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- La FDA ha autorizzato 27 test antigenici e 8 test molecolari per programmi di screening seriali. La FDA ha anche autorizzato 1016 revisioni alle autorizzazioni EUA.
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Nel 2021, per il secondo anno consecutivo, l’attività degli studi medici ha risentito della pandemia di COVID-19. Nonostante un miglioramento della situazione rispetto al 2020, due studi medici su cinque hanno osservato una riduzione dell’attività e uno su cinque ha dovuto ricorrere al lavoro ridotto.
Tre studi medici con un’offerta di medicina di base su cinque hanno partecipato alla campagna vaccinale avviata a fine 2020. Questi sono alcuni dei risultati dell’ultima rilevazione dei dati strutturali degli studi medici e dei centri ambulatoriali realizzata dall’Ufficio federale di statistica (UST).
Tra novembre 2020 e ottobre 2021 la pandemia di COVID-19 e le misure adottate per farvi fronte (quarantene, isolamenti, piani di protezione ecc.) hanno continuato a influenzare le attività economiche in Svizzera. In questo contesto, il 42% degli studi medici e dei centri ambulatoriali ha registrato un calo dell’attività: la loro capacità di presa in carico (numero di pazienti al giorno) era inferiore a quella precedente la pandemia. Nel complesso, tuttavia, la situazione è notevolmente migliorata rispetto al periodo da marzo a ottobre del 2020, quando soltanto uno studio medico su dieci aveva potuto mantenere il proprio livello di attività.
Situazioni variabili a seconda delle attività
Nei 12 mesi tra novembre 2020 e ottobre 2021, il 61% degli studi medici con un’offerta di servizi chirurgici ha registrato un’attività inferiore a quella prepandemica. Negli altri settori, come quello della medicina di base o della ginecologia, a trovarsi nella stessa situazione è stata una quota di studi medici compresa tra il 41 e il 50%. La psichiatria costituisce un’eccezione: solo il 26% degli studi ha registrato un calo dell’attività. Sono inoltre state osservate differenze regionali: mentre nella Svizzera orientale ha subito una riduzione dell’attività solo il 33% degli studi medici, nella Regione del Lemano e in Ticino questa percentuale ha raggiunto il 47%.
Ricorso al lavoro ridotto ancora frequente
Tra novembre 2020 e ottobre 2021, il 20% degli studi medici ha fatto ricorso al lavoro ridotto (2020: 35%). I medici indipendenti ad aver beneficiato di indennità per perdita di guadagno (casi di rigore) sono stati il 6% (2020: 7%). Il ricorso al lavoro ridotto o alle indennità per casi di rigore è risultato più frequente tra i chirurghi indipendenti (37%) e meno frequente tra gli psichiatri indipendenti (7%). Nella Svizzera orientale, ad aver beneficiato di almeno una di queste misure è stato il 17% dei medici indipendenti, a prescindere dal settore di attività. La percentuale di medici indipendenti beneficiari nel Cantone di Zurigo e nelle altre Grandi Regioni è stata rispettivamente del 22 e del 25%.
Studi medici di base molto impegnati nella vaccinazione
La campagna vaccinale contro la COVID-19 è iniziata a fine 2020. Tra dicembre 2020 e ottobre 2021 il 56% degli studi medici con un’offerta di medicina di base vi hanno contribuito attivamente, mobilitando medici e personale non medico. Il 55% degli studi medici ha effettuato la vaccinazione soltanto nei propri locali, il 32% sia internamente che esternamente e il 13% unicamente all’esterno, ad esempio in centri di vaccinazione.
Il coinvolgimento è dipeso dalle strategie cantonali
I Cantoni, cui spettava organizzare la vaccinazione sul loro territorio, hanno coinvolto gli studi medici in varia misura. Mentre nei Cantoni di Basilea Città e Neuchâtel a contribuire alla vaccinazione è stato meno del 15% degli studi con un’offerta di medicina di base, nei Cantoni del Vallese, di Svitto e di San Gallo questa percentuale superava il 70%. Per il 62% degli studi medici la partecipazione alla vaccinazione è iniziata tra dicembre 2020 e marzo 2021. Nel mese di ottobre del 2021, più del 50% degli studi medici somministrava ancora vaccini. La durata mediana della partecipazione alla campagna è stata di sei mesi.
Were anxiety, depression and psychological distress associated with local mortality rates during COVID-19 outbreak in Italy? Findings from the COMET study.
J Psychiatr Res. 2022;152:242-249.
L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e la Commissione federale per le vaccinazioni (CFV) hanno aggiornato le raccomandazioni di vaccinazione per l’estate e formulato i punti essenziali della raccomandazione per l’autunno 2022. Oltre alle persone immunodepresse, si raccomanda da subito un’ulteriore vaccinazione di richiamo anche alle persone di età superiore agli 80 anni.
Secondo l’attuale valutazione, per l’autunno 2022 la raccomandazione di vaccinazione sarà estesa a tutta la popolazione adulta e sarà rivolta principalmente alle persone particolarmente a rischio e al personale sanitario. L’obiettivo è ridurre il rischio di decorsi gravi di COVID-19 per le persone particolarmente a rischio ed evitare un sovraccarico del sistema sanitario.
Finora l’UFSP e la CFV raccomandavano un’ulteriore vaccinazione di richiamo solo alle persone con grave immunodeficienza. Alla luce della diffusione della variante Omicron BA.5 e del crescente numero di nuove infezioni, la raccomandazione è estesa da oggi anche alle persone di età superiore agli 80 anni allo scopo di aumentare la loro protezione vaccinale dai decorsi gravi durante i mesi estivi. A causa della loro età, queste persone corrono il rischio maggiore di ammalarsi gravemente di COVID-19. Inoltre, dopo la vaccinazione, la protezione da un decorso grave e dall’ospedalizzazione si attenua più rapidamente in questa fascia di età.
Questa raccomandazione di vaccinazione per persone a partire dagli 80 anni è indipendente dalla raccomandazione di vaccinazione per l’autunno 2022. È probabile che gli ultraottantenni che si fanno vaccinare ora necessiteranno di un’ulteriore vaccinazione di richiamo verso fine anno.
Per tutti gli altri gruppi di persone già completamente immunizzati (tre dosi di vaccino o due dosi di vaccino e guarigione), l’UFSP e la CFV continuano a raccomandare di aspettare l’autunno per un’ulteriore vaccinazione di richiamo poiché, secondo l’attuale stato delle conoscenze, sono ancora sufficientemente protetti da un decorso grave di COVID-19. Con le varianti del virus attualmente in circolazione, un’ulteriore vaccinazione protegge solo limitatamente dall’infezione o da decorsi lievi. Potrebbe tra l’altro convenire attendere i vaccini adattati, probabilmente disponibili nell’autunno 2022.
La vaccinazione di richiamo è gratuita per le persone con più di 80 anni. Per le persone al di sotto di questa età che la desiderano (p. es. per viaggiare o per un’esigenza di protezione individuale) è invece a pagamento.
Vaccinazioni di richiamo nell’autunno 2022
Nell’autunno 2022 ci si attende nuovamente un aumento stagionale del numero di casi di COVID-19. Sino ad allora diminuirà inoltre l’immunizzazione generale della popolazione e quindi anche la protezione dai decorsi gravi. Il rischio per il singolo individuo e il sovraccarico del sistema sanitario saranno pertanto ai massimi livelli nella stagione autunnale/invernale. Un’ulteriore vaccinazione di richiamo può contribuire a ridurre il numero di decorsi gravi e di conseguenza il sovraccarico del sistema sanitario.
L’UFSP e la CFV hanno elaborato i punti essenziali della raccomandazione per una vaccinazione di richiamo in vista dell’autunno 2022.
Secondo la valutazione attuale, nell’autunno 2022 l’UFSP e la CFV raccomanderanno un’ulteriore vaccinazione di richiamo a tutte le persone a partire dai 16 anni. La raccomandazione di vaccinazione si rivolge in via prioritaria alle persone particolarmente a rischio, ovvero alle persone di età superiore ai 65 anni e a quelle con elevato rischio individuale per la salute, comportato per esempio da una specifica patologia preesistente o da una gravidanza. Questi gruppi corrono il rischio maggiore di ammalarsi gravemente di COVID-19.
In autunno la vaccinazione di richiamo è vivamente raccomandata anche al personale sanitario e a coloro che assistono persone particolarmente a rischio a titolo privato, allo scopo tra l’altro di impedire per quanto possibile le assenze dovute a malattia o lacune nell’assistenza.
Per tutte le persone tra i 16 e i 64 anni senza fattori di rischio, la probabilità di ammalarsi gravemente il prossimo autunno è bassa. A queste persone si raccomanda una vaccinazione di richiamo nell’autunno 2022 se desiderano ridurre il rischio di infezione o di un decorso grave (raro) per motivi privati e/o professionali (p. es. se sono impiegate in organizzazioni o aziende con compiti infrastrutturali essenziali).
Allo stato attuale, ai bambini e agli adolescenti tra i 5 e i 15 anni non si raccomanda una vaccinazione di richiamo nell’autunno 2022, dato che per i bambini vaccinati il rischio di un decorso grave di COVID-19 è molto basso.
Momento della vaccinazione di richiamo ancora da definire
Attualmente non è ancora possibile definire il momento esatto a partire dal quale dovrà essere somministrata la vaccinazione di richiamo nell’autunno 2022. Tale aspetto, così come le raccomandazioni di vaccinazione dettagliate per l’autunno 2022, sono influenzati da più fattori al momento ancora ignoti, tra cui in particolare l’evoluzione epidemiologica e la disponibilità ed efficacia di un vaccino adattato o diverso. La raccomandazione definitiva per la vaccinazione di richiamo nell’autunno 2022 sarà di conseguenza pubblicata solo in un secondo momento.
In caso di una raccomandazione su vasta scala, la vaccinazione di richiamo nell’autunno 2022 sarà gratuita per la popolazione come lo sono state sinora le vaccinazioni raccomandate. I costi per i vaccini, la somministrazione e il materiale necessario saranno assunti da Confederazione, Cantoni e dall’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (AOMS). L’attuazione delle vaccinazioni anti-COVID-19 è di competenza dei Cantoni.
Scorte sufficienti di vaccini
Sono disponibili sufficienti dosi di vaccino. La Confederazione prevede che nell’autunno 2022, oltre ai vaccini utilizzati finora, saranno disponibili vaccini adattati. Tuttavia, al momento non è chiaro se il vaccino adattato e bivalente sarà impiegato già all’inizio della campagna vaccinale. Di principio la Svizzera – a condizione che sia stata concessa l’omologazione da parte di Swissmedic – dispone sempre della variante di vaccino più nuova dei diversi fabbricanti.
Approvvigionamento di vaccini anti-COVID-19 per il 2023
Le forniture delle dosi di vaccino alla Svizzera avverranno in modo scaglionato nel 2022 e nel 2023. Le negoziazioni con i fabbricanti per l’approvvigionamento di vaccini anti-COVID-19 per il 2023 si sono concluse positivamente dopo il dibattito parlamentare. Saranno acquistate 3,5 milioni di dosi di Comirnaty (Pfizer/BioNTech) e altrettante di Spikevax (Moderna).
In tre mesi la quarta dose di vaccino anti-Covid non ha convinto gli italiani che potevano farla. Per questo continuano gli appelli del ministro della Salute Roberto Speranza a fragili e anziani, per fare prima possibile il richiamo, visto anche il rialzo della curva dei contagi.
Secondo i dati dell'Unità completamento campagna vaccinale, aggiornati ad oggi e pubblicati online, "la seconda dose booster del vaccino anti-Covid (o quarta dose) è stata somministrata a 1.274.426, il 28% della platea" quindi meno di 1 su 3.
"Sono 343.738 gli immunocompromessi, il 43,4% del totale, che hanno ultimato il ciclo vaccinale con il richiamo da almeno 4 mesi", evidenziano i dati. Mentre sono 355.763 (l'8% della popolazione potenzialmente oggetto della seconda dose booster) i guariti dopo la prima dose booster da massimo 6 mesi.
La quarta dose ha preso il via dal primo marzo per gli immunodepressi. Con la circolare dell'8 aprile 2022 il ministero della Salute ha poi raccomandato la somministrazione di una seconda dose di richiamo, dopo un intervallo minimo di almeno quattro mesi (120 giorni) dalla prima dose di richiamo, per le persone di 80 anni e più; gli ospiti dei presidi residenziali per anziani; gli 'over 60 anni' fragili. Dai dati dell'Unità complemento campagna vaccinale emerge che nella fascia 'over 80' sono state somministrate 899mila dosi su oltre 4,6 mln di candidabili, meno del 20%. Nella fascia 70-79 anni, il 2% degli immunocompromessi ha fatto la quarta dose; nella fascia 60-69 anni, solo l'1.1%.
"Difficile far risalire ora questi numeri, visto che poi in autunno arriveranno i vaccini aggiornati", spiega all'Adnkronos Salute Antonello Maruotti, ordinario di Statistica dell'Università Lumsa e co-fondatore dello StatGroup19, gruppo interaccademico di studi statistici sulla pandemia di Covid-19.
Il dato non incoraggiante sulle quarte dosi è confermato anche dall'ultimo report indipendente della Fondazione Gimbe. "Il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi agli immunodepressi è del 42% con nette differenze regionali: dal 9,7% della Calabria al 100% del Piemonte". Osservando la tabella del report Gimbe si nota che in fondo alla classifica delle coperture della quarta dose ci sono la Calabria (9,7%), il Molise (9,9%), la Basilicata (12%). Mentre in testa oltre al Piemonte (100%), troviamo la Valle d'Aosta (86,3%), l'Emilia Romagna (81,2%) per poi scendere al 58,7% della Toscana. Il Lazio è al 38,7% e la Lombardia al 28%.
"I dati che arrivano dagli studi sulle quarte dosi in Israele evidenziano che aumentano la protezione rispetto alla malattia grave ma non rispetto all'infezione - osserva Maruotti - C'è poi anche da evidenziate che se vediamo il rapporto tra il numero di ricoverati Covid e quello dei positivi questo dato è la metà di quello di tre mesi fa, quindi anche la severità della malattia sta diminuendo. Poi è chiaro che ci sono più accessi in ospedale perché abbiamo tanti casi ma l'occupazione delle terapie intensive è molto simile allo scorso anno. Questi - conclude il docente - potrebbero essere alcuni dei motivi che hanno limitato l'adesione degli italiani che potevano fare la quarta dosi".
"C'è un lieve incremento delle polmoniti da Covid in queste settimane" di rialzo della curva dei contagi "ma sono forme abbastanza leggere, che si risolvono in pochi giorni e pochissimi pazienti hanno necessità della rianimazione".
Così all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), facendo il punto sulla situazione dei ricoveri Covid.
"Mediamente queste polmoniti le troviamo nei soggetti anziani e fragili, anche nei vaccinati, ma questo oggi è normale visto che tra immunizzati e guariti ormai siamo oltre il 90% di italiani", ricorda Andreoni.
Sulla crescita delle reinfezioni "la sensazione è che l'immunità data dal vaccino e dalla reinfezione fornisca un ottimo 'booster' protettivo, diciamo che chi è vaccinato e si scopre positivo ha questa piccola consolazione", conclude il primario.
"Evitiamo di creare allarmi ingiustificati nella popolazione", prosegue Francesco Vaia, direttore generale dell'Inmi Spallanzani di Roma, facendo il punto sulla nuova ondata estiva di casi Covid. "Oggi allo Spallanzani abbiamo zero ricoveri con polmoniti interstiziali gravi, qualche caso di polmonite ma molto più leggera e in pazienti che hanno malattie respiratorie precedenti - ha sottolineato l'esperto - Se pensiamo che in passato avevamo ricoverati in area medica con il casco per la ventilazione assistita, è evidente che stiamo vivendo un fase diversa".
I contagi da Covid-19 tra gli operatori sanitari, negli ultimi 6 mesi, sono aumentati del 325%: nel mese di giugno l'Istituto superiore di Sanità ne ha registrati 19.571, mentre alla fine dello scorso anno, in piena quarta ondata, risultavano positivi 4.612 operatori sanitari. Lo rende noto la Federazione Cimo-Fesmed.
"Una settimana di isolamento per gli oltre 19.500 sanitari che non possono lavorare a causa del Covid-19- commenta il presidente della Federazione Cimo-Fesmed, Guido Quici- corrisponde complessivamente a oltre 700.000 ore di lavoro, che non verranno garantite ai pazienti. Assenze che si sommano a quelle croniche causate dalla carenza di personale e a quelle dei sanitari in ferie. Una situazione che sta diventando sempre più insostenibile per chi deve cercare di coprire i turni e per i malati".
"Ma quello che fa ancora più rabbia- sottolinea- è che dal 1 gennaio è stata ripristinata la decurtazione della componente accessoria della retribuzione dei dipendenti pubblici, e quindi anche dei sanitari, per i primi 10 giorni di malattia anche in caso di positività al Covid-19. Con la fine dello stato d'emergenza, infatti, è decaduta la norma che aveva equiparato la malattia da Covid-19 al ricovero ospedaliero, che non prevede la riduzione dello stipendio. Adesso, dunque, centinaia di colleghi in isolamento si vedono anche ricevere una busta paga più povera".
"Chiediamo al ministero della Salute di intervenire con un decreto per sanare questa ingiustizia- afferma infine-ripristinando quanto previsto nelle prime settimane d'emergenza", conclude.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Current Medical Research and Opinion, rivela che le donne hanno "significativamente" maggiori probabilità di soffrire di Long Covid rispetto agli uomini e sperimenteranno sintomi sostanzialmente diversi.
Il Long COVID-19ì è una sindrome in cui le complicanze persistono per più di 4 settimane, dopo l'infezione iniziale e a volte per molti mesi.
I ricercatori del Johnson & Johnson Office del Chief Medical Officer Health of Women Team, che hanno condotto l'analisi dei dati di circa 1,3 milioni di pazienti, hanno osservato che le donne con Long Covid presentano una varietà di sintomi tra cui problemi a orecchie, naso e gola; disturbi dell'umore, neurologici, cutanei, gastrointestinali e reumatologici; così come la fatica. I pazienti di sesso maschile, tuttavia, avevano maggiori probabilità di soffrire di disturbi endocrini come diabete e disturbi renali.
«La conoscenza delle differenze sessuali fondamentali alla base delle manifestazioni cliniche, della progressione della malattia e degli esiti sanitari di COVID-19 è fondamentale per l'identificazione e la progettazione razionale di terapie efficaci e interventi di salute pubblica che siano inclusivi e sensibili alle potenziali esigenze di trattamento differenziale di entrambi sessi», spiegano gli autori.
«Le differenze nella funzione del sistema immunitario tra uomini potrebbero essere un fattore importante per le differenze di sesso nella sindrome di Long COVID. Le prime sviluppano risposte immunitarie innate e adattive più rapide e robuste, che possono proteggerle dall'infezione e dalla gravità iniziali. Tuttavia, questa stessa differenza può renderle più vulnerabili a malattie autoimmuni prolungate».
Nell'ambito dell’indagine i ricercatori hanno limitato la ricerca di articoli accademici, pubblicati tra dicembre 2019 e agosto 2020 per COVID-19 e tra gennaio 2020 e giugno 2021 per la sindrome di Long COVID. La dimensione totale del campione è di 1.393.355 di persone. Nonostante questi grandissimi numeri, solo 35 dei 640.634 articoli totali nella letteratura hanno fornito dati disaggregati per sesso con dettagli sufficienti sui sintomi e le conseguenze della malattia COVID-19 per capire come vivono la malattia in modo diverso. Osservando l'inizio precoce del COVID-19, i risultati mostrano che le pazienti di sesso femminile hanno molte più probabilità di sperimentare disturbi dell'umore come depressione, sintomi a livello di orecchio, naso e gola dolore muscoloscheletrico e sintomi respiratori. I pazienti di sesso maschile, d'altra parte, avevano maggiori probabilità di soffrire di disturbi renali.
Gli autori osservano che questa sintesi della letteratura disponibile è tra le poche a scomporre per sesso le condizioni di salute specifiche, che si verificano a seguito di malattie correlate al COVID. Numerosi studi hanno esaminato le differenze di sesso in ricovero ordinario e in terapia intensiva, supporto ventilatorio e mortalità. Ma la ricerca sulle condizioni specifiche causate dal virus e sui suoi danni a lungo termine al corpo sono state sottovalutate quando si tratta di sesso.
«Sono state segnalate differenze di sesso nei risultati durante precedenti focolai di coronavirus-aggiungono gli autori- Pertanto, si sarebbero potute prevedere differenze nei risultati tra uomini e donne infettati da SARS-CoV-2. Sfortunatamente, la maggior parte degli studi non ha valutato o riportato dati dettagliati per sesso, il che ha limitato le intuizioni cliniche specifiche del sesso che potrebbero avere un impatto sul trattamento". Idealmente, i dati disaggregati per sesso dovrebbero essere resi disponibili anche se non sono l'obiettivo principale dei ricercatori, in modo che altri possano utilizzare i dati per esplorare importanti differenze tra i sessi.
Il documento rileva anche fattori complicanti degni di ulteriori studi. In particolare, le donne possono essere maggiormente a rischio di esposizione al virus in alcune professioni, come l'assistenza infermieristica e l'istruzione. Inoltre, «potrebbero esserci disparità nell'accesso alle cure basate sul genere che potrebbero influenzare la storia naturale della malattia, portando a più complicazioni e sequele». Nessuna ricerca è completa a meno che i dati non siano resi disponibili alle persone che vogliano rispondere alla domanda: il sesso e il genere contano?
Current Medical Research and Opinion: "Sex differences in sequelae from COVID-19 infection and in long COVID syndrome: a review". DOI: 10.1080/03007995.2022.2081454
Il Consiglio federale si è informato sulla situazione attuale della pandemia di COVID-19 e sulle prospettive per l’autunno 2022.
Il numero di infezioni da coronavirus segna un nuovo aumento. Tuttavia, in base alle conoscenze attuali, le sottovarianti di Omicron in circolazione non provocano decorsi più gravi di quelle precedenti. Per il momento non si delinea alcun sovraccarico del sistema sanitario. Il Consiglio federale ha inoltre approvato la proroga del mandato per la cessione di complessivamente 15 milioni di dosi di vaccini anti-COVID-19 entro la fine del 2022, se non potranno essere utilizzate in Svizzera.
Per la prima volta dal ripristino della situazione normale all’inizio di aprile 2022, il numero di infezioni ha ripreso a crescere sensibilmente. La crescita è attribuibile all’aumento in termini percentuali delle varianti Omicron BA.4 e BA.5. Per ora nulla fa pensare che queste varianti provochino forme più gravi della malattia rispetto alle precedenti sottovarianti BA.1 e BA.2.
In base ai dati disponibili, anche con un ulteriore aumento dei casi appare poco probabile una forte pressione sul sistema sanitario, il che resta uno degli obiettivi fondamentali della gestione della pandemia di COVID-19 da parte della Confederazione e dei Cantoni.
Alto livello di vigilanza
Nei prossimi mesi, fino alla primavera del 2023, sarà però necessario mantenere alti il livello di vigilanza e la capacità di reazione per poter adottare tempestivamente, se del caso, provvedimenti adeguati. L’evoluzione della circolazione del virus, delle varianti, del carico di malattia e dell’immunità all’interno della popolazione continua tra l’altro ad essere seguita attraverso il monitoraggio delle acque reflue, la sorveglianza genomica o la valutazione delle capacità ospedaliere disponibili. A tal fine sono stati istituiti i sistemi di monitoraggio necessari.
Competenze nella situazione normale
Dal ripristino della situazione normale secondo la legge sulle epidemie (LEp) il 1° aprile 2022, si applica nuovamente la tradizionale ripartizione dei compiti e delle competenze tra Confederazione e Cantoni. Nella situazione normale spetta ai Cantoni ordinare provvedimenti, in particolare la reintroduzione dell’obbligo della mascherina o di piani di protezione, al fine di prevenire e combattere le malattie trasmissibili. Le competenze della Confederazione si limitano a quelle attribuitele dalla LEp nella situazione normale (sorveglianza, informazione della popolazione, traffico internazionale viaggiatori ecc.) e ai compiti previsti dalla legge COVID-19. Per garantire un’esecuzione standardizzata e uniforme della legge, l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) può in particolare indirizzare raccomandazioni ai Cantoni.
I dati disponibili indicano che la vaccinazione completa protegge contro le forme gravi della malattia. Prima delle vacanze estive, l’UFSP e la Commissione federale per le vaccinazioni pubblicheranno le loro raccomandazioni sulla vaccinazione per l’autunno del 2022.
Cessione di vaccini ad altri Paesi
Il Consiglio federale ha inoltre deciso di cedere ad altri Paesi fino a 15 milioni di dosi di vaccini anti-COVID-19 nel 2022, se non potranno essere utilizzate in Svizzera. Il Consiglio federale ha già dato questo mandato per il primo semestre del 2022; finora l’interesse da parte dei Paesi acquirenti è però stato scarso. Con la proroga del mandato fino alla fine dell’anno è mantenuta la possibilità di cedere dosi eccedenti di vaccino.
Includere un componente della proteina Spike delle sottovarianti Omicron 4 e 5 nei vaccini anti-Covid da utilizzare per le dosi booster da somministrare il prossimo autunno.
La raccomandazione arriva dagli esperti indipendenti del Comitato Fda per i vaccini e i prodotti biologici correlati, che si sono riuniti martedì 28 giugno e si sono espressi così in stragrande maggioranza. Lo comunica la stessa Food and Drug Administration.
"I vaccini Covid-19 che la Fda ha autorizzato per l'uso di emergenza hanno fatto un'enorme differenza per la salute pubblica e salvato innumerevoli vite negli Stati Uniti e nel mondo", poiché "hanno contribuito a ridurre gli esiti più gravi della malattia (ricovero e morte)", premette Peter Marks, direttore del Center for Biologics Evaluation and Research dell'ente regolatorio americano. "Tuttavia - aggiunge - Sars-CoV-2 si è evoluto in modo significativo" e "i risultati di studi osservazionali post-autorizzazione hanno dimostrato che l'efficacia della vaccinazione primaria diminuisce nel tempo contro alcune varianti, inclusa Omicron", come pure cala il vantaggio conferito dai "primi richiami" effettuati, in termini di "protezione ripristinata".
Per questo, "in vista dell'autunno e dell'inverno - evidenzia Marks - è fondamentale disporre di booster vaccinali sicuri ed efficaci in grado di fornire protezione contro le varianti circolanti ed emergenti, per prevenire le conseguenze più gravi di Covid". In base a quanto stabilito dal panel di consulenti, la Fda consiglia dunque alle aziende farmaceutiche produttrici di "sviluppare vaccini modificati che aggiungano un componente proteico Spike di Omicron BA.4/5 all'attuale composizione del vaccino, per creare un vaccino booster bivalente" che possa essere impiegato "a partire dall'autunno 2022". L'agenzia non ha invece suggerito di cambiare il vaccino per il ciclo primario di immunizzazione, che comunque "fornisce una base di protezione contro le conseguenze gravi di Covid-19 causate da ceppi circolanti di Sars-CoV-2".
Marks ricorda che "i produttori hanno già riportato dati di studi clinici condotti con vaccini aggiornati a Omicron 1 (BA.1)", pertanto "abbiamo consigliato loro di presentare questi dati alla Fda per una valutazione - puntualizza - prima di qualsiasi potenziale autorizzazione di un vaccino modificato contenente un componente BA.4/5", che le aziende sono in ogni caso invitate ad avviare ai test clinici per raccogliere informazioni utili alla luce dell'evoluzione pandemica.
Paxlovid* è il principale farmaco orale per prevenire casi gravi di COVID-19 in soggetti ad alto rischio. Tuttavia, i sintomi sono tornati in alcuni pazienti dopo il completamento del trattamento, spingendo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) a emettere un avviso sanitario su questo cosiddetto "rimbalzo del COVID-19".
In uno studio pubblicato il 20 giugno 2022 su Clinical Infectious Diseases , i ricercatori della San Diego School of Medicine dell'Università della California hanno valutato uno di questi pazienti e hanno scoperto che la loro ricaduta dei sintomi non era causata dallo sviluppo di resistenza al farmaco o da una ridotta immunità contro il virus. Piuttosto, il rimbalzo di COVID-19 sembra essere stato il risultato di un'esposizione insufficiente al farmaco.
Dopo che una sperimentazione clinica ha dimostrato che Paxlovid potrebbe ridurre dell'89% il rischio di ospedalizzazione e morte per COVID-19, il farmaco è stato reso disponibile in base a un'autorizzazione all'uso di emergenza dalla Food and Drug Administration statunitense nel dicembre 2021.
Il trattamento consiste in due farmaci - nirmatrelvir e ritonavir - che lavorano insieme per sopprimere SARS-CoV-2 bloccando un enzima che consente al virus di replicarsi nel corpo e deve essere iniziato entro cinque giorni dall'insorgenza dei sintomi e assunto due volte al giorno per cinque giorni consecutivi.
Il team di ricerca, guidato dall'autore senior Davey M. Smith, capo delle malattie infettive e della salute pubblica globale presso la UC San Diego School of Medicine e specialista in malattie infettive presso la UC San Diego Health, si è prefissato di comprendere meglio le cause di COVID- 19 rimbalzo dopo il trattamento con Paxlovid.
Per prima cosa hanno isolato il virus SARS-CoV-2 BA.2 da un paziente di rimbalzo COVID-19 e hanno testato se avesse sviluppato resistenza ai farmaci. Hanno scoperto che dopo il trattamento con Paxlovid, il virus era ancora sensibile al farmaco e non mostrava mutazioni rilevanti che avrebbero ridotto l'efficacia del farmaco.
"La nostra principale preoccupazione era che il coronavirus potesse sviluppare resistenza a Paxlovid, quindi scoprire che non era così è stato un enorme sollievo", afferma il primo autore Aaron F. Carlin, assistente professore presso la UC San Diego School of Medicine .
Il team ha quindi campionato il plasma del paziente per testare la loro immunità contro SARS-CoV-2. Gli anticorpi del paziente erano ancora efficaci nel bloccare l'ingresso del virus e nell'infettare nuove cellule, suggerendo che anche la mancanza di immunità mediata da anticorpi non era la causa dei sintomi ricorrenti del paziente.
Gli autori hanno affermato che il rimbalzo dei sintomi di COVID-19 dopo la fine del trattamento con Paxlovid è probabilmente dovuto all'insufficiente esposizione al farmaco: non una quantità sufficiente del farmaco raggiungeva le cellule infette per fermare tutta la replicazione virale. Hanno suggerito che ciò potrebbe essere dovuto al fatto che il farmaco viene metabolizzato più rapidamente in alcuni individui o che il farmaco deve essere somministrato per una durata del trattamento più lunga.
In futuro, Carlin ha affermato di sperare che i medici saranno in grado di testare se i pazienti richiedono una durata più lunga del trattamento con Paxlovid o se potrebbero essere trattati al meglio con una combinazione di farmaci. Nel frattempo, gli utenti di Paxlovid dovrebbero essere consapevoli della possibilità di un rimbalzo dei sintomi ed essere preparati a indossare nuovamente la mascherina e mettersi in quarantena, se i sintomi dovessero ripresentarsi.
Sono necessarie ulteriori ricerche per misurare la frequenza con cui si verifica il rimbalzo, quali popolazioni di pazienti sono più suscettibili e se la recidiva dei sintomi può portare a malattie più gravi.
"L'obiettivo di Paxlovid è prevenire gravi malattie e decessi, e finora nessuno che si è ammalato di nuovo ha avuto bisogno di essere ricoverato in ospedale, quindi sta ancora facendo il suo lavoro- aggiunge Smith- Dobbiamo semplicemente capire perché il rimbalzo si verifica in alcuni pazienti e non in altri. Sono necessarie ulteriori ricerche per aiutarci ad adattare i piani di trattamento secondo necessità".
I coautori includono: Alex E. Clark, Antoine Chaillon, Aaron F. Garretson, William Bray, Magali Porrachia e Tariq M. Rana, tutti alla UC San Diego, AsherLev T. Santos alla California State University San Marcos.
DOI: 10.1093/cid/ciac496/6611663
Antonio Caperna
A un veterinario in Thailandia è stato diagnosticato il COVID-19 dopo essere stato oggetto di uno starnuto da parte di un gatto infetto di proprietà di un paziente infetto. Lo studio genetico ha supportato l'ipotesi di trasmissione di SARS-CoV-2 dal proprietario al gatto e poi dal gatto al veterinario.
Tanti animali possono rimanere contagiati dal coronavirus Sars-Cov-2: dai visoni alle tigri, dai creceti ai gorilla ai leopardi e agli stessi gatti. In questo caso sembra trattarsi di un salto di specie, che per il momento si ritiene raro e che non deve procurare un eccessivo allarmismo soprattutto per le tantissime persone, che hanno in casa un gatto. Lo studio è publicato su Emerging infectious diseases.
La storia:
Nel periodo luglio-settembre 2021, la pandemia di COVID-19 si è spostata dalla variante Alpha alla variante Delta. Il 15 agosto 2021, a Songkhla, una provincia commerciale nel sud della Thailandia, la paziente A, una veterinaria di 32 anni precedentemente sana che viveva da sola in un dormitorio del campus, ha visitato l'ospedale della Prince of Songkla University, situato nel distretto di Hatyai , provincia di Songkhla, con una storia di febbre, secrezione nasale chiara e tosse produttiva della durata di 2 giorni. I risultati di un esame fisico, inclusa una radiografia del torace, erano altrimenti insignificanti. Interrogata sulla sua storia, ha detto che 5 giorni prima, lei e altri 2 veterinari (pazienti E e F) avevano esaminato un gatto appartenente a 2 uomini (pazienti B e C).
Tre giorni dopo l'esposizione al gatto, il paziente A è diventato sintomatico ma non ha chiesto un consulto medico fino al 15 agosto, quando i risultati del test RT-PCR del gatto sono risultati positivi al COVID-19 . All'indagine, i campioni di tampone nasofaringeo del paziente A hanno mostrato SARS-CoV-2 rilevabile. I pazienti A, B e C e il gatto sono stati ricoverati in isolamento in ospedale. I risultati del test per i campioni di tampone dei pazienti E e F sono stati negativi.
Nessun contatto stretto del paziente A è stato diagnosticato con COVID-19. Le indagini di tracciamento dei contatti di tutto il 30 personale che lavora presso l'Ospedale Veterinario hanno identificato 1 contatto aggiuntivo con COVID-19, un veterinario che ha lavorato nel Dipartimento Animali di Grossa Taglia (paziente G). Il paziente G ha avuto l'inizio della febbre 1 giorno prima dell'arrivo del gatto ed era risultato positivo al COVID-19 il 13 agosto 2021. Non ha riportato alcun contatto diretto o indiretto con il gatto o i pazienti A, E o F.
Emerging infectious diseases: "Suspected Cat-to-Human Transmission of SARS-CoV-2, Thailand, July–September 2021". https://wwwnc.cdc.gov/eid/article/28/7/21-2605_article
Antonio Caperna
La FDA e l'HHS/ASPR hanno annunciato l'autorizzazione di un'estensione della durata di conservazione da 18 mesi a 24 mesi per lotti specifici dell'anticorpo monoclonale refrigerato AstraZeneca, Evusheld (tixagevimab co-confezionato con cilgavimab), che è attualmente autorizzato per uso di emergenza per la profilassi pre-esposizione del COVID-19 in alcuni adulti e soggetti pediatrici.
L'agenzia ha concesso questa proroga a seguito di un'analisi approfondita dei dati presentati da AstraZeneca. In conseguenza di questa proroga, alcuni lotti possono essere conservati per altri 6 mesi dalla data di scadenza indicata sull'etichetta (vedi Tabella 1 qui ). Questa estensione si applica a tutti i flaconcini di Evusheld non aperti che sono stati conservati in conformità con le condizioni di conservazione descritte nella Scheda informativa per gli operatori sanitari e lettera di autorizzazione EUA per Evusheld. Come richiesto dall'autorizzazione all'uso di emergenza per Evusheld, i flaconcini non aperti di Evusheld (150 mg/1,5 ml di tixagevimab e 150 mg/1,5 ml di cilgavimab) devono essere conservati a temperatura refrigerata tra 2°C e 8°C (36°F). a 46°F) nella confezione originale per proteggere dalla luce.
Inoltre la FDA ha autorizzato un'estensione della durata di conservazione da 24 mesi a 30 mesi per lotti specifici di anticorpi monoclonali refrigerati Regeneron, casirivimab e imdevimab, somministrati insieme o REGEN-COV. A causa dell'elevata frequenza della variante Omicron e delle sue sottovarianti, REGEN-COV non è attualmente autorizzato in nessuna regione degli Stati Uniti. Pertanto, REGEN-COV non può essere somministrato per il trattamento o la prevenzione post-esposizione di COVID-19 ai sensi dell'autorizzazione all'uso di emergenza fino a nuovo avviso da parte dell'Agenzia. Tuttavia, è raccomandazione del governo degli Stati Uniti che il prodotto venga mantenuto nel caso in cui future varianti SARS-CoV-2, che potrebbero essere suscettibili a REGEN-COV, emergano e diventino prevalenti negli Stati Uniti.
Aggiornamenti sui test COVID-19:
I ricercatori dell'Università di Cambridge e dell'Imperial College London, hanno dimostrato come malattie trasmesse per via aerea come il COVID-19 si diffondono lungo la lunghezza di una carrozza ferroviaria e hanno scoperto che non esiste un "posto più sicuro" per i passeggeri per ridurre al minimo il rischio di trasmissione.
I ricercatori hanno sviluppato un modello matematico, per aiutare a prevedere il rischio di trasmissione di malattie in una carrozza ferroviaria e hanno scoperto che in assenza di sistemi di ventilazione efficaci, il rischio è lo stesso per tutta la lunghezza della carrozza.
Il modello, che è stato convalidato con un esperimento controllato in un vero vagone ferroviario, mostra anche che le maschere sono più efficaci del distanziamento sociale nel ridurre la trasmissione, specialmente nei treni che non sono ventilati con aria fresca.
I risultati, pubblicati sulla rivista Indoor Air, dimostrano quanto sia difficile per gli individui calcolare il rischio assoluto e quanto sia importante per gli operatori ferroviari migliorare i propri sistemi di ventilazione al fine di mantenere i passeggeri al sicuro.
Poiché il COVID-19 è nell'aria, la ventilazione è fondamentale per ridurre la trasmissione. E sebbene le restrizioni COVID-19 siano state revocate nel Regno Unito, il governo continua a sottolineare l'importanza di una buona ventilazione nel ridurre il rischio di trasmissione di COVID-19, così come altre infezioni respiratorie come l'influenza.
"Per migliorare i sistemi di ventilazione, è importante capire come le malattie trasmesse per via aerea si diffondono in determinati scenari, ma la maggior parte dei modelli è molto semplice e non può fare buone previsioni- sottolinea il primo autore Rick de Kreij, che ha completato la ricerca mentre si trovava presso l'Università di Cambridge. Dipartimento di Matematica Applicata e Fisica Teorica- La maggior parte dei modelli semplici presuppone che l'aria sia completamente miscelata, ma non è così che funziona nella vita reale.
“Ci sono molti fattori diversi che possono influenzare il rischio di trasmissione in treno: se le persone nel treno sono vaccinate, se indossano maschere, quanto è affollato e così via -aggiunge- Ognuno di questi fattori può cambiare il livello di rischio, motivo per cui guardiamo al rischio relativo, non al rischio assoluto: è una cassetta degli attrezzi che speriamo possa dare alle persone un'idea dei tipi di rischio per una malattia trasmessa dall'aria sui trasporti pubblici".
I ricercatori hanno sviluppato un modello matematico unidimensionale (1D) che illustra come una malattia dispersa nell'aria, come il COVID-19, può diffondersi lungo la lunghezza di una carrozza ferroviaria. Il modello si basa su un'unica carrozza ferroviaria con porte di chiusura alle due estremità, sebbene possa essere adattata per adattarsi a diversi tipi di treno o diversi tipi di trasporto, come aerei o autobus.
Il modello 1D considera la fisica essenziale per il trasporto di contaminanti nell'aria, pur essendo computazionalmente poco costoso, soprattutto rispetto ai modelli 3D. Il modello è stato convalidato utilizzando misurazioni di esperimenti controllati sull'anidride carbonica, condotti in un vagone ferroviario a grandezza naturale, in cui i livelli di CO2 dei partecipanti sono stati misurati in diversi punti. L'evoluzione della CO2 ha mostrato un alto grado di sovrapposizione con le concentrazioni modellate.
I ricercatori hanno scoperto che il movimento dell'aria è più lento nella parte centrale di una carrozza ferroviaria. "Se una persona infetta si trova nel mezzo della carrozza, è più probabile che infetti le persone che se si trovasse alla fine della carrozza- afferma de Kreij- uttavia, in uno scenario reale, le persone non sanno dove si trova una persona infetta, quindi il rischio di infezione è costante, indipendentemente da dove ti trovi nella carrozza".
Molti treni pendolari nel Regno Unito sono stati fabbricati per essere il più economici possibile in termini di comfort dei passeggeri, ottenendo il numero massimo di posti per carrozza. Inoltre, la maggior parte dei treni pendolari fa ricircolare l'aria invece di aspirare aria fresca dall'esterno, poiché l'aria fresca deve essere riscaldata o raffreddata, il che è più costoso.
Quindi, se è impossibile per i passeggeri sapere se condividono un vagone del treno con una persona infetta, cosa dovrebbero fare per proteggersi? "Spazia il più possibile: il distanziamento fisico non è il metodo più efficace, ma funziona quando i livelli di capacità sono inferiori al 50 percento- conclude de Kreij- E indossa una maschera di alta qualità, che non solo ti proteggerà dal COVID-19, ma da altre comuni malattie respiratorie".
I ricercatori stanno ora cercando di estendere il loro modello 1D in un modello zonale leggermente più complesso, ma ancora efficiente dal punto di vista energetico, in cui il flusso della sezione trasversale è caratterizzato in zone diverse. Il modello potrebbe anche essere esteso per includere la stratificazione termica, che offrirebbe una migliore comprensione della diffusione di un contaminante nell'aria.
La ricerca è stata finanziata in parte dal Consiglio per la ricerca in ingegneria e scienze fisiche.
Indoor Air: "Modelling disease transmission in a train carriage using a simple 1D-model"
Antonio Caperna
La vaccinazione anti-Covid ha evitato, tra fine 2020 e tutto il 2021, circa 20 milioni di morti in tutto il mondo, riducendo di oltre la metà il potenziale bilancio di vittime della pandemia durante il primo anno di immunizzazioni.
E' quanto ha stabilito uno studio che si è basato sui dati provenienti da 185 Paesi ed è il primo a valutare i decessi scongiurati direttamente e indirettamente a seguito della vaccinazione Covid-19.
Dal lavoro, condotto dall'Imperial College di Londra e pubblicato su 'The Lancet Infectious Diseases', emerge che "i Paesi a reddito alto e medio-alto hanno avuto il maggior numero di morti prevenute, evidenziando le disuguaglianze nell'accesso ai vaccini in tutto il mondo". Inoltre, secondo il team di ricercatori "si sarebbero potuti evitare altri 599.300 decessi se fosse stato raggiunto l'obiettivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), di vaccinare il 40% della popolazione in ogni Paese entro la fine del 2021".
Secondo Oliver Watson, autore principale dello studio, "inostri risultati offrono la valutazione più completa fino ad oggi del notevole impatto globale che la vaccinazione ha avuto sulla pandemia. Dei quasi 20 milioni di decessi che si stima siano stati prevenuti nel primo anno dopo l'introduzione dei vaccini - spiega - quasi 7,5 milioni di morti sono stati evitati nei Paesi coperti dall'iniziativa Covid-19 Vaccine Access (Covax)". Ma Watson sottolinea anche l'altro lato della medaglia: "I nostri risultati mostrano che probabilmente milioni di vite sarebbero state salvate rendendo i vaccini disponibili a tutti in ogni parte del mondo, indipendentemente dal reddito. Si sarebbe potuto fare di più", perché "se gli obiettivi fissati dall'Oms fossero stati raggiunti - precisa - stimiamo che circa una vita su 5, che si calcola sia stata Persa nei Paesi a basso reddito, si sarebbe potuta salvare".
Secondo lo studio, il 79% dei decessi (15,5 milioni dei 19,8 milioni totali) è stato evitato grazie alla protezione diretta fornita dai vaccini contro le forme gravi di Covid, mentre la restante quota di morti è stata evitata grazie alla protezione indiretta, cioè alla ridotta trasmissione del virus nella popolazione e al minore peso di Covid-19 sui sistemi sanitari, che ha migliorato l'accesso alle cure mediche per chi ne aveva maggior bisogno.
Tornando alla disparità della distribuzione e utilizzo dei vaccini anti-Covid nei Paesi ricchi e in quelli poveri del mondo, i ricercatori rimarcano "come 12,2 milioni di decessi evitati sui 19,8 milioni totali siano stati scongiurati nei Paesi ad medio-alto reddito". Infatti, se nei Paesi ad alto reddito si stima che i vaccini "abbiano evitato la morte di 66 persone ogni 10mila abitanti, nei Paesi a basso reddito questo dato scende a 2,7 decessi prevenuti ogni 10mila persone".
Commenta nelle conclusioni Azra Ghani, responsabile Infectious Disease Epidemiology all'Imperial College: "Il nostro studio dimostra l'enorme vantaggio che i vaccini hanno nel ridurre i decessi per Covid-19 a livello globale. Mentre si sta spostando l'attenzione dalla pandemia, è importante garantire che le persone più vulnerabili in tutte le parti del mondo siano protette dalla circolazione continua del virus e dalle altre principali malattie che continuano a colpire in modo sproporzionato i più poveri".
Via libera dell'Agenzia europea del farmaco Ema al vaccino anti-Covid della francese Valneva. L'ente regolatorio Ue raccomanda di concedere un'autorizzazione all'immissione in commercio (Aic) per il prodotto - basato su virus inattivato, adiuvato - per la vaccinazione primaria dai 18 ai 50 anni di età.
Dopo un'approfondita valutazione - informa l'agenzia - il Comitato per i medicinali a uso umano Chmp ha concluso che i dati sul vaccino sono "solidi" e soddisfano i criteri Ue per "efficacia, sicurezza e qualità". La 'palla' passa ora alla Commissione europea, che "affretterà il processo decisionale su un'Aic standard per il vaccino di Valneva, consentendo che sia incluso nei programmi di vaccinazione implementati in tutta l'Ue".
Lo studio principale, condotto sul vaccino di Valneva - precisa l'Ema - è un trial cosiddetto di immunobridging. Si definiscono così gli studi che confrontano la risposta immunitaria indotta da un nuovo vaccino con quella stimolata da un vaccino autorizzato, che si è dimostrato efficace contro la malattia bersaglio, in questo caso Covid-19. Secondo l'Ema, "un'Aic standard è considerata appropriata per questo vaccino, poiché lo studio di immunobridging ha raggiunto i suoi obiettivi e i dati forniti sono considerati sufficienti".
L'obbligo del vaccino anti-Covid per i professionista sanitari scade il 31 dicembre. "L'evoluzione epidemiologica della pandemia e la fruttuosa campagna vaccinale consentono, in assenza di una nuova fase emergenziale, di condividere con le altre federazioni sanitarie, nell'ambito di un confronto con il Governo, una riflessione sul ruolo degli Ordini nelle strategie di prevenzione, garantendo in ogni caso la sicurezza delle persone che accedono alle cure" si legge nella mozione, approvata oggi dal Comitato centrale, l'organo di governo, della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.
La mozione punta ad aprire, quindi, una fase di discussione con il Governo e con le altre federazioni delle professioni sanitarie per il 2023.
Sono 4.432 su 468.411, meno dell'1% - ha ricordato la Fnomceo - i medici e gli odontoiatri italiani attualmente sospesi dagli Albi per non aver adempiuto all'obbligo vaccinale contro il Covid.
Mal di stomaco, segni sulla pelle, umore ballerino, senso di fatica, problemi di concentrazione e di memoria. Sono i possibili sintomi del Long Covid nei bambini da zero a 14 anni, che interessano il 40% circa dei guariti da Sars-CoV-2 in questa fascia d'età e durano almeno 2 mesi.
A indicarli è il più grande studio condotto finora sulla sindrome post-infezione negli under 14, pubblicato tu 'The Lancet Child & Adolescent Health'.
Un lavoro danese sulla cui base gli autori raccomandano "ulteriori ricerche per comprendere meglio le conseguenze a lungo termine della pandemia sui bambini", una "conoscenza essenziale per guidare i processi diagnostici, l'assistenza e le decisioni in merito a misure come la vaccinazione" dei più piccoli, ma anche eventuali nuovi "lockdown".
"I nostri risultati - sottolinea infatti Selina Kikkenborg Berg dell'ospedale universitario di Copenaghen - dicono che, sebbene i bambini che hanno avuto una diagnosi di Covid-19 abbiano maggiori probabilità di manifestare sintomi a lungo termine rispetto a quelli senza una precedente diagnosi di Covid, la pandemia ha influenzato ogni aspetto della vita di tutti i giovani" in termini di "qualità della vita", specie alla luce dell'"assenza dalla scuola o dall'asilo". La ricerca si è focalizzata sugli 0-14enni perché la maggior parte degli studi precedenti sul Long Covid si erano concentrati sugli adolescenti, con neonati e bambini poco rappresentati.
Alle madri o ai tutori di under 14 contagiati da Sars-CoV-2 tra il gennaio 2020 e il luglio 2021 sono stati inviati dei questionari, per indagare sui 23 sintomi di Long Covid pediatrico, considerati più comuni dopo una survey del gennaio 2021, utilizzando i criteri Oms per definire la sindrome post-virus, ossia sintomi persistenti per oltre 2 mesi. In totale sono state ricevute risposte per quasi 11mila bambini che avevano sperimentato un contagio Covid-19, che sono state confrontate con quelle relative a oltre 33mila mai risultati positivi. E' emerso che nella fascia d'età 0-3 anni il 40% di chi aveva avuto Covid ha manifestato sintomi per più di 2 mesi, contro il 27% dei controlli; nei 4-11enni le percentuali sono state del 38% (infettati da Covid) e del 34% (controlli), mentre fra i 12-14enni del 46% e del 41%. I disturbi più frequenti sono stati sbalzi d'umore, eruzioni cutanee e dolori di stomaco per gli under 3; sbalzi d'umore, difficoltà a ricordare o a concentrarsi ed eruzioni cutanee fra i 4-11enni, e affaticamento, sbalzi d'umore e difficoltà a ricordare o a concentrarsi nei 12-14enni.
Sebbene i sintomi rilevati siano comuni in generale tra i bambini, e non specificatamente associati a Long Covid, secondo lo studio gli under 14 che avevano ricevuto una diagnosi di positività a Covid-19 avevano maggiori probabilità di manifestare disturbi a lungo termine, rispetto a quelli mai contagiati da Sars-CoV-2. Per gli autori questo suggerisce che i disturbi riferiti erano sequele lasciate da Covid, elemento supportato - precisano gli esperti - dal fatto che circa un terzo dei bambini che erano stati Covid-positivi lamentava sintomi assenti prima dell'infezione. Inoltre, con l'aumentare della durata dei disturbi, la percentuale di chi li presentava tendeva a diminuire.
I ricercatori ammettono che il loro lavoro ha dei limiti, innanzitutto il periodo lungo trascorso tra la diagnosi di Covid e il sondaggio. Però "i nostri risultati sono in linea con studi precedenti sul Long Covid negli adolescenti - rimarca Kikkenborg Berg - che dimostravano come, sebbene le probabilità che i bambini soffrano di Long Covid siano basse, soprattutto rispetto ai gruppi controllo, questa sindrome deve essere riconosciuta e trattata seriamente. Ulteriori ricerche - ribadisce - saranno utili a comprendere meglio questi sintomi e le conseguenze a lungo termine della pandemia sui bambini".
In un commento al lavoro, nel quale non è stata coinvolta, Maren Rytter dell'università di Copenaghen osserva: "Benché lo studio abbia rilevato che i sintomi di qualsiasi tipo erano leggermente più frequenti nei bambini che erano stati infettati da Sars-CoV-2", nei gruppi di età considerati "l'impatto complessivo dell'avere avuto Covid-19 è probabilmente piccolo e molto inferiore rispetto all'impatto degli effetti indiretti della pandemia. Per la maggior parte dei bambini con sintomi non specifici dopo Covid-19, è più probabile che i disturbi siano causati da qualcosa di diverso da Covid e, se sono correlati a Covid-19, è probabile che passino con il tempo".
Il Consiglio federale ha preso atto del rapporto di valutazione della Cancelleria federale, concernente la gestione di crisi dell’Amministrazione federale durante la seconda fase della pandemia di COVID-19.
Ha accolto le 13 raccomandazioni del rapporto e incaricato i dipartimenti e la Cancelleria federale di metterle in atto. Prioritari sono l’organizzazione futura della gestione di crisi nell’Amministrazione federale, il coordinamento in seno al sistema federale e l’istituzionalizzazione della consulenza scientifica agli attori politici.
Anche se constata che la gestione di crisi dell'Amministrazione federale ha funzionato relativamente bene, il rapporto identifica comunque lacune in nove ambiti (campi di intervento). La valutazione ha evidenziato come sia urgentemente necessario intervenire nell'organizzazione della gestione di crisi dell'Amministrazione federale, nel coordinamento e nella consultazione in seno al sistema federale, nonché nel coinvolgimento del mondo scientifico nella gestione di crisi dell'Amministrazione federale. Dal rapporto emerge un tema trasversale: a livello strategico deve essere migliorata la capacità di anticipare possibili crisi e i relativi sviluppi della situazione. All'interno dell'Amministrazione federale la crisi è stata talvolta gestita senza lungimiranza; questo è stato evidente soprattutto nell'autunno 2020, quando l'ampiezza della seconda ondata di COVID-19 ha colto impreparati l'Amministrazione federale e i Cantoni.
Tredici raccomandazioni
Il Consiglio federale ha accolto le 13 raccomandazioni proposte dal rapporto per colmare le lacune riscontrate e per migliorare ulteriormente la gestione di crisi. Al fine di rafforzare l'anticipazione delle crisi e il loro coordinamento in seno all'Amministrazione federale devono essere sottoposte al Consiglio federale possibili varianti relative all'organizzazione della gestione di crisi a livello strategico e operativo.
La collaborazione fra i diversi livelli istituzionali dello Stato deve essere migliorata sotto il profilo del coordinamento e della consultazione. Futuri strumenti digitali per le procedure di consultazione dovrebbero ad esempio essere adeguati anche per consultazioni urgenti. Nel quadro della revisione della legge sulle epidemie dovrebbero inoltre essere elaborate le basi legali per consentire l'applicazione vincolante di standard internazionali uniformi per lo scambio digitale di informazioni su malattie trasmissibili.
In relazione con la risposta al postulato 20.3280 del consigliere agli Stati Michel devono essere sottoposte al Consiglio federale possibili varianti della futura impostazione della consulenza scientifica agli attori politici.
In linea generale, nei progetti di revisione in corso come la legge sulle epidemie, il piano pandemico o ordinanze e istruzioni rilevanti in caso di crisi occorre tener conto delle esperienze maturate dall'Amministrazione federale. Nel quadro della pianificazione generale di grosse esercitazioni si dovrà in futuro tenere sistematicamente conto degli insegnamenti tratti dalle esercitazioni e dalle crisi reali. Per quanto riguarda la comunicazione, l'Amministrazione federale dovrebbe prevedere modalità per raggiungere fasce di popolazione più ampie mediante più canali e anche in altre lingue. Occorre inoltre che vengano valutati gli aspetti della campagna di vaccinazione al fine di trarne degli insegnamenti per future crisi sanitarie.
Contesto e metodologia
Nel dicembre 2020 il Consiglio federale ha incaricato la Cancelleria federale di svolgere una seconda valutazione della gestione della pandemia. In particolare voleva sapere se nella gestione di crisi dell'Amministrazione federale, fra agosto 2020 e ottobre 2021, siano state tempestivamente disponibili le strategie e le misure per affrontare la pandemia e se l'Amministrazione federale le abbia messe in atto in modo pertinente. Oltre a svolgere un'autovalutazione, l'Amministrazione federale ha chiesto ai Cantoni e a terzi coinvolti di valutare il suo lavoro. A tal fine sono state sentite 155 persone mediante interviste o direttamente online. Inoltre sono state analizzate valutazioni già esistenti.
La Cancelleria federale ha anche organizzato due laboratori tematici sul coinvolgimento della scienza nonché sull'organizzazione della gestione di crisi nell'Amministrazione federale. Essa ha inoltre commissionato uno studio scientifico per confrontare a livello internazionale il sistema svizzero di consulenza scientifica agli attori politici. Per garantire un rilevamento dei dati e una prima analisi della valutazione indipendenti, la Cancelleria federale si è affidata a un partner esterno, ossia la Interface Politikstudien GmbH.
L'11 dicembre 2020 il Consiglio federale aveva preso atto del rapporto di valutazione della gestione della prima fase della crisi pandemica di COVID-19.
Un richiamo di Moderna aggiornato per la Omicron 4 e 5 del Covid. "Ci stiamo preparando a fornire il nostro vaccino booster bivalente a partire da agosto, in vista di un potenziale aumento delle infezioni Sars-CoV-2 a causa delle sottovarianti di Omicron all'inizio dell'autunno".
Lo annuncia Stéphane Bancel, Ceo dell'azienda americana Moderna, che oggi ha riferito per il candidato vaccino mRna-1273.214 "potenti risposte anticorpali neutralizzanti" contro BA.4 e BA.5, Omicron 4 e 5. I nuovi dati verranno inviati alle autorità regolatorie e per una pubblicazione peer reviewed.
Il candidato vaccino mRna-1273.214 combina il candidato booster specifico per Omicron mRna-1273.529 con il vaccino anti-Covid Spikevax* (mRna-1273). "Un mese dopo la somministrazione, in persone precedentemente vaccinate e sottoposte a richiamo - riferisce Moderna in una nota - una dose booster di 50 microgrammi di mRNA-1273.214 ha suscitato" contro Omicron 4 e 5 "potenti risposte anticorpali neutralizzanti in tutti i partecipanti, indipendentemente dal fatto che avessero avuto o meno un'infezione precedente" da Sars-CoV-2. Nel dettaglio, si legge, "mRNA-1273.214 ha potenziato i titoli neutralizzanti contro BA.4/BA.5 di 5,4 volte sopra il livello basale in tutti i partecipanti" allo studio, "indipendentemente da un'infezione precedente, e di 6,3 volte nel sottogruppo dei partecipanti sieronegativi", ossia che non avevano avuto Covid.
"Di fronte alla continua evoluzione di Sars-CoV-2 - commenta Stéphane Bancel, Ceo di Moderna - siamo molto incoraggiati dal fatto che mRNA-1273.214, il nostro principale candidato booster per l'autunno, abbia mostrato titoli neutralizzanti elevati contro le sottovarianti BA.4 e BA.5, che rappresentano una minaccia emergente per la salute pubblica globale".
"In Italia continuiamo a sbagliare la comunicazione sul Covid. Questo continuo terrorismo tutti i giorni sui casi e i tamponi, per una forma di Covid che oggi è meno di un'influenza, non giova a nessuno e non aiuterà in autunno. Avere 60mila casi al giorno non vuol dire nulla.
Omicron 5 è diversa dal virus di 2 anni fa, chi ha Omicron non fa la polmonite, ma fa tutt'altro". Lo evidenzia all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, facendo il punto della situazione epidemiologica che vede un rialzo della curva dei positivi.
"E' chiaro che servono vaccini aggiornati per settembre - aggiunge - ma dobbiamo anche comunicare meglio. Fino ad oggi la comunicazione è stata un disastro. Dobbiamo dire che Omicron 5 è diversa, che i vaccini hanno funzionato moltissimo e che ne avremo ancora bisogno per i fragili e gli anziani".
Bassetti ha parlato anche di influenza che "tornerà e rialzerà la testa in autunno, concordo con l'Osservatorioinfluenza". "Sono 3 anni che in qualche modo non la affrontiamo e anticorpi che per 3 anni non vedono un virus sono meno forti, sono 'soldati' con armi spuntate - ha sottolineato l'esperto - Quindi ci si deve concentrare sulla campagna vaccinale nei confronti dell'influenza, per le categorie a rischio soprattutto. Ben sapendo però che il vaccino, tanto che può, arriva al 50% di efficacia".
Secondo l'Osservatorioinfluenza, in autunno l'influenza tornerà prepotente e cercherà di soppiantare Covid: "I dati dell'emisfero Sud indicano cosa dobbiamo aspettarci dall'epidemia 2022-2023".
Parte oggi negli Stati Uniti la campagna di vaccinazione anti-covid dei bambini tra i 6 mesi e i 5 anni. Per segnare l'avvio della campagna, Joe Biden, accompagnato dalla first lady Jill, si recherà in un centro vaccinale di Washington, dove pronuncerà un discorso per illustrare questa nuova vaccinazione offerta a 19 milioni di bambini.
Il vaccino per i più piccoli - Pfizer per i bambini tra i 6 mesi e i quattro anni, Moderna per i bambini fino ai cinque anni - è stato distribuito ai pediatri, alle farmacie ed i centri vaccinali delle comunità.
Secondo un sondaggio della Kaiser Family Foundation, solo il 18% dei genitori dei bambini sotto i cinque anni si dicevano a maggio disposti ad immunizzare immediatamente i propri figli. Mentre oltre un terzo, il 38%, diceva di voler aspettare e vedere come funziona su altri bambini, con il 27% invece che esclude assolutamente la possibilità di immunizzare i figli.
La variante Omicron del Covid-19 potrebbe dare meno effetti a lungo termine, il Long Covid, rispetto a quanto ha fatto in precedenza la Delta. E' quanto emerge da uno studio del King's College di Londra, pubblicato su 'The Lancet', con i dati monitorati dalla piattaforma 'Zoe Health Study'.
La ricerca è stata sottoposta a revisione tra pari ed è la prima sulle differenza nel Long Covid tra varianti diverse.
Il lavoro ha analizzato 56.003 casi di adulti nel Regno Unito risultati Covid-positivi per la prima volta tra il 20 dicembre 2021 e il 9 marzo 2022, quando Omicron era il ceppo dominante. I ricercatori hanno poi confrontato questi dati con 41.361 positivi tra il primo giugno 2021 e il 27 novembre 2021, con Delta prevalente. Ebbene, l'analisi ha evidenziato che il 4,4% dei casi Omicron aveva poi avuto anche un Long Covid, mentre con Delta era il 10,8%. Tuttavia, il numero assoluto di persone positive che hanno avuto conseguenze dall'infezione era più alto quando Omicron è stata la variante dominante.
Secondo Claire Staves, autrice principale dello studio, "la variante Omicron sembra avere sostanzialmente una probabilità inferiore di causare un Long Covid rispetto alle varianti precedenti, ma abbiamo ancora una persona su 23 che contrae la malattia e continua ad avere sintomi per più di 4 settimane. E' importante quindi continuare a sostenere queste persone a casa, al lavoro e all'interno della sanità pubblica".
Gli effetti economici, politici e sociali della pandemia sulle regioni dell'area mediterranea, i mutamenti nella geopolitica globale, crescenti tensioni e conflitti, l’intensificarsi della competizione tra democrazia e autoritarismo, la sinergia tra mercato e Stato. Sono questi i temi al centro del “Mediterranean Economies 2021-2022” (ME21/22) quasi ventennale Rapporto curato dall’Istituto di studi sul Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismed), che sarà presentato il prossimo 22 giugno a Napoli, presso il Circolo Ufficiali della Marina Militare (via Cesario Console 3/bis). All’evento prenderanno parte la Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Maria Chiara Carrozza, il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, i professori Luigi Nicolais e Giovanni Tria.
“COVID-19 ha colpito pesantemente l'area, in termini di perdite umane e innescando una crisi senza precedenti. Nel 2020, nella maggior parte dei Paesi, il PIL è sceso di oltre il 7% e, in alcuni casi, come l'Italia, il calo (quasi il 9%) ha cancellato la crescita cumulata dei 20 anni precedenti. Tuttavia, alcuni Paesi come Egitto e Turchia hanno addirittura registrato un aumento del PIL reale. Il 2021 è stato un anno di ripresa, ma il futuro economico è ancora incerto a causa dell’attuale situazione geopolitica, dell'evoluzione della pandemia e degli interventi dei governi”, spiega Salvatore Capasso, curatore del volume e direttore del Cnr-Ismed. “La crisi economica è stata asimmetrica all'interno dell’area Med.Settori come turismo, sport, musica e arte hanno sofferto di più, in alcuni casi la loro attività si è arrestata; altri come l’alimentare sono andati relativamente bene”.
Gli interventi governativi a sostegno della domanda interna hanno svolto un ruolo centrale nel tamponare l'impatto negativo, particolarmente nei Paesi EuroMed, traducendosi però in un forte aumento dei deficit e dei debiti pubblici. Nel 2020, il debito pubblico mondiale ha raggiunto il picco storico del 97% del PIL, nel 2021 è cresciuto fino al 99%. Questi numeri impressionanti pongono rischi di instabilità finanziaria mondiale senza precedenti. La variazione media del debito pubblico dell'area mediterranea rispetto al PIL è pari al 14,32% nel 2020-2021. L'Italia raggiungerà un rapporto del 144%, il Portogallo del 123%, la Francia del 106%, l'Algeria salirà al 60,5%”, conclude il direttore ISMed.
Anna Maria Ferragina, docente dell’università di Salerno, considera la pandemia come un “esperimento naturale” per studiare come le imprese reagiscono a uno shock macro aggregato inatteso. “Studiando un campione di società italiane quotate in borsa, si vede che la prima e più immediata reazione a una maggiore esposizione ai rischi da COVID-19 porta le imprese a un aumento del debito totale e causa un'importante variazione di altri indicatori di stato patrimoniale (ROE e ROI). Il rischio percepito è correlato positivamente con l'ammontare totale dei debiti delle imprese, ma l'aumento dell'incertezza rispetto al futuro riduce la scelta delle imprese di contrarre debiti a breve termine a favore di quelli a lungo termine”.
Se l'impatto della pandemia sull'economia mondiale è stato grave, “le conseguenze sono state ancora peggiori per i flussi commerciali, diminuiti nel 2021 mediamente del 5,3%” sottolineano Giovanni Canitano e Luca Forte, ricercatori Cnr-Ismed. “La pandemia e le conseguenti restrizioni hanno influito sul commercio mondiale attraverso: il calo della domanda di beni di consumo, dovuto alla chiusura della maggior parte di molte attività economiche non riguardanti il cibo e altri beni primari; l’interruzione delle catene di approvvigionamento, dovuta al blocco delle frontiere, che ha coinvolto il 94% delle aziende Fortune 1000. In definitiva, la maggior parte delle aziende integrate a livello globale ha subito la carenza di input per i propri processi produttivi e l'aumento dei costi dei servizi logistici”.
Allo stesso tempo, la pandemia ha alimentato e accelerato la trasformazione digitale già in atto. “Le tecnologie digitali si sono rivelate cruciali nel mitigare l'impatto della crisi, consentendo alle attività economiche e sociali di non subire brusche interruzioni, soprattutto nei Paesi con elevate infrastrutture di connettività. In particolare, la necessità di limitare i contagi ha indotto a consentire di lavorare da casa, favorendo la diffusione di strumenti come le piattaforme di videoconferenza”, ricordano Luisa Errichiello e Luigi Guadalupi, ricercatori dell’Istituto di studi sul Mediterraneo. I loro colleghi Immacolata Caruso e Bruno Venditto hanno preso in esame le migrazioni in Italia, rilevando che “le misure di contenimento per arginare il virus hanno ridotto significativamente i flussi migratori, ostacolando la mobilità, riducendo i nuovi arrivi regolari e irregolari e rendendo molto difficile la richiesta di protezione internazionale da parte di rifugiati e richiedenti asilo. Nonostante gli immigrati siano stati infettati nelle stesse proporzioni dei nativi italiani, COVID-19 ha complessivamente ostacolato il loro processo di inclusione nel Paese. Non è tanto lo status dei migranti a rappresentare un rischio sanitario, quanto le condizioni precarie in cui vivono queste persone, ad esempio rispetto a un alloggio dignitoso, ai servizi sanitari locali, al contratto di lavoro o all'istruzione”. “La pandemia deve rappresentare un'occasione per ripensare i luoghi e gli spazi pubblici, per consentire una città più vivibile per tutti, ampliandone l'uso in modo sano”, aggiunge al riguardo Marichela Sepe, ricercatrice Ismed.
Marco Ferrazzoli e Cecilia Migali, dell’Ufficio Stampa Cnr, sottolineano che “la copertura della COVID-19 da parte dei media è diventata così pervasiva da meritare il termine di infodemia. Ma nella narrazione web, stampa e radio-tv si notano differenze profonde di trattamento, con un forte disinteresse rispetto alle sponde Sud ed Est del bacino”.
Il rapporto non ha potuto considerare le ricadute dell’attuale crisi ucraina, scoppiata durante l’uscita. Roberto Aliboni, Francesca Caruso e Andrea Dessì dell’Istituto affari internazionali (Iai), spiegano: “Analizzando i più recenti sviluppi geopolitici si è constatato che nell'ultimo anno della pandemia la regione Mena (Medio Oriente-Nord Africa) ha assistito a una pausa temporanea nei principali conflitti interregionali, a causa: da una parte, delle crescenti minacce economiche e sociali all'interno dei singoli Stati, che mettono a rischio la stabilità dei regimi e delle élite al governo; dall'altra, dell'incertezza sull'approccio che l’amministrazione di Joe Biden attuerà nella regione”.
"Stiamo registrando un nuovo, abbastanza travolgente, accesso nei pronto Soccorso di persone con Covid, anche giovani, che, per quanto non gravi, hanno bisogno di assistita, di semplice ossigeno, ma non gestibile a casa con la scarsa rete che, nonostante la pandemia, abbiamo costruito, e questa situazione sta ricadendo nuovamente sugli ospedali".
Ad annunciare "molto giorni per ciò che sta accadendo negli ultimi giorni nazionali" è il segretario della Fp Cgil Medici e Dirigenti Sn, Andrea Filippi, dall'Adnkronos Salute.
"Secondo noi - sostiene Filippi - è stata sicuramente sottovalutata questa ondata estiva, perché in qualche modo si pensava che non sarebbe invece sta arrivando e si sta anticipando uno scenario autunnale, in una situazione in cui i vaccini ancora un po' reggono, ma desta molta attesa. E' un po' prematuro per dire se la situazione è allarmante in termini di sovraccarico dei servizi ospedalieri - afferma - ma l'impressione è questa: nei Pronto sta aumentando l'afflusso di pazienti in modo esponenziale".
Filippi denuncia il fatto che "sostanzialmente si è allentata la presa, eliminando misure e precauzioni, e se ne stanno vedendo ora i risultati. Assistiamo a uno smantellamento degli interventi presi per l'emergenza pandemica, dalle mascherine la cui eliminazione è stata una scelta sbagliata, e infatti i contagio stanno risalendo velocemente, fino alla ventilazione ipotesi di eliminazione anche l'obbligo di isolamento per i positivi, a fronte del fatto che gli interventi strutturali che devono essere messi in campo, in di riforme e potenziamento dell'assistenza territoriale, non solo non sono stati realizzati ma sono veramente 'fuffa' nella misura in cui non è stato finanziato un piano di assunzioni del personale".
"In pratica - denuncia - non è stata aumentata la 'carne viva' che serve a soste il Ssn, se non in termini di precarizzazione che tra l'altro oggi rischia di non essere rinnovata perché non ci sono le risorse. Quegli interventi strutturali - allenta - è consentito adesso di allentare le misure e le restrizioni, oggi invece vengono te le misure senza aver fatto nessun intervento strutturale.
Nausea, vomito, dolori addominali. Non solo Covid, ma anche il Long Covid - la sindrome post-virus sperimentata in varie forme da molti guariti - colpisce lo stomaco e l'intestino, con sintomi persistenti a lungo termine.
Li ha certificati l'Irccs Policlinico Sant'Orsola di Bologna attraverso una ricerca internazionale i cui dati, "tenendo conto dei 17 milioni di persone" che si sono "ammalate di Covid-19 solo in Italia, suggeriscono che nei prossimi anni avremmo oltre mezzo milione persone da curare per patologie gastroenterologiche".
Lo studio, denominato 'Gi-Covid19' e promosso dalla Medicina interna e Gastroenterologia del Sant'Orsola diretta da Giovanni Barbara, ha incluso più di 2mila pazienti ricoverati per Covid in 36 centri di 12 nazioni europee.
I risultati dei dati relativi alla fase acuta - spiegano dall'ospedale bolognese - sono stati da poco pubblicati sul 'The American Journal of Gastroenterology'. I ricercatori hanno seguito durante il ricovero e per un mese i pazienti ospedalizzati per Covid-19, evidenziando che i sintomi gastrointestinali, per esempio nausea e diarrea, si verificavano più frequentemente in questo gruppo (59,7%) rispetto al gruppo controllo (43,2%). Dopo un mese dal ricovero, i guariti da Covid continuavano a lamentare nausea. Gli autori hanno quindi concluso che l'infezione da Sars-CoV-2 può portare a disfunzioni gastrointestinali persistenti fino a un mese. Ma c'è di più, perché lo studio ha analizzato anche i pazienti a un anno dall'ospedalizzazione per Covid.
Parte dei risultati definitivi di Gi-Covid19, relativi alle valutazioni effettuate a un anno dal ricovero, sono stati presentati in anteprima a maggio negli Usa alla Digestive Disease Week. I dati indicano che, a distanza di un anno, il 3,2% dei pazienti Covid sviluppa sintomi digestivi persistenti non presenti prima dell'infezione da coronavirus, compatibili con la diagnosi di sindrome dell'intestino irritabile.
"Questo disturbo si caratterizza per la presenza di dolore addominale e alterazioni dell'alvo e potrebbe quindi rientrare nello spettro clinico del Long-Covid", sottolineando i ricercatori prevedendo appunto, per il prossimo futuro, oltre 500mila 'nuovi malati gastrointestinali" post-Covid nel nostro Paese. I risultati definitivi dello studio verranno presentati in anteprima al Congresso internazionale Ibs Days 2022 in programma dal 20 al 22 giugno a Bologna, a Palazzo Re Enzo. Epidemiologia, genetica, dieta, microbiota, infiammazione, infezione, diagnosi e terapia, elenca una nota, sono gli argomenti sui quali si confronteranno opinion leader mondiali.