e più anziane dalle forme gravi di malattia grazie alla seconda dose booster di vaccino".
Anche il presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss), Silvio Brusaferro, sottolinea che "a fronte di un numero molto elevato di nuovi casi" di persone positive a Sars-CoV-2, "la pressione sulle terapie intensive è ancora contenuta", commentando i risultati di un'analisi condotta dall'Iss su dati della Siaarti (Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva), relativi a un campione di 167 reparti di terapia intensiva distribuiti su tutto il territorio nazionale, per un totale di 1.381 pazienti monitorati.
"Tra i vari fattori - spiega Brusaferro - questo è certamente dovuto all'elevata immunizzazione e alla adesione alla campagna vaccinale" anti-Covid, "con il vaccino che si conferma protettivo nei confronti della malattia grave. Dobbiamo però tenere alta l'attenzione - ammonisce il numero uno dell'Iss - perché con un'alta circolazione del virus il rischio, specie per i più fragili, rimane significativo".
- VACCINO ANTI COVID. MALATTIE PREGRESSE, ETA' E STILE DI VITA INFLUENZANO RISPOSTA IMMUNITARIA
Un nuovo studio, promosso dalla Sapienza e dal Policlinico Umberto I, ha identificato i fattori demografici, clinici e sociali che interferiscono con la risposta immunitaria in seguito alla vaccinazione anti Covid-19. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Journal of Personalized Medicine, aprono la strada a programmi vaccinali personalizzabili.
È ormai noto che per il controllo a lungo termine della pandemia da Covid-19 risulta cruciale l'immunità indotta dal vaccino. Tuttavia, diverse variabili possono incidere sulla capacità degli individui di acquisire quest'immunità. Una nuova ricerca interamente italiana, promossa dalla Sapienza e dal Policlinico Umberto I e coordinata da Stefania Basili del Dipartimento di Medicina traslazionale e di precisione della Sapienza, ha permesso di individuare una correlazione tra la risposta immunitaria acquisita dopo la somministrazione del vaccino anti Covid-19 e alcune variabili demografiche, cliniche e sociali, tra cui l'età, il sesso, le malattie pregresse, l'abitudine tabagica e lo stato civile. Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Personalized Medicine, è frutto della collaborazione dei dipartimenti universitari della Sapienza con il Policlinico Umberto I e ha visto la partecipazione degli operatori della salute dell'ospedale universitario. Un campione di 2065 lavoratori sanitari del Policlinico Umberto I, a cui era stato somministrato il vaccino anti Covid-19 a mRNA di Pfizer BioNTech, è stato sottoposto a due prelievi di sangue, dopo 1 mese e dopo 5 mesi dalla seconda vaccinazione.
"A tutti i soggetti coinvolti- spiega Stefania Basili, coordinatrice dello studio- è stato somministrato un questionario per raccogliere informazioni personali ed è stato eseguito un test sierologico quantitativo in grado di rilevare gli anticorpi anti-proteina S (Spike) del virus Sars-CoV2, il miglior strumento per valutare l'immunità acquisita a seguito della vaccinazione o dell'infezione". Dai risultati è emerso che dopo un mese dalla vaccinazione i soggetti con una pregressa infezione da Covid-19 e quelli più giovani hanno livelli di anticorpi più alti rispetto alle altre persone del campione considerato. Al contrario, le malattie autoimmuni, le patologie polmonari croniche e il tabagismo sono correlati ai più bassi livelli di risposta anticorpale. Dopo cinque mesi dalla vaccinazione si è osservata una diminuzione mediana del 72% del livello anticorpale, che però è meno evidente nelle donne e nei soggetti con infezione pregressa. Invece nei fumatori, negli ipertesi e nei meno giovani è stato riscontrato un crollo drammatico di circa l'82% dei livelli di anticorpi anti-Spike.
Tra gli autori della ricerca anche la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, che dichiara: "Lo studio mette in rilievo come il perseguimento della salute, anche di fronte a situazioni pandemiche, sottenda a un più generale principio di benessere sociale. I fattori legati agli stili di vita, infatti, hanno un ruolo rilevante nella risposta immunitaria. La prima cura è quindi l'innalzamento della cultura sanitaria e degli standard qualitativi di vita". I ricercatori hanno inoltre rivelato un mantenimento maggiore della risposta anticorpale nei soggetti single o conviventi rispetto ai soggetti sposati, divorziati o vedovi, anche se questa associazione potrebbe essere dovuta ad altre variabili cliniche inesplorate, come lo stile alimentare e l'indice di massa corporea. "Gli esiti di questo lavoro che ancora una volta sottolineano l'importanza degli stili di vita- dichiara Fabrizio d'Alba, direttore generale del Policlinico Umberto I- ci rendono sempre confidenti della validità del percorso intrapreso da Sapienza e Umberto I.
Un percorso comune in un'ottica di scambio sinergico che renderà più forte la nostra comunità scientifica". Lo studio, spiega Domenico Alvaro, preside della Facoltà di Medicina ed odontoiatria, "è una dimostrazione di come Azienda ed Ateneo siano in assoluta sintonia anche nella ricerca, ed in particolare in settori così rilevanti per la salute pubblica. Inoltre, la ampia partecipazione del personale sanitario dimostra il senso di responsabilità per raggiungere dei risultati che, anche nei confronti di Covid-19, rappresentano un ulteriore stimolo a perseguire sani stili di vita". "Sebbene il nostro studio abbia confermato molte correlazioni già note, ha anche preso in considerazione per la prima volta- conclude Stefania Basili- molti fattori tra cui il livello di istruzione, il tipo di lavoro, lo stato civile e il carico di coinvolgimento familiare. Aldilà dei risultati, l'auspicio è che la nostra analisi possa incoraggiare ulteriori ricerche a indagare gli effetti delle variabili legate al genere e allo stile di vita sulla risposta immunitaria, facendo emergere una medicina personalizzata e di precisione".
- Covid, nuova campagna vaccinale in Italia da settembre. Con vecchie dosi o con le anti Omicron 5?
"A settembre seguiremo come sempre le indicazioni delle autorità scientifiche, ma sicuramente" contro Covid "ci sarà una campagna di vaccinazione nuova. Stiamo lavorando ad un nuovo piano, una campagna importante e significativa che ci aiuterà e rafforzerà".
Così il ministro della Salute, Roberto Speranza, a margine dell'Assemblea di Farmindustria a Roma.
“Abbiamo il 90% degli over 12 vaccinato in Italia, abbiamo anticorpi monoclonali e antivirali, c’è una situazione diversa, ma ciò non toglie che dobbiamo tenere alta l’attenzione, monitorare, invitare le persone alla prudenza, e portare le mascherine nei luoghi e situazioni a rischio" ha detto Speranza, commentando i dati dell’Agenas che hanno evidenziato come con Omicron 5 i contagi siano 100 volte superiori rispetto allo scorso anno. "E poi, dobbiamo insistere con la campagna di vaccinazione che è in corso: chi non ha fatto la terza dose può farla, sfioriamo 40 mln di persone che hanno fatto il booster, ma si può crescere. Anziani e fragili facciano il secondo booster. Il mio appello è di non aspettare, poi a settembre ci sarà un campagna più larga, ma chi è particolarmente esposto deve difendersi con il secondo booster e l'utilizzo della mascherina" ha sottolineato.
Secondo quanto riporta la Fondazione Gimbe nell'ultimo monitoraggio indipendente su Covid-19, relativo al periodo 29 giugno-5 luglio, in Italia "al 6 luglio sono state somministrate 932.800 quarte dosi" di vaccino anti-Covid, "con una media mobile di 5.809 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 6.109 della scorsa settimana (-4,9%). In base alla platea ufficiale (4.422.597 persone, di cui 2.795.910 di over 80, 1.538.588 pazienti fragili della fascia di età 60-79 anni e 88.099 ospiti delle Rsa che non ricadono nelle categorie precedenti), aggiornata al 20 maggio, il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi (sottostimato dal mancato aggiornamento della platea) è del 21,1% con nette differenze regionali: dal 6,6% della Calabria al 41,3% del Piemonte".
- GISE. FINITA EMERGENZA CUORE, SI TORNA A LIVELLI PRE-COVID. CONGRESSO A NAPOLI
Coronarografie, angioplastiche, interventi di sostituzione delle valvole cardiache sono tornati ai livelli pre-Covid: dopo lo stop forzato imposto dalla pandemia e un 2020 in cui il numero di procedure di cardiologia interventistica è diminuito in media quasi del 20%, oggi gli interventi registrano un incremento a doppia cifra rispetto all’anno precedente e il volume di procedure è pari a quello del 2019.
Nel 2021 per esempio sono state eseguite 146.529 angioplastiche a fronte di 133.168 registrate nel 2020, le TAVI sono state 9911 contro soltanto 7605 eseguite nel 2020, mentre sono ben 278.312 le coronarografie diagnostiche eseguite in tutto il Paese. Lo rivela il Registro dell’attività dei 273 Laboratori di emodinamica e cardiologia interventistica italiani, i cui dati sono stati discussi dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) durante il congresso GISE Think Heart, a Napoli il 7 luglio: i dati 2021 del Registro, una realtà unica che monitora fedelmente l’attività di tutta la cardiologia interventistica in Italia fin dal 1981, mostrano come soprattutto grazie all’impegno del personale sanitario sia stato possibile recuperare in gran parte i ritardi dovuti alla pandemia. Gli esperti segnalano tuttavia che i pazienti oggi hanno spesso un quadro cardiaco più compromesso rispetto al passato e anche per questo diventa sempre più necessario fare uno sforzo per ottimizzare l’organizzazione dei percorsi fra ospedale e territorio, così da gestire al meglio le risorse a disposizione e garantire ai cittadini gli esiti migliori in termini di qualità di vita dopo gli interventi.
“Nel 2021 finalmente possiamo dire di avere recuperato gran parte dei ritardi nelle procedure interventistiche dovuti alla pandemia: il numero di angioplastiche coronariche con stent, per esempio, è cresciuto del 10% rispetto al 2020 e quello delle TAVI del 30%, gli interventi per ridurre il rischio di ictus come l’occlusione percutanea dell’auricola sinistra o l’occlusione del forame pervio sono aumentati del 30-35% – spiega Giovanni Esposito, presidente Società Italiana di cardiologia Interventistica (GISE) e direttore della UOC di Cardiologia, Emodinamica e UTIC dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli –. Tutto ciò è stato reso possibile soprattutto grazie all’impegno e l’abnegazione del personale, che non è aumentato ma si è anzi ridotto”.
Questo ha consentito di rimettere in luce anche problemi strutturali noti e ora più evidenti. “Restano alcune criticità e l’Italia, soprattutto per l’applicazione delle nuove tecnologie, resta ancora agli ultimi posti in Europa: la riparazione transcatetere della valvola mitrale, per esempio è cresciuta solo del 5% e soprattutto non è ancora diffusa a livelli accettabili per le esigenze cliniche dei cittadini – prosegue Esposito –. Inoltre circa 10.000 italiani hanno avuto accesso alla TAVI e il ricorso a questa procedura è in crescita, ma i dati di TAVI per milione di abitanti mostrano ancora un gap di trattamento e soprattutto un’accentuata variabilità regionale, indicando che tuttora molte persone che avrebbero indicazione alla terapia, la cui platea si è anche allargata con le linee guida scientifiche più recenti, non la ricevono. Infine, anche nel caso delle angioplastiche coronariche con stent, i dati non sono tutti in positivo, sebbene si possa dire che l’impatto del Covid sia stato parzialmente recuperato in termini di numero di prestazioni: soprattutto nella prima fase della pandemia, infatti, i pazienti hanno evitato di recarsi in ospedale anche in presenza di sintomi di infarto, così ora è maggiore il numero di pazienti più complessi e compromessi, con peggiori esiti a lungo termine sulla funzionalità cardiaca complessiva”.
Questo significa che i pazienti oggi hanno spesso un quadro cardiaco più compromesso rispetto al passato. “Anche per questo – conclude il prof. Esposito – diventa sempre più necessario fare uno sforzo per ottimizzare l’organizzazione dei percorsi fra ospedale e territorio, così da gestire al meglio le risorse a disposizione e garantire ai cittadini gli esiti migliori in termini di qualità di vita dopo gli interventi”.
- COVID, MEDICI E OPERATORI DECEDUTI. SPERANZA, A LAVORO PER ELARGIRE PRESTO I FONDI
Sono ben 374 i medici deceduti a causa del Covid-19 contratto in servizio, molti dei quali rappresentano i medici di medicina generale (Mmg) e pediatri di libera scelta che non essendo lavoratori subordinati non rientrano nelle tutele Inail previste per gli ospedalieri.
Il decreto legge n. 18 del 2020 istituisce un fondo con dotazione di 10milioni di euro destinati ad iniziative di solidarietà destinate a familiari di medici e operatori sanitari deceduti a causa del virus. Fondo poi incrementato a 15 miloni. Nel corso del question time odierno l'onorevole Virginia Villani M5S ha chiesto al ministro Speranza di conoscere i tempi e le modalità di erogazione delle risorse. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha così risposto: "Il tema mi è molto caro. La legge del 27 aprile del 2022 n. 34 ha incrementato da 10 a 15 milioni di euro le risorse del fondo, istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, destinato a speciali elargizioni a favore dei coniugi e figli dei medici e operatori impegnati nella gestione del Covid-19 e che abbiano contratto la patologia prestando il servizio e al quale sia conseguita la morte diretta. Nel mese di giugno il dipartimento delle politiche famiglia ha convocato una riunione di coordinamento presso il ministero della Salute per analizzare la natura dell'elargizione, l'individuazione dei destinatari, le quote da definire rispetto alla platea a cui corrispondere l'indennizzo e l'individuazione di un soggetto tecnico per la procedura di rilascio del beneficio. Si è ipotizzato che l'Inail possa svolgere tale ruolo. Il 4 luglio si è tenuta una riunione di coordinamento tra il dipartimento politiche della famiglia e l'Inail".
"E' ferma intenzione del Governo elargire in tempi rapidi i fondi destinati ai familiari di tutto il personale sanitario deceduto compresi i mmg, punto essenziale del Ssn, che hanno sacrificato con spirito di servizio la loro vita durante la pandemia. In conclusione voglio ricordare che oltre a tali risorse, stabilite dallo Stato, ci sono delle somme pari a oltre 12 milioni di euro che sono gestite dalla protezione civile legate al fondo denominato 'Sempre con voi' costituito dal 5 aprile 2020 che fino ad oggi ha consentito a 298 nuclei familiari di beneficiare di una speciale elargizione". L'onorevole Gilda Sportiello m5s, ha aggiunto in conclusione sul tema: "In questa aula abbiamo ringraziato tutto il personale sanitario che nei duri mesi della pandemia è andato oltre l'offerta di un mero servizio e che anzi ha dato tutto se stesso. Come ricordava la collega Villani sono 374 i morti ma non si tratta di numeri ma di famiglie con una storia che aspettano un gesto e una presenza dallo Stato. Ci auguriamo che l'emanazione del decreto avvenga in tempi brevissimi e ci auguriamo che le risorse vengano implementate. Conosciamo la sua sensibilità Ministro ma facciamo in fretta".