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- Se devi rimanere a casa, mantieni uno stile di vita sano - dieta corretta, sonno, esercizio fisico - e i contatti sociali con i tuoi cari e i tuoi amici via e-mail e telefono.
- Non fumare, non bere alcolici o peggio ancora non usare droghe per affrontare le tue emozioni.
- Se ti senti sopraffatto dall’angoscia, parla con un operatore sanitario o con un consulente.
- Raccogli le informazioni, che ti possano aiutare a determinare con precisione il rischio in modo da poter prendere precauzioni ragionevoli.
- Consulta fonti scientifiche attendibili come il sito web del ministero della Salute o quello dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)
- Ricorda come in passato hai affrontato le avversità della vita per gestire le tue emozioni durante il momento difficile di questa emergenza.
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- evitare i luoghi affollati
- restare in casa il più possibile
- limitare gli spostamenti allo stretto necessario ed evitando i contatti stretti".
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- Lavarsi spesso le mani. Si raccomanda di mettere a disposizione in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani.
- Evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
- Evitare abbracci e strette di mano.
- Mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro.
- Igiene respiratoria (starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie).
- Evitare l'uso promiscuo di bottiglie e bicchieri, in particolare durante l'attività sportiva.
- Non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.
- Coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce.
- Non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
- Pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol.
- Usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate.
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L'improvviso incremento della domanda per i farmaci utilizzati nelle terapie ospedaliere dei pazienti ricoverati a causa dell'epidemia ha generato delle carenze per le quali, oltre a rilasciare le usuali autorizzazioni all'importazione, AIFA sta definendo in collaborazione con le aziende - mediante il supporto costante di Assogenerici e Farmindustria - soluzioni eccezionali ed emergenziali.
L'Agenzia segue il problema raccordandosi costantemente con le Regioni e le Province autonome, cui tutte le strutture territoriali sono invitate a rapportarsi per la valutazione e l'inoltro ad AIFA di segnali, dando priorità ai casi urgenti di irreperibilità per i quali siano già stati espletati tutti i passaggi previsti con gli aggiudicatari delle gare regionali.
I messaggi inerenti le carenze possono essere inviati alla mail unica di riferimento, farmacicarenti@aifa.gov.it.
"L'Ema è venuta a conoscenza di segnalazioni, in particolare dai social media, che sollevano dubbi sul fatto che l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), come l'ibuprofene, potrebbe peggiorare la malattia da coronavirus (COVID-19).
Attualmente non vi sono prove scientifiche che stabiliscano una correlazione tra l’ibuprofene e il peggioramento del decorso della malattia da COVID-19.
L'Ema sta monitorando attentamente la situazione e valuterà tutte le nuove informazioni che saranno disponibili su questo problema nel contesto della pandemia". È quanto dichiara l'Agenzia euopea per i medicinali (Ema) in un comunicato di oggi.
"A Maggio del 2019 - riporta l'Ema - il comitato per la sicurezza dell'Ema (PRAC) ha iniziato una revisione dei farmaci antinfiammatori non steroidei ibuprofene e ketoprofene, a seguito di un’indagine dell'Agenzia Nazionale Francese per la Sicurezza dei Medicinali e dei Prodotti Sanitari (ANSM) che ha suggerito che l'infezione dovuta alla varicella e alcune infezioni batteriche potrebbero essere aggravate da questi medicinali. Nelle informazioni sul prodotto di molti medicinali FANS sono presenti già delle avvertenze che gli effetti degli anti-infiammatori non steroidei possono mascherare i sintomi di un peggioramento dell'infezione. ll PRAC sta rivedendo tutti i dati disponibili per verificare se siano necessarie misure aggiuntive.
All'inizio del trattamento della febbre o del dolore in corso di malattia da COVID-19 i pazienti e gli operatori sanitari devono considerare tutte le opzioni di trattamento disponibili, incluso il paracetamolo e i FANS. Ogni medicinale ha i suoi benefici e i suoi rischi come descritto nelle informazioni del prodotto e che devono essere prese in considerazione insieme alle linee guida europee, molte delle quali raccomandano il paracetamolo come opzione di primo trattamento nella febbre e nel dolore.
In accordo alle linee guida nazionali di trattamento, i pazienti e gli operatori sanitari possono continuare a utilizzare FANS (come l’ibuprofene) come riportato nelle informazioni del prodotto approvate. Le raccomandazioni attuali prevedono che questi medicinali vengano utilizzati alla dose minima efficace per il periodo più breve possibile.
I pazienti che hanno qualsiasi dubbio devono rivolgersi al proprio medico o al farmacista. Attualmente non ci sono ragioni per interrompere il trattamento con ibuprofene, in base a quanto riportato sopra. Ciò è particolarmente importante per i pazienti che assumono ibuprofene o altri FANS per malattie croniche.
A seguito della revisione dei dati di sicurezza dell’ibuprofene e del ketoprofene, l’Ema sottolinea la necessità di condurre tempestivamente studi epidemiologici, al fine di fornire adeguate evidenze sugli effetti dei FANS sulla prognosi della malattia da COVID-19. L'Agenzia sta contattando le sue controparti ed è pronta a supportare attivamente tali studi, che potrebbero essere utili per formulare eventuali raccomandazioni terapeutiche future.
Una volta conclusa la revisione del PRAC, l'Ema fornirà ulteriori informazioni come opportuno".
EMA is aware of reports, especially on social media, which raise questions about whether non-steroidal anti-inflammatory medicines (NSAIDs) such as ibuprofen could worsen coronavirus disease (COVID-19).
There is currently no scientific evidence establishing a link between ibuprofen and worsening of COVID?19. EMA is monitoring the situation closely and will review any new information that becomes available on this issue in the context of the pandemic.
In May 2019, EMA’s safety committee (PRAC) started a review of the non-steroidal anti-inflammatory medicines ibuprofen and ketoprofen?????? following a survey by the French National Agency for Medicines and Health Products Safety (ANSM) which suggested that infection due to chickenpox (varicella) and some bacterial infections could be made worse by these medicines. The product information of many NSAIDs already contains warnings that their anti-inflammatory effects may hide the symptoms of a worsening infection. The PRAC is reviewing all available data to see if any additional measure is required.
When starting treatment for fever or pain in COVID-19, patients and healthcare professionals should consider all available treatment options including paracetamol and NSAIDs. Each medicine has its own benefits and risks which are reflected in its product information and which should be considered along with EU national treatment guidelines, most of which recommend paracetamol as a first treatment option for fever or pain.
In line with EU national treatment guidelines, patients and healthcare professionals can continue using NSAIDs (like ibuprofen) as per the approved product information. Current advice includes that these medicines are used at the lowest effective dose for the shortest possible period.
Patients who have any questions should speak to their doctor or pharmacist. There is currently no reason for patients taking ibuprofen to interrupt their treatment, based on the above. This is particularly important for patients taking ibuprofen or other NSAID medicines for chronic diseases.
Further to the ongoing PRAC safety review on ibuprofen and ketoprofen, EMA highlights the need for epidemiological studies to be conducted in a timely manner to provide adequate evidence on any effect of NSAIDs on disease prognosis for COVID-19. The Agency is reaching out to its stakeholders and is ready to actively support such studies, which could be useful in guiding any future treatment recommendations.
EMA will provide further information as necessary and once the PRAC review is concluded.
More about the medicines
Most ibuprofen-containing medicines in the EU are authorised at national level, as a painkiller and in some countries also as an antipyretic (fever medicine). They are widely available over the counter and on prescription. Oral ibuprofen (over the counter or with a prescription) is used, depending on the presentation, in adults, children and infants from the age of three months, for the short-term treatment of fever and/or pain such as headaches, flu, dental pain and dysmenorrhoea (period pain). Ibuprofen is also prescribed for the treatment of arthritis and rheumatic conditions. Ketoprofen is a similar medicine, mostly prescribed for use in various painful and inflammatory conditions although in some Member States it is available over the counter.
Ibuprofen has also been authorised centrally as Pedea to treat ‘patent ductus arteriosus’ in newborn premature babies.
More about the procedure
The review of ibuprofen and ketoprofen is carried out in the context of a safety signal procedure. A safety signal is new information on the safety of a medicine that requires further investigation and is not itself evidence of a causal relationship between a medicine and the side effect concerned.
La proteina spike (primo piano) consente al virus di entrare e infettare le cellule umane. Sul modello del virus, la superficie del virus (blu) è coperta da proteine ??a spillo (rosse) che consentono al virus di entrare e infettare le cellule umane.
Uno studio clinico di fase 1 che valuta un vaccino sperimentale progettato per proteggere contro la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) è iniziato al Kaiser Permanente Washington Health Research Institute (KPWHRI) di Seattle.
L' Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (NIAID) , parte del National Institutes of Health, sta finanziando il progetto. KPWHRI fa parte del consorzio di ricerca clinica sulle malattie infettive del NIAID . Lo studio in aperto arruolerà 45 volontari adulti sani dai 18 ai 55 anni per circa 6 settimane. Oggi il primo partecipante ha ricevuto il vaccino sperimentale.
Lo studio sta valutando diverse dosi del vaccino sperimentale, per la sicurezza e la sua capacità di indurre una risposta immunitaria nei partecipanti. Questa è la prima delle molteplici fasi del processo di sperimentazione clinica, per valutare il potenziale beneficio del vaccino.
Il vaccino si chiama mRNA-1273 ed è stato sviluppato dagli scienziati NIAID e dai loro collaboratori presso la società di biotecnologia Moderna, Inc., con sede a Cambridge, nel Massachusetts. La Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) ha supportato la produzione del vaccino candidato per la sperimentazione clinica di Fase 1.
"Trovare un vaccino sicuro ed efficace per prevenire l'infezione da SARS-CoV-2 è una priorità urgente per la salute pubblica- ha dichiarato il direttore della NIAID Anthony S. Fauci, MD -Questo studio di Fase 1, lanciato a velocità record, è un primo passo importante verso raggiungere quell'obiettivo. "
L'infezione da SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, può causare una malattia respiratoria da lieve a grave e includere sintomi di febbre, tosse e respiro corto. I casi COVID-19 sono stati identificati per la prima volta nel dicembre 2019 a Wuhan, nella provincia di Hubei, in Cina. Dal 15 marzo 2020, l' Organizzazione mondiale della sanità (OMS)ha riportato 153.517 casi di COVID-19 e 5.735 morti in tutto il mondo. Più di 2.800 casi confermati di COVID-19 e 58 decessi sono stati segnalati negli Stati Uniti dal 15 marzo, secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC).
Attualmente non esistono vaccini approvati per prevenire l'infezione da SARS-CoV-2.
Il vaccino sperimentale è stato sviluppato, utilizzando una piattaforma genetica chiamata mRNA (RNA messaggero). Il vaccino sperimentale dirige le cellule del corpo ad esprimere una proteina virale, che si spera possa suscitare una robusta risposta immunitaria. Il vaccino mRNA-1273 ha mostrato risultati promettenti in modelli animali e questo è il primo studio che lo ha esaminato nell'uomo.
Gli scienziati del Vaccine Research Center (VRC) di NIAID e Moderna sono stati in grado di sviluppare rapidamente mRNA-1273, grazie ai precedenti studi di coronavirus correlati, che causavano la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS).
I coronavirus sono sferici e hanno punte che sporgono dalla loro superficie, dando alle particelle un aspetto simile a una corona, che si legano alle cellule umane, consentendo al virus di entrare. Gli scienziati di VRC e Moderna stavano già lavorando a un vaccino MERS sperimentale mirato contro queste 'punte' (Spikes), e ciò ha fornito un vantaggio per lo sviluppo di un candidato al vaccino per la protezione contro COVID-19. Una volta disponibili le informazioni genetiche di SARS-CoV-2, gli scienziati hanno rapidamente selezionato una sequenza per esprimere la proteina stabilizzata del virus nella piattaforma esistente di mRNA.
Il processo di Fase 1 è condotto da Lisa A. Jackson, MD, investigatrice senior presso KPWHRI. I partecipanti allo studio riceveranno due dosi di vaccino tramite iniezione intramuscolare nella parte superiore del braccio a distanza di circa 28 giorni. A ciascun partecipante verrà assegnato un dosaggio di 25 microgrammi (mcg), 100 mcg o 250 mcg in entrambe le vaccinazioni, con 15 persone in ciascuna coorte di dose. I primi quattro partecipanti riceveranno un'iniezione con la dose bassa e i successivi quattro partecipanti riceveranno la dose da 100 mcg. I ricercatori esamineranno i dati sulla sicurezza prima di vaccinare i rimanenti partecipanti nei gruppi di dosi da 25 e 100 mcg e prima che i partecipanti ricevano le loro seconde vaccinazioni. Un'altra revisione della sicurezza verrà effettuata prima che i partecipanti siano iscritti alla coorte da 250 mcg.
Ai partecipanti verrà chiesto di tornare in clinica per visite di follow-up tra le vaccinazioni e per ulteriori visite nell'arco di un anno dopo il secondo colpo. I medici monitoreranno i partecipanti per i sintomi comuni della vaccinazione, come indolenzimento nel sito di iniezione o febbre, nonché per qualsiasi altro problema medico. Un team di protocollo si riunirà regolarmente per riesaminare i dati di sicurezza e un comitato di monitoraggio della sicurezza esaminerà periodicamente anche i dati di prova e consiglierà NIAID.
Ai partecipanti verrà anche chiesto di fornire campioni di sangue in periodi specifici, che gli investigatori testeranno in laboratorio per rilevare e misurare la risposta immunitaria al vaccino sperimentale.
"Questo lavoro è fondamentale per gli sforzi nazionali, al fine di rispondere alla minaccia di questo virus emergente- ha concluso il Dr. Jackson- Siamo pronti a condurre questo importante studia, grazie alla nostra esperienza come centro di sperimentazione clinica NIH dal 2007".
Info: http://www.salutedomani.com/
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The spike protein (foreground) enables the virus to enter and infect human cells. On the virus model, the virus surface (blue) is covered with spike proteins (red) that enable the virus to enter and infect human cells.
A Phase 1 clinical trial evaluating an investigational vaccine designed to protect against coronavirus disease 2019 (COVID-19) has begun at Kaiser Permanente Washington Health Research Institute (KPWHRI) in Seattle.
The National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), part of the National Institutes of Health, is funding the trial. KPWHRI is part of NIAID’s Infectious Diseases Clinical Research Consortium. The open-label trial will enroll 45 healthy adult volunteers ages 18 to 55 years over approximately 6 weeks. The first participant received the investigational vaccine today.
The study is evaluating different doses of the experimental vaccine for safety and its ability to induce an immune response in participants. This is the first of multiple steps in the clinical trial process for evaluating the potential benefit of the vaccine.
The vaccine is called mRNA-1273 and was developed by NIAID scientists and their collaborators at the biotechnology company Moderna, Inc., based in Cambridge, Massachusetts. The Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) supported the manufacturing of the vaccine candidate for the Phase 1 clinical trial.
“Finding a safe and effective vaccine to prevent infection with SARS-CoV-2 is an urgent public health priority,” said NIAID Director Anthony S. Fauci, M.D. “This Phase 1 study, launched in record speed, is an important first step toward achieving that goal.”
Infection with SARS-CoV-2, the virus that causes COVID-19, can cause a mild to severe respiratory illness and include symptoms of fever, cough and shortness of breath. COVID-19 cases were first identified in December 2019 in Wuhan, Hubei Province, China. As of March 15, 2020, the World Health Organization (WHO) has reported 153,517 cases of COVID-19 and 5,735 deaths worldwide. More than 2,800 confirmed COVID-19 cases and 58 deaths have been reported in the United States as of March 15, according to the Centers for Disease Control and Prevention (CDC).
Currently, no approved vaccines exist to prevent infection with SARS-CoV-2.
The investigational vaccine was developed using a genetic platform called mRNA (messenger RNA). The investigational vaccine directs the body’s cells to express a virus protein that it is hoped will elicit a robust immune response. The mRNA-1273 vaccine has shown promise in animal models, and this is the first trial to examine it in humans.
Scientists at NIAID’s Vaccine Research Center (VRC) and Moderna were able to quickly develop mRNA-1273 because of prior studies of related coronaviruses that cause severe acute respiratory syndrome (SARS) and Middle East respiratory syndrome (MERS). Coronaviruses are spherical and have spikes protruding from their surface, giving the particles a crown-like appearance. The spike binds to human cells, allowing the virus to gain entry. VRC and Moderna scientists already were working on an investigational MERS vaccine targeting the spike, which provided a head start for developing a vaccine candidate to protect against COVID-19. Once the genetic information of SARS-CoV-2 became available, the scientists quickly selected a sequence to express the stabilized spike protein of the virus in the existing mRNA platform.
The Phase 1 trial is led by Lisa A. Jackson, M.D., senior investigator at KPWHRI. Study participants will receive two doses of the vaccine via intramuscular injection in the upper arm approximately 28 days apart. Each participant will be assigned to receive a 25 microgram (mcg), 100 mcg or 250 mcg dose at both vaccinations, with 15 people in each dose cohort. The first four participants will receive one injection with the low dose, and the next four participants will receive the 100 mcg dose. Investigators will review safety data before vaccinating the remaining participants in the 25 and 100 mcg dose groups and before participants receive their second vaccinations. Another safety review will be done before participants are enrolled in the 250 mcg cohort.
Participants will be asked to return to the clinic for follow-up visits between vaccinations and for additional visits across the span of a year after the second shot. Clinicians will monitor participants for common vaccination symptoms, such as soreness at the injection site or fever as well as any other medical issues. A protocol team will meet regularly to review safety data, and a safety monitoring committee will also periodically review trial data and advise NIAID. Participants also will be asked to provide blood samples at specified time points, which investigators will test in the laboratory to detect and measure the immune response to the experimental vaccine.
“This work is critical to national efforts to respond to the threat of this emerging virus,” Dr. Jackson said. “We are prepared to conduct this important trial because of our experience as an NIH clinical trials center since 2007.”
Adults in the Seattle area who are interested in joining this study should visit https://corona.kpwashingtonresearch.org. For more information about the study, visit ClinicalTrials.gov and search identifier NCT04283461.
NIAID conducts and supports research — at NIH, throughout the United States, and worldwide — to study the causes of infectious and immune-mediated diseases, and to develop better means of preventing, diagnosing and treating these illnesses. News releases, fact sheets and other NIAID-related materials are available on the NIAID website.
Note
Adults in the Seattle area who are interested in joining this study should visit https://corona.kpwashingtonresearch.org/. People who live outside of this region will not be eligible to participate in this trial.
Lo Stato Maggiore Cantonale di Condotta (SMCC) comunica che, alla luce dell’evoluzione della situazione dal profilo sanitario e dell’aumento dei casi di coronavirus, a partire da domani, lunedì 16 marzo 2020 alle 12:00, anche la Clinica Luganese Moncucco sarà progressivamente attivata come ospedale Covid-19, come da programma, concordato tra le strutture ospedaliere e le autorità sanitarie.
Per attuare questo obiettivo, dal profilo organizzativo il Pronto soccorso della Clinica accoglierà solo pazienti con sintomi alle vie respiratorie. A tal fine sarà attivato un sistema di triage, che permetterà di organizzare l’accoglienza dei pazienti, indirizzandoli quindi ai reparti appositamente dedicati.
Le urgenze usuali continuano ad essere prese a carico dai Pronto soccorso degli Ospedali EOC di Mendrisio, Locarno, Bellinzona e Lugano e della Clinica Santa Chiara di Locarno.
Si ribadisce che in caso di febbre, tosse, difficoltà respiratorie è obbligatorio contattare prima telefonicamente il proprio medico.
Aggiornamenti costanti, raccomandazioni e consigli di prevenzione sono sempre disponibili sulle pagine web www.ti.ch/coronavirus e www.bag.admin.ch/nuovo-coronavirus.
Per informazioni e indicazioni puntuali sulla questione Coronavirus è possibile contattare il numero gratuito 0800 144 144, attivo tutti i giorni dalle 7.00 alle 22.00. È disponibile anche la Hotline Coronavirus a livello federale allo 058 463 00 00, attiva 24 ore su 24.
E' la strategia, già esplorata in Cina, ora al centro di un protocollo che si sta mettendo a punto in Lombardia. Il progetto è stato siglato da diversi centri regionali, tra cui l'Asst di Mantova che ne dà notizia in una nota, in cui spiega che capofila dell'iniziativa è il Policlinico San Matteo di Pavia.
"La possibilità è concreta - spiega all'AdnKronos Salute Fausto Baldanti, professore di microbiologia e microbiologia clinica all'università di Pavia e responsabile del Laboratorio di virologia molecolare del San Matteo - ma sono ancora idee in una fase embrionale. Proprio perché siamo ancora in una fase di progettazione non vogliamo discuterne i dettagli".
Da Mantova spiegano che l'Unità di crisi di Asst ha dato il via libera al prelievo del plasma da alcuni pazienti guariti, che presentando elevati livelli di anticorpi contro il nuovo coronavirus possono diventare donatori a favore di malati di Covid-19 in gravi condizioni. La seconda fase del protocollo, relativa all'infusione del plasma a scopo terapeutico - prosegue l'azienda nella nota - è in attesa dell'autorizzazione del Consiglio superiore di sanità. La Regione Lombardia, informa l'Asst, si sta adoperando per ridurre i tempi di approvazione finale del protocollo.
"Nelle gravi epidemie virali, per le quali non esistono terapie consolidate - commenta il direttore del Servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale dell'ospedale Carlo Poma, Massimo Franchini -l'Organizzazione mondiale della sanità ammette l'utilizzo del plasma da pazienti guariti per la cura dei malati. Il plasma prelevato contiene infatti alte concentrazioni di anticorpi in grado di distruggere il virus. Questo tipo di terapia, già impiegata ad esempio per Sars ed Ebola, si sta tentando anche per il nuovo coronavirus".
I potenziali donatori di plasma saranno selezionati in base a caratteristiche specifiche. I criteri dell'Oms per la definizione di guarigione prevedono, tra l'altro, l'esecuzione di due tamponi a distanza di 24 l'uno dall'altro: i test devono essere entrambi negativi. "L'Azienda socio sanitaria territoriale di Mantova – conclude Franchini – farà parte di questo studio multicentrico regionale. Il progetto è già in fase avanzata, si attende il nulla osta conclusivo per passare al trattamento dei primi casi".
Chiusi in casa bisogna lottare anche contro lo stress. Segui questi semplici consigli per ritrovare normalità in questo periodo critico. Li puoi trovare scritti sul retro del cartellino, che il Ministero della Salute invita ad appendere sulla porta di casa.
Aderisci anche tu alla campagna #iorestoacasa: dillo ai tuoi vicini!
credit NIAID RML
Mancano ormai sole poche ore all’apertura del Columbus Covid 2 Hospital, l’ospedale realizzato a tempo di record da tutto lo staff tecnico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS per fornire nuove importanti armi a Roma, alla Regione Lazio e al Paese per contrastare l’infezione da Coronavirus.
Da lunedì 16 marzo saranno attivi e operativi i primi 21 posti letto di Terapia intensiva e 28 posti letto singoli dedicati alle degenze ordinarie e avverrà il trasferimento dei primi pazienti contagiati da Covid19 al momento ricoverati in aree protette presso il Policlinico Gemelli.
E oggi, in contemporanea con la conferma dell’apertura del Covid 2 Hospital il Presidente della Fondazione Giovanni Raimondi annuncia una importante partnership della Fondazione Gemelli IRCCS con Eni Spa che con un contributo straordinario sosterrà tutti gli investimenti necessari per il Columbus Covid 2 Hospital.
“Siamo davvero grati a Eni e riconoscenti per la sensibilità e la generosità dimostrata in una emergenza sanitaria mondiale – afferma il Presidente Raimondi - , manifestando così attenzione concreta verso i malati e verso l’equipe medica e sanitaria che senza sosta assicura ai degenti affetti da Covid19 le migliori cure possibili nella massima sicurezza. Una scelta di grandissimo rilievo da parte di un gruppo che è una colonna portante del Paese a supporto delle strutture sanitarie su cui ricade oggi il compito di fronteggiare una situazione di emergenza sanitaria senza precedenti”.
La nascita di Columbus Covid2 Hospital, annunciata venerdì 6 marzo in una conferenza stampa presso la Regione Lazio, diventa quindi realtà.
Il Columbus Covid2 Hospital dovrà assistere i pazienti affetti o i casi sospetti di Covid19 al fine di supportare l’Hub Regionale - Ospedale Spallanzani nel fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto.
“La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS ha accolto questa richiesta, di grande preveggenza da parte del Governo della Regione Lazio, con senso di responsabilità, data l’attuale situazione, mettendo a disposizione del Servizio sanitario nazionale le proprie competenze cliniche. Il nostro ringraziamento va ai medici, agli infermieri e al personale tecnico sanitario dal principio in prima linea con assoluta abnegazione nel fronteggiare l’epocale emergenza sanitaria”, dichiara il professor Rocco Bellantone, Direttore del Governo Clinico del Gemelli e Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Entro dieci giorni il Columbus Covid2 Hospital sarà completato con una dotazione complessiva di 74 posti letto singoli e 59 posti letto di terapia intensiva, interamente dedicato ad accogliere e trattare pazienti con Coronavirus Covid19.
Quanto al personale medico e infermieristico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS progressivamente impiegato, i posti letto delle degenze ordinarie (specialità infettivologia, pneumologia e medicina interna) disporranno di 20 medici, 65 infermieri e 22 operatori socio sanitari. I 59 posti letto di terapia intensiva vedranno impegnati 48 anestesisti/rianimatori e 180 infermieri. Inoltre, 12 infermieri e 6 operatori socio sanitari saranno dedicati all'accoglienza e all'accettazione dei degenti provenienti dal Pronto soccorso del Gemelli con personale sanitario del Policlinico adeguatamente protetto.
Il Columbus Covid2 Hospital sarà dotato delle migliori tecnologie sanitarie al momento disponibili.
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Il complesso iter dall’idea al prodotto: per un nuovo vaccino serve ricerca di base, sperimentazione e budget. Perché ci vuole tanto? Ne vale la pena? Una volta disponibile, quale popolazione avrà priorità ad utilizzarlo?
E ancora: chi rischia più di altri se privo di immunità al COVID-19? Ad alcune frequenti domande che potrebbe porsi il cittadino alcune risposte redatte dagli esperti della Società Italiana di Farmacologia (SIF).
Vale la pena vaccinarsi contro il Coronavirus COVID-19?
Sì, mettere a punto un vaccino e vaccinare la popolazione, soprattutto quella a maggior rischio di gravi conseguenze, sembra essere una buona idea. Infatti il Coronavirus COVID-19 ha una elevata contagiosità, il 15-20% dei soggetti contagiati sviluppa una infezione grave e la mortalità (2-3%), per quanto relativamente bassa, è, comunque, rilevante.
La comunità scientifica ha raggiunto la convinzione che è opportuno mettere a punto un vaccino, sulla base di una serie di considerazioni obbligatorie e tenendo in considerazione il principale parametro che fa ritenere utile prepararlo: l’alta contagiosità di COVID-19. Se si potesse azzerare il contagio esclusivamente tramite la quarantena dei pazienti infetti (come è stato possibile per un altro Coronavirus, denominato SARS), non varrebbe la pena di fare un vaccino (infatti il vaccino per la SARS, la cui preparazione era stata avviata, non è stato mai distribuito).
Se è una buona idea vaccinare la popolazione o una parte di essa, contro COVID-19, perché non veniamo vaccinati? La risposta è semplice: il vaccino non esiste ancora e per preparare e testare un vaccino contro un microrganismo nuovo ci vuole tempo. In condizioni normali (cioè senza una forte emergenza che mobiliti ingenti risorse pubbliche e private) ci vogliono 10 anni per preparare un nuovo vaccino. Anche investendo grandi quantità di denaro (normalmente sono nececessari più di 1000 milioni di euro), ci vuole almeno 1 anno. Il minor tempo richiesto per il vaccino per il COVID-19 è in buona parte dovuto alla possibilità di usare ampiamente l’esperienza maturata con la preparazione del vaccino per la SARS.
Come si prepara un nuovo vaccino?
Avrete sentito parlare di vaccini per la meningite (meningococco B), per Hpv, pneumococco, epatite B, pertosse e altri vaccini contenuti nel vaccino esavalente. Ebbene, come si arriva alla preparazione di questi prodotti? Inoltre, sono pericolosi? Se ancora ci fosse il bisogno di ribadire che i vaccini sono sicuri, sappiate anche che la maggior parte di questi nuovi preparati non contiene più virus o batteri inattivati o difettivi (capaci quindi di dare infezioni lievi dopo l’inoculazione e perciò fonte di timore per molti).
In effetti, i nuovi vaccini prevedono semplicemente l’utilizzo di una o più proteine (o polisaccaridi) prodotti dall’agente infettante. Questi componenti, di solito molto diversi da quelli prodotti dalle nostre cellule, vengono riconosciuti come estranei dal nostro organismo e stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi e ad aumentare il numero di cellule specializzate contro la proteina/polisaccaride e, quindi, contro l’organismo che la produce, conferendo immunizzazione, cioè protezione.
Acquisita l’immunizzazione (che richiede almeno 1-2 settimane dal trattamento e può prevedere altre somministrazioni dello stesso vaccino, vale a dire i cosiddetti richiami), l’organismo vaccinato che venisse in contatto col virus o il batterio che produce questa proteina è pronto per attaccarlo e ucciderlo prima che questo dia luogo ad una malattia.
Esistono anche strategie diverse per preparare un vaccino come, ad esempio, utilizzare gli acidi nucleici (RNA o DNA) caratteristici dell’agente infettante, anche se al momento queste strategie sono meno sperimentate.
Ad ogni modo, per mettere a punto un vaccino e poterlo somministrare ai soggetti a rischio, bisogna capire che tipo di vaccino preparare e testarlo su un piccolo gruppo di pazienti. Per fare questo si opera attraverso sei passaggi: conoscere il microorganismo, produrre e purificare le proteine e/o i polisaccaridi del virus, scegliere il prodotto migliore, scegliere l’adiuvante, testare il vaccino per la sua efficacia e sicurezza, produrre il vaccino su larga scala. Mentre i primi passaggi possono essere fatti in tempi relativamente brevi, testare il vaccino su un piccolo gruppo di esseri umani e la sua produzione su larga scala richiede più tempo.
Quando sarà pronto il vaccino e quale popolazione avrà priorità ad utilizzarlo?
La preparazione di farmaci e vaccini ha un iter lungo e complesso, e soprattutto dispendioso. Serve quindi, innanzitutto, dedicare un budget opportuno alla ricerca. Per quanto riguarda la pandemia del Coronavirus COVID-19 (vedi la situazione in tempo reale) negli Stati Uniti la Gates Foundation ha messo a disposizione un fondo di 100 milioni di dollari per la ricerca. In Canada si sono mossi gli Istituti Canadesi per la ricerca sanitaria, in Gran Bretagna il governo ha finanziato per 20 milioni di sterline progetti gestiti dal CEPI, una coalizione non profit dedicata allo sviluppo di innovazioni per la preparazione alle epidemie globali.
La Commissione Europea in tempi strettissimi ha, invece, lanciato dei bandi nell’ambito del programma Horizon 2020 e IMI-2. Anche i ricercatori italiani si danno da fare per trovare una terapia efficacie e porre le basi scientifiche per mettere a punto un vaccino (ultimo esempio, in ordine di tempo, l’iniziativa dell’Università di Padova per ritestare tutti i cittadini di Vo’ per capire come si comporta il virus).
Inoltre, un gran numero di industrie farmaceutiche e compagnie biotecnologiche sta lavorando a ritmi forsennati per preparare il vaccino. Una di queste ha già chiesto all’organismo regolatorio americano (FDA) di iniziare gli studi clinici. Nonostante ciò, dovrà passare ancora molto tempo prima che il vaccino possa essere disponibile per tutti, perché mancano ancora gli studi clinici e la sua produzione su larga scala.
Ma una volta pronto il vaccino, a chi dovrebbe essere accessibile con la massima priorità? In attesa di avere le idee più chiare sulle sottopopolazioni che si ammalano più frequentemente di altre e che rischiano la vita, già sappiamo che gli anziani con comorbilità e gli immunodepressi (persone con un sistema immunitario che funziona meno efficacemente del normale o affatto) sono gli individui a maggior rischio per quanto riguarda la gravità della malattia. Mentre, ad esempio, sembra che i bambini siano a basso rischio, da questo punto di vista. È dunque evidente che la priorità di vaccinazione verrà data a queste popolazioni e, ovviamente, al personale sanitario, molto esposto al contagio perché a contatto per molte ore con i pazienti che assiste.
Voci bibliografiche
Cunningham, Anthony L., Nathalie Garçon, Oberdan Leo, Leonard R. Friedland, Richard Strugnell, Béatrice Laupèze, Mark Doherty, and Peter Stern. 2016. “Vaccine Development: From Concept to Early Clinical Testing.” Vaccine 34 (52): 6655–64. https://doi.org/10.1016/j.
Forde, Gareth M. 2005. “Rapid-Response Vaccines--Does DNA Offer a Solution?” Nature Biotechnology 23 (9): 1059–62. https://doi.org/10.1038/
Plotkin, Stanley, James M Robinson, Gerard Cunningham, Robyn Iqbal, and Shannon Larsen. 2017. “The Complexity and Cost of Vaccine Manufacturing - An Overview.” Vaccine 35 (33): 4064–71. https://doi.org/10.1016/j.
Pronker, Esther S, Tamar C Weenen, Harry Commandeur, Eric H J H M Claassen, and Albertus D M E Osterhaus. 2013. “Risk in Vaccine Research and Development Quantified.” PloS One 8 (3): e57755. https://doi.org/10.1371/
Rauch, Susanne, Edith Jasny, Kim E Schmidt, and Benjamin Petsch. 2018. “New Vaccine Technologies to Combat Outbreak Situations.” Frontiers in Immunology 9: 1963. https://doi.org/10.3389/fimmu.
Nota:
CEPI: https://cepi.net/news_cepi/uk-
IMI2: https://www.imi.europa.eu/
Gates Foundation: https://www.businessinsider.
Canada: https://cihr-irsc.gc.ca/e/
UK: https://wellcome.ac.uk/
BARDA: https://www.
Nel primo giorno di 'chiusura' di tutta Italia, una buona notizia nella lotta a Covid-19 arriva dalla ricerca. Diasorin annuncia di aver completato presso l'Ospedale Spallanzani di Roma ed il Policlinico San Matteo di Pavia, gli studi necessari per supportare l’approvazione Ce e Fda di un innovativo test molecolare per l’identificazione rapida del nuovo coronavirus Covid-19.
Il test è sviluppato per essere eseguito sull’analizzatore Liaison* Mdx e consente di ottenere risultati entro 60 minuti, rispetto alle 5-7 ore attualmente necessarie con altre metodologie. Il test sarà commercializzato con marchio Ce in Europa e presentato alla Food and Drug Administration per l’Emergency Use Authorization "entro la fine di marzo".
La tecnologia Mdx, acquisita da Diasorin nel 2016 dalla multinazionale statunitense 3M Inc., era stata originariamente sviluppata per fornire risposte diagnostiche rapide sia per uso militare che civile. Ad oggi l'azienda ha installato oltre 800 analizzatori negli istituti ospedalieri europei e statunitensi per diagnosticare le infezioni influenzali stagionali oltre che una varietà di altre infezioni virali e batteriche per le quali il tempo di risposta risulta fondamentale per decidere il corretto trattamento di cura del paziente.
La tecnologia Mdx, grazie alla rapidità nel fornire i risultati e alla semplicità di utilizzo, risulta ideale per valutare l’ammissione al ricovero ospedaliero del paziente, rileva l'azienda in una nota.
DiaSorin, inoltre, ritiene che tale tecnologia potrebbe aiutare notevolmente gli ospedali a decentralizzare i test per la diagnosi del coronavirus e contribuire ad un significativo miglioramento dell'attuale processo di ricovero dei pazienti potenzialmente contagiosi. Il test di seguirà il protocollo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità, che mira ad analizzare diverse regioni del genoma virale per ridurre al minimo l’impatto di possibili mutazioni future.
''Ci siamo attivati non appena sono state rese pubbliche le informazioni sulla sequenza genetica del virus, collaborando con i centri di riferimento italiani e statunitensi per sviluppare test molecolari veloci e accurati per fronteggiare questa emergenza sanitaria. Abbiamo analizzato oltre 150 sequenze virali pubblicate oggi nel database mondiale delle banche genetiche e disegnato un test destinato a rilevare tutte le varianti attualmente conosciute del coronavirus", ha dichiarato Giulia Minnucci, R&D Director Europe in DiaSorin.
"L'epidemia di coronavirus ha creato allarme a livello mondiale e ha sottoposto i sistemi sanitari a forti pressioni dovute alla necessità di dotare i laboratori di test diagnostici in grado di identificare il nuovo ceppo del virus", ha commentato John Gerace, presidente di DiaSorin Molecular.
"Riteniamo di fondamentale importanza sviluppare un test per l’identificazione del coronavirus in grado di fornire risultati precisi in tempi rapidi e orientare al meglio le decisioni cliniche. Come specialisti della diagnostica abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza nel modo più rapido possibile, mobilitando i nostri ricercatori per realizzare un test di diagnostica molecolare che, ci auguriamo, possa contribuire a contenere questa nuova emergenza sanitaria".
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Il 22% dei pazienti positivi al tampone per Sars-CoV-2 ha tra 19 e 50 anni. Lo afferma un’analisi dell’Istituto Superiore di sanità, che rende chiarissimo come in tutte le fasce di età, compresi i giovani, si debbano rispettare le norme di distanziamento sociale.
“In questi giorni stiamo le cronache riportano molti esempi di violazioni delle raccomandazioni, soprattutto da parte dei giovani – sottolinea Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss -. Questi dati confermano come tutte le fasce di età contribuiscono alla propagazione dell’infezione, e purtroppo gli effetti peggiori colpiscono gli anziani fragili. Rinunciare a una festa o a un aperitivo con gli amici, non allontanarsi dall’area dove si vive e rinunciare a rientrare a casa è un dovere per tutelare la propria salute e quella degli altri, soprattutto i più fragili”.
Dall’analisi, su 8342 casi positivi al 9 marzo alle ore 10, emerge che l’1,4% ha meno di 19 anni, il 22,0% è nella fascia 19-50, il 37,4% tra 51 e 70 e il 39,2% ha più di 70 anni, per un’età mediana di 65 anni. Il 62,1% è rappresentato da uomini. Sono 583 gli operatori sanitari positivi.
Il tempo mediano trascorso tra la data di insorgenza dei sintomi e la diagnosi è di 3-4 giorni. Il 10% dei casi è asintomatico, il 5% con pochi sintomi, il 30% con sintomi lievi, il 31% è sintomatico, il 6% ha sintomi severi e il 19% critici. Il 24% dei casi esaminati risulta ospedalizzato. L’analisi conferma che il 56,6% delle persone decedute ha più di 80 anni, e due terzi di queste ha 3 o più patologie croniche preesistenti.
Nota Federazione nazionale degli ordini delle professioni sanitarie (FNOPI)
Infermieri attori principali dell’assistenza, ma anche principali attori per l’attuazione delle misure emergenziali del Governo e “vittime” potenziali di situazioni, che queste possono creare.
L’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, assegna agli infermieri (nominati come “operatori della sanità pubblica”, ma è sotto gli occhi di tutti che accanto ai medici per la diagnosi e la terapia gli infermieri sono i professionisti che garantiscono l’assistenza) assegna compiti fondamentali come quelli, dopo la comunicazione telefonica e l’accertamento del sospetto di contagio, di accertare l'assenza di febbre o altra sintomatologia del soggetto da porre in isolamento e degli altri eventuali conviventi; informare la persona dei sintomi, le caratteristiche di contagiosità, le modalità di trasmissione della malattia, le misure da attuare per proteggere gli eventuali conviventi in caso di comparsa di sintomi; informare la persona sulla necessità di misurare la temperatura corporea due volte al giorno (la mattina e la sera).
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E, come recita il Dpcm, “l'operatore di sanità pubblica provvede a contattare quotidianamente, per avere notizie sulle condizioni di salute, la persona in sorveglianza” per far scattare nel caso la macchina della diagnosi e dell’assistenza di cui ancora gli infermieri sono i responsabili a livello domiciliare, anche rispetto all’attività di informazione ai pazienti a domicilio per isolamento.
È sotto gli occhi di tutti – sottolinea la Federazione nazionale degli ordini delle professioni sanitarie (FNOPI) - come anche riportano le cronache, la mole di lavoro e i rischi che la nostra categoria professionale sta affrontando ogni giorno a testa alta e nella piena consapevolezza dei suoi doveri e del valore della sua professione.
Ma deve essere altrettanto chiaro – prosegue la Federazione - che le istituzioni, proprio con l’infittirsi degli interventi, devono provvedere prima di tutto a maggiori garanzie di presidi di protezione dal virus per ‘gli operatori della sanità pubblica’ di cui però il Dpcm non parla in modo esplicito e che invece sappiamo essere uno degli aspetti più critici di questa situazione.
E non si deve dimenticare che il decreto sospende i congedi ordinari del personale sanitario e tecnico (gli operatori sociosanitari) e del personale le cui attività siano necessarie a gestire le attività richieste dalle unità di crisi costituite a livello regionale, un’occasione in più di stress, anche se già oggi per garantire assistenza nessun infermiere si è mai tirato indietro. un contributo importante e da valorizzare vista la scelta opposta fatta nei confronti di chi non lavora in sanità ai cui datori di lavoro il decreto raccomanda giustamente di favorire la fruizione di periodi di congedo ordinario o di ferie.
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Ma ci sono altri problemi che rischiano di emergere. Il divieto agli accompagnatori dei pazienti di restare nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (salvo specifiche diverse indicazioni del personale sanitario) e la limitazione dell’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite, hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, solo a casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura per prevenire possibili trasmissioni di infezione, potrebbero essere un motivo in più per scatenare in molti casi la violenza contro gli operatori sanitari, ancora una volta infermieri in testa. Anche su questo aspetto il silenzio del decreto riguardo alle misure a tutela degli operatori è assordante.
L’89,6% degli infermieri – in prima linea ad esempio nel triage ospedaliero che “accoglie” i pazienti e li smista nella struttura con tempi spesso lunghi non dovuti però alla professionalità dell’operatore, ma all’organizzazione - è stato vittima, secondo una ricerca condotta dall’università di Tor Vergata di Roma, di violenza fisica/verbale/telefonica o di molestie sessuali da parte dell’utenza sui luoghi di lavoro.
Le attese stressanti in pronto soccorso – spiega la FNOPI - sono considerate come una delle prime cause scatenati della violenza, immaginiamo ora che evoluzione potrebbero avere con il divieto di restare accanto alla persona che ha bisogno di assistenza sanitaria.
Per questo l’emergenza straordinaria e indiscutibile legata a COVID-19, oltre a tutte le necessarie misure di protezione degli operatori dal virus, non deve far dimenticare altri provvedimenti, come quello contro la violenza sugli operatori ai quali in questo caso è richiesto un impegno che va al di là delle proprie forze e che rischia anche di dare come contropartita una ulteriore occasione di stress e di pericolo in più prima di tutto per i professionisti, ma anche per l’assistenza ai pazienti.
Colpiscono – conclude la Federazione degli infermieri - i molti attestati di stima nei confronti dei professionisti sanitari impegnati in questa emergenza, definiti come eroi. Tutto molto bello. Ma oltre alle dichiarazioni ora servono fatti concreti per salvaguardare anche la salute e la sicurezza di tutti gli operatori della sanità.
In Ticino ci sono 58 persone positive al test del Coronavirus. Lo comunicato lo Stato Maggiore Cantonale di Condotta (SMCC).
L’aumento dei casi non incide al momento sul numero di persone ricoverate nei reparti di cure intense, che rimane stabile e limitato.
Chi desidera avere informazioni e indicazioni puntuali sulla questione Coronavirus può contattare il numero gratuito 0800 144 144, attivo tutti i giorni dalle 7.00 alle 22.00. È inoltre disponibile anche la Hotline Coronavirus a livello federale allo 058 463 00 00, dalle 8.00 alle 18.00.
Si ribadisce l’importanza di informarsi attraverso i canali ufficiali.
Sono disponibili aggiornamenti costanti, raccomandazioni puntuali e consigli di prevenzione agli indirizzi www.ti.ch/coronavirus oppure www.bag.admin.ch/nuovo-coronavirus.
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“Le analisi che stiamo conducendo mostrano che i pazienti deceduti sono soprattutto anziani, in media 81 anni, l’80 per cento ha più di due patologie, il 60 per cento ne ha più di tre, soltanto il 2 per cento non ha nessuna patologia”.
Lo ha detto il Presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, a commento dei nuovi dati epidemiologici presentati nella conferenza stampa alla Protezione civile il 7 marzo. Ad oggi infatti il 16% dei deceduti nel nostro Paese ha tra i 60-69 anni, il 30% tra 70-79, il 42% tra 80-89 e il 6% più di 90 anni d’età.
"La sintomatologia più frequente all’esordio della malattia Covid-19 è l’associazione di febbre e dispnea, cioè difficoltà a respirare, - ha aggiunto Brusaferro - ed è importantissimo che in relazione a questa particolare fragilità della popolazione italiana, le persone anziane assumano comportamenti di protezione.
Chi presenta febbre e difficoltà respiratorie chiami subito al telefono il proprio medico di famiglia o il 112/118 in caso di grave difficoltà respiratoria, senza recarsi al pronto soccorso o nelle sale d’attesa degli studi medici dove possono avere contatti stretti con altre persone.
A tutte le persone anziane invece è raccomandato di:
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Nei pazienti deceduti e positivi al COVID-19 i sintomi di esordio più comuni sono la febbre e la dispnea (difficoltà a respirare), mentre meno comuni sono i sintomi gastrointestinali (diarrea) e l’emottisi, l’emissione di sangue dalle vie respiratorie ad esempio con un colpo di tosse.
Lo afferma l’analisi dei dati dei 155 pazienti italiani deceduti al 6 marzo condotta dall’Istituto Superiore di Sanità, che aggiorna quella condotta su 105 casi resa nota il 5 marzo.
Febbre e dispnea sono presenti come sintomi di esordio rispettivamente nell’86% e nell’82% dei casi esaminati. Altri sintomi iniziali riscontrati sono tosse (50%), e appunto diarrea ed emottisi (5%).
“Questi dati suggeriscono che per chi presenta solo febbre è sufficiente allertare il proprio medico rimanendo a casa - spiega Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss -, mentre in presenza di entrambi i sintomi è meglio contattare il 112 o 118. In ogni caso ricordiamo che bisogna assolutamente evitare di andare per proprio conto dal medico o al pronto soccorso, per evitare di esporre il personale e i pazienti a rischi. Seguire questa e tutte le altre norme di prevenzione dettate in questi giorni è fondamentale per rallentare il più possibile l’epidemia e proteggere le persone più fragili. Le misure individuali di limitazione dei contatti sociali sono fondamentali per poter contrastare il virus, facciamo appello al senso di responsabilità di tutti”.
Per quanto riguarda la mortalità legata al virus i dati aggiornati confermano quelli del primo studio. L’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-19 è 81.4.
Le donne sono 48 (31.0%). Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,6. I decessi avvengono in grandissima parte dopo gli 80 anni e in persone con importanti patologie pre-esistenti: nel dettaglio la mortalità è del 14,3% oltre i 90 anni, dell’8,2% tra 80 e 89, del 4% tra 70 e 79, dell’1,4% tra 60 e 69 e dello 0,1% tra 50 e 59, mentre non si registrano decessi sotto questa fascia d’età. Complessivamente, 21 pazienti (15,5% del campione) presentavano 0 o 1 patologia, 25 (18,5%) presentavano 2 patologie e 70 (60,3%) presentavano 3 o più patologie; per 19 pazienti non è stato ancora possibile recuperare ad oggi l’informazione. Ipertensione e cardiopatia ischemica si confermano le patologie più frequenti.
Confronto Italia-Cina
L’aggiornamento dei dati conferma che in tutte le fasce di età la letalità nella popolazione italiana è più bassa rispetto a quella osservata in Cina. La letalità complessiva in Italia sui 155 casi risulta invece del 2,9% contro il 2,3% della Cina. Il dato generale è più alto nella popolazione italiana perché l’età media della popolazione italiana è maggiore rispetto a quella cinese (44 vs 37 anni – stime WHO 2013) e in Italia c’è un maggior numero di malati con età superiore agli 80 anni.
“L’analisi di questi dati consente di effettuare valutazioni sulle quali stabilire raccomandazioni e comportamenti – sottolinea Brusaferro - pertanto è fondamentale che venga aggiornato costantemente il sistema di sorveglianza con le cartelle cliniche dei deceduti da parte degli ospedali”.
PharmaMar (MSE:PHM) annuncia che GENOMICA, la società di diagnostica molecolare del Gruppo PharmaMar, ha ottenuto il marchio di conformità CE per i suoi kit diagnostici per coronavirus COVID-19 (SARS-CoV2).
Il marchio CE certifica che GENOMICA è conforme ai requisiti essenziali descritti nella Direttiva 98/79/CE sui dispositivi medico-diagnostici in vitro.
GENOMICA ha completato con successo i test effettuati sui campioni dei pazienti, in collaborazione con l'Istituto Sanitario Carlos III. I kit diagnostici di GENOMICA sono altamente sensibili e specifici nel rilevamento del coronavirus COVID-19, per cui il virus potrebbe essere rilevato anche prima che il paziente mostri i sintomi.
Questi kit sono già disponibili in commercio e sono compatibili con le due tecnologie diagnostiche più utilizzate negli ospedali e nei centri sanitari: CLART® e Real Time PCR di GENOMICA.
La tecnologia CLART® ha la capacità di analizzare simultaneamente 96 campioni di pazienti in meno di 5 ore, il che la rende un'opzione diagnostica per lo screening del virus nella popolazione.
GENOMICA è già in contatto con le autorità sanitarie per fornire questi kit diagnostici in base alla domanda generata dall'emergenza sanitaria dovuta all'infezione da COVID-19.
Inoltre, GENOMICA ha accordi commerciali in più di 30 paesi, tra cui la Cina, dove può già iniziare a distribuire questi kit.
Con una vasta esperienza nel rilevamento di agenti patogeni respiratori, l'azienda commercializza attualmente un kit diagnostico per il rilevamento di 21 diversi virus associati a malattie respiratorie, compresi i tre coronavirus più frequentemente rilevati nell'uomo (HCoV-229E, HCoV-OC43 e HCoV-NL63). I coronavirus sono una famiglia estesa di virus che possono causare il comune raffreddore, ma anche gravi malattie come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria mediorientale (MERS).
A causa di questa emergenza sanitaria globale, sono necessari strumenti diagnostici affidabili per avere una risposta rapida per fornire un trattamento adeguato ai pazienti e prevenire la diffusione del virus alla popolazione generale.
L’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-2019 è 81 anni, sono in maggioranza uomini e in più di due terzi dei casi hanno tre o più patologie preesistenti.
Lo afferma una analisi sui dati di 105 pazienti italiani deceduti al 4 marzo, condotta dall’Istituto Superiore di Sanità, che sottolinea come ci siano 20 anni di differenza tra l’età media dei deceduti e quella dei pazienti positivi al virus.
Il report riguarda 73 pazienti deceduti in Lombardia, 21 in Emilia Romagna, 7 in Veneto e 3 nelle Marche, ed è basato sui dati ottenuti tramite la compilazione di un questionario sviluppato ad hoc ai fini della rilevazione dei casi di morte. L’età media dei pazienti presi in esame è 81 anni, circa 20 anni superiore a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione, e le donne sono 28 (26.7%). La maggior parte dei decessi 42.2% si è avuta nella fascia di età tra 80 e 89 anni, mentre 32.4% erano tra 70 e 79, 8.4% tra 60 e 69, 2.8% tra 50 e 59 e 14.1% sopra i 90 anni. Le donne decedute dopo aver contratto infezione da COVID-2019 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediana donne 83.4 – età mediana uomini 79.9).
Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3.4 (mediana 3, Deviazione Standard 2.1). Complessivamente, l’15.5% del campione presentavano 0 o 1 patologie, il 18.3% presentavano 2 patologie e 67.2% presentavano 3 o più patologie. La comorbidità più rappresentata è l’ipertensione (presente nel 74,6% del campione), seguita dalla cardiopatia ischemica (70,4%) e dal diabete mellito (33,8%). Il tempo mediano dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale è stato di 5 giorni e la mediana del tempo intercorso tra il ricovero e il decesso è stato di 4 giorni.
“Anche se preliminari, questi dati confermano le osservazioni fatte fino a questo momento nel resto del mondo sulle caratteristiche principali dei pazienti – commenta il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro -, in particolare sul fatto che gli anziani e le persone con patologie preesistenti sono più a rischio. Si tratta di persone molto fragili, che spesso vivono a stretto contatto e che dobbiamo proteggere il più possibile”.
"In merito al decesso di una donna presso l’azienda ospedaliera San Giovanni di Roma risultata positiva al Covid-19 al primo test effettuato presso l’Istituto Spallanzani ed in attesa di conferma da parte dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), si precisa che la paziente di 87 anni era cardiopatica ed ha avuto una severa endocardite, in quanto portatrice di protesi valvolare seguita da una problematica respiratoria.
E’ quindi possibile affermare, stante il complesso quadro clinico, che la donna sia deceduta ‘con’ il Covid-19 e non a causa dello stesso". Lo comunica in una nota l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma.
"La donna - riferisce ancora la nota - era ricoverata presso l’A.O. San Giovanni dal 17 gennaio. Sono stati individuati i contatti all’interno dell’ospedale, tutti asintomatici, ed è in corso la verifica da parte della della Asl Roma 1 sulle visite e i contatti esterni per il completamento dell’indagine epidemiologica”.
Per prevenire il contagio e limitare il rischio di diffusione del nuovo coronavirus è fondamentale la collaborazione e l’impegno di tutti a osservare alcune norme igieniche.
Nel Dpcm pubblicato in Gazzetta ufficiale il 4 marzo è chiesto a scuole, università e uffici pubblici di esporre le seguenti misure di prevenzione igienico sanitarie, e ai sindaci e alle associazioni di categoria di promuoverne la diffusione anche negli esercizi commerciali (dalle farmacie ai supermercati).
Le raccomandazioni
Perché le raccomandazioni di distanziamento
L'Istituto superiore di sanità (Iss) sottolinea che queste misure di distanziamento sociale "hanno lo scopo di evitare una grande ondata epidemica, con un picco di casi concentrata in un breve periodo di tempo iniziale che è lo scenario peggiore durante un'epidemia per la sua difficoltà di gestione". "Nel caso del coronavirus - spiega l'Iss - dobbiamo tenere conto, inoltre, che l'Italia ha una popolazione anziana, peraltro molto più anziana di quella cinese, e bisogna proteggerla il più possibile da contagi. Le misure indicate dalle autorità quindi vanno seguite nella loro totalità".
Stamattina il Cantone di Vaud ha comunicato un decesso dovuto al nuovo coronavirus. Si tratta del primo decesso avvenuto in Svizzera. L’Ufficio federale della sanità pubblica è in stretto contatto con le autorità del Cantone.
La persona deceduta è una donna di 74 anni infettata dal coronavirus. Era ricoverata in ospedale dal 3 marzo ed è deceduta durante la notte del 5 marzo.
“La situazione che stiamo vivendo in tutto il Paese e nel Nord Italia in particolare è di un’emergenza difronte alla quale nessun professionista della salute si è tirato indietro, in particolare gli infermieri, che ci sono e svolgono un ruolo essenziale su tutti i fronti, dal triage in ospedale al 118, dai setting ospedalieri a bassa ed alta complessità, dall’assistenza domiciliare al dipartimento di Prevenzione”.
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), in primissima linea in questi giorni, fa il punto sulla situazione degli infermieri che si sono trovati dalla sera alla mattina ad affrontare un’emergenza di livello internazionale.
“Alcuni operano al di là delle loro forze - sottolinea la presidente FNOPI - e con la loro indiscutibile professionalità anche a rischio della propria salute, in particolare nelle zone ritenute ad alto rischio dove essendo spesso confinati e costretti alla quarantena non hanno più turni o logiche di organizzazione del lavoro, ma solo la forza di volontà, la capacità e la voglia di assistere, di essere Infermieri”.
“A loro va l’encomio della professione per la quale rappresentano un vero esempio”, aggiunge Mangiacavalli, che contemporaneamente fa il punto sulle esigenze attuali del sistema salute.
La carenza di professionisti di cui soffre il paese, e che da tempo la FNOPI denuncia, si è fatta sentire nel peggiore dei modi con l’emergenza COVID-19, per la quale solo nell’immediato e nelle zone a maggior rischio servirebbero almeno 5-6000 infermieri in più da subito.
“In Italia – ricorda Mangiacavalli - ne mancano oltre 53mila, di cui la maggior parte (almeno 30mila) sul territorio, dove la soluzione ideale è quella dell’infermiere di famiglia/comunità scritta nel Patto per la salute 2019-2021, che se fosse già attuata potrebbe assistere sia i singoli che le famiglie (circa il 50% dei casi ha bisogno di quarantena domiciliare) e, proprio in casi come questi, intere comunità. Per questo ora non possiamo più perdere tempo e assume carattere d’urgenza la sua attivazione in tutte le Regioni (ne servono circa 20mila dei 30mila sul territorio). Difronte a una carenza di tali dimensioni poi, richiamare in servizio i colleghi pensionati rappresenta si una risposta immediata, ma un placebo rispetto alla necessaria terapia d’urto: perché ne servirebbero ben di più di quelli ex pensionati o neolaureati per riportare gli organici a quel rapporto virtuoso che consentirebbe di essere in linea con le indicazioni internazionali.
Il problema è che oggi gli infermieri vivono una condizione occupazionale instabile e precaria. Negli anni il SSN non ha investito abbastanza né in termini quantitativi (assunzioni) né qualitativi (tempi indeterminati e percorso di sviluppo delle competenze stabile e mirato)”.
Pensionati che ovviamente non sarebbero stabili (il loro tempo massimo secondo l’ultimo decreto è di sei mesi) e si dovrebbero assumere almeno altrettanti professionisti per poter far fronte non solo all’emergenza, ma alla normale amministrazione secondo parametri di qualità ed efficienza dei servizi.
Per la Lombardia, che ha già deciso questo tipo di misure, si tratta – naturalmente c’è da scoprire quanti di questi si dichiareranno disponibili a tornare in sevizio - di meno di 2mila pensionati tra le pensioni ordinarie e chi finora ha optato per Quota 100 e di circa 1.300 neolaureati – tra i quali una parte ha sicuramente già trovato lavoro e per quanto riguarda gli altri, potrebbero eventualmente occuparsi della gestione ordinaria dei servizi per lasciare ai più esperti l’intervento nei settori dell’emergenza - rispetto a una carenza che in ospedale è di più di 2.800 unità e sul territorio supera le 5mila.
Tra le ipotesi, sempre in Lombardia, c’è anche quella di semplificare le modalità di svolgimento della sessione di laurea in infermieristica 2018-2019 che consentirebbe così di avere subito a disposizione un centinaio di infermieri in più. “Le modalità di laurea – afferma Mangiacavalli - devono comunque garantire la qualità e la professionalità dei neolaureati. Al di là di questo vanno mantenuti e difesi i presupposti di professionalità, preparazione e qualità della professione, ci devono sempre essere le necessarie garanzie di tutela dell’attività che questi giovani dovranno poi svolgere e quelle per i pazienti dei quali, secondo la professione infermieristica che hanno scelto, si dovranno occupare”.
In realtà la carenza di infermieri calcolata dal Centro studi FNOPI solo in quelle tre Regioni, sarebbe di oltre 5mila infermieri negli ospedali e almeno il doppio sul territorio: una cifra quindi più che doppia rispetto agli organici reperibili in emergenza.
Su tutto il territorio italiano gli infermieri in più per non trovarsi mai in situazioni di questo tipo dovrebbero essere quasi 22mila negli ospedali e almeno 32mila sul territorio, con Regioni dove i numeri della carenza sono minori (paradossalmente proprio Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ecc.) e Regioni dove invece l’assenza di organici è pesante e mette l’assistenza a rischio (in Campania sono circa il 48% in meno di quelli che sarebbero necessari, raggiungono il 55% in meno in Calabria e il 56% in Sicilia).
Senza contare che dal 2009 (ultimo anno senza blocchi di turn over e piani di rientro) al 2018 di infermieri il Ssn ne ha persi oltre 12mila.
Cosa significa la carenza di infermieri lo stiamo purtroppo vedendo nel peggiore dei modi in questo periodo e non vogliamo quindi nemmeno immaginare cosa accadrebbe nelle regioni meno virtuose con uno scenario simile a quello settentrionale. Questa emergenza, alla sua conclusione, dovrà portare il SSN a ripensarsi fortemente soprattutto in termini di investimento sul personale.
Sono i dati internazionali a parlare degli effetti: ogni volta che si assegna 1 assistito in più a un infermiere (il rapporto ottimale sarebbe 1:6) aumenta del 23% l’indice di burnout, del 7% la mortalità dei pazienti, del 7% il rischio che il professionista non si renda conto delle complicanze a cui il paziente va incontro.
E l’altalena di personale infermieristico su cui “dondolano” le aziende sanitarie italiane porta a un aumento di rischi per i pazienti e per gli stessi operatori: ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti per ridurre del 20% la mortalità, ma attualmente ne assiste in media 11. Nelle Regioni dove la carenza è minore 8-9, dove è maggiore si arriva anche a 17.
Significa mettere a repentaglio oltre alla salute dei professionisti, quella dei pazienti: un infermiere stanco e stressato aumenta del 30% il rischio di errore, organici sottodimensionati fanno crescere del 7% il rischio di mortalità tra i pazienti assistiti e solo la forza di volontà che fin qui hanno dimostrato sul campo gli infermieri, evita che tutto questo accada.
“Per questo - conclude - ingrazio tutti i colleghi che tutto questo lo stanno dimostrando nei fatti con il loro impegno, portato avanti con grandi sacrifici: stanchezza e sconforto sono sempre a un passo da loro che tuttavia sono pronti a tendere una mano per assistere, curare, infondere coraggio, forza e speranza a chi sta male o ha paura. Qualcuno in questi giorni li ha definiti ‘eroi’. Lo sono, ma vorrei fosse chiaro: siamo prima di tutto Infermieri che non certo da ora stiamo svolgendo la professione in condizioni difficili, ad organici ridotti e con ritorni economici inadeguati. Oggi tutto questo si sta solo manifestando con modalità eclatanti”.
UT Austin, McLellan Lab
Alla fine del 2019, le prime segnalazioni di un'infezione respiratoria sconosciuta, in alcuni casi fatale, sono emerse da Wuhan, in Cina. La fonte di tale infezione è stata rapidamente identificata come un nuovo coronavirus, correlato a quelli che avevano causato focolai di sindrome respiratoria acuta grave (SARS) dal 2002-2004 e sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) nel 2012.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato la malattia derivante dal nuovo virus, COVID-19, un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. All'inizio di marzo 2020, il nuovo coronavirus - ora chiamato SARS-CoV-2 - aveva infettato oltre 90.000 persone in tutto il mondo e ucciso almeno 3.100.
Come altri coronavirus, le particelle SARS-CoV-2 sono sferiche e ci sono proteine ancorate alla membrana e proiettate all'esterno ??chiamate spike. Esse si agganciano alle cellule umane, quindi subiscono un cambiamento strutturale che consente alla membrana virale di fondersi con la membrana cellulare. I geni virali possono quindi entrare nella cellula ospite da copiare, producendo più virus.
Recenti lavori mostrano che, come il virus che ha causato l'epidemia di SARS del 2002, questi spikes di SARS-CoV-2 si legano ai recettori sulla superficie cellulare umana, chiamati enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2).
Per aiutare a sostenere i rapidi progressi della ricerca, gli scienziati cinesi hanno reso pubblica la sequenza del genoma del nuovo coronavirus. Un team collaborativo che comprende scienziati del laboratorio del Dr. Jason McLellan presso l'Università del Texas ad Austin e il NIAID Vaccine Research Center (VRC) ha isolato una porzione di genoma, che si prevede codifichi per la sua proteina spike sulla base di sequenze di coronavirus correlati. Il team ha quindi utilizzato cellule coltivate per produrre grandi quantità di proteine ??per l'analisi.
Lo studio è stato finanziato in parte dall'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive del NIH (NIAID). I risultati sono stati pubblicati il ??19 febbraio 2020 su Science .
I ricercatori hanno utilizzato una tecnica chiamata microscopia crioelettronica per scattare foto dettagliate della struttura di queste proteine esterne (spike). Ciò comporta il congelamento di particelle virali e il lancio di un flusso di elettroni ad alta energia attraverso il campione per creare decine di migliaia di immagini. Queste immagini vengono quindi combinate per fornire una vista 3D dettagliata del virus.
I ricercatori hanno scoperto che gli spike SARS-CoV-2 avevano una probabilità 10-20 volte maggiore di legare ACE2 sulle cellule umane rispetto a quelli del virus SARS del 2002. Ciò potrebbe consentire a SARS-CoV-2 di diffondersi più facilmente da persona a persona rispetto al virus precedente.
Nonostante le somiglianze nella sequenza e nella struttura tra gli spike dei due virus, tre diversi anticorpi contro il virus SARS del 2002 non sono riusciti a legarsi con successo al SARS-CoV-2. Ciò suggerisce che le potenziali strategie di trattamento a base di vaccini e anticorpi dovranno essere uniche per il nuovo virus.
"Speriamo che questi risultati possano aiutare nella progettazione dei vaccini candidati e nello sviluppo di trattamenti per COVID-19", afferma il dott. Barney Graham, vicedirettore della VRC.
I ricercatori stanno attualmente lavorando su candidati al vaccino rivolti alla proteina di superficie di SARS-CoV-2. Sperano anche di usare la proteina spike per isolare gli anticorpi dalle persone che si sono riprese dall'infezione dal nuovo coronavirus. Se prodotti in grandi quantità, tali anticorpi potrebbero essere potenzialmente utilizzati per trattare nuove infezioni prima che sia disponibile un vaccino. Inoltre, i ricercatori dell'NIH stanno perseguendo altri approcci per il trattamento del virus.
info: http://salutedomani.com/results/coronavirus
Antonio Caperna
"A livello globale, circa il 3,4% dei casi di Covid-19 è esitato in morte. Per fare un confronto, l'influenza uccide meno dell'1% degli infetti", ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità Oms, in conferenza stampa a Ginevra.
"Ora, con più dati alla mano - ha spiegato - stiamo capendo di più di questo virus. Non è Sars, non è Mers e non è influenza. E' un virus unico con caratteristiche uniche. Covid-19 e influenza stagionale causano entrambe malattia respiratoria e si diffondono allo stesso modo con goccioline di saliva da chi è malato. Ma ci sono differenze importanti fra queste due infezioni: la prima è che Covid-19 non si trasmette così efficientemente come l'influenza. Covid-19 inoltre causa una malattia più grave dell'influenza stagionale, anche perché molti hanno immunità per l'influenza, mentre contro Covid-19 nessuno ha anticorpi e tutti sono suscettibili all'infezione", riporta AdnKronos.
IN COREA DEL SUD, IRAN E ITALIA 80% CASI FUORI DA CINA - Fuori dalla Cina "sono 1.848 i casi di Covid-19 in 48 Paesi. L'80% si concentra in soli 3 Paesi: Corea del Sud, Iran e l'Italia" è il bilancio diffuso durante la conferenza stampa quotidiana a Ginevra. "Dodici Paesi - ha elencato il direttore generale dell'Oms - hanno riportato i primi casi di Covid-19 e ci sono al momento 21 Paesi con un solo caso". Liberi dal coronavirus restano, secondo l'Oms, 122 Paesi, in cui non è stato registrato alcun caso.
VACCINI - Tedros Adhanom Ghebreyesus ha poi ricordato che "abbiamo vaccini e terapie per l'influenza stagionale, ma al momento non esiste un vaccino e nessun trattamento specifico per Covid-19. Tuttavia, sono in corso studi clinici su terapie e sono in fase di sviluppo più di 20 vaccini".
PREZZI MASCHERINE AUMENTATI DI 6 VOLTE - Tedros Adhanom Ghebreyesus ha poi evidenziato che " i prezzi delle mascherine chirurgiche sono aumentati di 6 volte, quelli dei respiratori sono più che triplicati e le tute protettive costano il doppio". "Non possiamo fermare il virus senza proteggere gli operatori sanitari. La carenza di questi dispositivi - ha sottolineato - sta lasciando medici, infermieri e altri lavoratori in prima linea pericolosamente mal equipaggiati nel prendersi cura dei pazienti con Covid-19, a causa dell'accesso limitato a forniture come guanti, maschere mediche, respiratori, occhiali protettivi, visiere, abiti e grembiuli. Siamo preoccupati per il fatto che la capacità dei Paesi di rispondere venga compromessa dalla grave e crescente interruzione della fornitura globale di dispositivi di protezione individuale, causata dall'aumento della domanda, dall'accaparramento e dall'abuso".
Guariti da Covid-19, ma ancora positivi al test per la ricerca del nuovo coronavirus. E' successo al 14% dei malati dimessi dagli ospedali del Guangdong, secondo quanto comunicato nei giorni scorsi alla stampa da Song Tie, vice direttore del Center for Disease Control della provincia cinese.
Ma è capitato anche a 4 operatori sanitari del gigante asiatico, come riportato in uno studio pubblicato. E casi simili sono stati segnalati a Wuhan nell'Hubei, da dove tutto è partito, come pure a Guangzhou sempre nel Guangdong, nella provincia di Hainan e in altre province della Cina.
Che cosa significa? Pur precisando che continuare a presentare il virus non significa necessariamente essere ancora in grado di trasmetterlo, "la maggior parte degli esperti - riferisce China Global Television Network online - concorda sul fatto che", in base ai dati disponibili, "almeno una parte dei pazienti guariti può essere ancora portatrice di coronavirus e che gli attuali criteri per le dimissioni dall'ospedale, l'uscita dalla quarantena e la fine del trattamento dovrebbero essere rivalutati".
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La sesta edizione delle Linee guida su Covid-19 diffuse dalla National Health Commission indicavano come criteri per poter lasciare l'ospedale, tornare al lavoro e alla vita di sempre una temperatura corporea normale per almeno 3 giorni, la risoluzione dei sintomi respiratori, il miglioramento sostanziale delle lesioni dimostrato da una Tac al torace, e due test negativi consecutivi eseguiti a distanza di almeno un giorno. Ai pazienti in cui tutto questo si verifica, viene comunque chiesto di rimanere a casa o in auto-isolamento per altri 5 giorni, riporta l'AdnKronos.
Che alcuni guariti risultino comunque positivi ai test non sorprende Zhang Wenhong, leader del team anti-coronavirus a Shanghai. Da un lato "il personale medico che ha raccolto tamponi alla gola da pazienti in diverse aree può ottenere diversi risultati diversi", osserva. Dall'altro, puntualizza, "ciò di cui dovremmo preoccuparci non è il risultato positivo o negativo" del test, "ma se un paziente è contagioso o meno". Cioè "se può infettare altre persone" dopo essere risultato ancora positivo. E "secondo i dati nazionali, non è stato segnalato nessun caso" di contagio da malato guarito.
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Stanley Perlman, docente di Microbiologia e Immunologia presso la University of Iowa Hospitals and Clinics di Iowa City (Usa), conferma che il materiale genomico virale rilevato dal test non indica necessariamente contagiosità. "Naturalmente proviene dal virus, ma non significa" per forza "che il virus sia infettivo", spiega, facendo inoltre notare come un test positivo indichi che il virus era presente 1-2 giorni prima.
Intanto c'è comunque chi si porta avanti. A Shanghai, per esempio, Zhang ha già pronto un piano B da applicare ai pazienti guariti: "Chiederemo loro di sottoporsi anche a un tampone anale, utile a scoprire se a livello di intestino e feci permangano residui di virus. Successivamente effettueremo una visita di follow-up a 2 settimane per raccogliere nuovi campioni".