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- Mendrisio (Centro Protezione civile Canavée, Via G. Buffi 8):
da giovedì 18.11 a sabato 20.11 (8:00 – 11:30 // 13:15 – 16:30), vaccino di Pfizer - Breganzona (Sala parrocchiale, Via Dott. G. Polar 35):
martedì 16.11, mercoledì 17.11, venerdì 19.11 e sabato 20.11 (8:00 – 11:30 // 13:15 – 16:30), vaccino di Pfizer - Tesserete (Centro Protezione civile, Via alla Chiesa):
da mercoledì 17.11 a venerdì 19.11 (8:00 - 11.30 // 13.15 - 16:30), vaccino di Pfizer - Ascona (Centro Protezione civile, Viale Stefano Franscini 5):
domenica 21.11 e lunedì 22.11 (8:00 – 11:30 // 13:15 – 16:30), vaccino di Pfizer - Biasca (ex Nickelmash, Via Industria 12):
lunedì 15.11 e martedì 16.11 (8:00 – 11:30 // 13:15 – 16:30), vaccino di Pfizer - Giubiasco (Mercato coperto, Viale 1814):
Con Pfizer e Moderna, da martedì 16.11 a sabato 20.11, (dalle 8:10 alle 17:00) Con Johnson&Johnson, giovedì 18.11 e sabato 20.11 (dalle 8.10 alle 12.00 e dalle 13.00 alle 17.00). - TUMORE DELLA PROSTATA, IL COVID FA ANCORA PAURA
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- Decessi: 330 (+28,4%), di cui 40 riferiti a periodi precedenti
- Terapia intensiva: +36 (+9,4%)
- Ricoverati con sintomi: +444 (+14,8%)
- Isolamento domiciliare: +15.278 (+18,8%)
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L'Austria in lockdown da oggi, 22 novembre 2021, per contrastare la nuova ondata di contagi Covid. La chiusura riguarda tutte le 24 ore della giornata. Una prima valutazione sugli effetti della chiusura verrà effettuata dopo 10 giorni.
Non è escluso che la misura possa essere prorogata alla scadenza delle 3 settimane, se la situazione dei contagi non migliorasse e se i reparti di terapia intensiva, ora al limite della capacità, non riusciranno a liberare letti. Secondo gli ultimi dati in Austria l'incidenza è arrivata a 1.000 casi ogni 100mila abitanti.
Il governo austriaco ha inoltre deciso che renderà obbligatorie le vaccinazioni contro il Covid-19 a partire dal primo febbraio. Solo circa il 66% degli 8,9 milioni di austriaci è completamente vaccinato, uno dei tassi più bassi dell'Europa occidentale.
In lockdown, le persone potranno uscire di casa solo per recarsi al lavoro, praticare sport all'aperto o per recarsi in negozi per acquistare beni essenziali. La maggior parte dei ristoranti e dei bar potranno fornire solo pranzi takeaway, mentre gli eventi culturali sono sospesi. Per quanto riguarda gli eventi sportivi, si terranno solo a porte chiuse. Restano invece aperte le scuole, con la facoltà dei genitori di decidere se mandare in classe o meno i loro figli.
Come ha spiegato il ministro della Salute, Wolfgang Mückstein, la regola 2G - che consente una serie di attività solo a vaccinati e guariti - non ha prodotto un sufficiente rallentamento dei contagi. Per questo, "il lockdown di 3 settimane" è necessario. "Si tratta pur sempre di un'imposizione, ma è lo strumento più affidabile", ha detto il ministro la scorsa settimana annunciando il giro di vite.
Il Paese, il primo in Europa a chiudere tutto per la quarta ondata covid, renderà il vaccino contro il Covid obbligatorio a partire da febbraio 2022 mentre la terza dose potrà essere somministrata anche dopo soli 4 mesi dall'ultima.
VACCINO OBBLIGATORIO E TERZA DOSE, IL PIANO
Il governo spinge per la revisione delle linee guida del piano di vaccinazione: intanto sarà possibile già dopo quattro mesi ricevere il booster, la terza dose del vaccino contro il Covid.
Parallelamente, verranno introdotte modifiche al Green pass, con controlli più stringenti e sanzioni più severe. Si profila in tempi brevi l'avvio dell'iter legislativo per l'introduzione dell'obbligo di vaccinazione nel primo trimestre del 2022: la data indicata dai media è il primo febbraio, ma è possibile che il piano si sviluppi per fasi e per fasce anagrafiche.
LOCKDOWN, LE REGOLE
In questo periodo, viene fortemente raccomandato lo smart working. Nei posti di lavoro al chiuso sarà richiesta la mascherina Ffp2. A scuola, gli studenti dovranno utilizzare la mascherina durante le lezioni.
"Ci sono troppe forze politiche che fanno campagna contro il vaccino, le conseguenze di questo sono terapie intensive intasate ed enorme sofferenza umana", ha detto il cancelliere austriaco, Alexander Schallenberg, nella conferenza stampa in cui ha annunciato il nuovo lockdown nazionale. "Non è stato facile prendere questa decisione, a nessuno piace adottare misure che limitano la libertà", ha aggiunto il premier affermano che questa decisione è necessaria perché "troppi tra di noi si sono comportati senza solidarietà".
"Non vogliamo una quinta, una sesta e una settima ondata", ha detto ancora il cancelliere parlando di un lockdown che "avrà conseguenze enormi", ma era necessario. Una decisione "difficile" ha quindi sottolineato parlando dell'obbligo vaccinale dal 1 febbraio. Una valutazione dell'impatto del lockdown si farà dopo 10 giorni e al massimo il 13 dicembre finirà per la popolazione vaccinata o per chi è guarito dal virus, mentre resterà in vigore per chi non è immunizzato (per loro il confinamento è iniziato lunedì scorso), ha aggiunto.
"Nonostante mesi di persuasione non siamo riusciti a convincere un numero sufficiente di persone a vaccinarsi", ha lamentato il cancelliere, accusando chi non lo ha fatto di essere responsabile di "attacco al sistema sanitario".
Covid oggi Italia, variante Delta plus "50 volte più forte rispetto al ceppo originario". Ad affermarlo all'Adnkronos Salute Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv).
"Tra chi non ha ancora fatto il vaccino e chi non vuole farlo, diventa un problema gestire la situazione in questo momento, con un virus così aggressivo" come dimostra di essere Sars-CoV-2 anche con la nuova variante indiana, la AY.4.2, ribattezzata Delta plus, che "secondo gli ultimi studi è 50 volte più forte rispetto al ceppo originario". Più forte perché "più efficiente nella replicazione", quindi in grado di correre molto veloce, rischiando in futuro di prevalere sulle altre, spiega.
"Da un lavoro appena uscito, che quindi necessita di essere convalidato - sottolinea l'esperto, ordinario di microbiologia e microbiologia clinica all'università di Brescia e direttore del Laboratorio di microbiologia dell'Asst Spedali Civili - sembrerebbe che questa nuova variante Delta", oltre ad alcune mutazioni nella proteina Spike, utilizzata dal coronavirus pandemico per 'agganciare' le cellule bersaglio, "abbia anche una mutazione di una proteina interna, una proteina N o nucleoproteina, che potrebbe contribuire a renderla più aggressiva" anche se "assolutamente - tiene a precisare Caruso - in questo momento non maggiormente in grado di 'bucare' lo scudo vaccinale".
Rispetto alla variante Delta oggi dominante, la Delta plus "è ancora minoritaria in Italia - conferma il numero uno dei virologi italiani - Però in Inghilterra si sta diffondendo notevolmente, dimostrando di essere in grado di 'prendere la scena'. Guardando a quello che sta avvenendo in Inghilterra", secondo l'esperto il mutante AY.4.2 "potrebbe anche in futuro diventare dominante".
Il ‘vero’ bersaglio di SARS-CoV-2 potrebbe essere il cervello. Se nella prima fase della malattia e durante un eventuale ricovero i sintomi di COVID-19 sono soprattutto respiratori e metabolici, una volta risolta la fase acuta gli ‘strascichi’ sono soprattutto neurologici, come dimostrano i dati dello studio COVID Next dell’Università di Brescia e dell’Istituto Neurologico Besta di Milano, da poco pubblicati su Neurological Sciences e discussi durante il primo Webinar del ciclo di sei incontri del web forum internazionale "Pills of Psychiatry and Neurology 2021", organizzato dall’Università degli Studi di Brescia e dalla Fondazione Internazionale Menarini.
Questi dati vanno ad aggiungersi alle numerose ricerche che hanno osservato come la sindrome neurologica post-COVID possa riguardare fino al 70% dei pazienti che hanno avuto sintomi medio-gravi, lasciando disturbi di memoria, concentrazione, del sonno e dell’umore. Le difficoltà neurologiche e psichiatriche dopo il COVID-19 potrebbero dipendere in parte anche da alterazioni della morfologia cerebrale, come effetto diretto del virus sui pazienti contagiati che, spesso, sono andati incontro a una riduzione volumetrica in aree chiave del cervello. Tuttavia anche la mancanza di interazioni sociali ha comportato una riduzione della materia grigia in particolare su giovani e anziani, con un aumento per gli uni della possibilità di sviluppare dipendenze e per gli altri di accelerare il deterioramento cognitivo.
I DATI DELLO STUDIO COVID NEXT
“I dati dello studio COVID Next, ottenuti su 165 pazienti ricoverati nel nostro ospedale per un COVID-19 di gravità medio-alta, mostrano che mentre i sintomi respiratori e metabolici hanno un picco durante la degenza e tendono a ridursi fino a stabilizzarsi una volta usciti dall’ospedale, i disturbi neurologici e psichiatrici hanno un andamento opposto e iniziano ad aumentare una volta risolta la fase acuta dell’infezione – spiega Alessandro Padovani, Ordinario di Neurologia dell’Università di Brescia, presidente eletto Società Italiana di Neurologia e responsabile dello studio COVID Next e co-coordinatore scientifico del web forum – Esiste una correlazione almeno parziale con la gravità del COVID-19: fino al 70% dei pazienti con malattia di livello medio grave riferisce sintomi neurologici a 6 mesi di distanza, fra cui stanchezza cronica (34%), disturbi di memoria e concentrazione (32%), disturbi del sonno (31%), dolori muscolari (30%) e depressione e ansia (27%). Tuttavia questi problemi si stanno manifestando spesso anche in chi ha avuto una malattia di grado lieve”.
MECCANISMI DI CORRELAZIONE TRA SINTOMI NEUROLOGICI, PSICHIATRICI E COVID-19
“Non è ancora chiaro perché SARS-CoV-2 possa avere il cervello fra i suoi ‘bersagli’, soprattutto nel lungo periodo, con frequenti complicazioni, anche gravi, di tipo neurologico e psichiatrico – afferma Emilio Sacchetti, promotore e coordinatore scientifico del web forum e Professore Emerito di Psichiatria dell’Università di Brescia - Sembrano avere un ruolo i meccanismi neuroinfiammatori indotti dall’infezione e le condizioni pregresse dell’individuo pesantemente aggravate da una condizione intensa e prolungata di stress. Inoltre il Covid-19 può indurre difetti di ossigenazione cerebrale tali da interferire con le abituali capacità cognitive, emotive e comportamentali – spiega Sacchetti – Anche l’esposizione ad alcune terapie, come ad esempio tra gli altri, i cortisonici, può indurre veri e propri disturbi neuropsichiatrici”.
IL RUOLO DELLE ALTERAZIONI DEL CERVELLO SUI DISTURBI PSICHICI E NEUROLOGICI
Anche alterazioni morfologiche del cervello possono avere un ruolo nell’impennata di disturbi neurologici e psichiatrici del post-COVID. “Alterazioni cerebrali si stanno osservando nei pazienti che a seguito del Covid hanno sviluppato ansia e depressione” – dichiara Giovanni Biggio, tra i relatori del web forum e Professore Emerito di Neuropsicofarmacologia dell’Università di Cagliari – “Gli studi con scansioni cerebrali* stanno riferendo nei pazienti contagiati una riduzione della materia grigia in aree come l’ippocampo, che è connesso alla memoria, o le aree associate alle emozioni. Un numero sempre maggiore di dati mostra che anche la pandemia sta avendo un effetto negativo sulla morfologia cerebrale – precisa Biggio - Il nostro cervello si sviluppa grazie alle interazioni sociali e lo stress, conseguenza dell’astinenza da contatti imposta durante i vari lockdown, è stato molto deleterio per il tessuto cerebrale, soprattutto per quello più vulnerabile dei bambini, degli adolescenti e degli anziani. In particolare, questa condizione può avere indotto alterazioni nella funzione e morfologia della corteccia prefrontale. Un’area connessa alle funzioni esecutive, alla pianificazione e al controllo di emozioni e impulsi, che risente moltissimo della mancanza di interazioni sociali – osserva l’esperto - In un adolescente ciò si può tradurre in un aumento della suscettibilità a sviluppare dipendenze, in un anziano in un’accelerazione del deterioramento cognitivo”.
“È perciò opportuno monitorare la salute neurologica e psichiatrica di tutte le persone che hanno avuto l’infezione, indipendentemente dalla gravità dei sintomi. Andrebbero monitorati anche i bambini e gli adolescenti che hanno subito un intenso stress, così da poter intervenire tempestivamente con terapie di supporto in caso di sintomi che compromettono la qualità di vita o se compaiono patologie come la depressione” concludono gli esperti.
*(Alterations of frontal-temporal gray matter volume associate with clincal measures of older adults with Covid-19, pubblicato sulla rivista specializzata Neurobiology of Stress; “Brain imaging before and after Covid-19 in UK Biobank”, in corso di pubblicazione)
"E' meglio 'rischiare' di vaccinare uno con il titolo alto che non vaccinare uno con il titolo basso, quindi sì all'anticipo della terza dose" di vaccino anti covid. Così all'Adnkronos Salute Aureliano Stingi, ricercatore in Biologia molecolare e Oncologia genetica e 'fact checker' contro le fake news dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms).
"Dalla mia conoscenza della letteratura a livello immunologico non cambia nulla - prosegue Stingi - ma non devo stabilirlo io. E' però come spostare la prima e seconda dose, ognuno ha fatto come voleva e bene o male siamo arrivati tutti allo stesso punto". Dunque, l'ipotesi di accorciare il richiamo a 5 mesi dalla fine del primo ciclo, invece che dopo 6 mesi, secondo il ricercatore non cambia molto: "Trenta giorni a livello immunologico sono nulla, il corpo non se ne rende conto".
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Il lockdown per i non vaccinati proposto da alcune Regioni "non è la strategia da attuare con i numeri odierni. C’è qualche area del Paese che rischia di finire in zona gialla, ma la zona gialla non prevede grosse restrizioni, quindi al momento non vi è motivo di fare restrizioni per i non vaccinati, cosa che eventualmente può essere valutata se qualche territorio dovesse passare in arancione". Lo chiarisce Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute, ai microfoni della trasmissione 'L’Italia s’è desta' su Radio Cusano Campus.
Questa possibilità "va tenuta sul tavolo, come tante altre opzioni, e si valuta di settimana in settimana a seconda dell’evoluzione dei numeri. In una guerra contro un virus mutevole come questo - sottolinea - le opzioni devono essere tenute tutte sul tavolo e devi essere in grado di mutuare le soluzioni essendo elastico. Credo che sicuramente servano degli aggiustamenti, però quello che viene fatto è sicuramente compatibile con l’andamento della curva epidemiologica. E’ innegabile che abbiamo una situazione sotto controllo che deve essere monitorata - rimarca Sileri - come tale piccoli aggiornamenti possono essere fatti in itinere".
In molti pazienti precedentemente affetti da COVID-19 sono presenti disfunzioni a carico del sistema immunitario, che permangono anche diversi mesi dopo il superamento dalla fase acuta della malattia, e che accompagnano i disturbi clinici associati all’ormai nota sindrome “Long COVID”.
Lo afferma una ricerca condotta da un team di ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università Statale di Milano e da medici dell’ospedale Luigi Sacco, frutto di una collaborazione con gruppi di ricerca del Boston Children’s Hospital, Harvard Medical School e Brigham and Women’s Hospital, e che vede Cristian Loretelli come primo co-autore.
Nei loro studi, effettuati su pazienti guariti dal COVID-19, il team di ricercatori ha inoltre dimostrato come l’utilizzo di un anticorpo monoclonale che blocca PD-1, una proteina che regola la risposta immunitaria, sia in grado di correggere tali alterazioni, ripristinando una normale risposta immunitaria contro il virus e altri patogeni. I risultati sono stati pubblicati su JCI Insight.
Come spiega Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia, Direttore del Centro Internazionale per il Diabete Tipo 1 (T1D) presso il Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi e Direttore della Unità di Endocrinologia della ASST Fatebenefratelli-Sacco, “Questo studio rivela che le alterazioni del sistema immunitario riscontrate durante il COVID-19 non sono circoscritte solo alla fase acuta della malattia, ma possono permanere anche per mesi dopo la guarigione, proprio come i sintomi che caratterizzano il Long COVID, compromettendo la capacità di risposta del sistema immunitario ad agenti patogeni esterni, ed esponendo potenzialmente i pazienti a nuove infezioni da SARS-CoV-2 o da altri patogeni”.
Constatata la presenza di queste alterazioni, i ricercatori della Statale di Milano hanno anche ideato una strategia terapeutica capace di correggerle e di ripristinare un’efficace risposta immunitaria. “Abbiamo scoperto che un anticorpo monoclonale, che blocca la proteina PD-1, i cui livelli sono aumentati durante e dopo l’infezione, riduce le alterazioni immunitarie osservate”, continua Paolo Fiorina. “Inoltre, dopo trattamento, le cellule immunitarie mostravano un’aumentata capacità di risposta immunitaria contro il SARS-CoV-2 e contro antigeni di altri virus e batteri. La possibilità di correggere farmacologicamente queste alterazioni e di ripristinare una normale ed efficiente risposta immunitaria offre un importante strumento per contrastare il potenziale rischio di reinfezioni e per proteggere i pazienti anche da altre patologie di origine infettiva”.
“Il nostro studio fornisce l’evidenza che, dopo la guarigione dalla fase acuta del COVID-19, la risposta immunitaria all’infezione da SARS-CoV-2 è affievolita, e questo potrebbe potenzialmente esporre i pazienti al rischio di riammalarsi, contribuendo peraltro alla diffusione del virus”, aggiungono Stefano Rusconi, Direttore dell’Unità di Malattie Infettive dell’Ospedale di Legnano e docente presso l’Università Statale di Milano e Massimo Galli, già docente di malattie infettive all’Università Statale di Milano. “La possibilità di ridurre questo rischio, rispristinando una normale risposta contro il virus, rappresenta una potenziale nuova arma per la protezione della salute dei pazienti e per la lotta contro la diffusione di questa terribile epidemia”.
“I risultati ottenuti dai nostri ricercatori dimostrano l’enorme importanza della Ricerca Scientifica per il progresso delle conoscenze mediche e biologiche su problemi clinici così critici, i cui meccanismi, come è avvenuto all’esordio del COVID-19, ci sono completamente ignoti. Solo grazie a questo progresso, infatti, è possibile disegnare strategie di cura e strumenti terapeutici efficaci”, conclude infine Gian Vincenzo Zuccotti, Direttore del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi e Preside della Facoltà di Medicina della Statale di Milano, che aggiunge:"Sono orgoglioso che il nostro Centro abbia dato e continui a dare un importante contributo in questo senso”.
Paolo Fiorina conclude ringraziando la Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi per aver reso possibile la ricerca e per lo straordinario e continuo supporto fornito.
L'EMA ha iniziato a valutare una domanda di autorizzazione all'immissione in commercio condizionata per il vaccino COVID-19 di Novavax, Nuvaxovid* (noto anche come NVX-CoV2373). La valutazione procederà in tempi accelerati e un parere sull'autorizzazione all'immissione in commercio potrebbe essere rilasciato in poche settimane, se i dati presentati sono sufficientemente robusti e completi per dimostrare l' efficacia, la sicurezza e la qualità del vaccino.
Un lasso di tempo così breve è possibile solo perché l'EMA ha già esaminato una parte sostanziale dei dati sul vaccino durante una revisione continua. Durante questa fase, il comitato per i medicinali umani (CHMP) dell'EMA ha valutato i dati provenienti da studi di laboratorio (dati non clinici), alcune informazioni sulla qualità del vaccino e sul modo in cui verrà prodotto e i dati sulla sua sicurezza, immunogenicità (quanto bene innesca una risposta contro il virus) e l' efficacia contro il COVID-19 da studi clinici negli adulti.
Parallelamente, il comitato per la sicurezza dell'EMA (PRAC) ha completato la valutazione preliminare del piano di gestione del rischio (RMP) proposto dall'azienda, che delinea le misure per identificare, caratterizzare e ridurre al minimo i rischi del medicinale.
Inoltre, il comitato per i medicinali per bambini (PDCO) dell'EMA ha emesso il suo parere sul piano di indagine pediatrica (PIP) dell'azienda , che descrive come sviluppare e studiare il medicinale per l'uso nei bambini, in conformità con i tempi accelerati per COVID-19 medicinali.
Se l'EMA conclude che i benefici di Nuvaxovid* superano i suoi rischi nella protezione contro il COVID-19, raccomanderà di concedere un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata. La Commissione europea accelererà quindi il suo processo decisionale al fine di concedere entro pochi giorni un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata valida in tutti gli Stati membri dell'UE e del SEE.
Come funziona il vaccino?
Come altri vaccini, Nuvaxovid* dovrebbe preparare il corpo a difendersi dalle infezioni. Il vaccino contiene minuscole particelle ricavate da una versione di una proteina trovata sulla superficie del SARS-CoV-2 (la proteina spike (S)), che è stata prodotta in laboratorio. Contiene anche un ' adiuvante ', una sostanza che aiuta a rafforzare le risposte immunitarie al vaccino.
Quando a una persona viene somministrato il vaccino, il suo sistema immunitario identificherà le particelle proteiche come estranee e produrrà difese naturali - anticorpi e cellule T - contro di esse. Se, in seguito, la persona vaccinata entra in contatto con SARS-CoV-2, il sistema immunitario riconoscerà la proteina spike sul virus e sarà pronto ad attaccarla. Gli anticorpi e le cellule immunitarie possono proteggere dal COVID-19 lavorando insieme per uccidere il virus, impedirne l'ingresso nelle cellule del corpo e distruggere le cellule infette.
Due distinti Green pass covid obbligatori, uno per chi ha fatto il vaccino e l'altro per chi invece non è vaccinato. Approda anche in Italia l'idea tedesca della 'regola 2G', che per alcuni esperti potrebbe essere la soluzione all'aumento dei contagi da coronavirus in Italia.
E' il caso dell'immunologa e professoressa di Patologia Generale all'Università di Padova Antonella Viola, che sull'ipotesi a Sky TG24: "Senza dubbio la strada deve essere questa. In questo momento il problema principale, anche a livello di pressione ospedaliera, è dato dalle persone non vaccinate, che sono quelle che mettono, appunto, sotto stress il sistema ma soprattutto che rischiano per la propria salute. Una restrizione del green pass per le persone non vaccinate sarebbe l'ideale in questo momento: per esempio, permettere l'accesso ai luoghi di divertimento, dunque cinema, teatri, ristoranti, eventi in generale dove ci sono molte persone, non a chiunque abbia il green pass, ma solo” a una certificazione verde per “vaccinati o guariti sarebbe la strada da seguire. Quindi permettere alle persone non vaccinate, naturalmente, di continuare ad andare a lavorare con il tampone, ma non permettere più loro di partecipare, appunto, a questi eventi dove c'è una grande aggregazione".
"Modello Germania, ovvero l'idea di avere due tipi di green pass: uno per i vaccinati, che possa essere valido con le regole che abbiamo adesso, e uno, invece, per le persone non vaccinate, quindi il tampone che serva per andare a lavorare ma non per andare nei ristoranti, nei bar, al cinema, in palestra. In tutti questi luoghi, in questo momento, ci potrebbe essere una maggiore restrizione, permettendo l'accesso solo a chi è vaccinato". "Una sorta di super green pass? Sì. Questa secondo me – conclude – potrebbe essere la strada più giusta".
"Stringere il Green pass per attività ludico-ricreative (ristoranti, cinema, bar, teatri, stadi, concerti, discoteche)", è quello che chiede Matteo Bassetti, primario del reparto di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, secondo il quale "potrebbe essere lo strumento giusto da una parte per rendere queste attività più sicure e dall'altra per incentivare ancora le vaccinazioni, sulle prime dosi , tra i 40-50 anni". " Se fosse presentata questa misura ci sarebbe in poche settimane un incremento di 1 milione di immunizzazioni, vorrebbe dire tantissimo, anche raggiungere il 90% dei vaccinati", ha detto all'Adnkronos Salute, sottolineando che "ci dobbiamo arrivare, ma lo dico da mesi e mi sono anche stufato. La politica mi pare più interessato ad altre cose che ad inasprire le misure, invece sarebbe proprio questo il momento di farlo. Siamo a metà novembre e sarebbe lo strumento per non fermarci più", conclude.
"Dal punto di vista scientifico qualsiasi giro di vite è utile, non c'è un manuale e ci sono scelte politiche diverse. Il Green pass solo per vaccinati è un'opzione ma bisogna vedere poi quanto è accettabile dal punto di vista politico". Così all'Adnkronos Salute il virologo Fabrizio Pregliasco, docente dell'Università Statale di Milano. "Certo dal punto di vista tecnico aiuterebbe", afferma l'esperto che invece boccia il lockdown per i non vaccinati: "Come si fa? Diventa anche impraticabile e non facile da controllare".
Pfizer cede la licenza della sua pillola anti-Covid. Il gruppo farmaceutico Usa ha annunciato un accordo di licenza volontario per favorire l'accesso globale alla sua pillola antivirale sperimentale (PF-07321332 più ritonavir a basse dosi).
In base all'intesa siglata con Medicines Patent Pool (Mpp), organizzazione sanitaria pubblica sostenuta dalle Nazioni Unite, Pfizer non riceverà royalty sulle vendite del prodotto nei Paesi a basso reddito e in generale in tutti i Paesi coperti dall'accordo, finché Covid-19 rimarrà classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità come un'emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. Anche Merck (Msd fuori da Usa e Canada) aveva sottoscritto un'intesa di questo tipo con Mpp per il suo antivirale orale molnupiravir.
L'accordo - spiega Pfizer in una nota - consentirà a Mpp di concedere sub-licenze a produttori qualificati di farmaci generici, in modo che la terapia possa essere fornita a prezzi accessibili a "95 Paesi, coprendo fino a circa il 53% della popolazione mondiale". Sono inclusi nell'intesa "tutti i Paesi a basso e medio reddito e alcuni Paesi a reddito medio-alto dell'Africa sub-sahariana, nonché Paesi che sono passati dallo status di reddito medio-basso a quello medio-alto negli ultimi 5 anni".
"Pfizer rimane impegnata a sostenere la ricerca scientifica per contribuire a porre fine a questa pandemia per tutti nel mondo - afferma Albert Bourla, presidente e Ceo della compagnia - Riteniamo che i trattamenti antivirali orali possano svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre la gravità delle infezioni Covid-19, diminuendo lo stress sui nostri sistemi sanitari e salvando vite. Dobbiamo lavorare per garantire che tutte le persone, indipendentemente da dove vivono, abbiano accesso a queste scoperte e siamo lieti di poter lavorare con Mpp per promuovere il nostro impegno per l'equità".
"Questo accordo è importante perché, se autorizzato o approvato, questo farmaco orale è particolarmente adatto per i Paesi a basso e medio reddito e potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel salvare vite umane, contribuendo agli sforzi globali per combattere la pandemia - dichiara Charles Gore, direttore esecutivo di Mpp - PF-07321332 deve essere assunto insieme a ritonavir, un medicinale per l'Hiv che conosciamo bene e sul quale abbiamo una licenza da molti anni. Lavoreremo con i produttori di generici per garantire una fornitura sufficiente" del principio attivo sia contro Covid-19 sia contro il virus dell'Aids.
"Unitaid, agenzia sanitaria globale, ha creato Mpp 10 anni fa proprio con questo obiettivo: garantire licenze che consentano e accelerino l'accesso a trattamenti di qualità a prezzi accessibili per le persone residenti in contesti con risorse limitate - commenta Philippe Duneton, direttore esecutivo di Unitaid - Durante una pandemia, risparmiare tempo significa salvare vite. Questo accordo potrebbe aiutarci a raggiungere più persone più rapidamente, non appena il farmaco sarà approvato. E se abbinato a un maggiore accesso ai test, ciò porterà benefici a milioni di persone".
E' iniziata la somministrazione della dose di richiamo per la vaccinazione contro il Coronavirus in sei centri cantonali sul territorio. Considerati il numero di iscrizioni registrate finora e la pianificazione degli appuntamenti nei centri (vaccino Pfizer a novembre, vaccino Moderna a dicembre), da subito è possibile aprire le iscrizioni alla seconda categoria di persone per cui il «booster» è attualmente raccomandato.
Si tratta della popolazione con 65 anni o più, la cui seconda vaccinazione risale ad almeno sei mesi fa. Gli appuntamenti possono essere riservati tramite la piattaforma online o il numero verde cantonale 0800 128 128 (attivo tutti i giorni dalle 8.00 alle 17.30).
Il dispositivo cantonale per la campagna di vaccinazione è stato nuovamente esteso da ieri, con l’apertura dei cinque centri cantonali sul territorio (oltre a quello di Giubiasco) per garantire la somministrazione della dose di richiamo del preparato di Pfizer alle persone con 75 o più anni che si sono annunciate attraverso la piattaforma online (www.ti.ch/vaccinazione), oppure al numero verde cantonale 0800 128 128. I richiami con il preparato di Moderna inizieranno a partire dal 30 novembre negli stessi centri cantonali.
L’attuale disponibilità di appuntamenti nei centri fino a Natale è ancora significativa. Dei circa 30 mila posti a disposizione, a oggi ne risulta occupato circa il 40%. Il dispositivo permette quindi di anticipare l’apertura delle iscrizioni per il «booster» alle persone con 65 anni o più, possibile fin da subito attraverso il sito o il numero verde.
È possibile iscriversi sia scegliendo la data e l’orario dell’appuntamento, sia inserendosi nella lista di attesa e ricevere l’appuntamento quando disponibile. La disponibilità attuale permette una buona scelta per la cittadinanza, sia nelle date che nei centri (è possibile scegliere il centro secondo le proprie esigenze, senza per forza doversi recare dove si era stati vaccinati a suo tempo). Si ribadisce che la vaccinazione di prossimità organizzata tramite i Comuni all’inizio del 2021 è stata sostituita dall’offerta capillare dei centri cantonali.
Con l’apertura dei centri per il richiamo, lo ricordiamo, viene pure offerta la possibilità di ricevere la prima dose di vaccino in modalità «walk-in» (senza appuntamento). Il calendario di apertura dei centri è consultabile al sito www.ti.ch/vaccinazione e viene aggiornato settimanalmente.
I giorni e gli orari di apertura dei centri per questa settimana sono i seguenti:
Rimane inoltre anche a disposizione la vaccinazione tramite le farmacie ticinesi. La lista completa e aggiornata è pubblicata sul sito web.
Per maggiori informazioni e consultare la pagina web www.ti.ch/vaccinazione.
Nel 2021 tre pazienti su dieci colpiti da tumore alla prostata hanno rinunciato alle visite mediche per paura del Covid e sempre tre su dieci hanno evitato di andare in ospedale. Otto su dieci ignorano se le terapie a cui sono sottoposti possano esporli a un maggiore rischio di contrarre il virus. Per fortuna il 99% è vaccinato e per il 60% il Servizio Sanitario Nazionale offre un buon livello
di assistenza nonostante la pandemia. Per il 70% degli urologi il ritorno alla normalità è ancora lontano e ad avere subito più riduzioni – rispetto a cure farmacologiche e chirurgie – sono i follow-up, mentre il 65% di loro riceve richieste di rinvio delle terapie per paura di un possibile contagio nei reparti, con una significativa riduzione dell’aderenza alle cure. Il Covid fa ancora paura, come confermano i due sondaggi somministrati a 400 malati di tumore alla prostata e 400 urologi, nell’ottobre scorso, nell’ambito della campagna ‘Per il cancro non c’è lockdown’, realizzata da Fondazione PRO con il supporto incondizionato di Ipsen S.p.A.
“A distanza di un anno dalla prima, abbiamo realizzato due nuove survey per capire se e come fosse mutata la situazione – spiega il Prof. Vincenzo Mirone, ordinario di Urologia dell’Università Federico II di Napoli e Presidente di Fondazione PRO –. I dati emersi mostrano come permane paura a recarsi negli ospedali, ma per fortuna, con la quasi totalità di pazienti vaccinata, il quadro è sicuramente più positivo rispetto al passato. Infatti, per la gran parte degli uro-oncologi intervistati, il prossimo futuro registrerà una situazione ancora migliore. Quello che abbiamo fotografato è un lento ritorno alla normalità, ma resta molto da fare. Come è emerso dai sondaggi, i malati chiedono di evitare di recarsi in corsia. Invece gli ospedali sono ormai luoghi sicuri, dove si può e si deve tornare a farsi visitare per un tumore che colpisce ogni anno in Italia 37mila persone, con 564mila che vivono dopo aver ricevuto una diagnosi”.
“I sondaggi hanno mostrato la necessità di venire incontro alle esigenze del paziente e favorire, per chi convive con il tumore alla prostata, terapie trimestrali e semestrali, che permettono di recarsi meno negli ospedali, pur nella continuità di cura – afferma il Prof. Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano –. Il 93% dei malati riferisce che la frequenza di somministrazione presenta un impatto significativo sulla qualità di vita. Le ragioni sono molteplici e riguardano in particolar modo coloro che sono costretti a curarsi lontano da casa. Questo deve farci riflettere sulla necessità di ridurre la presenza in ospedale con terapie domiciliari e con la telemedicina: l’età media al momento della diagnosi è di 72 anni, è quindi evidente come offrire visite online possa avere effetti positivi sia sul benessere della persona che sulla sua aderenza alle cure”.
“È importante che strutture ospedaliere e società scientifiche promuovano una cultura della sicurezza – sottolinea Tommaso Setilli, paziente oncologico –. Noi siamo talvolta disorientati e in questi ultimi due anni la paura del contagio ha convinto molti di noi a rimandare cure e controlli. Purtroppo siamo consapevoli che questa non sia la soluzione migliore”.
“A un anno e mezzo dalla diffusione del virus abbiamo avuto modo di riorganizzarci, realizzare nuovi percorsi nelle nostre strutture e garantire in questo modo la sicurezza dei pazienti – dichiara il dott. Silvio Cigolari, Direzione Sanitaria, Responsabile Gestione Flussi AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona (Salerno) –. Le persone possono accedere tranquillamente agli ospedali sia per i follow-up che per le prime visite, fondamentali per la prevenzione. Ci auguriamo che la strategia vaccinale, anche per la terza dose, prosegua in modo fluido e che coinvolga tutti i cittadini, perché ora che la fiducia dei malati è in graduale aumento non possiamo permetterci di tornare alla situazione di grave emergenza di un anno fa”.
“Siamo orgogliosi di avere contribuito alla realizzazione di questo progetto, che ha permesso di ascoltare medici e pazienti e comprendere le conseguenze che la pandemia ha provocato su di loro – spiega Stéphane Brocker, presidente e amministratore delegato di Ipsen S.p.A. –. Oggi, grazie ai risultati emersi, abbiamo una maggiore consapevolezza delle attuali criticità. È necessario intervenire a livello nazionale, ma soprattutto a livello regionale, per garantire a tutti i pazienti un accesso sicuro alle cure: è infatti responsabilità comune ricordare l’importanza di proseguire con i follow-up e non rinunciare alla corretta assunzione delle terapie, così come lavorare affinché vi siano le condizioni che lo permettano”.
“Come Fondazione PRO abbiamo lanciato questa campagna di sensibilizzazione che prevede attività social, alcuni approfondimenti sulla nostra web tv, un booklet destinato ai pazienti stampato e distribuito in 10 centri di eccellenza urologica e due spot, uno promosso con Massimiliano Allegri e un altro che ha come testimonial d’eccezione Carlo Verdone. Il 19 novembre si celebra la Giornata Mondiale dell’Uomo promossa dall’Unesco – conclude Vincenzo Mirone – e oggi siamo qui anche per ricordare l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce. Dobbiamo insistere perché sin dall’adolescenza ogni genitore porti il proprio figlio dall’urologo.”
https://fondazionepro.it/ www.fondazionepro.tv
Covid in Italia, arriva la stretta sui trasporti. Torna la biglietteria, cartelli con regole a bordo, stop al treno con un caso sospetto, in taxi massimo in due sono alcune delle nuove regole per bus, treni e metropolitane nella ordinanza emessa dal ministero dei Trasporti insieme al dicastero della Salute, visionata dall'Adnkronos. Ordinanza già pubblicata in Gazzetta ufficiale.
Tra le novità, dunque, la possibilità di fermare il treno se c'è un caso di Covid sospetto, mentre il Green pass andrebbe controllato a terra, dunque prima di salire a bordo. Ma "qualora questo non fosse possibile, il controllo può essere effettuato dal personale di bordo insieme al controllo del biglietto di viaggio".
"In caso di passeggeri che, a bordo treno, presentino sintomi riconducibili all’affezione da COVID19 - si legge infatti nell'ordinanza - la Polizia Ferroviaria e le Autorità sanitarie devono essere prontamente informate: all’esito della relativa valutazione sulle condizioni di salute del passeggero, a queste spetta la decisione in merito all’opportunità di fermare il treno per procedere ad un intervento o prevedere appositi spazi dedicati. L’impresa ferroviaria procederà successivamente alla sanificazione specifica del convoglio interessato dall’emergenza prima di rimetterlo nella disponibilità di esercizio".
E ancora: torna la biglietteria e il controllo a bordo di metro, autobus di linea, tram e filobus. La nuova ordinanza prevede infatti "il graduale riavvio delle attività di bigliettazione e controllo a bordo", che "deve essere svolto in condizioni di sicurezza, garantendo al personale preposto la dotazione di mascherine chirurgiche o con più alto livello di protezione (FFP2) e dotazione di soluzione idroalcolica per la frequente igienizzazione delle mani".
Le porte da usare per salire e scendere dagli autobus di linea, in tempi di Covid, restano la centrale e la posteriore. Ma torna in uso anche la porta anteriore, quella vicina al conducente. Sempre che ci sia un pannello divisorio per proteggere autista e passeggeri. Oltre a sanificare almeno una volta al giorno i mezzi pubblici, "occorre adottare possibili accorgimenti atti alla separazione del posto di guida con distanziamenti di almeno un metro dai passeggeri; consentire la salita e la discesa dei passeggeri dalla porta centrale e dalla porta posteriore utilizzando idonei tempi di attesa al fine di evitare contatto tra chi scende e chi sale. In subordine", ed è questa una delle novità contenute nell'ordinanza, "la possibilità di utilizzare la porta in prossimità del conducente deve essere necessariamente accompagnata dall’installazione di un apposito separatore protettivo dell’area di guida".
Per contenere la diffusione di Sars-Cov-2, in aumento in vista dell'inverno, nel settore dei trasporti e della logistica "devono essere predisposte le necessarie comunicazioni a bordo dei mezzi, aggiornate in relazione all’evolversi delle disposizioni in materia, anche mediante apposizione di cartelli, che indichino le corrette modalità di comportamento dell’utenza. Il mancato rispetto potrà contemplare l’interruzione del servizio". Il provvedimento è in vigore dalla data della sua adozione.
Inoltre, a bordo di taxi e altri servizi di trasporto non di linea "evitare che il passeggero occupi il posto disponibile vicino al conducente". Soprattutto, "sui sedili posteriori, per rispettare le distanze di sicurezza, non potranno essere trasportati, distanziati il più possibile, più di due passeggeri, se non componenti dello stesso nucleo familiare". "Per il conducente - si legge nel testo - vige l’obbligo di indossare una mascherina chirurgica o un dispositivo di protezione individuale di livello superiore. All’interno del veicolo dovranno possibilmente essere installate paratie divisorie tra conducente e passeggero. Le presenti disposizioni, per quanto applicabili, si applicano anche ai natanti che svolgono servizi di trasporto non di linea. Vige anche per il personale conducente tali servizi l’obbligo della Certificazione verde".
"In zona bianca e in zona gialla sono consentiti in presenza tutti i corsi di formazione, nel rispetto dei protocolli e linee guida indicati nella norma richiamata", prevede ancora la nuova ordinanza.
"In ogni caso sono consentiti - si legge - gli esami di qualifica dei percorsi di Iefp, nonché la formazione in azienda esclusivamente per i lavoratori dell’azienda stessa, secondo le disposizioni emanate dalle singole regioni, i corsi di formazione da effettuarsi in materia di protezione civile, salute e sicurezza, i corsi di formazione individuali e quelli che necessitano di attività di laboratorio, nonché l'attività formativa in presenza, ove necessario, nell’ambito di tirocini, stage e attività di laboratorio, in coerenza con i limiti normativi vigenti, a condizione che siano attuate le misure di contenimento del rischio". È comunque "possibile, qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in lavoro agile e da remoto. Risulta particolarmente importante garantire i corsi relativi a titoli e certificazioni obbligatorie richieste al personale viaggiante di tutti i settori".
I bambini di Israele come quelli degli Stati Uniti. Per arginare la pandemia da Covid-19 anche lo Stato ebraico ha infatti dato semaforo verde alla somministrazione del vaccino targato Pfizer/BioNtech per i piccoli di età compresa tra i 5 e gli 11 anni.
Una decisione in tal senso è stata presa dal Governo di Washington il 9 novembre scorso, mentre in Europa il 18 ottobre l'Agenzia europea del farmaco (Ema) ha iniziato la valutazione della richiesta di estensione dell'uso di Comirnaty*, il vaccino Covid-19 di Pfizer/BioNTech, nei bambini di età superiore ai 5 anni. "La decisione di Israele- ha informato in una nota il ministero della Salute- fa seguito al parere di un panel di scienziati, secondo cui i benefici di questa vaccinazione per i bambini sarebbero maggiori rispetto ai rischi".
Studi clinici condotti da Pfizer su migliaia di bambini hanno infatti evidenziato che il vaccino ha un'efficacia contro le forme sintomatiche della patologia pari al 90,7%. Già in estate le autorità di Israele avevano lanciato una nuova campagna per somministrare la terza dose di vaccino anti coronavirus, iniziando dai giovani tra i 12 e i 17 anni, mentre nel dicembre del 2020 un accordo con Pfizer ha consentito l'avvio di una campagna che ha portato alla doppia vaccinazione di 5,7 milioni dei circa 9 milioni di israeliani, di cui più dell'80% adulti.
"Penso che in zona gialla come Regione ci andremo", "mi preoccupo per la tappa successiva che è la zona arancione". Lo ha detto il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, a margine dell'inaugurazione dell'anno accademico dell'università di Udine.
La zona gialla "devo dire che è un'area dove non mi preoccupano le misure in sé perché - ha spiegato Fedriga - vuol dire mascherine all'aperto e quattro al tavolo al ristorante, quindi non sono danni economici. Mi preoccupo per l'aumento di contagi e ospedalizzazioni ma soprattutto per la tappa successiva che è la zona arancione. In quel caso sarebbero danni enormi all'economia, a dei settori imprenditoriali che hanno battuto e combattuto la crisi e non possiamo permettercelo".
"Ho detto - ha aggiunto - che nel caso in cui dovessimo andare verso una zona arancione e da quella in su penso che il prezzo delle chiusure non lo possano pagare i vaccinati".
"Oramai sono dati oggettivi che le vaccinazioni funzionano, sono efficaci, sono sicure e c'è qualcuno che purtroppo facendo circolare molte menzogne allontana una fascia di popolazione, seppur minoritaria ma importante, dalle vaccinazioni stesse. Questo è un errore grave, un errore che non possiamo permetterci" ha avvertito il governatore del Friuli Venezia Giulia.
IL BOLLETTINO DI OGGI - Sono 379 i nuovi contagi da coronavirus oggi 15 novembre 2021 in Friuli Venezia Giulia, secondo i dati dell'ultimo bollettino Covid-19 della Regione. Si registrano altri 2 morti.
Nel dettaglio, oggi in Friuli Venezia Giulia, comunica il vicegovernatore della Regione con delega alla Salute Riccardo Riccardi, su 3.158 tamponi molecolari sono stati rilevati 355 nuovi contagi con una percentuale di positività dell'11,24%. Sono inoltre 6.466 i test rapidi antigenici realizzati, dai quali sono stati rilevati 24 casi (0,37%). Due i decessi: una donna di 95 anni di Monfalcone e una di 85 di Gorizia, entrambe morte in ospedale. Le persone ricoverate in terapia intensiva sono 23, mentre i pazienti in altri reparti risultano essere 158.
I decessi complessivamente ammontano a 3.901: 867 a Trieste, 2.034 a Udine, 691 a Pordenone e 309 a Gorizia. I totalmente guariti sono 113.699, i clinicamente guariti 156, mentre le persone in isolamento risultano essere 4.815. Dall'inizio della pandemia in Friuli Venezia Giulia sono risultate positive complessivamente 122.752 persone (il totale dei positivi è stato ridotto di una unità a seguito della revisione di un test rapido, mentre un test classificato come positivo al molecolare dopo verifica è stato registrato all'antigenico): 27.538 a Trieste, 54.668 a Udine, 23.987 a Pordenone, 14.859 a Gorizia e 1.700 da fuori regione.
"Sebbene ci stiamo avvicinando al termine del secondo anno dell'epidemia di Covid 19, la fine di questa crisi globale sanitaria è ancora lontana e rimangono sfide importanti". Lo ha sottolineato il consigliere del presidente Biden, Anthony Fauci, in un video messaggio all’Annual meeting del Cuamm a Padova.
"Nonostante gli impressionanti successi dal punto di vista scientifico nello sviluppare rapidamente numerosi vaccini sicuri ed efficaci contro il covid-19 la loro distribuzione come anche quella delle varie cure non è stata uguale in tutto il pianeta. Una situazione dolorosamente ovvia a voi che lavorate in Africa", ha avvertito. "Dobbiamo fare meglio. Abbiamo l'imperativo morale di proteggere i poveri e vulnerabili nonostante l'efficacia della risposta alla pandemia anche nei paesi ricchi che hanno pieno accesso ai vaccini e alle cure affronti sfide difficili", ha spiegato.
"Nei miei quasi due anni di esperienza nell'aiutare a dirigere la risposta biomedica questa pandemia una cosa importante che ho imparato è quanto siano distruttivi le le divisioni sociali. Questo è particolarmente evidente nel mio paese, le divisioni minano la nostra capacità di avere successo". ha concluso.
Terza dose di vaccino anti covid in Italia, dalla Lombardia al Lazio passando per Basilicata e Campania va avanti la campagna vaccinale. Ma chi può ricevere la dose 'booster' e come fare la prenotazione? I metodi per prenotare un appuntamento variano da regione a regione, in alcuni casi coinvolgono medici di famiglia e farmacie, ma è in ogni caso necessario che siano passati almeno 6 mesi dall'ultima dose.
Mentre si ragiona sull'obbligatorietà per medici, infermieri, personale sanitario e delle Rsa, le terze vaccinazioni - con Pfizer o Moderna - procedono nelle singole regioni per le categorie più fragili, anziani, ma anche docenti, over 60 e più in generale a chi ne fa richiesta. Ecco nel dettaglio tutte le informazioni.
CHI PUO' PRENOTARE - Al momento possono prenotare la terza dose categorie fragili (pazienti oncologici, immunodepressi ed altre categorie fragili) di tutte le età, tutti i pazienti over 60 (purché siano passati almeno 6 mesi dalla seconda dose), chi si è vaccinato con il vaccino Johnson&Johnson (purché siano passati almeno 6 mesi dalla somministrazione della prima dose) .
QUALI VACCINI SARANNO SOMMINISTRATI
Sono utilizzati solo i vaccini mRna autorizzati in Italia, quindi Pfizer e Moderna. Anche per i soggetti vaccinati con Astrazeneca e Johnson&Johnson, per la dose booster (terza dose) verrà utilizzato un vaccino Pfizer o Moderna.
Anche i soggetti che hanno ricevuto nel primo ciclo vaccinale i sieri Sputnik, Sinovac e Sinopharm potranno effettuare la terza dose con i vaccini Pfizer e Moderna, una sola dose se sono passati meno di 6 mesi, altrimenti doppia dose.
COME PRENOTARE
Le modalità sono molto simili a quelle già utilizzate da ciascuna regione per la prenotazione della prima e seconda dose del vaccino, alcune regione hanno ampliato le modalità, con un maggiore coinvolgimento di medici di famiglia e farmacie.
Abruzzo: attraverso il portale di Poste Italiane https://prenotazioni.vaccinicovid.gov.it/ o tramite il call center dedicato al numero 800 00 99 66.
Basilicata: recandosi presso un hub regionale, anche senza prenotazione. La somministrazione avviene anche attraverso i medici di famiglia che hanno aderito alla campagna vaccinale
Calabria: attraverso il portale di Poste Italiane https://prenotazioni.vaccinicovid.gov.it/ o tramite il call center dedicato al numero 800 00 99 66
Campania: recandosi presso un hub regionale, anche senza prenotazione
Emilia Romagna: attraverso il CUP regionale, anche se le diverse provincie hanno scelto modalità leggermente diverse
Friuli-Venezia-Giulia: call center al numero 0434223522, oppure presso gli sportelli del CUP o farmacie abilitate
Liguria: attraverso la piattaforma regionale Prenotazione vaccino covid 19 – Regione Liguria
Lombardia: attraverso la piattaforma regionale https://prenotazionevaccinicovid.regione.lombardia.it/ oppure tramite call center regionale al numero 800.89.45.45
Marche: attraverso il portale di Poste Italiane https://prenotazioni.vaccinicovid.gov.it/ o tramite il call center dedicato al numero 800 00 99 66
Molise: attraverso la piattaforma regionale Prenotazione Vaccinazione Covid19 (regione.molise.it)
Piemonte: attraverso la piattaforma regionale http://www.ilpiemontetivaccina.it/
Provincia autonoma di Bolzano: attraverso la piattaforma regionale SaniBook (civis.bz.it)
Provincia autonoma di Trento: attraverso la piattaforma provinciale Prenota Vaccino covid-19 (apss.tn.it)
Puglia: attraverso la piattaforma regionale http://www.lapugliativaccina.regione.puglia.it/
Sardegna: attraverso il portale di Poste Italiane https://prenotazioni.vaccinicovid.gov.it/ o tramite il call center dedicato al numero 800 00 99 66
Sicilia: attraverso il portale di Poste Italiane https://prenotazioni.vaccinicovid.gov.it/ o tramite il call center dedicato al numero 800 00 99 66
Toscana: attraverso il portale regionale, medici di famiglia e su chiamata diretta per i soggetti fragili
Umbria: attraverso la piattaforma regionale CUP Umbria | Prenotazione On Line Vaccini COVID – 2.7.4 (regione.umbria.it).
Una rete di undici ospedali per monitorare l'andamento dei ricoveri Covid e anticipare soluzioni organizzative per la gestione della pandemia. Nasce il network degli ospedali sentinella della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, che sarà coordinato dall'Inmi Spallanzani di Roma.
Così in un comunicato Fiaso. Ad aderire alla rete di monitoraggio e analisi, costituita da Fiaso, ci sono strutture in tutta Italia: al Nord partecipano l'Asst Spedali Civili di Brescia, la Asl città di Torino, l'Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova, l'Azienda sanitaria Friuli Occidentale; per il Centro Italia hanno aderito l'Irccs Policlinico S. Orsola - Malpighi di Bologna, l'Inmi Spallanzani di Roma, la Asl Roma 6, gli Ospedali Riuniti di Ancona, l'Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni; al Sud ci sono il Policlinico di Bari e l'Azienda ospedaliera dei Colli Monaldi - Cotugno di Napoli.
"Vogliamo seguire l'andamento della pandemia, in particolare delle ospedalizzazioni, attraverso un monitoraggio puntuale su un campione di ospedali sentinella in grado di segnalare i trend dei ricoveri e di suggerire soluzioni organizzative in anticipo rispetto al virus- spiega il Presidente Fiaso, Giovanni Migliore- A oggi negli 11 ospedali individuati stiamo monitorando 475 pazienti positivi al Sars-Cov-2. Di questi è nei reparti di Terapia intensiva il 12%. Abbiamo registrato nell'ultima settimana un aumento dei ricoveri che ci preoccupa ma che siamo preparati a gestire riorganizzando le strutture e gli ospedali in relazione ai numeri. Da un anno e mezzo ormai le aziende sanitarie e ospedaliere hanno sperimentato e validato modelli di assistenza multidisciplinari, che si sono rivelati efficaci ed esperienze di organizzazione degli spazi e dei reparti elastiche e funzionali. La rete degli ospedali sentinella servirà anche a condividere le best practice per affrontare la quarta ondata senza dover interrompere le attività ospedaliere ordinarie".
"Uno strumento utile a comprendere come, soprattutto in questa fase, sia necessario andare oltre il mero dato numerico, contestualizzando i numeri alla complessità del quadro clinico e all'incidenza della vaccinazione sullo stato di salute: solo così il dato diventa capace di descrivere realmente lo stato esistente e ciò che è utile fare- spiega Francesco Vaia, Direttore dello Spallanzani- Ciò a cui dobbiamo puntare con decisione è uscire definitivamente dalla pandemia e tornare verso una normalità nuova: potremo riuscirvi solo se avremo fondato ogni nostro sforzo su una scienza libera da condizionamenti di ogni tipo, puntando dritti all'obiettivo". Nel primo monitoraggio avviato dagli 11 ospedali sentinella Fiaso sono seguiti 475 pazienti di cui 59 in terapia intensiva. L'età media ponderata dei pazienti ospedalizzati è di 68 anni.
Il Comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea del farmaco Ema ha raccomandato di autorizzare due terapie a base di anticorpi monoclonali contro Covid-19. Si tratta di Ronapreve* (casirivimab/imdevimab) e Regkirona* (regdanvimab).
A dare notizia della decisione degli esperti è stata l'Ema stessa, che spiega come questi siano i "primi anticorpi monoclonali" anti Sars-CoV-2 "raccomandati per l'autorizzazione all'immissione in commercio" dall'ente Ue.
Il comitato ha raccomandato di autorizzare Ronapreve per il trattamento di Covid negli adulti e negli adolescenti a partire dai 12 anni di età, e con un peso di almeno 40 chilogrammi, che non richiedono ossigeno supplementare e che sono a maggior rischio di peggioramento della malattia. Ronapreve può essere utilizzato anche per prevenire Covid in persone di età pari o superiore a 12 anni, che pesano almeno 40 chilogrammi. La società che ha richiesto l'autorizzazione è stata Roche Registration GmbH. Per quanto riguarda Regkirona, il Chmp ha raccomandato di autorizzare il medicinale per il trattamento di adulti con Covid-19 che non richiedono ossigeno supplementare e che sono anche a maggior rischio di peggioramento della malattia. Il richiedente per Regkirona era Celltrion Healthcare Hungary Kft. Ora il Chmp invierà le sue raccomandazioni alla Commissione europea "per decisioni rapide e giuridicamente vincolanti".
Ronapreve e Regkirona sono le prime terapie monoclonali a ricevere un parere positivo dal Chmp e si aggiungono all'elenco dei prodotti per Covid, che hanno ricevuto parere positivo.
Gli anticorpi monoclonali - ricorda l'Ema - sono proteine ??progettate per attaccarsi a un bersaglio specifico, in questo caso la proteina Spike che il coronavirus Sars-CoV-2 utilizza per entrare nelle cellule umane. Il Chmp per giungere alle sue conclusioni ha valutato i dati di studi che dimostrano che il trattamento con Ronapreve o Regkirona riduce significativamente i ricoveri e i decessi nei pazienti Covid a rischio di malattia grave. Un altro studio ha mostrato che Ronapreve riduce la possibilità di contrarre Covid se un membro della famiglia è infetto da Sars-CoV-2.
Mentre la valutazione delle domande di autorizzazione era in corso, il comitato ha fornito supporto agli Stati membri dell'Ue per l'uso precoce di questi medicinali. E infatti le terapie in questione erano già disponibili per alcuni pazienti nell'Unione europea.
Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 3-9 novembre, rispetto alla precedente, un aumento di nuovi casi (41.091 vs 29.841) e decessi (330 vs 257). Continuano a salire anche i casi attualmente positivi (100.205 vs 84.447), le persone in isolamento domiciliare (96.348 vs 81.070), i ricoveri con sintomi (3.436 vs 2.992) e le terapie intensive (421 vs 385). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:
«Per la terza settimana consecutiva – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si conferma a livello nazionale un incremento dei nuovi casi settimanali (+37,7%) come documenta anche la media mobile a 7 giorni, più che raddoppiata in meno di un mese passando da 2.456 il 15 ottobre a 5.870 il 9 novembre». Nelle ultime tre settimane l’aumento della circolazione virale è ben documentata dall’incremento sia del rapporto positivi/persone testate (da 3,6% a 9,9%), sia del rapporto positivi/tamponi molecolari (da 2,4% a 4,7%). In tutte le Regioni si rileva un incremento percentuale dei nuovi casi, con variazioni che vanno dal 12,7% della Regione Toscana al 75,3% della Provincia Autonoma di Bolzano (tabella 1).
66 Province hanno un’incidenza pari o superiore a 50 casi per 100.000 abitanti: in Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Veneto tutte le Province superano tale soglia. In 3 Province si contano oltre 150 casi per 100.000 abitanti: Trieste (479), Bolzano (260) e Gorizia (221). «Numeri – commenta il Presidente – che dovrebbero indurre gli amministratori locali a considerare restrizioni su base comunale o provinciale, per evitare che la diffusione del contagio trascini l’intera Regione in zona gialla».
«Sul fronte ospedaliero – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – si registra un ulteriore incremento dei posti letto occupati da pazienti COVID: rispetto alla settimana precedente +14,8% in area medica e +9,4% in terapia intensiva». In termini assoluti, il numero di pazienti COVID in area medica è passato da 2.371 del 16 ottobre a 3.436 del 9 novembre 2021 e quello nelle terapie intensive da 338 del 25 ottobre a 421 del 9 novembre 2021. A livello nazionale il tasso di occupazione rimane molto basso (6% in area medica e 5% in terapia intensiva), ma con notevoli differenze regionali. In particolare, nessuna Regione supera la soglia del 15% per l’area medica, mentre Friuli-Venezia Giulia (11%) e Marche (11%) superano quella del 10% per l’area critica. Tali valori, a breve termine, non comportano il rischio di passare in zona gialla che, oltre all’incidenza settimanale superiore ai 50 casi per 100.000 abitanti, richiede contestualmente il superamento della soglia di occupazione del 15% in area medica e del 10% in terapia intensiva. «Aumentano – puntualizza Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – gli ingressi giornalieri in terapia intensiva: la media mobile a 7 giorni passa da 26 ingressi/die della settimana precedente a 34».
Vaccini: forniture. Al 10 novembre (aggiornamento ore 6.11) risultano consegnate 99.901.969 dosi: in assenza di nuove forniture per la quarta settimana consecutiva si riducono le scorte di vaccini a mRNA, che si attestano a quota 8,8 milioni di dosi.
Vaccini: somministrazioni. Al 10 novembre (aggiornamento ore 6.11) il 79% della popolazione (n. 46.784.051) ha ricevuto almeno una dose di vaccino (+127.761 rispetto alla settimana precedente) e il 76,4% (n. 45.243.732) ha completato il ciclo vaccinale (+379.124 rispetto alla settimana precedente) (figura 8). In lieve calo (-4,8%) nell’ultima settimana il numero totale di somministrazioni (n. 1.025.882) (figura 9), con una media mobile a 7 giorni di 169.844 somministrazioni/die.
Vaccini: nuovi vaccinati. Dopo aver sfiorato quota 440 mila nella settimana 11-17 ottobre, in tre settimane il numero dei nuovi vaccinati è crollato del 75,4% (figura 10): dei 108.497 nuovi vaccinati nella settimana 1-7 novembre il 72,2% appartiene a fasce anagrafiche che includono persone in età lavorativa. Rispetto alle persone ancora da vaccinare preoccupano sia i quasi 2,7 milioni di over 50 ad elevato rischio di malattia grave e ospedalizzazione, sia gli oltre 1,2 milioni nella fascia 12-19 che influiscono negativamente sulla sicurezza negli ambienti scolastici.
Vaccini: coperture. Le coperture vaccinali con almeno una dose di vaccino sono molto variabili nelle diverse fasce di età: dal 97,1% degli over 80 al 74% della fascia 12-19 e, rispetto alla settimana precedente, gli incrementi sono sempre più modesti.
Vaccini: efficacia. L’efficacia del vaccino sulla malattia grave si conferma molto elevata e l’incidenza di diagnosi, ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi è nettamente inferiore nelle persone vaccinate con ciclo completo, in tutte le fasce di età, rispetto ai non vaccinati. Tuttavia, in particolare negli over 60, l’efficacia nei confronti della malattia grave è in lieve ma progressiva diminuzione, soprattutto da quando la variante delta è diventata prevalente. Secondo l’ultimo report della Sorveglianza integrata COVID-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, per il ricovero in terapia intensiva l’efficacia nel periodo 5 luglio-31 ottobre si attesta al 90% negli over 80 e al 94,8% nella fascia 60-79 anni, mentre per i ricoveri in area medica all’88,8% negli over 80 e al 91,5% nella fascia 60-79 anni. «Nel ribadire l’inutilità di dosare gli anticorpi circolanti per il processo decisionale vaccinale – commenta Cartabellotta – questi dati confermano le indicazioni alla dose booster per le categorie a rischio identificate dal Ministero della Salute e la necessità di accelerarne la somministrazione».
Vaccini: terza dose. Su una platea costituita da 890.460 persone per la dose aggiuntiva e da 5.131.130 persone per la dose booster, al 3 novembre sono state somministrate 2.409.596 terze dosi di cui 383.769 dosi aggiuntive e 2.025.827 di dosi booster, con una media mobile a 7 giorni che ha superato quota 100 mila (figura 16). Il tasso nazionale di copertura vaccinale per le dosi aggiuntive è del 40% con nette differenze regionali: dal 2,3% della Valle D’Aosta al 100% di Umbria e Piemonte (figura 17). La copertura nazionale con dose booster è del 39,5%, anche qui con notevoli differenze tra le Regioni: dal 18,3% della Calabria al 81,2% del Molise (figura 18).
Della platea relativa alla dose booster, ferma all’aggiornamento del 2 novembre, rimangono ancora da vaccinare oltre 3,1 milioni di persone, alle quali ogni settimana si aggiungono circa 800mila over 60 che hanno completato il ciclo vaccinale nei mesi di maggio e giugno. Ovvero, entro fine anno si aggiungeranno a questa platea ben 7,4 milioni di persone, oltre a circa 750 mila under 60 vaccinati con Johnson&Johnson entro fine giugno. Complessivamente, si tratta di oltre 11 milioni di dosi booster che impongono alle Regioni un deciso cambio di passo sia in termini di comunicazione e persuasione, sia di organizzazione, visto che entro fine dicembre bisognerebbe somministrare circa 1,4 milioni di dosi settimanali.
«Con l’aumento della circolazione virale che si riflette sulle ospedalizzazioni, il progressivo calo dell’efficacia vaccinale e l’esiguo aumento dei nuovi vaccinati – conclude Cartabellotta – l’accelerazione sul fronte delle terze dosi è una strategia fondamentale per contenere la quarta ondata. Da questo punto di vista iniziano a preoccupare sia le mancate consegne di vaccini da 4 settimane senza informazioni ufficiali sul piano delle forniture, sia alcune criticità che ostacolano il monitoraggio delle performance delle Regioni, che di fatto vanno in ordine sparso. Innanzitutto, la platea vaccinabile con la terza dose non è stata ancora ufficialmente estesa agli under 60 che hanno ricevuto il vaccino Johnson&Johnson. In secondo luogo la platea per la dose booster non viene costantemente aggiornata con il numero di persone che progressivamente raggiungono i 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale, con conseguente sovrastima delle performance regionali. Infine, non è disponibile alcun dettaglio delle categorie dei vaccinati con dose booster (operatori sanitari, ospiti RSA, over 60 e persone fragili), rendendo di fatto impossibile identificare eventuali criticità regionali».
Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org
Dal primo dicembre terza dose di vaccino Covid in Italia per i cittadini tra i 40 e i 60 anni di età. Lo annuncia il ministro della Salute, Roberto Speranza, nel corso del Question time alla Camera. "Consideriamo la terza dose assolutamente strategica. A stamattina, la dose booster è stata offerta a 2.409.596 persone, oggi supereremo i 2,5 milioni.
Abbiamo iniziato da immunodepressi, personale sanitario, fragili di ogni età, over 60 e da chi ha avuto la dose unica di Johnson & Johnson. Con il confronto svolto nelle ultime ore con la nostra comunità scientifica, voglio annunciare al Parlamento che facciamo l'ulteriore passo in avanti. La scelta è di proseguire per fasce anagrafiche: dal primo dicembre, in Italia, saranno chiamati alla dose aggiuntiva, al richiamo, anche le fasce generazionali di chi ha tra i 40 e i 60 anni", dice Speranza.
A quanto apprende l'Adnkronos inoltre, oggi, durante la cabina di regia con il premier Mario Draghi, il ministro della Salute ha posto la questione della terza dose obbligatoria per il personale sanitario e chi lavora nella Rsa. L'obbligo è già previsto per le prime due dosi e sul tavolo c'è la valutazione di estendere l'obbligo anche alla terza. E' una direzione di marcia, si spiega, ma senza alcuna precipitazione immediata.
GREEN PASS - I Green pass scaricati a questa mattina alle 7 "sono stati oltre 122 milioni", ha aggiunto poi il ministro, ricordando che il Green pass "è un pezzo fondamentale della strategia del nostro governo perché consente di rendere più sicuri i luoghi dove si applica e perché oggettivamente ha costituito un incentivo alla vaccinazione".
"Il Governo intende avviare un percorso di approfondimento con gli organi tecnico-scientifici competenti, compreso il Comitato tecnico scientifico" per l'emergenza coronavirus, "onde acclarare se, alla luce degli studi più recenti, vi siano le condizioni per valutare diversamente la validità del certificato verde rilasciato ai guariti" da Covid-19, ha quindi aggiunto.
"La normativa vigente prevede che la durata di validità del Green pass per i guariti è di 6 mesi, per i vaccinati di 12 mesi", ha ricordato Speranza, sottolineando che fra i guariti "l'osservazione scientifica ha evidenziato una risposta immunitaria diversa rispetto ai soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale, fra i quali deve ritenersi compreso il caso del guarito cui entro 6 mesi viene somministrata una dose di vaccino. La guarigione con la somministrazione di una dose viene dunque equiparata alla vaccinazione, con conseguente validità della certificazione verde di 12 mesi a partire dalla somministrazione della dose".
"Voglio rammentare - ha aggiunto il ministro - che il regolamento europeo numero 953 del 2021 ha stabilito che i certificati di guarigione possono avere una durata massima di 180 giorni dal primo test molecolare positivo". Quindi il Governo, nel valutare eventuali modifiche rispetto alla validità del Green pass per i guariti, lo farà "ferma restando la verifica di compatibilità di tale opzione" tanto "con il regolamento europeo menzionato, quanto ai fini della mobilità transfrontaliera", ha puntualizzato Speranza.
MONOCLONALI - "Secondo le comunicazioni del commissario per l'emergeza Covid, le attuali giacenze complessive" di anticorpi monoclonali "presso le strutture sanitarie regionali sono adeguate ai fabbisogni delle Regioni e le richieste da parte dei territori hanno avuto sempre riscontro positivo da parte della struttura commissariale. Gli attuali andamenti di impiego di tali presidi terapeutici, così come registrati nelle diverse Regioni, sono oggetto di costante monitoraggio da parte dell'Aifa e del ministero della Salute proprio al fine di bilanciare la necessità di avere una congrua riserva e la riduzione al minimo del paventato rischio del mancato utilizzo nei termini di validità dei suddetti prodotti", ha detto il ministro.
ANTIVIRALI - "In questi giorni siamo a lavoro con Aifa e con la struttura commissariale perché lo stesso meccanismo di autorizzazione e di acquisto" degli anticorpi monoclonali "possa essere utilizzato anche per i nuovi farmaci promettenti di MSD e Pfizer", ha poi precisato.
PIANO PANDEMICO - "Il piano pandemico antinfluenzale del 2006 non è stato aggiornato per ben 180 mesi nel nostro Paese, durante i quali si sono alternati ben 7 governi di colore politico diverso. Quello che poi non è stato fatto in molti anni è stato fatto in pochi mesi durante il mio mandato, con l'approvazione all'unanimità del nuovo piano pandemico da parte della Conferenza Stato-Regioni. Le scelte dell'Italia sono state difficili soprattutto nella primissima fase" della crisi Covid, "ma le misure sono state seguite dai principali Paesi del mondo. Su questi temi non dobbiamo dividerci, perché il Paese viene prima delle bandierine di partito e di una campagna elettorale permanente, che di tanto in tanto torna anche in questa aula", ha quindi replicato il ministro sulla gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, con particolare riferimento al piano pandemico nazionale.
Nei soggetti vaccinati l’immunità al virus SARS-Cov-2 è più forte e duratura rispetto a quella sviluppata naturalmente da chi contrae il virus e, in generale, è legata al livello di anticorpi circolanti che si formano in ognuno di noi.
La conferma proviene dal primo studio di monitoraggio di un campione significativo della popolazione sanitaria attraverso tutto il periodo del Covid-19.
Ideata e realizzata dall’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e finanziata dalla Fondazione Guido Venosta, l’iniziativa ha visto oltre 2000 dipendenti e collaboratori dello IEO operativi negli ambiti sanitario, amministrativo e ricerca, sottoporsi (nel periodo da maggio 2020 a settembre 2021) a test molecolari per l’infezione da SARS-CoV-2 e a test sierologici per misurare la risposta immunitaria contro il virus.
Con l’avvio della campagna vaccinale nel gennaio 2021 le medesime persone sono state vaccinate e monitorate mensilmente dopo la vaccinazione, fino settembre 2021. Il programma ha comportato l’esecuzione di 52.800 test molecolari e 20.200 test sierologici.
“Abbiamo osservato che il livello di anticorpi circolanti anti-SARS-CoV2 è un indicatore attendibile del rischio di infezione; dunque i test sierologici potrebbero essere utili nella programmazione delle campagne vaccinali”, commenta Pier Giuseppe Pelicci, direttore della ricerca IEO e coordinatore dello studio. “La correlazione tra bassi livelli di anticorpi e aumentato rischio di infezione è stata ottenuta nella intera popolazione dei vaccinati e su dati retrospettivi. Non ha quindi ancora un valore predittivo nel singolo individuo. Potrebbe invece essere molto utile se applicata, per esempio, alle popolazioni di individui esposti ad alto rischio di infezioni o più fragili”.
“Abbiamo inoltre dimostrato che il vaccino funziona bene: il tasso di infezione nella popolazione studiata è passato dal 17,8% prima della vaccinazione all’ 1,5% dopo il vaccino. Inoltre, i vaccinati che contraggono il virus hanno limitata capacità di contagio perché la carica virale è molto bassa e dura pochi giorni”.
Nella fase pre-vaccinazione sono state osservate 266 persone con infezioni da SARS-CoV-2, vale a dire il 17,8% delle 1493 persone testate in fase pre-vaccinale. Tra i circa 2000 soggetti che sono stati vaccinati, abbiamo invece identificato solo 30 casi di infezione (1,5%), che in tutti i soggetti si è presentata con una sintomatologia minima e capacità di contagio molto limitata per carica virale e durata. Il test molecolare è infatti risultato positivo in media per soli due giorni invece dei 16 giornimedi di una infezione in soggetti non vaccinati, con ovvie implicazioni sulla diffusione del contagio.
Le 2000 persone che sono state vaccinate hanno sviluppato alti livelli di anticorpi circolanti già a una settimana dalla prima dose di vaccino. Solo l’1,9% (39 casi) dei soggetti non ha sviluppato una risposta anticorpale misurabile. L’entità della risposta anticorpale è risultata inferiore negli anziani, con una tendenza generale ad abbassarsi progressivamente nei mesi successivi alla vaccinazione. Ciononostante, a 6-7 mesi dal completamento della vaccinazione, il 94% degli individui testati aveva ancora livelli di anticorpi misurabili nel sangue.
Analizzando in dettaglio i 30 casi di infezione post-vaccino, è emersa una correlazione con la mancata o inefficiente risposta anticorpale al vaccino: 3 casi erano soggetti che non avevano sviluppato anticorpi in risposta al vaccino, mentre il 74% degli altri casi erano soggetti con livelli di anticorpi più bassi rispetto all’intero gruppo dello studio. In altre parole, l’infezione dopo vaccino è stata contratta dai soggetti con i livelli più bassi di anticorpi.
Nel complesso, la frequenza di infezione nei soggetti che hanno sviluppato anticorpi dopo vaccinazione è stata significativamente più bassa (1.5%) rispetto ai soggetti vaccinati che non hanno sviluppato anticorpi (5,7%), ma in entrambi i casi più bassa rispetto ai soggetti non vaccinatiche hanno contratto una infezione naturale (9%). Il vaccino, quindi, induce una immunità più forte rispetto alla infezione naturale.
“I nostri dati hanno potenziale rilevanza pratica”, conclude Pelicci. “I livelli di anticorpi circolanti possono contribuire a definire le tempistiche delle vaccinazioni successive in selezionate popolazioni. Non c’è dubbio che quanto e quando vaccinare la popolazione italiana sarà deciso dall’andamento globale dell’epidemia. La disponibilità però di un test che informa sulla presenza di un alto rischio di infezione potrà essere utile per difendere le popolazioni più esposte o più fragili. Inoltre, oltre al suo impatto immediato sulla funzionalità dello IEO e all’acquisizione di conoscenze su malattia e vaccinazione, questo studio ha dimostrato che è possibile creare un flusso rapido di informazioni, competenze e tecnologie tra la ricerca e la clinica, con immediato beneficio per i pazienti e per la società. Non solo: è stato anche la prova di quanto grande possa essere l’impatto sulla società delle donazioni liberali alla ricerca e allo sviluppo tecnologico”.
"Mi auguro che i risultati di questo studio possano fugare i dubbi di chi ancora non crede nel buon funzionamento dei vaccini, e che i test sierologici vengano usati nell'ambito di campagne vaccinali mirate",commenta Giuseppe Caprotti, Presidente della Fondazione Guido Venosta. "Lo spirito che ha animato il programma si basa sull'importanza della ricerca scientifica il cui scopo è migliorare le condizioni di vita dell'uomo. La ricerca ha sempre fatto parte del dna della mia famiglia. Mio nonno, Guido Venosta, è stato infatti uno degli artefici dell’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro), che ha gestito dal 1966 al 1996. La Fondazione continua in tale direzione, contribuendo ad elevare l’educazione del pubblico verso i più alti ideali culturali, scientifici e di solidarietà”.
Il progetto è stata la risposta concreta all’appello lanciato all’indomani dello scoppio della pandemia dall’Imperial College di Londra, dalla rete degli Istituti di Ricerca Ricovero e Cura italiani (IRCCS), compreso IEO, e dai principali Istituti di Ricerca Biomedica del Paese.
Iniziato il 12 maggio 2020 sulla popolazione dei dipendenti IEO e inizialmente anche su oltre 2800 pazienti, lo studio ha dimostrato inizialmente che la frequenza di positività del tampone dei dipendenti era confrontabile con quella della popolazione lombarda nello stesso periodo, dimostrando con ciò che IEO era riuscito a mantenere un ambiente sicuro per i propri pazienti. A essere quindi una struttura Covid free.
Il programma ha soprattutto messo in luce quanto sia minore la probabilità di reinfettarsi dopo il vaccino e quanto, in caso di reinfezione, questa abbia una durata più breve. Per giungere a queste conclusioni, è stata effettuata una sorveglianza sanitaria verticale solo sui dipendenti.
Pubblicazione di riferimento: Minore probabilità e minore durata delle infezioni dopo il vaccino Covid-19; correlazione con IGG circolanti anti-SARS-Cov-2
I risultati dello studio di fase 2/3 sul vaccino anti-Covid di Pfizer-BioNTech nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni sono stati pubblicati sul 'New England Journal of Medicine' . Lo annuncia "con orgoglio" via Twitter l'americana Pfizer.
"In questo studio multifase - twitta il 'Nejm', ricordando i risultati del trial - 2 dosi da 10 microgrammi", un terzo del dosaggio approvato per i più grandi, "del vaccino BNT162b2, somministrate a 21 giorni di distanza, si sono rivelate sicure, immunogeniche ed efficaci al 90,7% contro Covid-19 in bambini di età compresa tra 5 e 11 anni".
Gli eventi avversi rilevati nei trials clinici dei vaccini per il Covid-19 sono associati a un effetto nocebo. Con il termine si intende una reazione negativa - meno descritta rispetto al suo opposto, la risposta al placebo - caratterizzata dall'espressione di effetti collaterali in gran parte sollecitati dall'aspettativa della comparsa di eventi avversi in seguito alla somministrazione di un farmaco o di un placebo.
E' quanto afferma il gruppo di ricerca coordinato dalla Professoressa Martina Amanzio del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Torino, in collaborazione con prestigiosi centri di ricerca nazionali (Dipartimento di Neuroscienze, NEUROFARBA - Sezione di Psicologia, Università di Firenze) e internazionali, dislocati negli Stati Uniti (Department of Psychiatry and Human Behavior, Brown University) e in Grecia (Department of Neurology, Aeginition Hospital, National and Kapodistrian University of Athens), che ha pubblicato uno studio scientifico sull'autorevole rivista The Lancet Regional Health - Europe, in accordo con la teoria cognitiva dell'aspettativa.
Il gruppo di ricerca, guidato da Amanzio, è il primo ad aver indagato gli eventi avversi associati agli studi clinici sui vaccini contro il SARS-CoV-2. Ha identificato tre trials di vaccini approvati dalle entità regolatorie in Ue (EMA) e negli Usa (FDA): due basati su mRNA (38.403 partecipanti) e un tipo ad adenovirus (6.736 partecipanti). In particolare, sono stati analizzati i dati di sicurezza (fase III) rispetto agli effetti collaterali sollecitati nei gruppi placebo, trattati con soluzione fisiologica, e per il farmaco attivo, prendendo in considerazione due vaccini a mRNA (BNT162b2 e mRNA-1273 di Pfizer e Moderna, rispettivamente) e uno ad adenovirus (Ad26.COV2.S di Janssen / Johnson & Johnson).
I risultati dello studio hanno evidenziato un'incidenza di eventi avversi comunemente riscontrati in tutti i trials, nei gruppi placebo e nei gruppi farmaco attivo". "Gli eventi avversi (AEs)- precisa Unito- dei farmaci sono una caratteristica centrale delle informazioni di valutazione della sicurezza. È noto che gli studi clinici randomizzati (RCTs) forniscono una prospettiva per comprendere il ruolo delle aspettative negative sui soggetti che sanno di poter ricevere un farmaco che potrà favorire il verificarsi degli AEs. Nei RCTs è noto come i farmaci che producono più AEs causino maggiori effetti collaterali anche nei gruppi placebo e di conseguenza maggiori tassi di abbandono. Gli AEs studiati nei gruppi che ricevono il placebo, attraverso somministrazione di soluzione salina, vengono descritti in termini di risposta nocebo, comune nella pratica clinica. Il motivo per cui questi AEs si verificano non è chiaro e la comprensione dei meccanismi sottostanti è una sfida continua.
I sintomi riscontrati nei gruppi placebo possono essere dovuti ad aspettative negative e causare rischi sulla salute fisica e mentale associati all'effetto del nocebo, come evidenziato da un recente studio in ambito neuroscientifico dei Professori Fabrizio Benedetti e Martina Amanzio. Tuttavia, nessuno studio aveva, sino ad ora, indagato la natura degli AEs relativamente ai vaccini contro il SARS-CoV-2 e la misura in cui questi siano attribuibili all'effetto del nocebo. Con questo obiettivo, la Prof.ssa Amanzio e altri ricercatori hanno analizzato le reazioni avverse 'sollecitate', riferite a un elenco di sintomi che i partecipanti hanno segnalato utilizzando diari elettronici - entro sette giorni dall'inoculazione del placebo o del vaccino. Inoltre, sono stati valutati gli AEs 'non sollecitati' (riportati spontaneamente entro 28 giorni dopo l'iniezione), in termini di sintomi gravi (Serious Adverse Events, SAEs) in tutti i gruppi dei tre studi selezionati".
I risultati hanno evidenziato un profilo degli AEs sollecitati nei bracci placebo paragonabili a quelli del vaccino, anche se la percentuale era più elevata nei gruppi attivi. Gli AEs sollecitati e più frequentemente riportati sono stati: affaticamento, mal di testa, dolore locale come reazione al sito di iniezione, e mialgia/dolore muscolare. In particolare, rispetto alle prime dosi, la fatica è stata riportata dal 21-29% nei gruppi placebo e dal 37-42% nei gruppi farmaco attivo; il mal di testa dal 24-27% e 33-39% nei gruppi placebo e farmaco attivo rispettivamente; e i dolori muscolari dal 10-14% nei gruppi placebo e dal 18-33% nei gruppi farmaco attivo. Anche le reazioni al sito di iniezione erano comuni: 12-17% nel placebo e 48-84% dopo la vaccinazione attiva. Gli AEs di affaticamento, mal di testa e dolore sono più comuni nella popolazione più giovane e per le prime dosi dei vaccini a mRNA (sia nei gruppi placebo sia per il farmaco attivo).
Altri eventi avversi, presenti in entrambi i gruppi (placebo e attivo), sono stati riportati meno frequentemente. In generale, i soggetti più giovani erano più propensi a segnalare eventi avversi. I SAEs sono stati definiti in linea con il tasso di occorrenza atteso nella popolazione generale e non correlati alla vaccinazione. "Nonostante ci sia un'incidenza maggiore di AEs nei gruppi vaccino- spiega l'Ateneo di Torino- rispetto ai gruppi trattati con placebo è evidente che la maggior parte di questi effetti collaterali non sono dovuti al vaccino di per sé ma possono essere attribuiti all'effetto del nocebo".
I risultati suggeriscono che una proporzione sostanziale di AEs sollecitati non sono un risultato del vaccino di per sé, ma sono dovuti all'effetto del nocebo. Negli studi sui nuovi vaccini, una maggiore consapevolezza della risposta nocebo, nei gruppi placebo, può portare a una maggiore partecipazione all'immunizzazione e a una maggiore protezione dall'infezione da SARS-CoV-2, limitando la paura e l'ansia per la sicurezza di questi nuovi farmaci. La pubblicazione è accompagnata da un prestigioso 'Commentary' del Prof. Peter Sever del National Heart and Lung Institute - dell'Imperial College di Londra.
"Evidenziare tempestivamente l'importanza della risposta nocebo associata all'attuale vaccinazione contro SARS-CoV-2 è molto importante -afferma la Professoressa Martina Amanzio. - In molti Paesi in cui il vaccino è stato reso disponibile c'è infatti una minoranza significativa che rifiuta di essere sottoposta a immunizzazione. La maggior parte di questi soggetti è scarsamente informata sulla sicurezza del vaccino, sulla sua capacità di proteggere dall'infezione grave da SARS-CoV-2 e sull'importanza del raggiungimento dell'immunità di gruppo. La nostra pubblicazione aggiunge un'importante informazione sulle reazioni avverse al vaccino. Sarebbe auspicabile che i medici utilizzassero queste conoscenze per rendere consapevoli i loro pazienti sulla necessità di aderire alla vaccinazione contro il Covid-19".
Ivy-Rose è una delle più piccole vittime del covid-19 in Gran Bretagna. Come riporta il Guardian, la neonata è nata prematura a 26 settimane di gestazione e positiva al coronavirus.
L'infezione era stata contratta dalla madre, durante la gravidanza. La donna non si era vaccinata per paura degli effetti del vaccino sul nascituro, mentre il compagno ha contratto il coronavirus nonostante avesse completato l'iter vaccinale.
Il Royal College of Midwives raccomanda alle donne incinte di vaccinarsi. Il Sistema sanitario nazionale consiglia per le donne in gravidanza l'uso del vaccino Pfizer o Moderna.
Aumentano, in valore assoluto, i medici che si sono vaccinati dopo essere stati sospesi: sono stati, sinora, 522 su 2178 sospesi ai sensi del DL 44, quasi uno su quattro. Attualmente restano sospesi per non aver ancora adempiuto all’obbligo vaccinale 1656 tra medici e odontoiatri.
A comunicarlo, la Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, che riceve via via il flusso di dati dagli Ordini provinciali. Sono 78, due in più rispetto alla settimana scorsa, su 106, gli Ordini che hanno notificato alla Federazione almeno una sospensione. Agli albi dei medici e degli odontoiatri sono iscritti, in Italia, 468000 professionisti.
“La notifica della sospensione comunicata dalla Asl al sanitario e all’Ordine, per la sospensione dall’Albo, si è dimostrata un pungolo efficace per indurre alla vaccinazione i colleghi che, per un motivo o per l’altro, non avevano ancora adempiuto all’obbligo – spiega il Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli -. Per questo è importante che non si interrompa il flusso, e che tutte le Asl comunichino al più presto agli Ordini i nominativi dei medici non ancora vaccinati. E ciò, sia per evitare che, come sta ancora accadendo almeno in 28 province, i sanitari continuino a operare a contatto con i pazienti; sia per poter convincere a effettuarla i colleghi che, per varie motivazioni, hanno rimandato la vaccinazione. Ricordiamo ancora una volta che, vaccinarsi, per un medico, non è solo un diritto, per proteggersi dall’aumentato rischio di contrarre il Covid, ma anche un dovere etico e deontologico. Con una doppia valenza: quella di abbattere le possibilità di diventare veicolo di contagio per i suoi assistiti, soprattutto per i più fragili, e quella di dare il buon esempio”.
“Allo stesso modo, fondamentale è il ruolo dei medici, soprattutto di medicina generale, nell’informare i cittadini sull’utilità della vaccinazione, e nel rispondere ai loro dubbi e domande – conclude Anelli -. L’ 83,67 % degli over 12 ha completato il ciclo vaccinale, e il 37,43 % degli aventi diritto ha ricevuto la dose booster. Siamo in dirittura d’arrivo, non fermiamoci ora: tutti i cittadini hanno diritto a scegliere consapevolmente, con l’aiuto del medico. Il vaccino ci salva la vita: il medico ha il dovere di mettere a disposizione le sue conoscenze e competenze perché ogni cittadino riceva la miglior prevenzione e la miglior assistenza possibili”.