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- Report, proteggere medici e pazienti in tempo di coronavirus Covid-19 #ASCO20
- Best practice per il triaging / screening dei pazienti prima degli appuntamenti per ridurre il rischio di infezione
- Linee guida per fornire cure per il cancro ai pazienti con COVID-19 positivi o sotto inchiesta per COVID-19
- Considerazioni per la comunicazione con il personale e i pazienti sui nuovi protocolli per proteggere la salute e la sicurezza dei pazienti
- Politiche e protocolli suggeriti per limitare la diffusione dell'infezione da parte del personale sanitario attraverso screening, test, congedi per malattia modificati e politiche di lavoro da casa, e altre misure
- Guida per stabilire politiche di distanziamento fisico in aree cliniche, amministrative e non di cura delle strutture oncologiche
- Best practice per stabilire le priorità, programmare e fatturare le visite di telemedicina
- Risorse per informare quando e come ristabilire gli screening del cancro e altre cure critiche per il cancro, tra cui oncologia medica, oncologia radiologica, chirurgia e servizi ausiliari
- Early Data Show Cancer Progression Associated With Increased Risk of Death in Patients With coronavirus COVID-19 #ASCO20
- Coronavirus Svizzera, test pubblico del sistema di tracciamento di prossimita' app SwissCovid
- MSD scende in campo a livello globale per combattere il coronavirus COVID-19
- l’acquisizione di Themis Bioscience, azienda focalizzata sui vaccini e sulle terapie di immunomodulazione per le malattie infettive, incluso COVID-19;
- la collaborazione con IAVI - organizzazione di ricerca non-profit attiva per trovare soluzioni alle più importanti sfide di sanità pubblica - per lo sviluppo di un vaccino per COVID-19;
- la collaborazione con Ridgeback Bio - azienda biotech statunitense - per lo sviluppo di un antivirale orale per COVID-19 (EIDD-2801).
- ACQUISIZIONE DI THEMIS BIOSCIENCE
- COLLABORAZIONE CON IAVI PER LO SVILUPPO DI UN VACCINO CONTRO IL VIRUS SARS-CoV-2
- COLLABORAZIONE CON RIDGEBACK BIOTHERAPEUTICS PER LO SVILUPPO DI UN ANTIVIRALE ORALE PER IL TRATTAMENTO DEL COVID-19
- Terapia coronavirus COVID-19, "con tocilizumab riduzione mortalita' non statisticamente significativa". Studio su European Journal of Internal Medicine
- Coronavirus Svizzera, avvio del test pilota di App SwissCovid
- Coronavirus Covid-19, oltre 43mila le infezioni di origine professionale denunciate all’ Inail
- Coronavirus Svizzera, valutazione sulla gestione della crisi durante la pandemia di COVID-19
- Sul web mappe e dati per leggere la pandemia da coronavirus Covid-19
- Indagine emergenza coronavirus Covid-19 e societa'. l’ Italia delle due paure
- La pandemia ha fatto emergere due paure, relate ma distinte:
- una paura legata ai rischi di esposizione alla malattia
- una paura legata ai rischi economici e lavorativi - -La paura per la salute è associata alla diffusione oggettiva della pandemia e quindi più diffusa nelle aree del paese più colpite dal contagio (soprattutto Nord-Ovest)
- - La paura economica è invece trasversale, colpisce tanto il Nord quanto il Sud
- Se si guarda ai rischi legati alla sfera del lavoro, i timori di perdita del posto di lavoro sono più acuti al Sud e nelle Isole che nel resto d’Italia
- Nelle aree del paese più deboli, dunque, i danni provocati dalla crisi sanitaria si combinano a condizioni di difficoltà economica pregresse.
- Principalmente percepito nelle regioni del Nord-Ovest, dove anche la vicinanza della malattia è maggiore (40% conosce qualcuno ricoverato o morto per Covid-19)
- C’è una percezione diffusa di peggioramento delle condizioni economiche sia familiari che del paese
- Il pessimismo economico è diffuso tanto al Nord quanto al Sud, indipendente dalla diffusione della malattia
- Nelle regioni del Sud e le Isole i timori di perdere il posto di lavoro sono più acuti
- Tra i dipendenti, i lavoratori più incerti rispetto al futuro sono quelli del settore privato.
- #iostoacasa funziona, ma crescono chiaramente le uscite per sport, passeggiate, visite ai familiari, a seguito dell’allentamento del lockdown a partire dal 4 maggio
- Ricerca, 118 vaccini contro il coronavirus Covid-19
- Cani da fiuto anti coronavirus Covid-19. Sperimentazione in Gran Bretagna
- Nasce a Roma il progetto Strada Covid-19 Free. Accordo IDI e Comitato Via Monti di Creta
- Il super-archivio dei pazienti coronavirus COVID-19 aperto alla ricerca internazionale
- Casa Bianca, un vaccino contro il coronavirus Covid-19 gratis per tutti
- La sanità italiana a confronto su come ripartire dopo il coronavirus COVID-19
- Coronavirus covid-19 e infarto, triplicata la mortalita'. Studio su European Heart Journal
- Terapia coronavirus Covid-19, dal plasma un concentrato di anticorpi per i malati
- Coronavirus, come creare un’ Italia piu' forte post pandemia da COVID-19?
- Sesso e Coronavirus Covid-19, otto regole per vivere l' intimita' di coppia nella “Fase 2”
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- “Come cambierà l’organizzazione ospedaliera post coronavirus COVID-19? La Sanità italiana a confronto per anticipare le strategie”
- I SINDACI NEL GOVERNO DELLA SANITA' POST CORONAVIRUS COVID-19
- CORONAVIRUS COVID-19, PEDIATRI DI FAMIGLIA:“IN 20 GIORNI SEGNALATI 100 CASI DI ‘ERYTHEMA PERNIO-LIKE’. IPOTESI DI CORRELAZIONE CON IL VIRUS”.
- Coronavirus, segnalazione di sospette reazioni avverse ai medicinali nei pazienti con COVID-19
- Informazioni sulla persona che ha manifestato la reazione avversa, inclusi età e sesso;
- Se l'infezione da nuovo coronavirus è confermata tramite test o se si basa su sintomi clinici;
- Una descrizione degli effetti indesiderati;
- Il nome del medicinale (nome commerciale e principio attivo) sospettato di aver causato le reazioni avverse;
- Dose e durata del trattamento con il medicinale;
- Il numero di lotto del medicinale (presente sulla confezione);
- Eventuali altri medicinali assunti contemporaneamente (compresi medicinali senza prescrizione medica, rimedi a base di erbe o contraccettivi);
- Qualsiasi altra condizione di salute che può avere la persona che ha manifestato la reazione avversa.
L'American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha pubblicato l' Asco Special Report: A Guide to Cancer Care Delivery Durante la pandemia COVID-19 , che fornisce una guida dettagliata alle pratiche oncologiche sui passi immediati e a breve termine, utile per aiutare a proteggere la sicurezza dei pazienti e del personale sanitario prima di riprendere più operazioni di assistenza di routine, durante la crisi della sanità pubblica COVID-19.
La pandemia da coronavirus COVID-19 ha richiesto pratiche oncologiche in quasi tutte le comunità degli Stati Uniti, per apportare modifiche operative per proteggere la sicurezza dei pazienti e del personale, adeguarsi alle carenze di risorse e rispettare le restrizioni nazionali e statali sulle procedure elettive. Ora che le comunità in tutto il paese stanno iniziando a ridurre gradualmente le restrizioni legate alla pandemia, le pratiche di oncologia stanno pensando a come ripristinare in sicurezza l'accesso dei pazienti alla diagnostica, ai trattamenti e ad altri servizi critici di cura del cancro.
“Come oncologi non desideriamo altro che fornire la massima qualità del cancro a tutti i pazienti. La decisione di tornare in sala operatoria durante la pandemia non è stata facile per qualsiasi pratica oncologica o fornitore di cure per il cancro - ha dichiarato Howard A. “Skip” Burris III, MD, FACP, FASCO, presidente dell'ASCO -Mentre i tempi per riprendere le normali operazioni saranno lenti e costanti, speriamo che questo rapporto offra alle pratiche oncologiche la guida di cui hanno bisogno per determinare quando e come tornare a una 'nuova normalità', quando l'impatto della pandemia inizia a diminuire."
Il rapporto speciale ASCO sintetizza una vasta gamma di politiche e pratiche sviluppate da strutture per il cancro, nonché una guida fornita da agenzie governative e altre società mediche, tra cui:
La Guida ASCO tratta anche:
Leggi il rapporto speciale
In patients with cancer and COVID-19, cancer that is progressing was independently associated with an increased risk of death, according to an analysis of 928 patients. COVID-19 treatment with both hydroxychloroquine and azithromycin was also strongly associated with increased risk of death, according to data from the COVID-19 and Cancer Consortium (CCC19) registry.
The registry contains data from patients who have tested positive for COVID-19 and around 40% of patients in the registry also have active cancer. The data will be presented as part of the virtual scientific program of the 2020 American Society of Clinical Oncology (ASCO) Annual Meeting.
Study at a Glance
Focus | 30-day all-cause mortality |
Population | 525 patients with cancer diagnosed with COVID-19 |
Findings | Cancer progression and treatment with hydroxychloroquine and azithromycin were associated with a 5.2-fold and 2.89-fold greater risk of death at 30 days compared with patients in remission/no evidence of disease |
Significance | The findings could lead to better understanding of the relationship between cancer and COVID-19 to improve care for these patients |
“This is early and evolving data, and more time and analysis will be needed to confirm and expand on these findings,” said lead author Jeremy L. Warner, MD, Associate Professor of Medicine and Biomedical Informatics at Vanderbilt University Medical Center in Nashville. “Right now, we’re working to quickly get information about why some patients with cancer become infected with the SARS-CoV-2 virus and identify the factors that affect disease severity and death. We're also interested in the effects of treatments that are being used to treat patients with cancer who have COVID-19.”
Key Findings
Thirteen percent of patients (121) died within 30 days of COVID-19 diagnosis. After partial adjustment for several baseline factors, patients with progressing cancer were found to be 5.2 times more likely to die within 30 days compared with patients in remission or with no evidence of disease.
Use of a combination of hydroxychloroquine and azithromycin to treat COVID-19 was associated with a 2.89-fold greater risk of 30-day mortality than use of neither drug. However, there was no significant increase in risk associated with the use of either drug alone. Patients who received hydroxychloroquine and azithromycin and later died were more likely to have had slightly diminished daily physical function, received cancer therapy less than 2 weeks before COVID-19 diagnosis, have Rh-positive blood type, be of non-Hispanic ethnicity, and use statins at baseline.
“While these findings are provocative, we believe that there is significant confounding by indication and that carefully planned prospective studies are needed to truly demonstrate the risk or benefit of these drugs,” Warner said.
In addition, diminished ability to perform daily living activities – measured by an Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) Performance Status score of two or greater – was associated with a 3.89 times greater risk of 30-day mortality compared with greater physical ability (ECOG score of 0/1). Risk of death at 30 days increased nearly two-fold (1.83) with each decade of life. In addition, stable, non-progressing cancer was associated with a 1.79 times greater risk of death than no evidence of disease. Men had a 1.63 times greater risk of 30-day mortality than women. Lastly, former smokers had a 1.6 times greater risk of mortality than non-smokers.
The researchers also reported on clinical outcomes. Half of patients included in this analysis (466) were hospitalized following onset of COVID-19 . Overall, 14% of all patients were admitted to the intensive care unit. Mechanical ventilation was required for 12% of all patients, and additional oxygen was required by 44% of patients.
About the Study
The CCC19 registry is open to site-level participation in the United States and Canada and is open to inclusion of anonymized individuals in Argentina, Canada, the European Union, the United States, and the United Kingdom.
As of April 16, 2020, half of patients in the registry were men; half were white, 16% were black, 16% were Hispanic, and 15% were other races and ethnicities. Breast cancer (21%) was the most common cancer, followed by prostate (16%), gastrointestinal (12%), lymphoma (11%), and thoracic (10%). In all, 43% of patients had active (measurable) cancer, 39% were on cancer treatment, and 45% were in remission.
Next Steps
Researchers are planning to conduct further analyses on this dataset and longer follow-up as the registry continues to accrue patients.
Funding
Funding was provided in part by the National Institutes of Health and the American Cancer Society.
For Your Readers
Cancer.Net
Coronavirus and COVID-19: What People With Cancer Need to Know
Info
http://www.salutedomani.com/
t.me/salutedomani
A chi utilizzerà l’app SwissCovid dovrà essere garantita la massima protezione possibile della sfera privata.
Il grado di sicurezza dell’app dovrà dunque essere molto elevato. Per adempiere al meglio questa condizione, è da ora disponibile una prima versione del sistema svizzero di tracciamento di prossimità per un test di sicurezza a larga partecipazione (public security test).
Attualmente gruppi di persone selezionati stanno testando il sistema nel quadro di una fase pilota, verificandone approfonditamente, oltre alle funzionalità e all'utilizzo in generale, anche la sicurezza. I codici sorgente del sistema sono sin d'ora a disposizione della popolazione. Altri esperti e persone interessate potranno così metterlo alla prova nell'ambito di un public security test.
Il Centro nazionale per la cibersicurezza (NCSC) raccoglie i dati del test, ne valuta i contenuti, li classifica in ordine di priorità in base al grado di importanza e dispone gli adeguamenti necessari.
Tutti i partecipanti possono registrare dettagliatamente i risultati del test attraverso il modulo disponibile sul sito Internet dell'NCSC. Per garantire la piena trasparenza richiesta dall'NCSC, i risultati registrati sul sito saranno aggiornati quotidianamente e resi accessibili al pubblico.
Maggiori informazioni sul public security test e il modulo per notificare i risultati del test sono disponibili sul sito di NCSC/MELANI: https://www.melani.admin.ch/melani/it/home/public-security-test.html
MSD, nota come Merck & Co. Inc. (NYSE: MRK) negli Stati Uniti e in Canada, ha annunciato tre importanti accordi volti a combattere l’emergenza coronavirus COVID-19:
«La tradizione e l’esperienza maturata da MSD nella scoperta e sviluppo di vaccini e farmaci antivirali – ha dichiarato Kenneth C. Frazier, Presidente e CEO di MSD – ci impongono di partecipare allo sforzo della comunità scientifica per scoprire nuovi farmaci e vaccini che possano porre fine a questa pandemia. MSD è stata da subito impegnata a sviluppare una risposta efficace alla pandemia COVID-19 e siamo consapevoli che il successo finale richieda una collaborazione globale tra Paesi, aziende e tanti altri stakeholder. Siamo orgogliosi di aver identificato alcune delle soluzioni più promettenti per rispondere alla sfida globale e di aver messo tutte le nostre risorse a disposizione in modo da accelerare i processi. Tutti questi progetti avranno le risorse, l’attenzione e il focus necessario: il focus necessario per sconfiggere la pandemia COVID-19».
«COVID-19 – prosegue Frazier – è una sfida globale che richiede soluzioni globali. MSD vuole rendere accessibile e sostenibile a livello globale il vaccino o il farmaco che svilupperemo per la pandemia e stiamo lavorando per raggiungere questo obiettivo il più rapidamente possibile. Come abbiamo già dimostrato con il vaccino per Ebola, quando il mondo ha bisogno di unirsi per fronteggiare nuove e difficili sfide, può contare su MSD che è sempre in grado di fare la sua parte. Sebbene la sfida di questa pandemia sia immensa, sappiamo che la Scienza e lo spirito di collaborazione trionferanno, proprio come è successo in passato».
«COVID-19 è una enorme sfida scientifica, medica e globale – ha dichiarato Roger M. Perlmutter, a capo di MSD Research Laboratories – MSD sta collaborando con organizzazioni in tutto il mondo per sviluppare vaccini e farmaci che aspirano ad alleviare le sofferenze causate dall’infezione da SARS-CoV-2».
«Nonostante non siamo in grado di prevedere quando vinceremo la battaglia – conclude Frazier – ma siamo certi che la Scienza è dalla nostra parte, la collaborazione necessaria è già in atto e che, insieme, sconfiggeremo Covid-19».
Nel dettaglio, gli annunci diffusi oggi da MSD riguardano:
Themis ha un’ampia pipeline di potenziali vaccini e di terapie immunomodulanti sviluppate usando una piattaforma a vettore virale che utilizza il virus del morbillo basata su un vettore sviluppato dagli scienziati dell’Istituto Pasteur, un centro europeo di ricerca sui vaccini di fama mondiale, e dato in licenza esclusiva a Themis per alcune indicazioni virali selezionate.
La Measles Vector Platform è in fase di valutazione per un vasto numero di indicazioni nell’ambito delle malattie infettive e immunologiche. Si basa su un vaccino modificato per il virus del morbillo e può essere ingegnerizzata per rilasciare un’ampia varietà di antigeni. Il vettore del morbillo è disegnato per fornire un veicolo che trasporti gli antigeni al sistema immunitario per innescare una risposta della memoria immunitaria. La piattaforma è stata inserita nei programmi di sviluppo di vaccini per malattie infettive come SARS, Chikungunya, MERS, e la febbre Lassa.
Nel mese di marzo, Themis Bioscience si è unita in consorzio con l’Istituto Pasteur e il Centro per la Ricerca sui Vaccini dell’Università di Pittsburgh, con il supporto finanziario della Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI). Il fine del consorzio è quello di sviluppare un vaccino per il virus SARS-CoV-2, per la prevenzione del COVID-19.
Il vaccino si trova in una fase di sviluppo pre-clinica, mentre l’avvio degli studi clinici è pianificato entro il 2020.
L’Istituto Pasteur, CEPI e MSD hanno sottoscritto una dichiarazione di intenti che riflette l’impegno delle parti a sviluppare, produrre e distribuire un vaccino per contrastare la pandemia da COVID-19, su scala globale e a un prezzo che renda il vaccino disponibile in tutto il mondo e accessibile a tutti coloro che ne avessero bisogno, inclusi i Paesi a basso reddito pro-capite.
MSD e IAVI - un’organizzazione di ricerca non-profit attiva per trovare soluzioni alle più importanti sfide di sanità pubblica - hanno finalizzato un accordo di collaborazione per lo sviluppo di un vaccino contro il virus SARS-CoV-2.
Il vaccino utilizzerà il virus della stomatite vescicolare ricombinante (rVSV), una tecnologia già alla base del vaccino MSD per il virus Ebola Zaire. MSD ha, inoltre, firmato un accordo con la Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA) in merito a un iniziale finanziamento.
Nell’ambito dell’accordo, MSD e IAVI lavoreranno insieme per portare avanti lo sviluppo e la valutazione clinica globale del vaccino per SARS-CoV-2 (progettato interamente dagli scienziati di IAVI) e per renderlo accessibile ad un prezzo sostenibile in tutto il mondo, qualora venisse approvato.
Il vaccino si trova in una fase di sviluppo pre-clinica e gli studi clinici sono pianificati a partire dal 2020.
MSD e Ridgeback Biotherapeutics hanno annunciato una collaborazione per lo sviluppo di EIDD-2801, un antivirale orale per il trattamento dei pazienti con COVID-19. Il farmaco si trova, al momento, nella fase precoce di sviluppo clinico.
«In aggiunta ai nostri sforzi per lo sviluppo di un vaccino contro il SARS-CoV-2 – ha dichiarato ancora Roger M. Perlmutter – stiamo mettendo a sistema i nostri asset e quelli di partner esterni nell’ambito degli antivirali, al fine di valutarne il potenziale nel trattamento di persone con COVID-19».
«La valutazione clinica di EIDD-2801 nei pazienti con COVID-19 è solo all’inizio – conclude Perlmutter – ora che gli studi di fase 1 hanno dimostrato che la formulazione è ben tollerata. Gli studi pre-clinici hanno dimostrato che EIDD-2801 ha promettenti proprietà antivirali contro diversi ceppi di coronavirus, incluso SARS-CoV-2, e siamo ansiosi di procedere con la prossima fase di studi clinici più velocemente e responsabilmente possibile».
Un nuovo studio dell’IRCCS Ospedale San Raffaele condotto da Corrado Campochiaro, immuno-reumatologo, e coordinato da Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di Immunologia, reumatologia, allergologia e malattie rare, ha testato l’efficacia e la sicurezza del farmaco immunosoppressivo tocilizumab.
Si tratta del primo studio su questo farmaco in COVID-19 a prevedere un gruppo di controllo, a cui è stato cioè somministrato solo il protocollo farmacologico standard per i pazienti COVID-19 ricoverati presso l’ospedale. I risultati, pubblicati sullo European Journal of Internal Medicine, hanno evidenziato che il tocilizumab, sebbene possa essere utile in soggetti con forma grave di COVID-19 prima del ricovero in terapia intensiva, non ha però ridotto significativamente la mortalità a 28 giorni rispetto a quanto osservato nei pazienti trattati solo con terapia standard.
La sperimentazione è stata effettuata all’interno del maxi studio clinico osservazionale su Covid-19 coordinato dal professor Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e dal professor Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo.
Lo studio clinico
Tocilizumab è un anticorpo monoclonale già in commercio per l’artrite reumatoide che agisce bloccando la produzione di Interleuchina-6 (IL-6), una molecola infiammatoria prodotta dal sistema immunitario. Fin dalle prime settimane della pandemia, il farmaco – in assenza di terapie farmacologiche specifiche – è stato utilizzato nel tentativo di contenere la risposta iper-infiammatoria causata dal nuovo coronavirus.
La sperimentazione è stata condotta retrospettivamente su 65 pazienti con quadri clinici gravi ricoverati al di fuori dei reparti di terapia intensiva presso il San Raffaele. La maggior parte dei soggetti erano maschi, con un’età di circa 60-65 anni. Di questi, 33 hanno ricevuto soltanto la terapia ‘standard’ utilizzata nell’istituto – composta da diversi farmaci tra cui l’idrossiclorochina e la combinazione lopinavir/ritonavir (antivirali usati nei pazienti con infezione da HIV) – mentre 32 sono stati trattati, in aggiunta alla terapia standard, anche con tocilizumab, somministrato per via endovenosa.
I risultati dello studio
“Abbiamo valutato e comparato sicurezza ed efficacia con un follow-up di 28 giorni: i risultati ottenuti con tocilizumab, sebbene incoraggianti, hanno mostrato un miglioramento clinico globale e una riduzione di mortalità che però non è risultata statisticamente significativa quando confrontati con la terapia standard” spiega Corrado Campochiaro, primo nome dello studio. Nei pazienti trattati con tocilizumab, infatti, si è registrato un miglioramento clinico nel 69% dei casi rispetto al 61% di quelli che non avevano ricevuto tale trattamento. Per contro, le infezioni batteriche e fungine sembrano essere lievemente più alte nei pazienti trattati.
“Il limite dei dati ottenuti dalle varie sperimentazioni fino ad oggi pubblicate è stato quello di testare tocilizumab in assenza di un effettivo gruppo di controllo. Nel nostro studio abbiamo confrontato tocilizumab con la terapia standard, osservando il dimezzamento della mortalità (dal 33% al 15%), ma tale dato non raggiungeva un grado adeguato di significatività per poter trarre conclusioni definitive”, specifica Lorenzo Dagna, coordinatore dello studio.
Questo significa che per comprendere meglio il ruolo del tocilizumab in Covid-19 dovremo attendere i risultati dei trials internazionali. “Di recente abbiamo anche ottenuto risultati incoraggianti da uno studio che mostra l’efficacia e la sicurezza di anakinra, una molecola che agisce questa volta su IL-1, per spegnere l’eccessiva risposta immunitaria causata dalle forme gravi di COVID-19” conclude Dagna.
Nella sua seduta del 13 maggio 2020, il Consiglio federale ha adottato un’ordinanza di durata limitata che disciplina la fase di test pilota per l’impiego dell’app denominata SwissCovid. Questa fase è scattata oggi, lunedì 25 maggio.
L’app può essere utilizzata con le versioni più recenti dei sistemi operativi iOS e Android, le quali, con l’API per la notifica di esposizione ai contagi (Exposure Notification API), sviluppata congiuntamente da Google e Apple, prevedono una nuova interfaccia per l’applicazione SwissCovid. La Svizzera è così il primo Paese al mondo a utilizzare l’interfaccia di Google e Apple per il tracciamento di prossimità. Secondo un sondaggio, il 70 per cento della popolazione sarebbe favorevole all’introduzione dell’app.
Prendono parte al test pilota collaboratori dei due politecnici federali di Losanna e Zurigo, militari in servizio d’istruzione, collaboratori di singole unità delle amministrazioni cantonali e dell’Amministrazione federale e collaboratori di diversi ospedali e cliniche e di istituzioni e organizzazioni scelte. Il test durerà fino alla fine di giugno al massimo e servirà a individuare eventuali lacune tecniche e problemi a livello di usabilità o di processi medici prima che l’app venga messa a disposizione della popolazione svizzera.
Il tracciamento dei contatti, vale a dire la sistematica ricostruzione e interruzione delle catene d’infezione, è un mezzo fondamentale per impedire una nuova impennata dei contagi e tenere sotto controllo l’epidemia di COVID-19 sul lungo periodo. L’app SwissCovid completa il tracciamento classico dei contatti svolto dalle autorità cantonali. È uno strumento integrativo che promette di essere molto utile, poiché consente di avvisare per tempo gli utenti potenzialmente esposti a un contagio e di contenere così l’ulteriore diffusione del virus.
Tecnicamente l’app non consente di rilevare i dati di movimento di una persona, ma soltanto la sua prossimità, per una durata determinata, ad altri telefoni cellulari su cui è installata. Mediante i dati registrati non è quindi possibile risalire all’identità degli utenti.
L’Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza, il Centro nazionale per la cibersicurezza e la Commissione nazionale di etica sono concordi nel ritenere che quello decentralizzato sia l’approccio che meglio risponde all’esigenza di garantire la massima sicurezza nella protezione della sfera privata. Non appena l’emergenza coronavirus sarà superata, il sistema sarà disattivato.
L’opinione della popolazione
Alla fine di aprile l’UFSP aveva incaricato l’istituto di ricerca Sotomo di svolgere un sondaggio nazionale sull’atteggiamento della popolazione nei confronti dell’introduzione di un’app per il tracciamento di prossimità.
Stando ai risultati del sondaggio l’atteggiamento della popolazione è fondamentalmente positivo: il 70 per cento è favorevole all’introduzione dell’app. La maggioranza degli interpellati la considera un approccio per contenere la diffusione del nuovo coronavirus. L’elevato tasso di disponibilità a installarla sullo smartphone (59 %), rilevato senza grandi differenze in tutti i principali gruppi demografici, è l’espressione del radicamento dell’idea di solidarietà nella nostra società.
Una buona metà di questo 59 per cento, tuttavia, non è del tutto certa di volere installare l’app e risponde prudentemente «piuttosto sì». Dal sondaggio emerge però anche che la disponibilità a installare l’app cresce con la conoscenza delle sue funzionalità.
Test pubblico del sistema svizzero di tracciamento di prossimità
A chi utilizzerà l’app SwissCovid dovrà essere garantita la massima protezione possibile della sfera privata. Il grado di sicurezza dell’app dovrà dunque essere molto elevato. Per adempiere al meglio questa condizione, dal 28 maggio i codici sorgente del sistema svizzero di tracciamento di prossimità saranno messi a disposizione per un test di sicurezza a larga partecipazione (public security test). Esperti e persone interessate potranno così mettere alla prova il sistema.
Maggiori informazioni sul public security test saranno comunicate al suo avvio, il 28 maggio 2020.
I contagi da nuovo Coronavirus di origine professionale denunciati all’Inail tra la fine di febbraio e il 15 maggio sono 43.399, circa seimila in più rispetto ai 37.352 della rilevazione del 4 maggio.
I casi di infezione con esito mortale registrati nello stesso periodo sono 171, 42 in più rispetto al monitoraggio precedente, e circa la metà riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale, con i tecnici della salute e i medici al primo posto tra le categorie più colpite.
Nove decessi su 10 tra i lavoratori con più di 50 anni
Come evidenziato dal terzo report sui contagi sul lavoro da Covid-19, elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, con la collaborazione della Direzione centrale organizzazione digitale, l’età media dei lavoratori che hanno contratto il virus è di 47 anni per entrambi i sessi, ma sale a 59 anni (58 per le donne e 59 per gli uomini) per i casi mortali. Nove decessi su 10, in particolare, sono concentrati nelle fasce di età 50-64 anni (70,8%) e over 64 anni (19,3%). Il 71,7% dei lavoratori contagiati sono donne e il 28,3% uomini, ma il rapporto tra i generi si inverte nei casi mortali. I decessi degli uomini, infatti, sono pari all’82,5% del totale.
Il 72,8% delle denunce nel settore della Sanità e assistenza sociale
L’analisi territoriale conferma il primato negativo del Nord-Ovest, con oltre la metà delle denunce complessive (55,2%) e il 57,9% dei casi mortali. Tra le regioni, invece, più di un’infezione di origine professionale su tre (34,9%) e il 43,9% dei decessi sono avvenuti in Lombardia. Rispetto alle attività produttive, il settore della Sanità e assistenza sociale, che comprende ospedali, case di cura e case di riposo, registra il 72,8% delle denunce (e il 32,3% dei casi mortali), seguito con il 9,2% dall’amministrazione pubblica, con le attività degli organi legislativi ed esecutivi centrali e locali.
Nella sua seduta del 20 maggio 2020 il Consiglio federale ha incaricato la Cancelleria federale di sottoporgli, entro fine 2020, un rapporto sulla valutazione della gestione della crisi durante la pandemia di «COVID-19», da elaborare in collaborazione con i Dipartimenti e con rappresentanti dei Cantoni.
In una prima fase, la Cancelleria federale è incaricata di presentare al Consiglio federale una concezione concernente la valutazione della pandemia di «COVID-19» entro fine agosto 2020. A tal fine terrà conto delle conclusioni tratte da valutazioni effettuate da altri servizi e organi sulla gestione della crisi durante la pandemia, le quali saranno integrate nella concezione. Il rapporto da sottopore all’attenzione del Consiglio federale sarà elaborato in collaborazione con tutti i Dipartimenti e con rappresentanti dei Cantoni, coinvolgendo pure altri servizi, quali i gestori di infrastrutture critiche o esponenti di ambienti scientifici.
Valutazione in tempi brevi
La valutazione è finalizzata a sottoporre al Consiglio federale, entro la fine del 2020, un rapporto sulla gestione degli eventi in relazione alla «COVID-19» a livello di Confederazione e Cantoni allo scopo di trarne insegnamenti e di formulare raccomandazioni.
Sebbene la Confederazione e i Cantoni siano tuttora alle prese con la gestione della pandemia, il Consiglio federale auspica comunque che la valutazione sia realizzata in tempi brevi in vista degli insegnamenti da trarre per la gestione di future crisi, pur essendo consapevole che gli ulteriori sviluppi della crisi attuale sono ancora incerti. Nel corso del prossimo anno, le conclusioni scaturite dalla valutazione relativa alla gestione della crisi di «COVID-19» saranno integrate in una nuova pianificazione globale per le grandi esercitazioni.
Le zone con la popolazione più longeva d'Italia non sono state travolte dal Covid-19. Le province di Imperia, Aosta, Trento e Pesaro-Urbino, per morbilità – il numero di contagi rispetto alla popolazione di un territorio circoscritto – hanno ampiamente superato il Veneto, dove si erano registrati i primi casi.
La carenza di posti letto negli ospedali è tra le concause del picco registrato in Spagna, Regno Unito e Italia. Sono alcune delle realtà che emergono dai dati analizzati e tradotti in mappe dall'Osservatorio socio-territoriale Covid-19, istituito da un gruppo di ricercatori di Base (Bicocca ambiente società economia) e dei dipartimenti di Sociologia e ricerca sociale e di Scienze dell'ambiente e della terra dell'Università di Milano-Bicocca.
L'Osservatorio – unico in Italia per il taglio disciplinare adottato per studiare il fenomeno – intende proporre una lettura socio-territoriale della pandemia, messa a disposizione della collettività, con l'obiettivo di far riflettere sui diversi impatti del Covid-19 attraverso l'utilizzo di Gis (Sistemi informativi geografici) e open data. «Incrociamo dati quali la densità e la longevità della popolazione, la distribuzione dei redditi, dei servizi sanitari e i divari digitali, con i numeri riguardanti contagio, morbilità e mortalità, per descrivere l'evoluzione del virus. Sia su piccola che su larga scala, dagli ambiti provinciali italiani fino ai grandi cluster regionali europei. Dati utili a misurare la capacità di risposta dei territori», spiega il responsabile del team, Matteo Colleoni, professore di Sociologia dell'ambiente e del territorio e delegato della rettrice per la sostenibilità all'Università di Milano-Bicocca.
Tra le risorse open source si può evidenziare la mappa dinamica della diffusione spazio-temporale sul contagio. «Da marzo a maggio – la descrive Colleoni – si nota in Italia una diffusione a macchia d'olio: dopo un mese, il Covid19 colpisce principalmente le zone limitrofe a quelle di primo contagio. Inoltre si evince che il lockdown ha funzionato impedendo la diffusione del contagio in altre regioni italiane».
Confrontandola con la mappa della longevità, ovvero il rapporto percentuale tra popolazione over 65 e popolazione residente totale, «se a livello europeo – afferma il responsabile dell'Osservatorio – tra le cause dell'alta morbilità italiana ha sicuramente giocato un ruolo importante l'anzianità della popolazione, scendendo nel dettaglio nazionale si scopre che i territori “più longevi” non sono quelli dove il contagio si è maggiormente diffuso: lungo gli Appennini, in Liguria, in Sardegna, nelle aree più interne e meno urbanizzate gli over 65 superano il 30 per cento di presenza, ma il virus non si è diffuso ampiamente».
Da un confronto tra le due mappe dei dati della morbilità (casi Covid-19 per centomila abitanti) a inizio aprile e a inizio maggio, accanto al fenomeno dell'espansione a olio, si nota come tra le province più colpite (colorate in rosso: più di 600 casi di contagio su 100mila abitanti) sono entrate Pesaro-Urbino, Imperia, Trento o Aosta, inizialmente ai margini delle zone di più ampia diffusione del virus, ma ora, per numeri, sopra il Veneto, una delle due regioni dove si sono riscontrate le prime persone infette.
Se la mappa sulla distribuzione dei redditi «tornerà utile più avanti per misurare la capacità dei territori di resistere alle conseguenze negative per l'economia e il lavoro di questa situazione di emergenza», anticipa Matteo Colleoni, quella sull'offerta di servizi sanitari in Europa e in Italia «ci dice che la carenza di posti letto, meno di 400 per 100mila abitanti, non è stata di aiuto, rispetto ad altre Nazioni. In Germania sono più di 600 e, anche grazie all'elevato numero di tamponi effettuati, la risposta alla pandemia è stata più efficace.
Non è un caso se i tre Paesi europei con il più alto tasso di morbilità e mortalità, Italia, Gran Bretagna e Spagna, siano in basso in questa classifica». Ancora tutto da valutare anche il peso del divario digitale (accessi a banda larga, a internet da casa, utilizzo del pc e acquisti online) sulla capacità di gestione e di reazione e di gestione nella condizione di lockdown.
Come hanno reagito gli italiani all’emergenza Covid-19? Quanto i cittadini percepiscono vicino il rischio di contagio? Come è mutata la situazione economica delle famiglie? E come queste reazioni si sono differenziate nelle le diverse aree del paese?
Sono alcune delle domande a cui prova a rispondere il secondo rapporto del progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19, che si pone l’obiettivo di sviluppare una infrastruttura di ricerca, per il monitoraggio quotidiano dell’opinione pubblica durante l’emergenza Covid-19.
L’indagine, coordinata dal Prof. Cristiano Vezzoni e a cura del SPS TREND Lab, presso il dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Statale di Milano, rileva comportamenti, opinioni e benessere dei cittadini italiani durante la crisi mediante 150 interviste al giorno che permettono di seguire puntualmente i principali trend, svolte in collaborazione con SWG. L’analisi permette anche un confronto approfondito tra le diverse aree del paese.
Il periodo di copertura dell’indagine andrà da aprile a luglio 2020, includendo la fase di contrasto alla diffusione del Coronavirus e la successiva fase di contenimento del contagio.
Il progetto si pone come strumento di ricerca scientifica e di supporto alle attività di policy making rivolte alla definizione di interventi efficaci per il superamento dell’emergenza.
I PUNTI SALIENTI DELL’INDAGINE
La crisi provocata dalla diffusione del Coronavirus ha creato una situazione di forte incertezza che ha condizionato le aspettative dei cittadini italiani. La percezione dei rischi per sé, per le proprie famiglie e per il paese sono solo in parte legate alle condizioni oggettive con cui il virus si è diffuso.
Nel rapporto si studiano le differenze territoriali nella distribuzione di queste nuove paure. Questi i principali risultati:
Il rischio di contagio più vivo al Nord-Ovest
Il peggioramento delle condizioni economiche percepito in tutto il paese
L’impatto sul lavoro: diffusi timori di perdere il lavoro
L’impatto sui comportamenti: rispettosi ma dal 4 maggio si esce di più
Il sostegno alle misure prese dal governo rimane alto, ma diminuisce l’accettazione delle limitazioni alle libertà personali (movimento, frequentare chi si vuole, privacy).
Il progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19 proseguirà con indagini settimanali fino a luglio.
Tutti i materiali disponibili al sito: https://spstrend.unimi.it/it/
IL CENTRO SPS TREND LAB
Il laboratorio SPS TREND del dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano si pone come l’hub italiano per la raccolta, l’analisi e la diffusione dei dati di survey per lo studio della società Italiana. SPS Trend promuove e partecipa a programmi di ricerca nazionali e internazionali: gli ambiti di ricerca concernono le trasformazioni sociali e i mutamenti politici in Italia e in Europa. Tali processi vengono analizzati a partire dai dati individuali raccolti nelle indagini di massa su campioni rappresentativi della popolazione di riferimento.
SPS Trend Lab riunisce docenti, ricercatori e dottorandi che si occupano di metodologia delle inchieste campionarie, opinione pubblica, cambiamento sociale, disuguaglianze, rappresentanza politica, comportamento elettorale, identità e valori. A partire dal 2018, i membri del laboratorio hanno svolto un ampio lavoro di coordinamento del lavoro di raccolta dei dati italiani in survey nazionali e internazionali. Il laboratorio SPS Trend inoltre partecipa ad alcune attività di ricerca previste dal progetto premiale ministeriale 2018-2022 (Dipartimenti di Eccellenza).
Non si ferma la corsa al vaccino anti-Covid. Al 15 maggio L'Organizzazione mondiale della sanità ha censito in tutto il mondo 118 candidati vaccini, di cui una decina in fase di sperimentazione clinica.
A fare il punto è l'Istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani. Si tratta di: vaccini a virus, nei quali si utilizza direttamente il virus dopo averlo attenuato o inattivato; è una tecnologia con la quale si realizzano molti vaccini, tra cui quelli per morbillo e poliomielite; vaccini basati sugli acidi nucleici (Dna o Rna), nei quali si utilizzano le informazioni genetiche di una proteina del virus, di solito la proteina spike che si trova sulle punte della corona del virus; vaccini a vettore virale, nel quale si utilizza un virus innocuo per l’uomo, ingegnerizzato in modo tale da trasportare le proteine del virus contro il quale si vuole sviluppare l’immunità; vaccini basati su proteine.
Dalle informazioni pubbliche disponibili risultano attualmente in fase clinica i seguenti candidati vaccini: Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) - Moderna Therapeutics (Usa); Accademia di Scienze Mediche Militari di Pechino - CanSino Biologics (Cina); Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi) - Inovio Pharmaceuticals (USA); Shenzhen Geno-Immune Medical Institute (Cina, due candidati vaccini); Università di Oxford (Gran Bretagna); Sinovac Biotech (Cina); Beijing Institute of Biological Products/Wuhan Institute of Biological Products (Cina); BioNTech/Pfizer (Germania) Symvivo (Canada). L'Oms ha recentemente lanciato un trial randomizzato internazionale dei candidati vaccini, denominato Solidarity Vaccine Trial, con l’obiettivo di coordinare, per i tanti candidati vaccini in fase di sviluppo, la valutazione della loro sicurezza ed efficacia, in un’ottica di cooperazione internazionale e di equità di accesso.
Lo Spallanzani collabora con la società italiana ReiThera, che sta lavorando alla realizzazione di un vaccino a vettore virale; i primi test sull’uomo sono previsti nel mese di luglio. Sulla base delle informazioni al momento disponibili e dell’esperienza precedente sui tempi di sviluppo dei vaccini, l’Ema (European Medicine Agency) stima che potrebbe essere necessario almeno un anno prima che un vaccino contro Covid-19 sia pronto per essere approvato e sia disponibile in quantità sufficienti per consentirne un utilizzo diffuso.
Negli Stati Uniti il Governo Federale ha annunciato un progetto, denominato 'Operation Warp Speed', finalizzato a ridurre drasticamente i tempi di sviluppo di un nuovo vaccino, in modo da averne a disposizione per tutti i cittadini americani (circa 300 milioni di dosi) entro la fine dell’anno o all’inizio del 2021. Il progetto, al quale partecipano società farmaceutiche, agenzie federali e strutture militari, prevede che il rischio finanziario di fallimento dei candidati vaccini che faranno parte del progetto sarà sostenuto dai contribuenti e non dalle società farmaceutiche.
In attesa che si arrivi ad un vaccino specifico, si stanno testando vaccini vecchi di decenni, realizzati con virus vivi attenuati, sulla base dell’ipotesi che possano influenzare il sistema immunitario al di là della risposta al patogeno specifico per il quale sono stati realizzati, e fornire una protezione ad ampio spettro contro le malattie infettive.
Il primo di questi vaccini è il Bcg (Bacillus Calmette–Guérin), che esiste da cento anni ed è tuttora il vaccino base contro la tubercolosi; sono oltre venti i centri di ricerca e le università in tutto il mondo che stanno testando proprio questo vaccino come possibilità per ridurre il rischio di contrarre Covid-19. In Sud Africa è stato avviato un trial clinico su un campione di 500 operatori sanitari, a metà dei quali verrà somministrato il vaccino Bcg ed all’altra metà un placebo.
E in Germania in uno dei test su nuovo candidato vaccino contro la tubercolosi, denominato VPM1002 e basato sul Bcg, si sta verificando la sua potenziale efficacia contro il Sars-CoV-2. Negli Stati Uniti invece un gruppo di ricerca guidato da Robert Gallo, uno degli scopritori del virus Hiv, prevede di verificare l’efficacia contro il coronavirus del vaccino orale Opv contro la poliomielite, messo a punto da Albert Sabin nel 1957.
Anche i cani 'arruolati' nella lotta al coronavirus. La Gran Bretagna ha infatti annunciato una sperimentazione per vedere se cani da fiuto specializzati possono rilevare la presenza di Sars-Cov-2 nell'uomo.
Questi animali sono già stati addestrati a rilevare gli odori di alcuni tumori, la malaria e il Parkinson, come ricorda l'ente benefico Medical Detection Dogs. La prima fase del trial, riferisce la Bbc, sarà guidata dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine, insieme Medical Detection Dogs e alla Durham University.
La sperimentazione è stata finanziata con 500.000 sterline dal governo. Lord Bethell, ministro dell'Innovazione, ha fatto sapere di sperare che i cani possano fornire "risultati rapidi" per scovare il microrganismo. La sperimentazione metterà dunque alla prova un drappello di "cani Covid" - Labrador e cocker spaniel - per capire se possono individuare il virus nell'uomo dall'odore prima che compaiano i sintomi. Obiettivo, utilizzare in futuro gli animali come sistema di allarme rapido per rilevare il virus, dal momento che questi cani potrebbero valutare fino a 250 persone l'ora.
La prima fase della sperimentazione coinvolgerà il personale del servizio sanitario britannico negli ospedali di Londra, impegnato a raccogliere campioni di odore da pazienti infettati e non. Sei cani - Norman, Digby, Storm, Star, Jasper e Asher - seguiranno l'addestramento per identificare il virus 'a naso'. Secondo gli ideatori del progetto la formazione potrebbe richiedere da sei a otto settimane.
Da lunedì 18 maggio Via Monti di Creta diventa la strada Covid free per effetto dell'accordo siglato fra Istituto Dermopatico dell'Immacolata e il Comitato Via Monti di Creta, costituitosi per l'occasione, grazie alla volontà degli esercenti commerciali della stessa via.
L'accordo prevede che i negozianti, i loro familiari e i residenti locali possano fruire all'IDI del test sierologico IgG Sars-Cov-2 a condizioni vantaggiose.
"Un'idea - afferma il portavoce del Comitato Via Monti di Creta, sig. Francesco Spadafora - che nasce dall'esigenza da una parte di sensibilizzare e promuovere la salute, facendo riferimento ad una eccellenza sanitaria come l'IDI, e dall'altra dalla necessità di ripartire in sicurezza con il lavoro, anche nell'interesse dei clienti".
"L'IDI è impegnato in prima linea nella lotta alla pandemia: prima con il Reparto Covid19 - sottolinea il Presidente dell'IDI, Prof. Avv. Antonio Maria Leozappa - ora con la campagna sierologica, consapevoli che essa possa essere un utile alleato, per tutti, a livello sanitario, sociale ed economico".
L'accordo sui test tra IDI e il Comitato Via Monti di Creta è solo un primo passo. "Nella nostra struttura metteremo a disposizione informazioni sugli esercizi commerciali della strada per favorirne il contatto con i pazienti e coloro che li accompagnano" aggiunge Leozappa "Salute ed economia: sono gli obiettivi della fase 2".
Un super-archivio dei dati clinici, diagnostici, terapeutici e dei campioni biologici relativi agli oltre 1500 pazienti COVID-19 ricoverati fino ad oggi nell'Ospedale San Gerardo di Monza e in quello di Desio e che verrà aggiornato costantemente nel tempo.
Uno strumento fondamentale per individuare strategie di cura e prevenzione più efficaci contro il Coronavirus e indirizzare le scelte di politica sanitaria a breve e medio termine. Una metodologia di studio che ha ricevuto l'autorizzazione dal comitato etico dell'Istituto Spallanzani di Roma, il comitato unico nazionale per la sperimentazione sul virus.
L’iniziativa nasce dalla sinergia dell’Università di Milano-Bicocca (Unimib), in particolare del Dipartimento di Medicina e Chirurgia, con l’Ospedale San Gerardo – ASST Monza, principale polo di riferimento. È stata portata avanti con uno sforzo congiunto delle due istituzioni, consapevoli dell’importanza della ricerca clinica sia per aumentare le conoscenze su questo nuovo virus sia per migliorare l’assistenza e la cura dei pazienti. «Si tratta di ricerca indipendente e no-profit, per la quale una convenzione tra le due istituzioni prevede un ufficio dedicato nel Dipartimento di Medicina e Chirurgia», dice il Direttore del Dipartimento, Maria Grazia Valsecchi. Sin dall'inizio dell’evento epidemico, un comitato congiunto, Unimib-Ospedale San Gerardo, fortemente sostenuto anche da Mario Alparone, Direttore Generale della ASST di Monza, ha intravisto la possibilità di dare una struttura omogenea alla ricerca clinica su COVID-19.
Il progetto si chiama “STORM, STudio OsseRvazionale sulla storia naturale dei pazienti ospedalizzati per Sars-Cov-2”, un modello di studio ideato e messo in pratica da Paolo Bonfanti, professore associato di Malattie infettive all'Università di Milano-Bicocca. «Un protocollo di studio impostato, utilizzando un sistema metodologico “stem and leaf” – afferma Bonfanti – e strutturato in modo da essere compatibile con le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità. Alla base c'è lo “stelo”, la registrazione dei dati fondamentali di tutti i pazienti ospedalizzati al San Gerardo. Da questo protocollo primario si diramano protocolli di studio, le “foglie”, mirati ad approfondimenti su quesiti posti in ambiti specifici: pneumologia, infettivologia, terapia intensiva e altri». Alcuni di questi protocolli di studio sono stati identificati, insieme con il Pro-rettore alla Ricerca, Guido Cavaletti, come progetti che l’Università Bicocca ha sottoposto ai bandi regionali.
Il database permetterà di «descrivere la storia naturale della malattia – prosegue Bonfanti – fornendo quindi un importante contributo alla conoscenza delle sue modalità di diffusione e della sua evoluzione clinica». Allo stesso tempo è stata creata, su iniziativa di Andrea Biondi, professore ordinario del Dipartimento di Medicina e Chirurgia, con l'Ospedale, una bio-banca per la raccolta del materiale biologico residuo derivante da tamponi e prelievi dei pazienti. Obiettivo della bio-banca è supportare la ricerca biologica e genetica per ricostruire la patogenesi della malattia, migliorare i test diagnostici, sviluppare nuovi farmaci.
Sistematicità e completezza di informazioni sono le peculiarità di questo progetto, approvato dal comitato etico dell'Istituto Spallanzani. «Anche se il comitato viene chiamato normalmente a esprimersi per le sperimentazioni sui farmaci – spiega il professore – ho deciso di sottoporre al suo giudizio il progetto STORM perché lo ritengo un protocollo di studio replicabile per i suoi aspetti metodologici anche in altri ambiti di ricerca».
Dopo l'approvazione, è cominciato il caricamento dei dati sulla piattaforma. In circa due mesi dall'inizio dell'emergenza, la ASST di Monza ha trattato, nei due ospedali di Monza e Desio, più di 1500 pazienti COVID, dei quali il 35,4 per cento è poi stato dimesso, mentre il 14 per cento è stato trasferito presso altre strutture a più bassa intensità di cura. L’età media dei pazienti ricoverati è stata di 65,6 anni, quella dei deceduti di 76,7 anni. Il sistema raccoglierà anche i dati dei futuri pazienti affetti da infezione da COVID-19.
Hanno già richiesto e ottenuto l'accesso al super-archivio diversi filoni di ricerca interni alle realtà di Milano-Bicocca e San Gerardo. Tra i campi di indagine: l'identificazione dei fattori di rischio per la mortalità intra-ospedaliera nei pazienti ricoverati nei reparti COVID-19, la valutazione d'impatto di un indice di fragilità sul decorso clinico, lo studio della presenza di anomalie nel sistema della coagulazione nella fase evolutiva della polmonite da Sars-Cov-2, l'individuazione di determinanti genetici dell'infezione e l'identificazione di una relazione tra età, sesso e presenza di altre patologie e il rischio di insorgenza della malattia.
STORM mette i suoi dati a disposizione di tutte le proposte di ricerca, previa autorizzazione. A valutare i progetti scientifici che ne faranno richiesta è un comitato scientifico misto Milano-Bicocca e San Gerardo. La bio-banca ha già destato l'interesse di enti di ricerca internazionali tra i quali il National Institutes of Health.
L'Amministrazione Usa ''sta cercando'' di ottenere un vaccino per il coronavirus, che sia gratuito per tutti. Lo ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrando i giornalisti alla Casa Bianca, affermando che ''stiamo lavorando a questo''.
Coronavirus, da Camera Usa ok a pacchetto aiuti da 3 trilioni di dollari
Ci saranno più di 100mila morti negli Stati Uniti entro il primo giugno, causati da complicanze legate al coronavirus, è l'avvertimento arrivato dal direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc), Robert Redfield, che su Twitter ha aumentato le previsioni sulla mortalità causata dal Covid-19 analizzando 12 modelli elaborati da diverse istituzioni, dalla Columbia University al Massachusetts Institute of Technology. "A partire dall'11 maggio, tutti (i 12 modelli, ndr) prevedono un aumento dei decessi nelle prossime settimane e un totale complessivo di oltre 100mila entro il primo giugno", ha twittato Redfield.
Da poco abbiamo cominciato a convivere con il coronavirus COVID-19, aspettando di capire come si comporterà con la stagione estiva e preparandoci all’eventualità di nuovi picchi, ma qualunque sia la percentuale di pazienti guariti e la durata dell’immunità acquisita, gli ospedali non saranno più gli stessi a partire dalla loro organizzazione.
A breve, la maggioranza della popolazione italiana si riverserà negli ospedali per patologie diverse o concomitanti con l’infezione da COVID. Come li faremo accedere? Ci saranno ospedali COVID dedicati? O avremo reparti stabilmente dedicati nei nostri ospedali? Queste solo alcune delle domande alle quali cercheranno di dare risposta, alcuni dei massimi esperti del panorama sanitario italiano, coinvolti nel WEBINAR “FASE 2 COVID19: FOCUS OSPEDALE – ANTICIPARE E GESTIRE IL CAMBIAMENTO”, organizzato da OFFICINA MOTORE SANITA’ in collaborazione con BioMedia e realizzato grazie alla sponsorizzazione di IPSEN.
“La fase 2 si prospetta più complessa rispetto all’inizio della pandemia. Dovremo far convivere Covid e ripristino delle attività, dovremo ragionare sulla ripresa di una domanda (appropriata e non) fino ad oggi non espressa, dovremo reggere l’impatto di patologie non emerse ad esempio per la chiusura degli screening oncologici. La scommessa sarà soprattutto fare il triage di quelle pratiche nate dall’emergenza che è opportuno trasferire nella nuova organizzazione della sanità ospedaliera”, ha spiegato Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO), Regione Toscana.
“L’esigenza, in questo momento, è proprio quella di riuscire a mettere in atto, per la riorganizzazione delle riaperture delle attività, delle modalità di svolgimento, sia in ospedale sia in ambulatorio, che riducano il distanziamento sociale, pur mantenendo un distanziamento fisico quando possibile, quando questo non compromette la qualità delle cure. La sfida è sicuramente questa, concentrandoci sugli strumenti che ci consentano di identificare precocemente eventuali portatori sani o paucisintomatici del virus in tutte le attività, sia quelle ospedaliere sia quelle ambulatoriali”, ha raccontato Valentina Solfrini, Servizio Assistenza Territoriale, Area Farmaci e Dispositivi Medici, Regione Emilia-Romagna.
“In Regione Campania l’epidemia ha imposto una forte accelerazione e ammodernamento dei processi di informatizzazione: dalla dematerializzazione della ricetta per i farmaci A-PHT, alla rete integrata Regioni – Aifa che ha dettato nuove regole e procedure necessarie ad ottimizzare in maniera organica e veloce alle carenze di farmaci sul mercato. Per il mese di maggio, mese ancora critico per la situazione sanitaria legata all'epidemia da coronavirus, abbiamo deciso di mantenere ancora limitata l’informazione scientifica sul territorio. Possiamo interagire con le aziende attraverso qualsiasi strumento di videoconferenza.
Per quanto riguarda le terapie oncologiche e quelle specifiche per il Covid-19 abbiamo implementato dei percorsi di consegna domiciliare personalizzate attraverso le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) che garantiscono l'assistenza dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero così da consentire al medico di medicina generale, al pediatra di libera scelta e al medico di continuità assistenziale di garantire l'attività ordinaria. Nel prossimo futuro punteremo molto sul potenziamento degli Usca, che dipendono dal distretto sanitario e dal SEP (servizio epidemiologia e prevenzione)”, ha detto Ugo Trama, Direttore UOD 08, Politica del Farmaco e Dispositivi, Regione Campania.
“L’attenzione della sanità su Covid-19 e la paura del contagio rischiano di vanificare i risultati ottenuti in Italia con le terapie più innovative per l’infarto e gli sforzi per la prevenzione degli ultimi 20 anni.
L’organizzazione degli Ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid-19 e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi.
Inoltre, per timore del contagio i pazienti ritardano l’accesso al pronto soccorso e arrivano in ospedale in condizioni sempre più gravi, spesso con complicazioni aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che hanno dimostrato di essere salvavita come l’angioplastica primaria. Se questa tendenza dovesse persistere e a rete cardiologica non sarà ripristinata, ora che è passata questa prima fase di emergenza, avremo più morti per infarto che di Covid-19”.
È questo il grido d’allarme della Società Italiana di Cardiologia (SIC), lanciato dal suo presidente, Ciro Indolfi, Ordinario di Cardiologia Università Magna Graecia di Catanzaro, a seguito di uno studio multicentrico nazionale, condotto in 54 ospedali, per valutare i pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC), nella settimana 12/19 marzo, durante la pandemia di Covid-19, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno.
Una 'spremuta' di anticorpi di guariti che si sono lasciati alle spalle Covid-19 da dare in dono agli ammalati per aiutarli a sconfiggere a loro volta l'infezione da Sars-Cov-2. Lo scienziato Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, la definisce "una possibile evoluzione della terapia con il plasma iperimmune".
Consiste nel 'filtrare', dal plasma delle persone che hanno sconfitto la malattia e sono nella fase della convalescenza, solo i 'soldati' dell'immunità, ottenendo così una sorta di 'concentrato' di anticorpi da infondere ai malati ancora in lotta col nuovo coronavirus. A Bergamo, una delle province più colpite dai contagi nei mesi clou dell'emergenza, è in corso uno studio pilota che sta esplorando questa via.
"Sono già stati trattati 4 malati nel corso di una sperimentazione approvata dal comitato etico, con la quale si punta a raccogliere un'evidenza di efficacia nei pazienti più gravi, intubati in terapia intensiva. Per ora possiamo dire ciò che sappiamo e cioè che è una procedura sicura e tollerata. A fine studio ci si potrà esprimere sull'efficacia", spiega all'AdnKronos Salute Piero Ruggenenti, direttore dell'Unità di nefrologia e dialisi dell'Asst Papa Giovanni XXIII e capo Dipartimento di medicina renale all'Irccs Mario Negri. "Speriamo parta una ricerca più ampia, magari internazionale, che permetta di compiere il passo successivo, cioè usare gli anticorpi in fase precoce, quando c'è solo la febbre e un po' di tosse".
"E' proprio Ruggenenti ad aver avuto l'intuizione che ha dato il via a tutto", dice Remuzzi. "Avevamo inventato e messo in atto una procedura per curare pazienti con nefropatia membranosa, malattia causata da anticorpi 'cattivi' che invece di difendere dalle infezioni aggrediscono i reni e li distruggono - racconta Ruggenenti - In un progetto in collaborazione con il Mario Negri avevamo usato una macchina pensata per tutti altri motivi per togliere questi anticorpi e far guarire i pazienti. Gli anticorpi in quel caso li buttavamo via. Il ragionamento è stato: se nel sangue dei guariti ci sono anticorpi buoni contro Covid possiamo usare la macchina per catturarli e poi dopo tutti i controlli del caso infonderli in pazienti che ne hanno bisogno".
Il passo seguente è stato richiamare pazienti con polmoniti da coronavirus che erano stati estremamente gravi e sono guariti. "Più l'infezione è severa maggiore è la risposta immunitaria. E quindi in linea puramente teorica questo paziente una volta guarito dovrebbe avere più anticorpi. Altro fattore è il tempo: più siamo vicini all'infezione più anticorpi ci sono. Quindi il prelievo va fatto ai convalescenti appena ci sono due tamponi negativi consecutivi".
"Da studi fatti prima sappiamo che con una sola procedura siamo in grado di prendere quasi il 90% degli anticorpi dal plasma che viene filtrato. Questi vengono raccolti in una sacca poi sottoposta ai controlli del centro trasfusionale. Si verifica che ci siano gli anticorpi contro il coronavirus Sars-CoV-2 e la sacca viene consegnata al rianimatore che la infonde in un paziente drammatico che non riesce più a respirare senza ventilazione meccanica ed è quindi intubato. La speranza è che questa ondata di anticorpi ultra concentrata arrivi ad aggredire il virus che sta distruggendo i polmoni e lo blocchi".
Una unità di questo concentrato, spiega Ruggenenti, "contiene quattro volte più anticorpi di una unità del plasma iperimmune di cui oggi si parla tanto. Quindi un malato dovrebbe ricevere 4 unità di plasma per avere la stessa quantità di anticorpi ricevuta con 500 ml di soluzione arricchita con gli anticorpi da noi prelevati". La macchina funziona così: "Mettiamo al donatore una cannula in una grossa vena della gamba, quella femorale, dalla quale esce il sangue che entra in un primo filtro per la separazione del plasma. I globuli rossi vengono immediatamente restituiti attraverso la stessa cannula. Il plasma passa invece attraverso un secondo filtro, che cattura tutti gli anticorpi, e ritorna al donatore, il quale può tornare a casa. Il suo sistema immunitario sa cosa fare e riprodurrà gli anticorpi di cui è stato spogliato".
Il vantaggio di questa tecnica è duplice e riguarda sia il donatore che il ricevente, assicurano gli esperti. "Non c'è infatti più bisogno di infondere altro plasma e altre sostanze al donatore per compensare quanto gli è stato tolto e impedire che collassi - elenca Ruggenenti - Il vantaggio per il ricevente è che non riceve grandi volumi plasma che possono creare problemi in una persona che fa già fatica a respirare. Non c'è inoltre il rischio di reazioni allergiche a tutte le sostanze che ci sono nel plasma e che non servono al paziente, tipo albumina, altre proteine, fattori della coagulazione e così via".
Il prelievo dai donatori scatta solo se dai controlli viene confermata la presenza di anticorpi nel loro sangue. Un controllo che si ripete poi anche sulle sacche. Quando queste sono disponibili, se non c'è un ricevente con un gruppo compatibile, possono essere congelate e usate in qualunque momento sia necessario. "Se ci dovesse essere un ritorno dell'epidemia noi potremmo dunque avere scorte di anticorpi da usare immediatamente", fa presente Ruggenenti.
I pazienti trattati nell'ambito della sperimentazione erano gravissimi, "nelle loro condizioni si stima un 30-40% di probabilità di morire". "L'andamento di 3 di loro è stato estremamente positivo perché hanno potuto sospendere l'intubazione in tempi molto brevi e sono già stati tutti e tre dimessi dalla terapia intensiva. Il quarto paziente è in questo momento ancora in osservazione".
I malati trattati sono stati estubati "molto prima di quanto avviene di solito, se si considera che mediamente si parla di almeno 30 giorni. Di efficacia del trattamento potremo comunque parlare solo con i risultati dello studio in mano. Il progetto di ricerca prevede di confrontare l'andamento dei trattati con pazienti (controlli), paragonabili per età, sesso e caratteristiche di malattia. Quando vedremo che i pazienti che hanno ricevuto gli anticorpi sopravvivono di più e si liberano più rapidamente della ventilazione meccanica, guariscono e vanno a casa sani, avremo dimostrato da un punto di vista statisticamente valido che la procedura è efficace", prosegue Ruggenenti.
Va considerato infine un ulteriore aspetto: quello dell'accessibilità. "Essendo una procedura più semplice della plasmaferesi si può applicare ovunque con questa macchina e le linee possono essere impiegate in qualsiasi reparto anche di un Paese più povero dove magari la plasmaferesi non è disponibile".
I risultati del lavoro "li pubblicheremo sia se positivi e sia se negativi", assicura Ruggenenti che si dice comunque ottimista, visti gli esiti osservati sui pazienti finora trattati. "Si punta ad arrivare a 10, che andranno poi raffrontati con altri 10 pazienti 'controllo'. Nel giro di uno o due mesi contiamo di avere dati significativi". Sarebbe un "passo avanti tecnico importante, ma lo vedremo a fine studio - puntualizza Remuzzi - In questa ricerca va sottolineato anche l'importante ruolo dei trasfusionisti dell'ospedale di Bergamo. Possiamo definire questo come un passaggio intermedio. Perché la cura definitiva sarà costruire in laboratorio gli anticorpi. Ed è possibile che si arrivi a questo traguardo prima del vaccino".
Modificare le regole amministrative/burocratiche che oggi rallentano il Paese, avere un confronto diretto fra gli attori istituzionali coinvolti sia essi nazionali che regionali, coinvolgendo comuni, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e farmacista territoriale, cercando anche di trovare collaborazione nella sanità privata o nell’industria farmaceutica per contribuire alla creazione di un modello virtuoso.
Questo il tema centrale, affrontato dai massimi esperti del panorama sanitario italiano, durante il WEBINAR “FASE 2 COVID19: FOCUS TERRITORIO – ANTICIPARE E GESTIRE IL CAMBIAMENTO”,organizzato da OFFICINA MOTORE SANITA’ in collaborazione con BioMedia e realizzato grazie alla sponsorizzazione di IPSEN.
“Siamo da poco passati alla fase 2 della pandemia COVID19 e dal punto vista della medicina territoriale dobbiamo partire dall'esperienza appena fatta dalle singole realtà regionali dove nella fase acuta le Regioni più organizzate ed efficienti hanno fornito risposte migliori alla pandemia. La tragica vicenda del Coronavirus dovrà rappresentare l'occasione per una nuova condizione, che servirà a costituire la medicina territoriale del futuro dove tutti gli attori coinvolti dovranno mettersi in gioco e cercare di superare per il bene comune di tutti i cittadini i loro pur comprensibili specifici interessi”, queste le parole di Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità
“Mai come in questa fase la gestione dell’emergenza ha assunto connotati reali con un’interazione a 360° con il complessivo mondo sanitario e sociosanitario. L’evoluzione tumultuosa della pandemia ha determinato la necessità di una risposta rapida e integrata che ha avuto riscontro pratico ed effettivo su tutto il sistema. I problemi affrontati sono molteplici: dalla capacità di offerta ospedaliera ad alta intensità (UTI) e media intensità, alla capacità territoriale di prendere in carico le diverse situazioni.
In Liguria la risposta è stata pianificata in tempi precoci: il 18 febbraio è stata creata una task force multidisciplinare Covid, un’azione che ha consentito di gestire, nelle forme possibili, i problemi emergenti. Non tutto tornerà come prima, dagli stress del sistema molte attività hanno infatti subito radicali mutamenti”, ha detto Walter Locatelli, Commissario Straordinario A.Li.Sa. Regione Liguria
“Le farmacie in questa epidemia dovuta al Covid si sono dimostrate un sistema territoriale che ha ben tenuto” dichiara Annarosa Racca, Presidente di Federfarma Lombardia “abbiamo dimostrato veramente di essere il presidio sanitario sul territorio, aiutando la gente non solo nella dispensazione del farmaco ma anche nella difesa dal contagio e nella prevenzione. Per il futuro, vorremmo che si ricordasse quanto siano state efficaci le farmacie, e che questo sia uno stimolo per ridare alla farmacia il ruolo di primo presidio sanitario del territorio anche per alcuni farmaci e presidi in cui il sistema delle gare ha dimostrato la sua inefficienza e scarsa flessibilità”, conclude la Racca.
“Cosa succederà quando sarà terminata l’emergenza da Covid 19? Come verranno riattivati i percorsi assistenziali classici evitando il fenomeno delle liste di attesa? Quale ruolo per l’assistenza domiciliare e territoriale, una volta verificata anche l’inadeguatezza del sistema basato sulle RSA? Con riferimento specifico all’ultimo quesito, rappresenta una straordinaria opportunità non solo dal punto di vista strettamente assistenziale ma anche economico e gestionale (minori costi, qualità delle cure, tempestività, qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari).
Ogni crisi può e deve essere vista come una opportunità di modificare situazioni stagnanti con l’obiettivo di migliorare la gestione del sistema sanitario mediante l’introduzione di nuovi approcci gestionali, organizzativi, normativi che superino la logica del costo per, finalmente, considerare l’assistenza sanitaria un investimento importante per tutto il Paese”, ha spiegato Francesco Saverio Mennini, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Da lunedì è iniziata la “Fase 2” dell’emergenza sanitaria: maggiore libertà di movimento all’interno del perimetro regionale per fare visita a genitori e congiunti, così come sarà più semplice incontrare la persona amata, non convivente, dopo mesi di lockdown.
Ma come riscoprire l’intimità in questo periodo evitando comportamenti che potrebbero mettere a rischio la propria salute e quella del partner? Dagli esperti della Società Italiana di Contraccezione (SIC) arrivano alcune raccomandazioni per vivere la sessualità in maniera serena.
Ridurre le distanze fisiche non significa che il rischio di contagio da Covid-19 sia diminuito o scomparso: tutt’altro. “Sebbene pare sia molto remota la trasmissione del virus attraverso le secrezioni vaginali o il liquido seminale – infatti soltanto in due studi il virus è stato trovato nei testicoli di un uomo e nel fluido vaginale di una donna – bisogna comunque fare attenzione e proteggersi. Il preservativo, associato alla contraccezione ormonale, rappresenta sempre un’ottima arma anche di fronte a possibilità di rischio molto basse”, afferma la professoressa Franca Fruzzetti, Responsabile dell’ambulatorio di endocrinologia ginecologica dell’Ospedale Universitario Santa Chiara di Pisa e Presidente SIC.
La fonte di maggior contagio restano la saliva e le secrezioni delle vie aere superiori. Il bacio può essere la via di trasmissione del Covid-19. Il rischio, tuttavia, è minimo se entrambi i partner hanno rispettato le indicazioni della “Fase 1” sulle norme di contenimento e di isolamento.
“Ricordarsi che il partner più sicuro è qualcuno con cui si vive o si è convissuto prima dell’isolamento. Sarebbe salutare, per il momento, evitare uno stretto contatto - incluso il sesso - con chiunque non si conosca bene. È certo che il bacio possa essere più rischioso del rapporto sessuale, ma non c’è alcuna intimità sessuale senza baci! Quindi evitiamo rapporti con chi non è il partner usuale”, aggiunge il professor Salvatore Caruso, Professore di Ginecologia e ostetricia presso l’Università di Catania, membro SIC e Presidente della Federazione Italiana Sessuologia Scientifica (FISS).
“In sintesi, per coloro che hanno un partner fisso e hanno seguito le norme di igiene e distanziamento sociale, il sesso rimane sicuro e il bacio salutare. Di contro, per chi usualmente pratica una sessualità non monogama, più occasionale, il consiglio è di evitarla per salvaguardare la propria salute e quella degli altri”, concludono la professoressa Fruzzetti e il professor Caruso.
Sesso e Covid-19: vademecum Società Italiana di Contraccezione
. | Il partner più sicuro è qualcuno con cui si vive o si è convissuto prima dell’isolamento. |
2. | Il bacio può essere la via di trasmissione del Covid-19. Ma niente paura se la coppia ha rispettato le indicazioni della “Fase 1”. |
3. | Prestare maggiore attenzione all’igiene intima, prima e dopo i rapporti sessuali. |
4. | Meglio evitare rapporti sessuali o contatti stretti se uno dei due partner è malato o se è risultato positivo al coronavirus. In questo caso seguire le norme generali di isolamento domiciliare. |
5. | È bene evitare rapporti occasionali non protetti. Sebbene pillola e preservativo proteggano da malattie sessualmente trasmissibili e da gravidanze indesiderate, non difendono dal Covid. |
6. | Il rapporto orale/genitale potrebbe diffondere il Covid-19. Esistono in commercio presidi in lattice usualmente utilizzati come barriera tra la bocca e l'ano o la vagina, efficaci per prevenire infezioni orali, vaginali o anali. |
7. | Le coppie a distanza possono provare con il sexting, ossia lo scambio di messaggi con contenuti erotici. Fare, però, molta attenzione al rischio revenge porn. |
8. | Per qualsiasi dubbio fare sempre riferimento al proprio medico o specialista. |
E' raro che una donna in gravidanza risulti contagiata e presenti i sintomi da Covid-19. Ma anche quando la futura mamma è positiva al coronavirus, l'infezione non sembra in grado di attraversare la placenta e quindi di trasmettersi al bambino, né durante la gravidanza né durante il parto. Anche per questo il parto naturale è la scelta migliore per le mamme positive al virus.
Queste raccomandazioni, date dai medici già subito dopo l'inizio della pandemia, sono ora confermate da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica British Journal of Obstetric&Gynaecology.
Lo studio è stato condotto tra l'1 e il 20 marzo e ha coinvolto 42 donne con Covid-19 che hanno partorito nei 6 punti nascita individuati da Regione Lombardia come Hub Maternità Covid (Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; Ospedale-ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano; Papa Giovanni XIII Ospedale di Bergamo; Fondazione MBBM – Ospedale San Gerardo, Monza; Spedali Civili di Brescia; Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia).
Dallo studio emerge come di queste 42 donne, 24 (57%) hanno avuto un parto naturale, mentre 18 (43%) sono state sottoposte a cesareo: va precisato però che per 8 di queste future mamme si è ricorsi in via precauzionale all’intervento per problemi ostetrici non associati a Covid-19.
L'identikit della neomamma Covid-19 ci dice che il sintomo principale dell'infezione, e cioè una polmonite, era presente in 19 donne (45%) e che per 7 di loro (37%) è stato necessario somministrare ossigeno, mentre solo per 4 (21%) si è ricorsi al ricovero in Terapia Intensiva.
In linea generale, si è visto che al momento del parto, le future mamme presentavano sintomi lievi come tosse e raffreddore.
Per quanto riguarda i nuovi nati il dato è rassicurante, infatti, solo 1 neonato è risultato positivo dopo il parto naturale e non ha richiesto un supporto intensivo.
"Il parto naturale è sicuro - commenta Enrico Ferrazzi Direttore dell’Unità di Ostetricia del Policlinico di Milano e primo firmatario dello studio retrospettivo ‘Vaginal Delivery in SARS-CoV-2 Infected Pregnant Women in Northern Italy’ - Lo studio conferma che il parto vaginale presenta rischi minimi per la mamme e per il nascituro. Certamente la soglia di attenzione è sempre alta ed insieme alla coppia valutiamo i pro e contro. Ma queste evidenze ci consentono di consigliare questa scelta alle future mamme e di andare incontro al loro desiderio di partorire con un parto naturale".
Dovremo cominciare a convivere con il COVID-19, aspettando di capire come si comporterà con la stagione estiva e preparandoci all’eventualità di nuovi picchi, ma qualunque sia la percentuale di pazienti guariti e la durata dell’immunità acquisita, gli ospedali non saranno più gli stessi a partire dalla loro organizzazione.
A breve, la maggioranza della popolazione italiana si riverserà negli ospedali per patologie diverse o concomitanti con l’infezione da coronavirus COVID-19. Come li faremo accedere? Ci saranno ospedali COVID dedicati? O avremo reparti stabilmente dedicati nei nostri ospedali?
Queste solo alcune delle domande alle quali cercheranno di dare risposta, alcuni dei massimi esperti del panorama sanitario italiano, coinvolti nel WEBINAR “FASE 2 COVID19: FOCUS OSPEDALE – ANTICIPARE E GESTIRE IL CAMBIAMENTO’, organizzato da OFFICINA MOTORE SANITA’ in collaborazione con BioMedia e realizzato grazie alla sponsorizzazione di IPSEN.
“La fase 2 degli ospedali impegnerà tutti gli operatori e la dirigenza del settore in una revisione organizzativa che riporti le strutture ad una offerta appropriata ma sicura, a partire dal rispetto della distanza sociale, dalla difesa da un nuovo possibile contagio e da una attività ordinaria, oltre che d'urgenza, spalmata su tutti i giorni della settimana”, queste le parole di Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità
“Quale è la differenza di produzione e di relativo cambio nella struttura di costi per beni e servizi ipotizzabile nel prossimo periodo di convivenza con la pandemia? Questa è la domanda che i direttori generali degli ospedali oggi si pongono. Infatti, una % di ricoveri non presente precedentemente, che potrà variare nel tempo che è destinata ai ricoveri dei pazienti con COVID 19 sarà presente assieme alla diminuzione di mobilità attiva e passiva.
In più ci sarà una diminuzione di produttività dovuta alla necessità di modificare al personale la destinazione causa la creazione di nuove aree aziendali come il secondo PS per pazienti COVID, cui si somma la diminuzione per la produzione specialistica (LEA B) dovuta alla presenza dei “filtri COVID”. Senza dimenticare la programmazione per appuntamento, il distanziamento degli utenti ed infine la diminuzione della produzione dei ricoveri (LEA C) dovuta alla presenza dei “filtri COVID” e la necessità di isolare temporaneamente o permanentemente i pazienti ricoverati a rischio COVID”, ha spiegato Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza (VA) Direttore Generale SEUS 118 Sicilia
“Durante il periodo Covid in Regione Toscana abbiamo semplificato l’accesso alle terapie farmacologiche ospedaliere semplificando il percorso della prescrizione ai pazienti, dematerializzando le ricette della farmaceutica convenzionata e della Distribuzione Per Conto (DPC). Così il medico invia il codice RNE tramite SMS al paziente che può recarsi direttamente nella Farmacia convenzionata di propria scelta, la quale con il codice fiscale e il codice RNE stampa il promemoria cartaceo sul quale appone le fustelle dei farmaci ed eroga la terapia. Abbiamo poi utilizzato le farmacie convenzionate come terminali territoriali del SSR per erogare terapie farmacologiche specialistiche, ampliando la DPC con una serie di farmaci fino ad oggi erogati direttamente dalle farmacie ospedaliere, per i quali abbiamo dematerializzato le ricette.
In ultimo abbiamo iniziato con consegne domiciliari per una serie di terapie per patologie rare e farmaci H. Alcuni cambiamenti nell'assetto organizzativo dettati dalla emergenza Covid potranno rimanere nella pratica quotidiana, in quanto semplificano l'accesso alle terapie farmacologiche, che nell'ultimo decennio hanno visto una regolamentazione dell'innovazione quasi esclusivamente appannaggio della erogazione diretta dagli ospedali. Ciò in contrasto con lo sviluppo tecnologico che sta mettendo a disposizione terapie sempre più maneggevoli (es. terapie oncologiche orali) per il paziente. In questo senso l'emergenza Covid che ci ha imposto di rivedere i paradigmi organizzativi in funzione di un accesso meno ospedaliero-centrico, può rappresentare una esperienza anche per il futuro assistenziale”, ha detto Claudio Marinai, Responsabile Politiche del Farmaco e Dispositivi Regione Toscana
Una riflessione compiuta e articolata sulla salute nelle città come bene comune, alla luce dei profondi cambiamenti che l'emergenza da coronavirus determinerà nelle modalità di intervento degli amministratori locali nel settore socio-assistenziale e sanitario.
E' quanto emerso dal webinar “La salute nelle città al tempo del coronavirus”, organizzato da Anci, AnciComunicare e Ifel, con il patrocinio del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il contributo non condizionato di Novo Nordisk e con la collaborazione scientifica dell’Health City Institute, C14+, Federsanità e Cities Changing Diabetes
Secondo un’indagine che presentata oggi dall’Istituto Piepoli oltre il 70% del campione intervistato è pienamente soddisfatto dell’operato del sindaco nella gestione dell’emergenza coronavirus e il 62 % dei giovani chiede che i primi cittadini abbiano maggiori poteri nelle politiche per la salute. Tra le priorità espresse dagli italiani, ai primi posti ci sono lavoro, sostegno alle famiglie e salute. La salute, in particolare, risulta la priorità per il 51 per cento dei cittadini tra i 18 e i 34 anni.
“Dall’indagine – ha commentato il Vicepresidente dell’Istituto Piepoli, Livio Gigliuto - è evidente che l'emergenza ha rafforzato negli italiani l’empatia verso i Sindaci. Tra gli italiani queste figure di eroi discreti, vicini, impegnati strada per strada nel far rispettare le regole, sono emersi come affidabili e rassicuranti, tanto che 7 italiani su 10 hanno promosso a pieni voti l’operato del proprio Sindaco. La maggioranza degli italiani, quindi, chiede che i poteri dei Sindaci in termini sanitari siano rafforzati e ampliati, rendendo ancora più concreta la loro posizione di autorità sanitaria locale".
“Credo che oggi si sia reso evidente agli occhi di tutti – ha rimarcato il Vicepresidente Vicario Anci, Roberto Pella - che il Sindaco svolge un ruolo di primaria rilevanza per l'organizzazione e la gestione della salute. In conseguenza di questa emergenza, nuove vulnerabilità e fragilità sociali si affacciano nelle nostre comunità, per le quali dobbiamo assicurare migliore efficienza nella sussidiarietà e potenziare reti territoriali per la cura, l'assistenza e la promozione di stili di vita sani. ANCI da tempo si occupa di questo tema, promuovendo un approccio multidisciplinare e coordinato, in grado di reagire più proattivamente alle crisi e di coltivare, al contempo, responsabilità collettiva e buone pratiche al servizio della salute e del benessere dei cittadini”.
“La salute come bene comune identifica una specifica area di competenza per i sindaci e gli amministratori locali, che dovranno considerare come la stessa sia una priorità di tutta la comunità – ha sottolineato Andrea Lenzi, Presidente del CNBBSV della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Health City Institute – in una visione della salute sempre più bene comune e indivisibile per singolo individuo. In questi giorni stiamo imparando, in tutto il mondo, a convivere con il timore che ove la pandemia COVID-19 si espandesse incontrollata nelle metropoli, questa potrebbe essere una tragedia di dimensioni tali da essere forse, in una visione darwiniana, irreversibile per tutta l’umanità.”
“La nascita di network nazionali ed internazionali - ha detto Federico Serra direttore Italia Cities Changing Diabetes - come da anni e in maniera previgente hanno fatto l’Healthy Cities Network del WHO, il C40 della Bloomberg Foundation, il C14+ di ANCI e dell’Health City Institute, think tank italiano sull’urban health, e il Cities Changing Diabetes dell’University College of London e dello Steno Centre di Copenaghen, dimostra che i Sindaci debbono aprirsi e confrontarsi con le altre città per trovare strumenti di azione e studio condivisi, coinvolgendo e animando il dibattito con partners universitari, scientifici, sociali, economici e privati, in una logica di cross-sector partnership e non di individualismo sterile”.
L’attenzione che Anci riserva al tema della salute nelle città non è nuova. Nel 2016, con la sottoscrizione del Manifesto “La Salute nelle Città: bene comune”, elaborato dall’Health City Institute, l’Associazione dei Comuni ha voluto indicare alle amministrazioni locali, in dieci punti, le azioni prioritarie per migliorare gli stili di vita e lo stato di salute dei cittadini. Il Manifesto è stato adottato da molti Comuni e approvato anche dal Comitato delle Regioni dell’UE.
Il 20 aprile scorso, a firma del presidente dell’Health City Institute Andrea Lenzi, del segretario generale CittadinanzAttiva Antonio Gaudioso, del Vicepresidente Vicario di ANCI Roberto Pella, del direttore Area welfare del Censis Ketty Vaccaro e del presidente dell’Istituto per la Competitività I-Com Stefano da Empoli, è stato lanciato un appello per assicurare, in una governance multilivello tra autorità sanitarie locali, Regioni e Governo, un maggiore coinvolgimento del sindaco nell’attuazione delle politiche per il governo della salute. Con l’obiettivo di sviluppare programmi di sorveglianza sulla prevenzione delle malattie trasmissibili ma anche sulla definizione dei piani di contenimento e sul monitoraggio delle questioni relative alla biosicurezza attraverso il controllo dei fattori inquinanti. Anche integrando nello staff dei primi cittadini - suggeriscono i firmatari - la figura dell’health city manager. Un professionista, cioè, in grado di coordinare e implementare le azioni per la salute pubblica interfacciandosi con professionalità come medici, sociologi, statistici, epidemiologi e altri specialisti necessari a guidare efficacemente le azioni pubbliche per la salute.
info: http://www.salutedomani.com/
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“100 casi di Erythema Pernio-like raccolti e documentati in 20 giorni tra i nostri iscritti: un’anomala frequenza di una sintomatologia sovrapponibile a quella dei cosiddetti geloni, problema già poco comune in età pediatrica nella stagione invernale, ma residuale in primavera e comunque mai osservato con questa incidenza.
Si tratta di insolite lesioni eritemato-edematose dei piedi (in particolar modo sulla superficie dorsale delle dita e nelle linee di confine plantare), ed in minor misura delle mani, con caratteristiche cliniche del tutto simili aquelle dell’Eritema Pernio”. Ad annunciare l’esito dell’indagine clinico-epidemiologica tra gli iscritti alla Federazione Italiana Medici Pediatri, il suo Segretario Nazionale alle Attività Scientifiche ed Etiche, Mattia Doria.
“Dopo le prime segnalazioni – spiega Doria - abbiamo pensato fosse importante proporre una scheda nella nostra ultima newsletter interna, potendo contare sul grande potenziale di raccolta dati della Pediatria di Famiglia, con gli oltre cinquemila iscritti alla FIMP. La prima risposta è stata sorprendente. Nel periodo 8-27 aprile 2020 sono state raccolte le schede di 100 bambini e adolescenti nei quali si erano registrate lesioni simili a un Eritema Pernio. In appena il 14% è stato possibile effettuare un tampone rinofaringeo per Sars-Cov-2 e di questi solo un bambino è risultato positivo”.
“Si tratta –riferisce Giuseppe Ruggiero, Coordinatore Nazionale del Gruppo di Studio di Dermatologia Pediatrica della FIMP - di manifestazioni eritemato-edematose di colore rosso violaceo, che abbiamo potuto rilevare mediante esame fisico diretto o indirettamente, esaminando immagini trasmesse con i comuni sistemi di messaggistica o via email.I maschi sono risultati maggiormente interessati (64%) e l’età media complessiva è risultata di 12,5 anni. Il 40% dei casi è stato segnalato tra Sicilia e Campania. Il tempo medio dall'esordio dei sintomi alla segnalazione è stato di 13,87 giorni. In nessuno dei soggetti è stata rilevata una storia precedente di lesioni simili né una recente esposizione al freddo.
Ad essere più colpite le estremità degli arti, con solo due casi che interessavano il viso. In 61 pazienti sono stati segnalati sintomi locali (almeno uno tra dolore, bruciore e prurito), mentre in 16 erano presenti anche sintomi extra-cutanei, in particolare febbre e mal di gola”.
“Nel 74%dei casiè stata presa in considerazione una terapia locale e/o sistemica –prosegue Ruggiero - mentre nel restante 26% non è stata effettuata alcuna terapia. Al giorno 4, il 36,8% dei pazienti presentava miglioramenti significativi (guariti e/o migliorati). Al giorno 8 e 12, questa percentuale è risultata rispettivamente del 59,2% e del 72,36%. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata confrontando il tasso di miglioramento al giorno 12 tra i soggetti trattati e non trattati”.
“Non sappiamo – segnala Doria - se queste lesioni Erythema Pernio-Like possano essere correlate all’epidemia di Covid-19.Solo alcuni dei pazienti osservati, per lo più privi di altri sintomi, hanno avuto la possibilità di accertamentidi laboratorio. Tuttavia, la coincidenza cronologica dei due eventi e la possibilità che fra i meccanismi patogenetici della infezione da Covid-19 possano rientrare alterazioni vascolari, lascia spazio alla non ancora verificata ipotesi che la comparsa di lesioni a carico delle estremità Erythema Pernio-Like possa rappresentare una espressione cutanea di questa infezione nel bambino”.
“Tale quadro – ricorda il Segretario Nazionale- sarebbe compatibile con la manifestazione della malattia nell’adulto: lesioni dermatologiche sui piedisono state osservate in molti pazienti ricoverati con Covid-19, in Italia, Cina, Spagna e Francia. Un’ipotesi peraltro confermata da un gruppo di studio di dermatologi spagnoli e pubblicata dal British Journal of Dermatology”.
“Occorreranno certo maggiori studi clinici ed epidemiologici – conclude Doria - per verificare la possibile correlazione fra insorgenza di lesioni Erythema Pernio-like (mai osservate in questa misura prima del febbraio 2020) e l’infezione da Covid-19 e magari per usare la manifestazione cutanea come campanello d’allarme di una positività.I Pediatri di Famiglia italiani, con il gruppo di studio di Dermatologia della FIMP continueranno a monitorare il fenomeno, per il quale rimane aperta la raccolta dei casi attraverso i canali istituiti dalla Federazione.
Per procedere con una diagnosi differenziale ed eventualmente evitare il contagio, qualora fosse dimostrata la correlazione con Covid-19, invitiamo le famiglie a continuare a seguire le nostre indicazioni attraverso il triage telefonico. Ma vogliamo rassicurare i genitori: che si sia intervenuti con trattamenti farmacologici o che si sia invece attesa una risoluzione spontanea, le lesioni sono benigne e il decorso clinico al momento è favorevole”.
L'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e le agenzie del farmaco europee ricordano ai pazienti confermati positivi al nuovo coronavirus (COVID-19) o con sospetta infezione di segnalare le sospette reazioni avverse che dovessero riscontrare a seguito dell’assunzione di qualsiasi medicinale.
Ci si riferisce sia ai medicinali per il trattamento del COVID-19 – anche quelli utilizzati al momento al di fuori delle condizioni di autorizzazione (off-label) - sia ai medicinali che si stanno assumendo per trattare condizioni preesistenti e a lungo termine.
Si ricorda che attualmente non esistono medicinali autorizzati per trattare il COVID-19. Tuttavia, nel contesto della pandemia, vengono utilizzati nei pazienti affetti dall’infezione da nuovo coronavirus diversi trattamenti autorizzati per altre malattie.
La segnalazione da parte dei pazienti va ad integrare le informazioni ricevute dagli operatori sanitari che hanno continuato a segnalare le sospette reazioni avverse riscontrate nei loro pazienti con medicinali assunti durante la pandemia.
Non si conosce ancora del tutto questo nuovo virus, comprese le possibili interazioni con i medicinali con cui i pazienti possono essere già in trattamento. Segnalando le sospette reazioni avverse ai medicinali utilizzati per il trattamento del COVID-19, pazienti e operatori sanitari possono contribuire a raccogliere valide evidenze per meglio orientare l’uso sicuro ed efficace dei medicinali con l'evoluzione della pandemia.
Le informazioni fornite dai pazienti e dagli operatori sanitari attraverso le loro segnalazioni si aggiungeranno alle conoscenze attualmente disponibili tramite i dati delle sperimentazioni cliniche e di altri studi.
E’ possibile segnalare le sospette reazioni avverse direttamente alla propria autorità nazionale competente (al seguente link del sito AIFA) o all’azienda farmaceutica produttrice dei medicinali seguendo le istruzioni presenti nel foglio illustrativo. I pazienti possono effettuare una segnalazione anche al proprio medico, infermiere o farmacista, che a sua volta inoltrerà i dati all’agenzia regolatoria.
Quando si segnalano reazioni avverse, devono essere fornite almeno le seguenti informazioni:
Nel segnalare sospette reazioni avverse, i pazienti e gli operatori sanitari sono incoraggiati a fornire informazioni quanto più accurate e complete possibili.
I pazienti devono parlare con il proprio medico, infermiere o farmacista se sono preoccupati per qualsiasi sospetto effetto indesiderato.