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- Dire a qualcuno che sono stati vaccinati quando non lo erano
- Dicendo che non erano stati vaccinati quando in realtà lo erano
- Non pensavo che il COVID-19 fosse reale, o non era un grosso problema
- Non sono affari di nessun altro
- Non mi sono sentito male
- Stavo seguendo il consiglio di una celebrità o di un altro personaggio pubblico
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Scende ancora l'indice di trasmissione Covid in Italia, pur restando sopra la soglia epidemica di 1. E cala l'incidenza a 374 casi ogni 100mila abitanti nel periodo 20-26 ottobre, contro i 448 casi/100mila del 14-20 ottobre. E' quanto emerge dal monitoraggio di Istituto superiore di sanità e ministero della Salute.
RT - Nel periodo 5-18 ottobre, l'Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 1,11 (range 1,00-1,23), in diminuzione rispetto alla settimana precedente quando era di 1,27. Anche l'indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero diminuisce, attestandosi al di sotto della soglia epidemica: è di 0,94 (0,91-0,97) al 18 ottobre, rispetto al valore di 1,09 (1,06-1,13) all'11 ottobre. Lo indica il monitoraggio di Istituto superiore di sanità e ministero della Salute.
La percentuale dei casi rilevati attraverso l'attività di tracciamento dei contatti è stabile rispetto alla settimana precedente (9,9% vs 10,5%), sottolinea l'Iss nella sintesi del report. Stabile anche la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (54,9% vs 54,7%), come pure la percentuale dei casi diagnosticati attraverso attività di screening (35,2% vs 35%).
RICOVERI - Calo dei ricoveri Covid in Italia. Il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale scende al 2,2% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 27 ottobre), dal 2,4% (rilevazione al 20 ottobre). Il tasso di occupazione nelle aree mediche cala al 10,8% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 27 ottobre), dall'11,0% (rilevazione al 20 ottobre). Relativamente alle terapie intensive, l'occupazione più alta si registra in Umbria (4,7%), seguita da Abruzzo (3,9%), Liguria (3,5%), Emilia Romagna e Sardegna (3,4%), Pa di Trento (3,3%) e Marche (3%). Per tutte le altre regioni il tasso è inferiore al 3%. A Bolzano e in Valle d'Aosta il dato è dello 0%.
REGIONI - Questa settimana in Italia solo una delle regioni/province autonome è classificata a rischio alto per Covid, per la presenza di molteplici allerte di resilienza; altre 7 sono a rischio moderato,mentre 13 sono a rischio basso. Dieci regioni/pa riportano almeno una allerta di resilienza, due riportano molteplici allerte.
L'occupazione in area medica supera questo dato in Friuli Venezia Giulia (15,9%), Liguria (15,3%), Marche (15,1%), Pa di Bolzano (17,8%) e Pa di Trento (15,9%), alle quali si aggiungono la Valle d'Aosta sopra al 20% (23,9%) e l'Umbria sopra il 30% (34,7%). Lo riporta la tabella degli indicatori decisionali su incidenza, aree mediche e intensive, con i dati del monitoraggio Istituto superiore di sanità-ministero della Salute, visionata dall'Adnkronos Salute.
Le autorità cantonali comunicano che sono più di 24 mila le persone che in Ticino hanno già ricevuto o hanno prenotato la dose di richiamo, durante la prima fase della campagna autunnale di vaccinazione contro il coronavirus.
La campagna di vaccinazione continua nel mese di novembre in tre Centri – Quartino, Lugano/Besso e Bellinzona –, in 137 fra farmacie e studi medici e in una delle tappe della vaccinazione itinerante (fino al 6 novembre 2022). La vaccinazione di richiamo è fortemente raccomandata alle persone di età superiore a 65 anni, a chi soffre di malattia croniche e a chi è a stretto contatto con persone a rischio.
La campagna per la vaccinazione di richiamo è iniziata in Ticino lo scorso 11 ottobre 2022: l’adesione si è finora dimostrata superiore alla media svizzera, con oltre 19’500 persone che hanno già ricevuto la dose di richiamo e altre 4'500 che si sono annunciate per i prossimi giorni. Dopo questa prima fase, contraddistinta da una forte richiesta, il dispositivo cantonale sarà ora progressivamente adattato. I Centri cantonali di Ascona, Biasca, Tesserete e Mendrisio nei prossimi giorni offriranno gli ultimi appuntamenti prima di essere chiusi. Le persone interessate sono invitate ad annunciarsi mediante la piattaforma di prenotazione online dove è possibilità verificare tutte le ultime disponibilità (www.ti.ch/vaccinazione).
Nel mese di novembre, la campagna di vaccinazione proseguirà al Centro cantonale di Quartino, Lugano/Besso e Bellinzona (Protezione civile dell’Espocentro) – aperti in giornate prestabilite – e in 137 fra farmacie e studi medici diffusi su tutto il territorio cantonale. Fino al 6 novembre, sono inoltre previste le tappe del programma di vaccinazione itinerante. Tutte le informazioni dettagliate sono pubblicate sulla pagina web del Cantone (www.ti.ch/vaccinazione).
Le autorità cantonali ricordano che la dose di richiamo è gratuita ed è disponibile a tutte le persone a partire dai 16 anni che da almeno 4 mesi hanno ricevuto l’ultima dose di vaccino o sono guarite. Il richiamo è fortemente raccomandato alle persone con 65 o più anni, a chi soffre di malattie croniche, alle donne in gravidanza o che allattano e a chi è regolarmente a contatto con persone a rischio come il personale sanitario. L’obiettivo della vaccinazione di richiamo è di ridurre il rischio di un decorso grave della malattia e le conseguenze a lungo termine dell’infezione.
La pagina web con le informazioni dettagliate e il portale di prenotazione online sono accessibili collegandosi alla pagina www.ti.ch/vaccinazione. La hotline telefonica cantonale (che risponde al numero 0800 128 128) rimane inoltre a disposizione, tutti i giorni dalle 8.00 alle 17.00.
"Oggi Omicron 4 e 5 sono ancora dominanti in Europa, ma nuove sottovarianti, nate da Omicron BA.2 e BA.5, stanno emergendo in diverse parti del mondo".
A evidenziarlo è stato Marco Cavaleri, responsabile della strategia per le minacce sanitarie e i vaccini dell'Agenzia europea del farmaco Ema, oggi durante il periodico briefing con i media. "La scorsa settimana una delle nuove sottovarianti di Omicron, chiamata BQ.1, è stata identificata in almeno 5 Paesi dell'Ue/Spazio economico europeo. Secondo l'Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie", questo mutante "e il suo sottolignaggio BQ.1.1", battezzato 'Cerberus' sui social, "diventeranno il ceppo dominante tra novembre e l'inizio di dicembre".
"Al momento non è noto se BQ.1", con il suo sottolignaggio BQ.1.1 Cerberus sarà più trasmissibile o causerà una malattia più grave rispetto a Omicron BA.4 e BA.5. Quello che però già si sa è che ha una capacità maggiore di sfuggire all'immunità conferita dalla vaccinazione o dall'infezione naturale, inclusa quella da Omicron, e di resistere agli anticorpi monoclonali attualmente disponibili", ha spiegato ancora Cavaleri.
Inoltre, "stiamo seguendo attentamente le nuove sottovarianti" Omicron di Sars-CoV-2. Come "XBB che si sta diffondendo rapidamente in Asia ed è stata già rilevata in alcuni Paesi europei". Cavaleri ha citato questo mutante, XBB (già ribattezzato Gryphon sui social), che è un ricombinante di Ba.2.10.1 e Ba.2.75 (Centaurus), con 14 mutazioni aggiuntive nella proteina Spike di Ba.2. Insieme a BQ.1 e BQ.1.1 (Cerberus), è infatti una delle nuove sottovarianti sotto la lente in Europa e in diverse parti del mondo.
Al via nel Lazio le prenotazioni della quinta dose di vaccino anti-Covid a mRna bivalente, raccomandato - come da circolare del ministero della Salute - alle persone con più di 80 anni; agli ospiti delle strutture residenziali per anziani Rsa; agli over 60 con fragilità motivata da patologie concomitanti/preesistenti e agli over 60 che ne facciano richiesta.
Lo comunica l'assessorato alla Sanità sui suoi canali social, specificando che si può prenotare su: prenotavaccino-covid.regione.lazio.it.
Si ricorda inoltre che tutti i soggetti appartenenti alle categorie indicate devono aver già ricevuto una seconda dose booster con vaccino a mRna monovalente, e che per la somministrazione ulteriore devono essere trascorsi almeno 120 giorni dall'ultima somministrazione o dall'ultima infezione da Covid-19 (data del test diagnostico positivo).
Il Consiglio federale si è informato sullo stato dell’approvvigionamento di vaccini anti-COVID-19 in Svizzera e sullo smaltimento dei vaccini scaduti.
La strategia della Confederazione di fornire alla popolazione i vaccini più efficaci in qualsiasi momento aveva tenuto conto del rischio di possibili eccedenze.
I vaccini, che non hanno potuto essere somministrati o ceduti e la cui data di scadenza non può essere ulteriormente prorogata, devono ora essere smaltiti. Attualmente si tratta di circa 9 milioni di dosi.
Per l’approvvigionamento di vaccini il Consiglio federale ha seguito una strategia orientata alla sicurezza, ordinandone a diversi fabbricanti. Lo scopo era ed è di minimizzare i rischi e assicurare alla Svizzera vaccini di elevata qualità in quantità sufficiente anche in caso di rallentamenti della produzione o difetti qualitativi. In questo modo alla popolazione svizzera è sempre garantito l’accesso ai vaccini più efficaci. Con la scelta consapevole di questa strategia si è tenuto conto dell’eventualità di un’eccedenza di vaccini, che avrebbe potuto rendere necessaria la vendita, la cessione o eventualmente la distruzione di una parte delle dosi acquistate.
Dalla fine del 2020 la Svizzera ha ricevuto 31,9 milioni di dosi di vaccino. Finora ne sono state somministrate 16,1 milioni. Circa 9 milioni di dosi del vaccino di Moderna hanno ora raggiunto la data di scadenza e saranno smaltite. Entro febbraio 2023 scadranno altri 5,1 milioni di dosi di vaccino. Anche queste dosi dovranno essere smaltite, se non otterranno una proroga della scadenza e non potranno essere utilizzate in Svizzera o cedute. 3,2 milioni di dosi sono state cedute a Stati terzi, sebbene la maggior parte di esse non sia nemmeno stata importata in Svizzera ma esportata direttamente nel Paese di destinazione. Si prevede che lo smaltimento dei vaccini costerà all’incirca 1500–3000 franchi per milione di dosi.
La Svizzera riceve sempre il vaccino più recente
Alla Svizzera viene fornita la variante più recente del vaccino non appena omologata. In questo modo è garantito che la Svizzera disponga di quantità di vaccino a mRNA adattato alla variante Omicron sufficienti per la campagna di vaccinazione appena avviata. Anche il vaccino a base proteica di Novavax è disponibile in quantità sufficiente.
Oltre 40.000 casi giornalieri, più di 70 decessi, indice di trasmissibilità in crescita nell’ultimo mese: a più di due anni e mezzo dall’individuazione del virus SARS-CoV-2 nel ‘paziente zero’ in Nord Italia, siamo ancora molto lontani dal vedere scomparire del tutto il SARS-COV-2 dall'Italia e dal resto del mondo.
Anzi, questo è uno scenario che probabilmente, a detta degli esperti, non si verificherà mai: il SARS-CoV-2 resterà in circolazione, ma la popolazione sarà più protetta anche per le nuove varianti e potrà disporre, in caso di malattia, di valide terapie domiciliari.
La buona notizia è che la malattia Covid-19 sta cambiando i connotati, non solo per quanto riguarda la mutazione del virus e la diffusione delle diverse varianti – oggi la Omicron BA5 è quella prevalente in Italia – ma soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione a malattia grave. Grazie all’adesione alla campagna vaccinale, che in Italia è stata molto ampia, ma anche grazie ad armi terapeutiche come la terapia antivirale orale, che nelle ultime settimane ha ripreso ad essere utilizzata in modo massiccio, con un incremento delle prescrizioni superiore all’80%.
Epidemiologi e infettivologi hanno fatto il punto sulla diffusione del Covid-19, le prospettive future della pandemia e della convivenza con il virus e le nuove evidenze real-world sulla terapia antivirale con molnupiravir, in un Media Briefing Online organizzato da MSD.
«Nell’ultimo periodo stiamo assistendo ad un aumento del numero dei casi di infezione che, a mio avviso, potrebbero essere sottostimati, per il semplice fatto che si ricorre alla diagnostica solo quando strettamente necessario. Il virus, sebbene la variante Omicron abbia una maggior infettività, presenta una sua minor gravità – spiega Vincenzo Baldo, Professore ordinario di Igiene, Università di Padova e Direttore UOC Medicina Preventiva e valutazione del rischio, Azienda Ospedale Università di Padova – L’ultimo bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità indica un RT in aumento; si sta osservando anche un leggero incremento dell’occupazione dei posti letto dell’area medica e delle terapie intensive. Bisogna però capire se si tratta di accessi per Covid-19, ovvero che il soggetto è giunto all’osservazione dell’ospedale per una sintomatologia da Covid-19, oppure se si è recato in ospedale per altre ragioni e poi è stato in maniera casuale trovato positivo. Questo è da considerare un indicatore di una patologia che sembra essere sempre più lieve rispetto al passato».
Tra gli antivirali orali disponibili in Italia, molnupiravir, sviluppato da MSD, da gennaio 2022 è stato utilizzato nel trattamento di oltre 46.000 persone.
Gli ultimi studi real-world su molnupiravir – PANORAMIC e Clalit – hanno prodotto importanti risultati e confermato il valore dell’antivirale orale sviluppato da MSD in questa pandemia in continua evoluzione, dove i tassi di vaccinazione sono elevati e la variante Omicron sembra causare una malattia meno grave, nonché meno ospedalizzazioni e morti.
«Le evidenze di PANORAMIC, studio inglese in real-world condotto su un grandissimo numero di soggetti, oltre 25.000 persone randomizzate a ricevere molnupiravir in aggiunta alle cure tradizionali rispetto alle cure tradizionali da sole, dicono che non ha ridotto l’ospedalizzazione e la morte, perché lo studio è stato realizzato su soggetti vaccinati e con un range di età molto ampio, mentre si è dimostrato un beneficio sulla rapidità di cura e della quantità della carica virale – dichiara Matteo Bassetti, Professore ordinario di Malattie infettive, Università di Genova, Direttore Clinica di Malattie Infettive, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova – con un’efficacia consistente negli effetti sulla vita quotidiana del soggetto, che torna prima al lavoro e in comunità. Un problema dello studio PANORAMIC è che il range di popolazione trattata è veramente molto ampio e l’età media davvero bassa, 56 anni. Questo è stato il limite dello studio. È assai probabile che molnupiravir offra il maggior beneficio in fasce più avanzate d’età».
Le evidenze dello studio real-world svolto in Israele (Clalit) confermano ciò che lo studio di Fase 3 MOVe-OUT su molnupiravir ha dimostrato, ovvero una riduzione di ospedalizzazioni e mortalità nella popolazione più anziana, ad alto rischio di progressione in malattia grave.
«Clalit è uno studio real world molto rilevante, che ha dimostrato come su pazienti la cui età media era di circa 70 anni, vaccinati o che avevano contratto l’infezione, l’utilizzo di un antivirale come molnupiravir, somministrato nei primissimi giorni di malattia, ha ridotto in maniera significativa il rischio di ospedalizzazione, più che dimezzato, e il rischio di decesso, che si abbassa del 70% – commenta Ivan Gentile, Professore ordinario di Malattie Infettive, Università di Napoli Federico II e Direttore Clinica di Malattie Infettive, AOU Federico II di Napoli – Questi dati sono molto significativi, perché conoscevamo già l’efficacia di molnupiravir negli studi registrativi, che riduceva la progressione a malattia severa, ma i trial erano condotti su persone non vaccinate. Oggi abbiamo evidenze significative sull’uso di molnupiravir su pazienti over 65, fragili, vaccinati o che abbiano la malattia per i quali l’utilizzo precoce dell’antivirale riduce l’ospedalizzazione e la morte in maniera importante. Tutto questo ha un impatto sul singolo paziente ma ha anche ripercussioni sul sistema sanitario e sui costi».
Il punto di partenza è uno: la pandemia di Covid-19 "ha innescato un aumento senza precedenti della mortalità, che si è tradotto in perdite di aspettativa di vita in tutto il mondo, con solo poche eccezioni".
Ma poi alcuni Paesi hanno vissuto una ripresa: in Europa occidentale per esempio si è registrato un rimbalzo positivo rispetto alla perdita di aspettativa di vita registrata nell'anno nero del 2020, quando il tributo pagato a Sars-CoV-2 è stato altissimo. Altri Paesi invece faticano a risollevarsi su questo fronte. L'Europa dell'Est e gli Stati Uniti, in particolare, hanno avuto deficit di aspettativa di vita sostenuti e pesanti. Un calo prolungato nel tempo dal quale si fatica a risalire.
E' il quadro che emerge da uno studio internazionale pubblicato su 'Nature Human Behaviour'. L'Italia è tra gli 8 Paesi che hanno segnato le riprese più significative nell'aspettativa di vita dalle perdite del 2020 (Belgio, Svizzera, Spagna, Francia, Inghilterra e Galles, Italia, Svezia e Slovenia).
"Abbiamo stimato i cambiamenti dell'aspettativa di vita in 29 Paesi dal 2020, li abbiamo attribuiti ai cambiamenti della mortalità per fascia di età e li abbiamo confrontati con gli shock storici dell'aspettativa di vita. I nostri risultati mostrano una divergenza negli impatti sulla mortalità della pandemia nel 2021", evidenziano gli autori, Jonas Scholey del Max Planck Institute for Demographic Research (Germania), José Manuel Aburto dell'University of Oxford (Uk) e colleghi. "I deficit dell'aspettativa di vita durante l'autunno/inverno 2021 tra le persone over 60 e under 60 erano correlati negativamente con le misure di adesione alla vaccinazione in tutti i Paesi", fanno notare gli esperti.
"Contrariamente al 2020", sul fronte dell'eccesso di mortalità "il profilo d'età nel 2021 era più giovane: le fasce inferiori agli 80 anni contribuivano maggiormente alla perdita di aspettativa di vita", osservano gli autori. Infine, "anche nel 2021 i decessi registrati per Covid hanno continuato a pesare per la maggior parte delle perdite di aspettativa di vita".
Gli autori provano a interpretare il motore delle divergenze osservate nel 2021, dopo lo shock del 2020. E nelle loro conclusioni scrivono che "è plausibile che i Paesi con risposte di sanità pubblica inefficaci vedranno una crisi sanitaria prolungata indotta dalla pandemia, con stalli a medio termine nei miglioramenti dell'aspettativa di vita, mentre altre regioni gestiranno una ripresa più agevole verso il ritorno ai trend pre-pandemia".
"Su richiesta dell'interessato, anche tutti gli altri soggetti ultrasessantenni che hanno già ricevuto un secondo richiamo con vaccino a mRna monovalente", oltre a over 80, ospiti di Rsa e over 60 con fragilità motivate da patologie, "potranno comunque vaccinarsi con un'ulteriore dose di vaccino a mRna bivalente, una volta trascorsi almeno 120 giorni dal secondo richiamo o dall'ultima infezione da Sars-CoV-2".
Lo prevede una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Giovanni Rezza, in cui si riporta una nota congiunta del dicastero, con Consiglio superiore di sanità, Agenzia del farmaco Aifa e Istituto superiore di sanità.
"A tal fine - si legge - si precisa che i vaccini a mRna bivalenti (original/omicron BA.1 o original/omicron BA.4-5), sono già autorizzati da Ema", l'Agenzia europea del farmaco, "ed Aifa", l'agenzia italiana del farmaco, "per l'utilizzo come dose di richiamo, a prescindere dal numero di dosi precedentemente ricevute".
Fino ad oggi, del diabete mellito, erano conosciute la forma 1, insulinodipendente, e la forma 2, spesso legata all’obesità e, una volta diagnosticate, non si poteva guarire. Con la pandemia da Covid-19 sembra sia emersa una nuova forma di diabete oltre il tipo 1, insulinodipendente, e il 2, detto una volta "degli adulti" ma che oramai si riscontra molto anche tra i giovani, perchè legato a un eccessivo peso.
Questa nuova forma, ribattezzata 'Diabecovid', si riscontra in caso di Long Covid, e può manifestarsi anche dopo mesi dall'infezione. Tuttavia se presa in tempo, può essere curata fino alla remissione. Lo studio è stato presentato in occasione del XXI Congresso di Simdo, Società italiana di metabolismo, diabete e obesità presieduto dal dottore Vincenzo Provenzano, che si è celebrato all'Unahotels Capotaormina, con 200 esperti da tutta Italia e dall'estero e 30 società.
Il Diabecovid incide in maniera importante sul quadro nazionale della malattia, e cioè del 18 per cento in più (10 per cento uomini e 8 per cento donne), rispetto all'8 per cento di persone che già in Italia hanno il diabete. Quindi, i nuovi casi si aggiungono ai 4 milioni già accertati, al milione di persone che hanno il diabete e non lo sanno, e ai 3 milioni di soggetti in pre-diabete. "Si crea allora un'emergenza di carattere sociale – ha affermato Vincenzo Provenzano, primario di Diabetologia all'ospedale Civico di Partinico, direttore dello stesso centro Covid e presidente di Simdo - sia per i numeri sia per le complicanze, come difficoltà ad avere figli, cecità, dialisi, amputazione degli arti inferiori".
Il Diabecovid è stato scoperto, grazie alla nascita degli ambulatori Long Covid. Gli esperti già durante l'epidemia avevano osservato un rapporto stretto tra Covid e diabete, i soggetti affetti, infatti, tendevano ad avere una prognosi peggiore e, quelli con diabete scompensato, spesso finivano in rianimazione. Una delle patologie del Long Covid, che è emersa è proprio una forma di diabete secondario, che esordisce sia nella forma 1, insulino dipendente, sia nella forma 2, e cioè il classico diabete da obesità, sia in una nuova, di diabete 2 ad insorgenza precoce.
"L'allarme che stiamo lanciando, anche attraverso il XXI Congresso Simdo – ha concluso Provenzano - è di attenzionare queste nuove forme di diabete, ai soggetti che hanno avuto il Covid anche in maniera paucisintomatica, esortandoli a verificare la glicemia, in presenza di sintomi come stanchezza, inappetenza, calo ponderale, svogliatezza, per intervenire quanto prima perché, l'unico lato positivo di queste forme di diabete post Covid, o Diabecovid, è che, se curate in maniera massiccia e tempestiva, riescono a regredire andando in remissione".
La dose aggiuntiva/booster del vaccino anti Covid-19 protegge dalla malattia grave all'82% rispetto ai non vaccinati. Lo indica l'Istituto Superiore di Sanità (Iss) nella versione integrale del rapporto settimanale, aggiornato al 12 ottobre. Efficacia che, con il ciclo completo (due dosi), è pari al 62,5% nei vaccinati con da meno di 90 giorni, al 64% nei vaccinati tra 91 e 120 giorni e al 69% oltre 120 giorni.
Nello stesso report l'Iss indica come nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni da SarS-Cov-2 risulti in leggero aumento rispetto alla settimana precedente: al 16,2% rispetto al 15,5% della scorsa settimana. E' quanto indica l'Istituto Superiore di Sanità (Iss) nella versione integrale del rapporto settimanale Covid-19.
Dal 24 agosto 2021 al 12 ottobre 2022 - si legge nel report - sono stati segnalati 1.237.663 casi di reinfezione, pari al 6,7% del totale dei casi notificati nello stesso periodo.
A fronte di un aumento generalizzato dei casi di Covid-19 in Italia, questa settimana risulta invece in diminuzione, rispetto alla scorsa, la percentuale dei casi segnalati nella popolazione in età scolare rispetto al resto della popolazione: 12,3% rispetto al 17,5% della scorsa settimana.
Nel dettaglio, poi, risulta che nell’ultima settimana, il 14% dei casi in età scolare è stato diagnosticato nei bambini sotto i 5 anni, il 33% nella fascia d’età 5-11 anni, il 53% nella fascia 12-19 anni.
A causa del forte e rapido aumento delle nuove infezioni da coronavirus, l’Ufficio del medico cantonale ha aggiornato le Direttive per l’accesso alle strutture sanitarie e sociosanitarie introducendo l’obbligo generalizzato di indossare la mascherina, valido per il personale, gli utenti e i visitatori.
L’obiettivo è di aumentare il grado di protezione delle persone presenti in queste strutture, in particolare di quelle a rischio. Le autorità sanitarie cantonali ricordano che l’uso della mascherina è raccomandato a tutta la popolazione negli ambienti chiusi, nei luoghi affollati e durante gli incontri con persone a rischio. La popolazione è inoltre invitata a seguire le già ben note raccomandazioni di comportamento: in caso di sintomi limitare i contatti, lavare frequentemente le mani, arieggiare regolarmente i locali e farsi vaccinare.
Le nuove infezioni da Coronavirus sono al momento in rapida crescita: nelle ultime tre settimane, in Ticino, è raddoppiato settimanalmente il numero delle persone ospedalizzate. Questa repentina diffusione del virus fra la popolazione richiede l’adozione di maggiori misure di protezione, per evitare un’eccessiva pressione sulle strutture ospedaliere del Cantone.
L’Ufficio del medico cantonale ha quindi provveduto ad aggiornare le Direttive per l’accesso alle strutture sanitarie e sociosanitarie. È in vigore da subito l’obbligo generalizzato di indossare la mascherina all’interno di ospedali, cliniche psichiatriche, strutture riabilitative e reparti RAMI e case per anziani. Si ricorda inoltre che la mascherina resta obbligatoria anche negli studi medici, nelle farmacie e in ogni altro luogo dove viene esercitata una professione sanitaria, nel contatto diretto con pazienti. Anche le persone che frequentano centri sanitari ambulatoriali sono invitate a usare la mascherina a tutela delle persone maggiormente a rischio.
Per contribuire a limitare la diffusione del virus e a proteggere le persone particolarmente a rischio, le autorità cantonali invitano tutta la popolazione a rispettare le ben note raccomandazioni di comportamento: in caso di sintomi limitare i contatti, lavare frequentemente le mani, arieggiare regolarmente i locali e farsi vaccinare. La vaccinazione di richiamo è fortemente raccomandata alle persone con 65 o più anni o con malattie croniche, alle donne in gravidanza o che allattano e, in generale, alle persone a contatto con persone vulnerabili.
Le direttive aggiornate sono consultabili su www.ti.ch/coronavirus.
In Italia il 4 ottobre scorso la variante Omicron aveva una prevalenza stimata al 100%, con la sottovariante BA.5 largamente predominante e un piccolo aumento della BA.2 rispetto al report precedente (2,3% vs. 1,1%).
Sono questi i risultati dell'indagine rapida condotta dall'Iss e dal ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler. Per l'indagine è stato chiesto ai laboratori delle Regioni e Province Autonome di selezionare dei sottocampioni di casi positivi e di sequenziare il genoma del virus. Il campione richiesto è stato scelto dalle Regioni/PPAA in maniera casuale fra i campioni positivi garantendo una certa rappresentatività geografica e, se possibile, per fasce di età diverse. In totale, hanno partecipato all'indagine 20 Regioni/PPAA, e complessivamente 100 laboratori regionali e il Laboratorio di Sanità Militare, per un totale di 1557 campioni.
Queste le prevalenze stimate BA.1 0,1% (range: 0% -2,3%) BA.2 2,3% (range: 0% -6,3%) BA 4 4,3% (range: 0% -25,0%) BA 5 93,0% (range: 75,0% - 100,0%) Altro 0,3% (range 0%-1,9%).
Nel 2022 i contagi nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) hanno avuto lo stesso andamento della popolazione generale, ma grazie ai vaccini e ad una buona capacità di gestione del virus, testimoniata dagli andamenti degli isolamenti, l'impatto su ricoveri e decessi è stato basso. Lo afferma il nuovo aggiornamento del report sulle Rsa pubblicato dall'Istituto superiore di sanità (Iss).
Sono 853 le strutture residenziali che complessivamente hanno partecipato alla sorveglianza dal 21 dicembre 2020 al 18 settembre 2022, provenienti da 7 regioni (Abruzzo, Campania, Marche, Molise, Sicilia, Toscana e Valle d'Aosta) e per un totale di 31.341 posti letto disponibili. Questi i dati principali emersi: dal dicembre 2021 e durante l'inizio del 2022 vi è un nuovo aumento dell'incidenza dei contagi. A gennaio 2022 si raggiunge il 7% di nuovi casi settimanali nelle strutture per anziani e il 5% nel totale delle strutture residenziali.
Un ulteriore picco, sebbene più basso, avviene a marzo 2022 con un'incidenza pari, rispettivamente, al 4,5% e al 4%. In seguito si osserva un calo dei nuovi casi nelle strutture, con valori prossimi allo 0,3% a inizio giugno, cui segue un nuovo aumento con un picco relativo a luglio 2022 di 1,6% nelle strutture per anziani non autosufficienti e del 2% nel totale delle strutture residenziali. Tale picco è seguito da una deflessione nel numero di nuovi casi a partire da agosto 2022. I picchi descritti nel 2022 rispecchiano l'andamento dei contagi nella popolazione generale delle regioni partecipanti. Gli andamenti degli isolamenti nelle strutture evidenziano la buona capacità delle stesse di reagire e gestire adeguatamente gli eventi: le curve infatti, sia per le sole procedure di isolamento per Covid-19 sospetto, probabile o confermato, e sia anche inclusive degli isolamenti per contatto stretto o nuovo ingresso in struttura, presentano variazioni e picchi simultanei in corrispondenza dei picchi dei contagi in struttura (con valori di picco percentuali rispettivamente pari a 10,3% e 16,1% ad inizio 2022, e pari a 7,7% e 11,3% a marzo 2022). La percentuale di residenti Sars-CoV-2 positivi trasferiti settimanalmente in ospedale, rispetto al totale dei residenti in struttura, mostra invece, rispetto alla curva dei contagi, un minore impatto delle ondate epidemiche occorse nel periodo osservato.
Da dicembre 2020, infatti, il grafico mostra un decremento continuo dell'indicatore fino a raggiungere valori inferiori allo 0,01% sia nelle strutture residenziali per anziani che in tutte le strutture residenziali durante il giugno 2021. Questa percentuale aumenta nuovamente nel 2022, in relazione ai picchi epidemici con un valore massimo dello 0,6% nelle strutture residenziali per anziani e dello 0,4% in tutte le strutture residenziali osservato nel marzo 2022. I decessi di pazienti Sars-CoV-2 positivi avvenuti nelle strutture residenziali, in rapporto al totale dei residenti, mostrano una sostanziale stabilità nel periodo di osservazione.
Questo indicatore mostra infatti, sia per i soli residenti di strutture per anziani non autosufficienti che per i residenti di tutte le strutture, un picco intorno allo 0,4% a gennaio 2021, e un picco intorno allo 0,2% nella prima metà di aprile 2021; dalla metà di aprile 2021 in poi, però, la percentuale di decessi scende a valori molto bassi sui quali si mantiene anche nel corso delle nuove ondate epidemiche, pur a fronte di un numero elevato di contagi tra i residenti, restando sempre al di sotto 0,15%. La copertura vaccinale nelle strutture risulta molto alta e raggiunta rapidamente: a settembre 2021 aveva ricevuto il ciclo completo di vaccino anti Sars-CoV-2 il 94% dei residenti nelle strutture residenziali per anziani non autosufficienti ed il 93% dei residenti in tutte le strutture.
A metà dicembre 2021, inoltre, l'80% dei residenti aveva ricevuto anche la dose vaccinale booster o addizionale. A fine periodo di osservazione la percentuale di residenti vaccinati a ciclo completo è circa del 98% e la percentuale di residenti vaccinati anche con una o più dosi booster è del 93%.
"Meno di 7 italiani su 100 si sono sottoposti alla quarta dose booster di vaccino anti-Covid: la media a livello nazionale per la quarta dose è pari al 6,63%".
È quanto emerge dalla 98ma puntata dell’Instant Report Covid-19, iniziativa dell’Altems, Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di confronto sistematico dell’andamento della diffusione del Sars-CoV-2 a livello nazionale.
"Gli over 80 sono la fascia di età con una copertura maggiore (29,83%), seguiti dalle persone di età compresa tra 60-79 anni, con una copertura pari al 12,93% - evidenzia il rapporto -. Tra gli over 80 la regione con la copertura maggiore è il Piemonte (61,74%), mentre la copertura minore si registra in Calabria (15,49%). Nella fascia di età 60-79 anni, la regione con la copertura maggiore è l’Emilia-Romagna (23,34%) mentre la copertura più bassa si registra in Sicilia (6,36%)".
"La copertura della quarta dose vaccinale anti-Covid 19 è al 7% nella popolazione italiana - sottolinea Americo Cicchetti, direttore dell’Altems - con una grande variabilità tra le fasce di età e le regioni alle quali, dopo lo scioglimento dello stato di emergenza, va la piena responsabilità della continuazione della campagna vaccinale oltre che la gestione degli approvvigionamenti. È uno scenario non semplice quello che si prospetta - continua Cicchetti - con un leggero rialzo di tutti gli indicatori mappati da Altems in merito alla diffusione del contagio: sono stati registrati circa 1 milione di nuovi casi negli ultimi 30 giorni".
Ancora un balzo dei ricoveri Covid: in una settimana il numero dei pazienti è salito del 37%. È quanto emerge dalla rilevazione dell'11 ottobre negli ospedali sentinella aderenti alla rete di Fiaso.
L'incremento, in linea con quello del 39% registrato nella settimana precedente, è, tuttavia, "quasi completamente relativo ai cosiddetti pazienti con Covid, arrivati in ospedale per la cura di altre patologie e trovati incidentalmente positivi al virus attraverso il tampone pre-ricovero", si legge nel comunicato di Fiaso.
Rispetto al report del 4 ottobre, la quota di pazienti ricoverati 'Con Covid' è cresciuta del 64% mentre l'incremento dei ricoverati 'Per Covid', ovvero coloro che hanno sviluppato sindromi respiratorie e polmonari, è stato del 6%. Si assiste, dunque, a un aumento netto dei posti letto occupati nei reparti Covid ordinari pari al 38,9% mentre le terapie intensive registrano un lieve scostamento di tre pazienti in più rispetto alla settimana precedente.
"A fronte di un significativo aumento dei ricoveri, registriamo, però, una crescita quasi del tutto a carico di pazienti positivi ma senza sintomi tipici del Covid, che arrivano in ospedale per curare altre malattie", commenta il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore. "Questo trend, se confermato, vorrebbe dire che ci troviamo di fronte a una endemizzazione del Covid: il virus circola molto- chiarisce Migliore- ma incontra le difese immunitarie della stragrande maggioranza della popolazione che ha ricevuto la vaccinazione e i richiami o ha già contratto l'infezione. Questo non deve farci abbassare la guardia perché gli anziani e i fragili rimangono soggetti a rischio e sono proprio loro ad avere complicazioni, ecco perché è necessario ribadire l'invito alla vaccinazione con la quarta dose", conclude. Guardando alla distribuzione geografica, la curva sale al Nord del 45%, mentre al Centro l'aumento è del 57% mentre al Sud e nelle Isole la crescita dei ricoverati continua a essere inferiore rispetto al resto del Paese (+5,5%).
I dati dei pazienti ricoverati in rianimazione, per gli esperti di Fiaso, "confermano l'utilità della vaccinazione nella protezione dalle forme gravi della malattia e la necessità di procedere con la quarta dose per anziani e fragili. Nelle terapie intensive degli ospedali sentinella permane una quota pari al 20% di pazienti no vax. L'età media dei non vaccinati si è abbassata a 59 anni e va sottolineato come il 100% di coloro che non ha effettuato il vaccino e si trova ricoverato in rianimazione è affetto da patologie pregresse.
I pazienti vaccinati, invece, che hanno un'età media molto più alta pari a 70 anni, nel 93% dei casi hanno altre patologie ma tutti coloro che sono arrivati in terapia intensiva risultano essere sprovvisti della copertura vaccinale della quarta dose". Per quanto riguarda i pazienti sotto i 18 anni, dall'osservatorio dei quattro ospedali pediatrici e dei reparti di pediatria degli ospedali aderenti alla rete sentinella di Fiaso emerge come nell'ultima settimana ci sia stato un "calo deciso" di minorenni ricoverati con infezione da Sars-Cov-2: in sette giorni -38%. Nella precedente rilevazione del 4 ottobre, conclude la nota, la percentuale dei pazienti minori di 18 anni non aveva subito variazioni.
Quattro americani su 10 riferiscono di essere spesso poco sinceri sul fatto di avere il COVID-19 e/o di non aver rispettato molte delle misure preventive della malattia durante il culmine della pandemia, secondo un nuovo studio nazionale condotto in parte dagli scienziati dell'Università dello Utah. I motivi più comuni sono stati il desiderio di sentirsi normali ed esercitare la libertà personale.
Lo studio, che appare nel numero del 10 ottobre 2022 di JAMA Network Open, solleva preoccupazioni su come la riluttanza a segnalare accuratamente lo stato di salute e l'aderenza all'uso delle mascherine, al distanziamento sociale e ad altre misure di salute pubblica potrebbero potenzialmente allungare l'attuale pandemia o promuovere la diffusione di altre malattie infettive in futuro, secondo Angela Fagerlin, autrice senior dello studio e presidente del Dipartimento di scienze della salute della popolazione presso la U of U Health.
"Le misure di sicurezza COVID-19 possono certamente essere onerose, ma funzionano- afferma Andrea Gurmankin Levy, professore di scienze sociali al Middlesex Community College nel Connecticut- Quando le persone sono disoneste sul loro stato di COVID-19 o sulle precauzioni che stanno prendendo, si può aumentare la diffusione della malattia nella comunità. Per alcune persone, in particolare prima che avessimo i vaccini COVID, ciò può significare la morte”.
I ricercatori hanno deciso di valutare quanto fossero sinceri gli americani riguardo al loro stato di malattia COVID-19 e/o al rispetto delle misure preventive COVID-19, dopo aver notato diverse storie dei media su persone che non erano sincere sul proprio stato di vaccinazione.
Nel sondaggio, condotto nel dicembre 2021, è stato chiesto a più di 1.700 persone di tutto il Paese di rivelare se avessero mai dichiarato in modo errato il loro stato COVID-19, lo stato di vaccinazione o se avessero detto ad altri che stavano seguendo misure di salute pubblica quando in realtà non lo stavano facendo. Secondo Fagerlin, che è anche ricercatore presso il Veteran Affairs Salt Lake City Healthcare System, la dimensione del campione è molto più ampia e ha chiesto informazioni su una gamma più ampia di comportamenti rispetto agli studi precedenti su questo argomento.
Le domande di screening hanno permesso ai ricercatori del servizio sanitario e agli psicologi, che hanno progettato lo studio, di dividere equamente i partecipanti: un terzo che aveva avuto la COVID-19, un terzo che non aveva avuto la COVID-19 ed era vaccinato, e un terzo che non aveva avuto la COVID-19 e non era vaccinato.
Sulla base di un elenco di nove comportamenti, 721 intervistati (42%) hanno riferito di aver travisato lo stato di COVID-19 o di non aver seguito le raccomandazioni di salute pubblica. Alcuni degli incidenti più comuni sono stati:
Tutti i gruppi di età di età inferiore ai 60 anni e coloro che avevano una maggiore sfiducia nella scienza avevano maggiori probabilità di essere coinvolti in false dichiarazioni e/o false dichiarazioni rispetto ad altri. Circa il 60% degli intervistati ha affermato di aver chiesto il parere di un medico per la prevenzione o il trattamento del COVID-19.
Tuttavia, i ricercatori non hanno trovato alcuna associazione tra travisamento di COVID-19 e convinzioni politiche, affiliazione a partiti politici o religione.
"Alcuni individui potrebbero pensare che se una o due volte dicono il falso sul loro stato con il COVID-19, non è un grosso problema- aggiunge Fagerlin- Ma se, come suggerisce il nostro studio, quasi la metà di noi lo sta facendo, questo è un problema significativo, che contribuisce a prolungare la pandemia".
Tra i motivi addotti dagli intervistati per la falsa dichiarazione c'erano:
Tra i limiti dello studio, i ricercatori non sono stati in grado di determinare, se gli intervistati rispondessero onestamente alle domande del sondaggio, aprendo la possibilità che i loro risultati sottovalutassero il modo in cui comunemente le persone rappresentavano male il loro stato di salute.
"Questo studio fa molto per mostrarci quali sono le preoccupazioni delle persone riguardo alle misure di salute pubblica implementate in risposta alla pandemia e quanto è probabile che siano oneste di fronte a una crisi globale -conclude Alistair Thorpe, co-primo autore e ricercatore post-dottorato presso il Dipartimento di Scienze della salute della popolazione presso la U of U Health- Sapere questo ci aiuterà a prepararci meglio per la prossima ondata di malattie in tutto il mondo".
JAMA Network Open: "Misrepresentation and Non-adherence Regarding COVID-19 Public Health Measures". DOI: 10.1001/jamanetworkopen.2022.35837
Antonio Caperna
Non c’è pace in casa Omicron. Il coronavirus Sars-CoV-2 continua a mutare veloce e la famiglia che oggi domina le scene mondiali della pandemia sforna sottovarianti in quantità, da cui vengono fuori ulteriori ‘progenie’. Fino a qualche settimana fa, si contavano già 230 discendenti figli di Omicron.
Su alcuni si è concentrata l’attenzione degli esperti. Dopo Centaurus (appellativo ‘social’ per BA.2.75), che non sembra aver preso il volo, c’è già il suo sottolignaggio a promettere battaglia: BA.2.75.2, la ‘figlia’ battezzata Chiron, che mostra 3 ulteriori mutazioni sulla Spike. Altra mutazione sotto la lente è la figlia di Omicron 5, BQ.1.1, subito battezzata Cerberus, protagonista con le altre di uno studio cinese visibile sulla piattaforma ‘BioRxiv’ in versione preprint (non sottoposto a revisione paritaria). “Queste sottovarianti (BA.4, BA.5, BA.2.75 e così via) sono incluse” ancora “sotto l’ombrello della variante di preoccupazione Omicron e vengono monitorate da vicino”, spiegano dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) rispondendo all’Adnkronos Salute.
“Come altre sottovarianti di Omicron, hanno dimostrato di avere una gravità inferiore e una maggiore fuga immunitaria, in quanto gli anticorpi derivanti da infezioni o vaccinazioni passate non sono così efficaci contro di loro – spiega l’epidemiologa dell’Oms, Margaret Harris – Finora, però, il termine ‘Omicron’ rimane sufficiente per descrivere le loro conseguenze sulla salute pubblica”. Al di là dei nomignoli nati sui social o proposti da qualche esperto, l’Agenzia Onu per la salute spiega che al momento il perimetro in cui si muovono queste sottovarianti è quello di Omicron. “Tuttavia – aggiunge Harris – se si scoprisse che si comportano in modo molto diverso da Omicron e rappresentano un’ulteriore minaccia per la salute pubblica, rispetto a Omicron, prenderemmo in considerazione l’assegnazione di nomi greci e di chiamarle come varianti separate di preoccupazione”.
Quindi si ricorrerebbe sempre all’alfabeto greco, inaugurando una nuova variante con una nuova lettera, dopo Alfa, Beta, Gamma, Omicron e così via. Ma non è ancora il momento. Quello che si sa intanto è poco, salvo che nel corso delle settimane la prevalenza di alcune delle sottovarianti al centro dell’attenzione degli esperti è in aumento, pur mantenendosi ancora bassa.
Secondo il lavoro di un team dell’università di Pechino, “BA.2.75.2 è il ceppo più evasivo testato e solo BQ.1.1 potrebbe essere paragonabile”. I ricercatori dimostrano che “alcune mutazioni convergenti” osservate in queste sottovarianti possono determinare “una sorprendente evasione” immunitaria sul plasma convalescente, compreso quello da infezione Omicron 5. Gli esperti ragionano quindi anche sulla capacità protettiva di booster mirati a Omicron 5, spiegando che in prospettiva la progettazione di vaccini e monoclonali ad ampio spettro dovrebbe avere la massima priorità.
"La vaccinazione, con ciclo primario e richiamo, terza e quarta dose, è il modo più sicuro ed efficace per proteggere dal Covid-19 le donne in gravidanza e i loro bambini", ed è raccomandata a tutte le donne in gravidanza in qualsiasi momento della gestazione e durante l'allattamento, senza necessità di interromperlo.
Queste, in sintesi, le indicazioni dell'Istituto superiore di sanità (Iss), aggiornate "alla luce dei nuovi vaccini disponibili e dell'introduzione della seconda dose booster (quarta dose) anche per questa categoria di persone", pubblicate oggi.
Le indicazioni sulla vaccinazione anti-Covid in gravidanza e allattamento sono state aggiornate dall'Italian obstetric surveillance system (Itoss) dell'Iss "a supporto di quanto previsto dalla circolare del ministero della Salute del 7 settembre", relativa ai nuovi vaccini bivalenti. Dunque, riferisce l'Iss, "la vaccinazione primaria e le dosi di richiamo (terza e quarta dose) con vaccini a mRna sono raccomandate a tutte le donne in gravidanza in qualsiasi momento della gestazione, specialmente in caso di maggior rischio di sviluppare una malattia grave da Covid-19 (donne con fattori di rischio quali over 30, Bmi >30 kg/m2, comorbidità, cittadinanza di Paesi ad alta pressione migratoria). La dose di richiamo con formulazione bivalente dei vaccini a mRna Comirnaty Original/Omicron* e Spikevax Original/Omicron* (quarta dose) è raccomandata in gravidanza - si specifica - nei dosaggi autorizzati allo scopo".
Si ricorda inoltre che, tra la "dose di richiamo e l'ultima dose precedente di un vaccino anti-Covid o la precedente infezione da Sars-CoV-2, deve trascorrere un intervallo di almeno 120 giorni" e che "la vaccinazione primaria e le dosi di richiamo possono essere somministrate contestualmente alle vaccinazioni raccomandate in gravidanza contro l'influenza e la pertosse".
E ancora, "la vaccinazione primaria e le dosi di richiamo (terza e quarta dose) con vaccini a mRna sono raccomandate a tutte le donne che allattano, senza necessità di interrompere l'allattamento". Anche in allattamento "la dose di richiamo con formulazione bivalente dei vaccini a mRna è raccomandata nei dosaggi autorizzati allo scopo", e tra il richiamo e l'ultima dose precedente o la precedente infezione deve trascorrere un intervallo di almeno 120 giorni.
"La vaccinazione primaria e le dosi di richiamo (terza e quarta dose) con vaccini a mRna - sottolineano le indicazioni Iss - non espongono il lattante a rischi e gli permettono di assumere anticorpi contro Sars-CoV-2 tramite il latte". Si specifica inoltre che "il calendario vaccinale di un neonato allattato da madre vaccinata non prevede alcuna modifica".
"Come per la popolazione generale, anche per le donne in gravidanza i vaccini a mRna sono risultati particolarmente efficaci nel prevenire la malattia grave da Covid-19", concludono gli autori delle indicazioni. "Grazie all'attuale disponibilità di dati numericamente consistenti, le agenzie internazionali di salute pubblica sostengono che la vaccinazione, con ciclo primario e richiamo, sia il modo più sicuro ed efficace per proteggere dal Covid-19 le donne in gravidanza e i loro bambini".
Secondo uno studio del Karolinska Institutet in Svezia, il trattamento endovenoso con acidi grassi omega-3 nei pazienti anziani ricoverati in terapia intensiva a causa del COVID-19 sembra avere effetti positivi sulla capacità del sistema immunitario di far fronte al virus. In futuro, lo studio, pubblicato sulla rivista Clinical and Translational Medicine, potrebbe portare a un trattamento complementare ed economicamente vantaggioso per COVID-19.
Nei pazienti con COVID-19, a causa dell'infezione con il virus SARS-CoV-2, il sistema immunitario e l'attivazione dei globuli bianchi da parte dell'organismo sono iperattivati. Può portare a una cosiddetta tempesta infiammatoria sistemica, che peggiora lo stato della malattia e può causare complicazioni come sepsi e insufficienza cardiaca.
I ricercatori del Karolinska Institutet, tra gli altri, hanno ora dimostrato che gli acidi grassi omega-3 possono stimolare la guarigione attiva dell'infiammazione, senza inibire la risposta immunitaria. Accelerando la guarigione dell'infiammazione senza compromettere il sistema immunitario dell'organismo, potrebbe essere possibile contrastare le complicanze più gravi del COVID-19, ritengono i ricercatori.
Molecole stimolate per la guarigione dell'infiammazione
Lo studio è stato condotto nel 2020, in una fase iniziale della pandemia, quando non c'erano vaccini disponibili. Lo studio ha esaminato 22 pazienti anziani ricoverati in ospedale con COVID-19, metà dei quali è stata assegnata in modo casuale al trattamento endovenoso con acidi grassi omega-3 per cinque giorni e l'altra metà alla somministrazione endovenosa di corrispondenti volumi di soluzione salina.
L'effetto del trattamento è stato trovato mappando i biomarcatori infiammatori e le reazioni immunologiche.
"In primo luogo, abbiamo dimostrato che il metabolismo degli acidi grassi in molecole che curano l'infiammazione è stato stimolato in quei pazienti trattati con acidi grassi omega-3. Isolando le cellule immunitarie prima, durante e dopo il trattamento, siamo stati in grado di dimostrare che la funzione immunitaria è migliorata", afferma Magnus Bäck, consulente senior in cardiologia e professore presso il Dipartimento di Medicina, Solna, Karolinska Institutet, e autore corrispondente dello studio.
Le analisi biochimiche sono state effettuate in collaborazione con il gruppo di ricerca di Craig Wheelock presso l'Istituto di Medicina Ambientale, Karolinska Institutet.
Pianificazione di ulteriori studi
I ricercatori stanno ora pianificando studi clinici più ampi, che saranno necessari per dimostrare se il decorso della malattia nel COVID-19 grave è migliorato attraverso il trattamento con acidi grassi omega-3.
"È importante che anche i nostri pazienti più deboli e fragili abbiano l'opportunità di partecipare agli studi quando il nemico, in questo caso il COVID-19, è all'attacco e che possano combattere la malattia con l'aiuto della medicina", afferma Dorota Religa, consulente senior e professore di geriatria presso il Dipartimento di Neurobiologia, Scienze della cura e società, Karolinska Institutet.
"Stimolare la guarigione dell'infiammazione con gli acidi grassi omega-3 ha il potenziale per portare a un nuovo trattamento economico a basso rischio per COVID-19, a complemento del trattamento esistente", aggiunge Magnus Bäck.
Lo studio è stato finanziato dalla Fondazione massonica di re Gustavo V e della regina Vittoria. Non sono stati segnalati conflitti di interesse o sponsor del settore.
“Immunomodulation by intravenous omega-3 fat acid treatment in old objects hospitalzed for COVID-19: a single-blind randomized controlled trial” , Hildur Arnardottir, Sven-Christian Pawelzik, Philip Sarajlic, Alessandro Quaranta, Johan Kolmert, Dorota Religa, Craig E. Wheelock, Magnus Back. Medicina clinica e traslazionale , Lettera all'editore, online 19 settembre 2022, doi: 10.1002/ctm2.895.
Antonio Caperna
L’11 ottobre 2022 prenderà avvio in Ticino la campagna autunnale di vaccinazione contro il coronavirus. La dose singola necessaria per il richiamo è gratuita e disponibile per tutte le persone a partire dai 16 anni che hanno ricevuto l’ultima dose o che sono guarite da almeno 4 mesi.
La somministrazione è fortemente raccomandata alle persone di età superiore a 65 anni o particolarmente vulnerabili a causa di malattie croniche, alle donne in gravidanza o che allattano, al personale sanitario e, più in generale, a tutte le persone a contatto con persone a rischio. È possibile prenotare un appuntamento fin da subito, in uno dei sei Centri cantonali o in una delle farmacie e degli studi medici che aderiscono alla campagna.
Per l’autunno 2022 le autorità prevedono un aumento dei nuovi contagi da coronavirus, ma in un contesto profondamente diverso da quello degli scorsi anni. L’Ufficio federale della sanità pubblica stima infatti che oggi in Svizzera oltre il 97% delle persone possiedono anticorpi contro il virus SARS-CoV-2, grazie alla vaccinazione o perché guarite dall’infezione. Questa condizione riduce la probabilità di un decorso grave per chi non rientra fra le categorie a rischio, ma non assicura la protezione delle persone più vulnerabili.
Alla luce di questi dati, l’Ufficio federale della sanità pubblica e la Commissione federale per le vaccinazioni hanno elaborato una serie di raccomandazioni, con l’intento di proteggere principalmente le categorie a rischio della popolazione. Il richiamo vaccinale è dunque fortemente raccomandato a chi è particolarmente vulnerabile per età (a partire dai 65 anni) o perché affetto da malattie croniche, alle donne in gravidanza o che allattano e a chi è regolarmente a contatto con persone a rischio come, ad esempio, il personale sanitario. L’obiettivo della vaccinazione resta quello di ridurre il rischio di un decorso grave della malattia e delle conseguenze a lungo termine della COVID-19.
La vaccinazione di richiamo può essere effettuata con i vaccini a mRNA oppure con il vaccino proteico Nuvaxovid*, tuttavia secondo le autorità sanitarie l’uso di un vaccino bivalente (adattato al virus originale e alla variante Omicron) è da preferire rispetto ai vaccini monovalenti. La vaccinazione di richiamo può inoltre essere eterologa, questo significa che le persone vaccinate in precedenza con un altro vaccino possono decidere di farsi somministrare la dose di richiamo con il preparato bivalente di Moderna o di Pfizer/BioNTech, quando anche quest’ultimo sarà disponibile. Ricordiamo infatti che attualmente il vaccino bivalente a mRNA di Pfizer/BioNTech non è ancora omologato da Swissmedic e per questo non è ancora disponibile in Svizzera.
A partire dall’11 ottobre 2022, in giornate prestabilite, la popolazione ticinese potrà quindi fare capo a sei Centri cantonali situati a Biasca, Quartino, Ascona, Tesserete, Lugano e Mendrisio. Per prendere appuntamento nei centri è necessario iscriversi sulla piattaforma online; la hotline cantonale offre supporto in caso di necessità. Sono in totale 120 le farmacie e gli studi medici che aderiranno alla campagna offrendo la vaccinazione; l’elenco completo è pubblicato sulla pagina web www.ti.ch/coronavirus e gli appuntamenti andranno fissati contattando direttamente la struttura prescelta.
In aggiunta a queste possibilità, le autorità cantonali informano che dall’11 ottobre al 6 novembre 2022 sarà nuovamente proposta la vaccinazione itinerante «on the road», con 23 tappe sparse sul territorio cantonale. In questo caso, per aderire basta presentarsi durante le fasce orarie di attività della postazione mobile, senza bisogno di prendere appuntamento. In ogni caso è garantita la possibilità di fissare un appuntamento per una delle tappe della vaccinazione «on the road» tramite la hotline cantonale 0800 128 128. Tutte le informazioni di dettaglio e il portale di prenotazione sono accessibili collegandosi alla pagina web www.ti.ch/vaccinazione.
Il tasso di occupazione in terapia intensiva è stabile al 1,4% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 29 settembre), dato uguale alla rilevazione giornaliera ministero della Salute al 22 settembre.
Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale sale al 6,0% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 22 settembre) contro il 5,3% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 22 settembre). È quanto emerge dal monitoraggio della Cabina di regia Iss-ministero della Salute sul Covid-19.
Secondo i ricercatori di Rutgers, le donne di circa 20 anni, che si sono lasciate andare a frequenti binge drinking durante la pandemia di COVID-19, avevano maggiori probabilità di essere infettate da Sars-Cov-2, secondo i ricercatori di Rutgers: i medici devono sviluppare metodi di prevenzione relativi alla pandemia per affrontare i problemi di consumo di sostanze.
Lo studio, pubblicato su Drug and Alcohol Dependence, ha rilevato che le giovani donne bianche e nere di età compresa tra 25 e 28 anni, che hanno riferito di bere in modo eccessivo - quattro o più drink alla volta- avevano la più alta prevalenza auto-riferita di infezione da COVID tra i sottogruppi studiati.
“La nostra ricerca mostra che quando le giovani donne esagernao, aumentano anche il rischio di contrarre il COVID. Ciò può essere dovuto a diversi fattori associati al binge drinking, come essere meno vigili nell'uso di comportamenti preventivi come il distanziamento", afferma Tammy Chung, professore di psichiatria e direttore del Center for Population Behavioral Health presso il Rutgers Institute . per la salute, la politica sanitaria e la ricerca sull'invecchiamento e un autore dello studio.
I ricercatori hanno analizzato se l'uso di alcol e sostanze da parte delle persone è cambiato da prima da durante la pandemia in un campione di giovani donne bianche e nere. Hanno esaminato come caratteristiche come lo stato socioeconomico e lo stato di infezione da COVID-19 fossero associate a determinati modelli di consumo di sostanze e alcol durante la pandemia.
Lo studio si è concentrato sulle giovani donne, un gruppo poco studiato i cui tassi di consumo di sostanze stanno raggiungendo o eguagliando quelli degli uomini per la maggior parte delle sostanze, perché le giovani donne subiscono una tensione finanziaria sproporzionata a causa della perdita del lavoro e delle maggiori responsabilità di assistenza.
"L'identificazione di questi profili caratteristici può informare un intervento su misura per affrontare le disparità associate al rischio di infezione da COVID-19 e la sua intersezione con modelli specifici di uso di sostanze tra le giovani donne per guidare una risposta di salute pubblica più personalizzata", aggiunge Chung.
Lo studio ha esaminato sette sottogruppi di giovani donne che hanno mostrato modelli simili di consumo di sostanze prima e durante la pandemia di COVID-19. Includevano quelli con un consumo ridotto di sostanze, consumo di cannabis, consumo di alcolici, uso di sigarette o sigarette elettroniche combinato con alcolismo e altri modelli. I ricercatori hanno anche esaminato le caratteristiche associate a questi modelli di consumo di sostanze, come lo stato socioeconomico, lo stato di infezione da COVID-19 e gli impatti di COVID-19 sulla salute mentale e sulle situazioni finanziarie.
Ciascun sottogruppo è correlato a una risposta diversa agli impatti di COVID-19. I ricercatori hanno anche scoperto che le persone che hanno riferito di aver utilizzato più di un farmaco avevano maggiori probabilità di segnalare problemi psicologici, correlati alla pandemia e poi perdita di lavoro o di reddito.
"Le donne che denunciano l'uso di più sostanze giustificano l'intervento non solo per questo ma beneficerebbero anche dei servizi di salute mentale e del sostegno alla perdita di lavoro o di reddito", conclude Chung. I coautori dello studio includono Carolyn Sartor, Ashley Grosso e Yanping Jiang del Rutgers Institute for Health, Health Care Policy and Aging Research; e Alison Hipwell della University of Pittsburgh School of Medicine.
Drug and Alcohol Dependence: "Person-centered patterns of substance use during the COVID-19 pandemic and their associations with COVID-related impacts on health and personal finances in young Black and White women". DOI: 10.1016/j.drugalcdep.2022.109620
Antonio Caperna
L'Rna messaggero del vaccino anti-Covid può passare nel latte materno? A questa domanda prova a rispondere uno studio pubblicato su 'Jama Pediatrics'.
Gli scienziati della New York University (Nyu) Long Island School of Medicine spiegano di aver rilevato in maniera sporadica mRna in alcuni dei campioni prelevati nel latte di mamme vaccinate entro 6 mesi dal parto.
Tuttavia, passate 48 ore dalla vaccinazione, non sono state più individuate tracce. Lo studio di coorte è stato condotto su 11 donne sane in allattamento che hanno ricevuto il vaccino di Moderna (5) o di Pfizer (6). Alle partecipanti è stato chiesto di raccogliere e congelare immediatamente i campioni di latte materno espresso (Ebm). La raccolta andava fatta prima della vaccinazione (campioni di controllo) e per 5 giorni successivi alla somministrazione, a partire da un'ora dopo l'iniezione scudo.
Sono stati collezionati un totale di 131 campioni di latte materno espresso. E l'analisi è stata condotta su diverse frazioni del latte: sull'intero Ebm, sulla parte del grasso, sulle cellule e sulle cosiddette vescicole extracellulari. Risultato: tracce di entrambi i vaccini sono state trovate in 7 campioni di 5 partecipanti, prelevati in tempi diversi fino a 45 ore dopo la vaccinazione. Nessuna traccia di mRna vaccinale è stata invece rilevata nei campioni di latte materno prelevati oltre le 48 ore post vaccino. Inoltre, nessun mRna è stato rilevato nella frazione di grasso del latte o nelle cellule. I ricercatori hanno poi osservato che l'mRna del vaccino appare in concentrazioni più elevate nelle vescicole extracellulari rispetto al latte intero.
"Questi dati - evidenziano gli autori dello studio, Nazeeh Hanna e colleghi - dimostrano, per la prima volta a nostra conoscenza, la biodistribuzione dell'mRna del vaccino anti-Covid alle cellule mammarie e la potenziale capacità delle vescicole extracellulari di 'confezionare' l'mRna, che può essere trasportato a cellule distanti. Noi ipotizziamo che, dopo la somministrazione del vaccino, le nanoparticelle lipidiche contenenti l'mRna siano trasportate alle ghiandole mammarie per via ematogena e/o linfatica. E ipotizziamo che l'mRna del vaccino rilasciato nel citosol delle cellule mammarie possa essere reclutato nello sviluppo delle vescicole extracellulari, che vengono successivamente secrete nel latte materno".
Ricercatori in Germania hanno scoperto che le menomazioni dipendenti dall'età nelle proteine ??dell'interferone antivirale sono alla base della maggiore suscettibilità dei pazienti più anziani al COVID-19 grave.
Lo studio, pubblicato sul Journal of Experimental Medicine (JEM) , mostra che i topi anziani infettati da SARS-CoV-2 sono protetti dalla malattia grave dal trattamento con uno di questi interferoni, l'IFN-γ.
La risposta del sistema immunitario a SARS-CoV-2 è coordinata da un gruppo di proteine ??di segnalazione antivirali chiamate interferoni, che aiutano a fermare la replicazione del virus e ad attivare varie cellule immunitarie, che possono eliminare il virus dal corpo. Esistono tre diversi tipi di proteina dell'interferone, noti come tipi I, II e III, e i ricercatori hanno stimato che fino al 20% dei decessi correlati a SARS-CoV-2 può essere attribuito a difetti nella segnalazione dell'interferone di tipo I (per la presenza di mutazioni genetiche o autoanticorpi, che bloccano il corretto funzionamento degli interferoni di tipo I).
Tuttavia, non è chiaro se i cambiamenti dipendenti dall'età nell'attività degli interferoni spieghino perché i pazienti più anziani siano più suscettibili allo sviluppo di COVID-19 grave.
Per indagare su questa domanda, un team di ricercatori guidato dal Dr. Daniel Schnepf e dal professor Martin Schwemmle presso l'Istituto di Virologia, Medical Center University di Friburgo, ha sviluppato un nuovo ceppo di SARS-CoV-2 che, a differenza dei ceppi clinici del virus, può infettare topi di laboratorio e causare malattie gravi. Il ceppo, che porta diverse mutazioni chiave riscontrate anche per omicron, era particolarmente virulento nei topi anziani, mostrando una replicazione potenziata e causando un aumento della morte negli animali più anziani rispetto ai più giovani.
"Abbiamo scoperto che gli animali adulti hanno sviluppato una risposta immunitaria innata e adattativa rapida e ben orchestrata all'infezione virale, mentre gli animali anziani ne hanno mostrata una ridotta, ritardata e più pro-infiammatoria", spiega Schnepf.
Schnepf e colleghi hanno determinato che la segnalazione dell'interferone di tipo I era compromessa nei topi anziani. In particolare, tuttavia, i ricercatori hanno anche scoperto che i livelli dell'interferone di tipo II IFN-γ erano ridotti negli animali più anziani infettati da SARS-CoV-2. Il trattamento di questi topi anziani con IFN-γ li ha protetti da gravi malattie e morte in risposta all'infezione da SARS-CoV-2. Al contrario, il blocco della segnalazione dell'interferone di tipo II nei topi più giovani li ha resi più suscettibili a malattie gravi.
"Collettivamente, i nostri dati suggeriscono che la segnalazione di IFN di tipo I modificata in combinazione con le risposte immunitarie mediate da IFN-γ alterate può spiegare l'elevata suscettibilità alla malattia SARS-CoV-2 osservata nei topi anziani e forse anche negli esseri umani più anziani", afferma Schnepf .
Infine, i ricercatori hanno esaminato topi estremamente suscettibili a COVID-19 grave, vale a dire topi anziani che sono anche geneticamente carenti nella segnalazione dell'interferone di tipo I. Schnepf e colleghi hanno scoperto che, poiché gli interferoni di tipo III possono sostituire parzialmente l'assenza di segnalazione dell'interferone di tipo I, il trattamento combinato con IFN-γ e l'interferone di tipo III IFN-λ è stato in grado di proteggere questi animali ad alto rischio da gravi malattie e morte.
"Generando e impiegando un modello murino per COVID-19 grave, abbiamo identificato la compromissione dipendente dall'età delle risposte dell'interferone di tipo I e di tipo II come un patomeccanismo critico che guida la virulenza di SARS-CoV-2 negli ospiti anziani- afferma il Professor Schwemmle- Siamo stati in grado di tradurre con successo questa nuova intuizione in una strategia di trattamento con immunomodulatore, che ha impedito la letalità indotta da SARS-CoV-2 in un modello di malattia altamente suscettibile che imita l'immunità alterata dell'interferone di tipo I e l'età avanzata".
Journal of Experimental Medicine: "Impaired immune response drives age-dependent severity of COVID-19". DOI: 10.1084/jem.20220621
Antonio Caperna
Non tutti beneficiano allo stesso modo della vaccinazione anti-Covid. In alcune persone la risposta immunitaria contro il virus SARS-CoV-2 è più forte e duratura che in altre.
Perciò può capitare che un individuo abbia bisogno di una nuova dose di vaccino anti-Covid dopo pochi mesi e un'altro dopo 6 o addirittura 10 mesi. Infatti, non tutti riescono a mantenere alta la risposta necessaria a riconoscere ed eliminare il virus e le sue varianti, compresa quella attualmente dominante, la Omicron.
La reazione immunitaria specifica è composta da due tipi di cellule, i linfociti B e i linfociti T, i primi responsabili della produzione di anticorpi, i secondi della risposta cellulare contro il virus, ovvero del riconoscimento e dell’eliminazione delle cellule infettate. Valutare e misurare la presenza di linfociti T reattivi è dunque fondamentale per capire se una persona è ancora protetta dal contagio, anche se ci sono bassi livelli di anticorpi e fino ad oggi quantificare la presenza di queste cellule era molto complesso e difficoltoso. Uno scenario destinato a cambiare grazie a un team di ricercatori italiani dell’IRCCS di Candiolo che, con l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM), nel laboratorio Armenise-Harvard di Immunoregolazione, hanno messo a punto un semplice test del sangue, in grado di superare i limiti degli attuali test sierologici, da soli non in grado di determinare il livello e la durata dell'immunità al virus SARS-CoV-2. Lo studio è pubblicato su Nature Immunology.
In altre parole, questo test che consiste nella quantificazione i linfociti T della memoria, consente di misurare e quindi verificare se il sistema immunitario è ancora “armato” contro il virus o se ha bisogno di essere potenziato con una nuova dose del vaccino.
LO STUDIO
“Avere gli anticorpi non significa per forza essere protetti dall’infezione, perché nel tempo questi calano e non sono sufficienti a proteggere dal contagio, ragione per cui si è optato per la dose booster – spiega Luigia Pace, responsabile di questa ricerca presso l’IRCCS di Candiolo Laboratorio di Immunologia Oncologica e responsabile del Laboratorio di Immunoregolazione presso l'IIGM, tra gli autori dello studio - Le cellule T sono ‘allenate’ a riconoscere molte porzioni della proteina spike del virus, e risentono molto di meno delle variazioni introdotte dalle mutazioni delle nuove varianti mai incontrate in precedenza – precisa Pace - Nel nostro studio, condotto su oltre 400 soggetti, sottoposti a vaccino mRNA Pfizer, abbiamo analizzato la reazione immunitaria contro il virus, cioè le risposte delle cellule B che producono gli anticorpi, e la risposta dei linfociti T di memoria contro la proteina Spike di SARS-CoV-2 o derivata dalle varianti B.1.351 (Beta), B.1.617.2 (Delta) e B.1.1.529 (Omicron), fino a 10 mesi dopo la vaccinazione- aggiunge Pace- In base alla produzione di anticorpi e alla qualità delle risposte delle cellule B e T specifiche contro il virus a 3 mesi dopo la prima dose di vaccino, abbiamo identificato due categorie di soggetti, rispettivamente con alte e basse risposte al vaccino. I soggetti con una capacità di risposta superiore presentano un aumento della frequenza delle cellule T - sia le CD4+ che le CD8+ della memoria centrale - anche dopo la dose di richiamo”.
“In pratica, queste persone hanno una maggiore capacità di neutralizzazione del virus rispetto ai soggetti, che presentano una bassa risposta”, evidenzia la co-autrice dello studio “È importante sottolineare che i soggetti a bassa risposta risultano meno protetti contro la malattia COVID-19, causati dalle varianti Delta e Omicron, anche dopo il ciclo completo di vaccinazione”, sottolinea.
Lo studio ha permesso anche di rilevare che, in chi è stato precedentemente infettato da SARS-CoV-2, la vaccinazione con mRNA promuove l’aumento dei livelli di anticorpi e il potenziamento di cellule T CD4+ e CM CD8+ specifiche contro il virus.
“Nell'insieme, questi risultati dimostrano che le cellule T di memoria specifiche e con proprietà poli-reattive contro le varianti, sono determinanti nella riduzione del rischio di infettarsi con le varianti Omicron e sviluppare il Covid-19”. Lo studio ha importanti implicazioni sulla futura gestione della pandemia. Poter capire se si è in possesso di queste cellule sarà utile per stabilire il grado di protezione della popolazione generale, ed in particolare dei soggetti più fragili e selezionare chi e quando necessita di un’ulteriore protezione con la vaccinazione” conclude la ricercatrice.
Nature Immunology: DOI: 10.1038/s41590-022-01313-z