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L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni. Le donne decedute sono 60.201 (43,6%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di circa 40 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione.
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Dei deceduti positivi a SARS-CoV-2 in Italia, il 23,8% risulta essere stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 58,5% è stato ricoverato in ospedale ma non in terapia intensiva ed il 17,7% non era ricoverato in ospedale. La proporzione di deceduti di età > 80 anni ricoverata in terapia intensiva è molto inferiore rispetto a quella della popolazione di età < 80 anni. Nella popolazione di deceduti con età < 80 anni, il 44,0% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 42,3% è stato ricoverato in ospedale ma non in terapia intensiva ed il 13,7% non risulta essere ricoverato né in terapia intensiva, né in altro reparto ospedaliero. Di contro, nella popolazione di età ≥ 80 anni, l’8,2% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 71,1% è stato ricoverato in ospedale ma non in terapia intensiva ed il 20,7% non risulta essere ricoverato né in terapia intensiva, né in altro reparto ospedaliero.
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I dati presentati sono stati ottenuti da 8.436 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche. Le cartelle cliniche sono inviate all’ISS dagli ospedali secondo tempistiche diverse, compatibilmente con le priorità delle attività svolte negli ospedali stessi. La tabella 1 del rapporto presenta le più comuni patologie croniche preesistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione) in un campione di pazienti deceduti (si ricorda che la presenza di patologie preesistenti è un fattore di rischio riconosciuto). Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,7. Complessivamente, 246 pazienti (2,9% del campione) non presentavano patologie, 955 (11,3%) presentavano 1 patologia, 1.512 (17,9%) presentavano 2 patologie e 5.723 (67,8%) presentavano 3 o più patologie preesistenti.
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Nei pazienti deceduti trasferiti in terapia intensiva il numero medio di patologie osservate è di 3,0. Nelle persone che non sono state ricoverate in terapia intensiva il numero medio di patologie osservate è di 3,9. Rispetto ai deceduti ‘non vaccinati’, sia quelli con ‘ciclo incompleto di vaccinazione’ che i decessi con ‘ciclo completo di vaccinazione’ (N.B. non sono presi in considerazione pazienti con ‘booster’) avevano un’età media notevolmente superiore (rispettivamente 82,6 e 84,7 vs 78,6). Anche il numero medio di patologie osservate è significativamente più alto nei gruppi di vaccinati con ‘ciclo incompleto di vaccinazione’ e ‘ciclo completo di vaccinazione’ rispetto ai ‘non vaccinati’ (rispettivamente 5,0 e 4,9 vs 3,9 patologie preesistenti)
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A seguito delle centinaia di migliaia di casi di Covid che hanno interessato i bambini e gli adolescenti nelle ultime settimane, anche per la diffusione della variante Omicron, la Società italiana di pediatria (Sip), attraverso il tavolo tecnico Malattie infettive e vaccinazioni, ha sintetizzato in un decalogo le corrette modalità di gestione del bambino e dell'adolescente Covid positivo a casa.
Si tratta di dieci regole pratiche "per aiutare i genitori a tenere lontane le ansie inutili, ma anche per evitare i rischi del 'fai da te' e la somministrazione impropria di antibiotici antinfiammatori, ricordando sempre per ogni dubbio di far riferimento al proprio pediatra/medico di fiducia", spiegano gli esperti. Nel dettaglio: 1. Nei casi asintomatici di infezione da Sars-CoV-2 non è indicata alcuna terapia e nella maggioranza dei casi in età pediatrica e adolescenziale è raccomandata la sola terapia sintomatica con paracetamolo o, se il bambino non è disidratato, con ibuprofene. 2. In caso di sintomi respiratori che richiedono terapia inalatoria con broncodilatatori e/o cortisonici, è da preferire il distanziatore all'apparecchio per aerosolterapia per ridurre la diffusione di particelle virali nell'aria. 3. In caso di diarrea o vomito, va assicurata una corretta idratazione con soluzioni reidratanti orali. Non è dimostrata l'utilità della somministrazione di specifici preparati vitaminici. 4. Non è indicata la terapia antibiotica se non in presenza di una verosimile complicanza batterica. In particolare, non è indicato l'uso a scopo terapeutico dell'azitromicina.
5. Evitare di portare in Pronto Soccorso pazienti pediatrici con sintomi lievi suggestivi di Covid o senza sintomi per il solo fatto di aver avuto contatti con positivi. Invece, in presenza di difficoltà respiratoria, dolore toracico persistente, cianosi, alterazione dello stato di coscienza e oliguria (diminuzione dell'escrezione di urina) non ritardare l'accesso al Pronto Soccorso. 6. Il ricovero è raccomandato in caso di malattia da moderata a grave, nel lattante febbrile di età inferiore ai 3 mesi e in caso di difficoltà di gestione del bambino da parte della famiglia. 7. L'esecuzione di esami radiologici (radiografia, ecografia o TC) va considerata solo nei bambini e negli adolescenti con sintomi moderati-gravi. 8. Solo nei bambini ricoverati con condizioni cliniche moderate-gravi, con polmonite e progressione nel deterioramento della funzionalità respiratoria, sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) o condizioni cliniche che rientrano nella diagnosi della MIS-C, alla terapia di supporto va considerata l'aggiunta di una terapia immunomodulante (con corticosteroidi e immunoglobuline), farmaci biologici e di una profilassi antitrombotica con eparina.
9. Quarantena e tracciamento dei contatti stretti con la loro sorveglianza sono fondamentali per interrompere la catena di trasmissione del virus. 10. La vaccinazione contro il Covid è raccomandata in tutti i bambini e gli adolescenti a partire dai 5 anni di età. Negli adolescenti dai 12 anni di età, oltre al ciclo vaccinale primario con due dosi, è raccomandata una dose di richiamo a distanza di 4 mesi dalla 2° dose.
"I salivari molecolari sono sovrapponibili, per sensibilità ed espressività, al naso-faringeo molecolare. Anzi, soprattutto con la variante Omicron, la capacità dei salivari è ancora più significativa: nella saliva il virus è rintracciabile almeno due giorni prima rispetto al prelievo, che avviene nella cavità nasale con il molecolare classico.
É un po' una sconfitta vedere genitori con bambini piccoli in fila in un drive-in, dopo due anni di pandemia, pur avendo questo strumento diagnostico. che può essere fatto in casa e processato nei laboratori". Risponde così all'agenzia Dire, il professore Gian Vincenzo Zuccotti, direttore della clinica pediatrica dell'ospedale dei Bambini V. Buzzi di Milano, e ricercatore alla Statale di Milano, dove si è occupato di elaborare i tamponi salivari molecolari, attualmente in uso solo in Lombardia e Piemonte.
"Abbiamo avuto campioni raccolti in una scuola in cui i salivari si sono dimostrati migliori: nel campione salivare si è infatti intercettato il virus, mentre nel molecolare classico il responso non era leggibile, ovvero la carica virale era ancora, evidentemente, non rintracciabile", spiega Zuccotti. Il vantaggio di questi test, salivari, è che "possono essere eseguiti in qualsiasi laboratorio che si occupa di molecolari. Oggi, a meno che non si vuole farlo per tutta la popolazione, credo sia opportuno che si usino in ambito pediatrico. Mi piacerebbe vedere ridotte tutte quelle code che si formano nei drive-in e negli ospedali, grazie a questo tipo di tamponi; basta una ricetta rossa, ovvero la prescrizione del medico o pediatra",- prosegue il primario, che dalla finestra della clinica in cui lavora osserva le file in attesa di un tampone molecolare.
In queste ore, in cui si cercano tamponi di ultima generazione per avere una migliore cognizione del proprio stato di positività, o anche di negatività, i salivari molecolari potrebbero dare una mano? "Sono test che si possono eseguire in casa e questo aiuterebbe a normalizzare il flusso di persone, oltre a ridurre il personale medico-sanitario impegnato a fare i test", risponde Zuccotti. "Dopo due anni di pandemia ci sono tutte le condizioni per estenderlo alla totalità dei bambini sottoposti a sorveglianza o contatti stretti di un caso positivo, soprattutto in età scolare; non so per quale motivo questi tamponi salivari non siano estesi in tutti i territori", ammette il professore.
"Qualcuno sostiene che i tamponi fatti a casa scontino il rischio di non avere un prelievo fatto adeguatamente, ma non è così- sottolinea lo studioso- casomai vi fosse una raccolta inadeguata di saliva si può rifare. Mentre ad oggi, se si fa un antigenico e il campione non è sufficiente il test non viene ripetuto, negativo o positivo che sia; a meno che il soggetto non intenda rifarlo, a proprie spese, dopo un giorno", chiarisce Zuccotti. "Alla quarta ondata, vedere quelle file è un po' una sconfitta. Due settimane fa sul New York Times, veniva riportato che alcuni scienziati suggeriscono l'uso dei tamponi salivari anche per una gestione più snella di questa fase pandemica; inoltre la letteratura scientifica suggerisce l'uso dei salivari, così come gli articoli, gli studi e il fatto che alcuni Paesi utilizzino questi test già da tempo. Anche in Italia sono stati considerati attendibili per sensibilità e specificità al molecolare. In Regione Lombardia si usano in modo estensivo e c'è stata anche una circolare che ha ribadito questa possibilità, rendendo disponibili le strutture dove questi tamponi salivari si possono fare", spiega il direttore del Buzzi.
Ma i tamponi salivari sono da considerare come test di ultima generazione? "Sì, anche se per il test di ultima generazione si intende l'antigenico", risponde Zuccotti. "Il tampone salivare è paragonabile al classico molecolare, con la differenza che la capacità di scovare la carica virale, a livello di precocità, è migliore nella saliva, soprattutto con la variante Omicron. Il costo dei tamponi salivari non è poi maggiore del molecolare classico, e comunque si risparmia il personale sanitario e il tempo speso dalle famiglie. In alcuni casi il costo può essere anche inferiore, dipende anche dal costo di processamento del laboratorio".
Zuccotti, come ricercatore ha lavorato anche ad altri strumenti diagnostici: "Si tratta di uno strumento di screening per individuare gli anticorpi al Covid-19 nei bambini con il sistema del pungidito: utile per comprendere il livello di rischio dei piccoli al virus e anche per valutare come procedere con la vaccinazione. Al Buzzi si possono processare quantità notevoli di questi test, ma possono essere fatti in casa", spiega Zuccotti- o anche dal pediatra, senza impegno eccessivo del personale, con un costo di 2-3 euro a test.
Questo può essere fatto in tutte le Regioni italiane, perchè i pungidito non utilizzano standard differenti dai test prevalentemente in uso, quelli sierologici, che attualmente prevedono il prelievo di sangue. Il test, attualmente, è stato certificato sia per la qualità che per la quantità degli anticorpi, un'indagine che tuttavia- ricorda Zuccotti- non ci esime da una possibile reinfezione da Covid-19 e soprattutto non ci consente di definire nel tempo quando il soggetto ha contratto l'infezione, se non per un'ipotesi di scuola. Può essere comunque uno strumento utile in questa fase della pandemia e anche più in là, in autunno, alla riapertura delle scuole", conclude Zuccotti.
MSD (nota come Merck - NYSE: MRK - negli Stati Uniti e in Canada) e Ridgeback Biotherapeutics hanno annunciato, lo scorso 28 gennaio, i dati di sei studi preclinici che dimostrano che molnupiravir, l’antivirale orale contro la COVID-19 in fase di studio, è attivo in vitro contro la variante Omicron del SARS-CoV-2 (B1.1.529).
“Queste scoperte da vari studi indipendenti in vitro – afferma Dean Y. Li, Presidente Merck Research Laboratories – hanno dimostrato che molnupiravir ha un’attività virale contro Omicron, la variante prevalente che sta circolando a livello globale e forniscono ulteriore evidenza del potenziale di molnupiravir come importante opzione terapeutica per adulti con COVID-19 lieve-moderata che sono ad alto rischio di progressione severa della malattia”.
“Siamo grati a questi ricercatori – prosegue Dean Y. Li – per queste importanti evidenze e a tutti i nostri colleghi che stanno lavorando con le autorità regolatorie globali per assicurare che molnupiravir sia ampiamente e tempestivamente accessibile ai pazienti appropriati”.
Gli studi in vitro sono stati condotti in modo indipendente da ricercatori di istituzioni, che risiedono in 6 Paesi tra i quali Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Polonia, Olanda e Stati Uniti.
Gli studi sono stati condotti su colture cellulari ben consolidate per valutare l’attività antivirale di molnupiravir e altri agenti antivirali contro la COVID-19 verso le varianti di SARS-COV-2 incluso Omicron. Molnupiravir deve essere ancora studiato contro Omicron negli studi clinici.
“Sulla base del suo meccanismo d’azione – dichiara Wendy Holman, Chief Executive Officer, Ridgeback Biotherapeutics – e a seguito di queste nuove evidenze che dimostrano l’attività in vitro su molteplici varianti, inclusa Omicron, prevediamo che molnupiravir continui ad essere attivo contro le varianti più preoccupanti e rappresenti un importante strumento nella lotta contro la COVID-19. Siamo grati per gli sforzi dei ricercatori e auspichiamo di continuare il nostro lavoro per contribuire a contrastare la pandemia”.
MSD sta sviluppando molnupiravir in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics; è stato già autorizzato all’uso in più di 10 Paesi tra i quali Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.
"Il personale sanitario non ce la fa più, ormai da un anno, e non vede ristori possibili: qualunque iniziativa presa non va nell'ottica di salvare gli ospedali, ma di salvare, seppur comprensibilmente, l'economia e scontentare il minor numero di persone possibile.
Sugli ospedali si arriva sempre in ritardo e non si risolve il problema della carenza di specialisti. Gli ospedali non sono al centro delle misure che vengono assunte. E le attività non Covid restano penalizzate. Chiunque è stato negli ospedali soprattutto nel periodo delle festività natalizie, si è reso conto dell'enorme emergenza. Eravamo pochi e con molto lavoro, e con più posti letto occupati".
È lo sfogo di Ester Pasetti, dirigente medica, psichiatra dell'Ausl di Piacenza e segretaria del sindacato di medici e dirigenti sanitari Anaao Emilia-Romagna. Sul possibile superamento delle zone a colori e sul dibattito che distingue tra pazienti ricoverati per Covid e con Covid, "che addirittura graverebbe ancor di più sul nostro lavoro", osserva Pasetti intervistata dal programma "Aria Pulita": "In tutti gli ospedali anche dell'Emilia-Romagna, man mano che l'epidemia avanza, aumentano i posti letto Covid- nota la medica sindacalista- sottraendoli ad altre attività. Si blocca l'attività chirurgica dilazionabile e si tolgono posti ad alcune patologie, proprio per garantire un numero sufficientemente elevato di posti Covid che possa far abbassare il famoso indice il quale poi porta alle zone gialle, rosse o arancioni".
Sul tema dei ricoveri per o con Covid, "è chiaro- continua Pasetti- che una persona che viene ospedalizzata a causa del Covid ha una patologia connessa strettamente al virus e quindi va conteggiata. Per quanto riguarda invece una persona che si rompe una gamba e solo casualmente viene individuata come positiva, comunque occupa un posto letto. E comunque crea una situazione di disagio enorme- puntualizza la segretaria regionale Anaao- perché nella maggior parte dei nostri ospedali, non essendo dedicati esclusivamente al Covid, ogni reparto dev'essere attrezzato per avere aree Covid e aree non Covid. Questo in realtà porta a un lavoro ancora più complesso da parte nostra, più faticoso". Non ha senso quindi fare calcoli diversi, "se lo si fa per dire che negli ospedali c'è minore pressione: ha senso da un punto di vista scientifico, perché è chiaro che cambia sapere se una persona è entrata per una polmonite Covid o per una frattura. Ma come pressione sugli ospedali non cambia niente- conferma Pasetti- anzi...".
E intervenire, nel campo dei colori, solo per la zona rossa? "Il rosso di un anno fa era molto diverso da quello di oggi. I vaccini hanno portato ad un miglioramento, dal punto di vista dell'infezione, e quindi tutti ci aspettiamo una maggiore libertà di movimento. Credo che, oltre ai colori, dovremmo considerare la tempestività- evidenzia la dirigente sanitaria- con cui questi colori vengono adottati. Decidere di passare a colori più restrittivi, nel momento in cui il virus è già dilagato, ci lascia piuttosto malcontenti, dal punto di vista della protezione degli ospedali. Bisogna mantenere tutti e tre i colori. Ma soprattutto, la cosa che in Italia non si è mai fatta, dall'inizio della pandemia, è stato intervenire con tempestività. Questo avrebbe salvato vite, e avrebbe ridotto la pressione sugli ospedali. Su questo, continuiamo a fallire".
"La variante Omicron potrebbe proteggerci anche rispetto ad altre varianti, che potrebbero svilupparsi". Lo ha sottolineato il direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani (inmi) di Roma, Francesco Vaia, spiegando che "dai primi risultati che stiamo vedendo da uno studio dello Spallanzani, dove abbiamo messo sotto osservazione i contagiati da Omicron, che avevano fatto la terza dose per verificare l’immunità, aver avuto Omicron dopo la terza dose sembrerebbe essere molto protettivo rispetto a chi ad esempio si è infettato con Alfa e Delta".
Tuttavia “l’aggiornamento del vaccino verso nuove varianti, oggi Omicron, è l’obiettivo", ha detto ospite del liceo romano Mamiani per un dibattito con il giornalista Corrado Formigli e gli studenti. Incontro in streaming perché il liceo romano ha le classi in Dad da oggi.
Secondo Vaia "serve oggi una semplificazione totale delle misure. Basta con il 'tamponificio', se sono a casa positivo e asintomatico dopo 5 giorni posso uscire senza fare il tampone. Oggi la mascherina all’aperto non ha nessun senso, serve il buon senso anche in questo se ci sono situazioni di assembramento va tenuta, altrimenti no". “Chi aveva detto che febbraio sarebbe stato un disastro per colpa delle scuole aperte ha causato un danno, non è stato così”, ha precisato riferendosi ad alcuni esperti catastrofisti sul post gennaio.
Per le scuola, ha quindi ribadito Vaia, "pensare di cambiare continuamente l'aria aprendo le finestre mi sembra assurdo", come far tenere "sempre la mascherina agli studenti in classe. In un Paese moderno serve un maggiore impegno. Abbiamo verificato che la ventilazione meccanica in aula è tre volte più efficace della mascherina Ffp2, ho chiesto da tempo un intervento del Governo e lo continuo a fare: serve un piano Marshall per le scuole per renderle sicure con gli impianti di ventilazione".
Vaia ha quindi chiesto ai ragazzi di "continuare a vivere questa emergenza - che per tanti versi ha pesato molto più sui giovani - come una opportunità. Siamo alla coda della pandemia e i ragazzi non devono avere paura rispetto alle cose che avvengono, c’è sempre la possibilità di superare i problemi. Il Covid ha disvelato alcune incapacità del sistema ma, come abbiamo visto nei giorni passati, serve anche costruire una classe dirigente migliore e se fossi giovane avrei questo come traguardo”.
Le autorità cantonali mettono da subito a disposizione una procedura di autoregistrazione, che consente alle persone che sono risultate positive al test prima del 22 gennaio 2022, di richiedere la documentazione relativa al loro isolamento e alla quarantena dei propri contatti.
Questa procedura semplificata aiuterà a evadere le richieste ancora pendenti. Inoltre, il servizio di tracciamento dei contatti («contact tracing») è stato ulteriormente potenziato, e attualmente è in grado di trattare fino a 1’800 casi al giorno.
L’arrivo in Ticino della «variante Omicron» del coronavirus ha causato un rapidissimo aumento dei contagi, passati da una media quotidiana di 200 a oltre 1’500, con picchi superiori a duemila. Il numero elevatissimo di isolamenti e quarantene ha messo sotto pressione il servizio cantonale di tracciamento dei contatti («contact tracing»), che ha accumulato diverse migliaia di casi ancora inevasi.
Per fare fronte alla situazione, il Cantone ha potenziato a più riprese il servizio di «contact tracing» e introdotto anche una modalità diversa di gestione dei casi. Il servizio è attualmente in grado di gestire fino a 1’800 casi al giorno. Per mantenere la tempestività del tracciamento anche in questa fase, a partire dal 24 gennaio 2022 si è tornati a trattare prioritariamente i nuovi casi giornalieri.
Per evadere le richieste non ancora trattate, viene d’altro canto ora messa a disposizione una procedura di autoregistrazione, che consente alle persone risultate positive al test prima del 22 gennaio 2022 e che non sono ancora state contattate, di fare richiesta per ricevere la documentazione relativa all’isolamento e per la quarantena dei propri contatti. La procedura permetterà di evadere la richiesta in tempi più rapidi senza la necessità di un contatto telefonico. Il formulario elettronico con la procedura di autoregistrazione è pubblicato sul sito web del Cantone, all’indirizzo www.ti.ch/tracciamento.
Le richieste verranno poi verificate dalle collaboratrici e dai collaboratori del servizio di tracciamento in ordine di entrata. Sono quindi da prevedere dei tempi di attesa tra l’inoltro della richiesta e la ricezione della documentazione che avverrà in forma elettronica o cartacea.
Le persone che sono risultate positive dopo il 22 gennaio 2022 sono state o verranno contattate telefonicamente dal Servizio di tracciamento dei contatti come di consueto. Nel caso in cui una persona dovesse risultare irraggiungibile dal servizio, riceverà un SMS di informazione con le istruzioni per prendere contatto con le autorità cantonali. In alcuni casi, il recapito telefonico ricevuto dalle autorità cantonali risulta essere incorretto. Le persone che non dovessero essere contattate dopo alcuni giorni dal risultato positivo al test, sono invitate a contattare le autorità cantonali.
Si ricorda, infine, che le persone che ricevono il risultato positivo di un test devono seguire un isolamento di almeno 5 giorni. Le persone che vivono nella stessa economia domestica e i contatti intimi devono a loro volta rispettare un periodo di quarantena, anch’esso della durata di 5 giorni. Fanno eccezione all’obbligo di quarantena, ma ovviamente non di isolamento, le persone vaccinate o guarite da meno di quattro mesi.
La popolazione è invitata a dimostrarsi rigorosa nel rispetto delle regole, e a non attendere – in caso di test positivo – di essere contattata personalmente dalle autorità, provvedendo in autonomia ad isolarsi e ad avvertire i propri contatti in merito alla quarantena. Tutte le istruzioni su isolamenti e quarantene possono essere consultate sul sito web del Cantone, all’indirizzo www.ti.ch/isolamento-quarantena.
Green pass Italia e obbligo vaccinale, cosa cambia dall'1 febbraio? Il certificato verde sarà richiesto anche a chi accedere ai pubblici uffici, servizi postali, bancari e dal tabaccaio. E sempre da martedì prossimo scatta l'obbligo vaccinale per gli over 50 residenti in Italia. L'obbligo in vigore fino al 15 giugno prossimo. limiti di età, invece, l'obbligo vaccinale è esteso al personale universitario, così equiparato a quello scolastico.
Obbligo vaccinale e sanzionatorio
Per tutti coloro che non saranno in regola con l'obbligo vaccinale, sarà prevista una sanzione di 100 euro una tantum. La sanzione sarà irrogata dall'Agenzia delle Entrate, attraverso l'incrocio dei dati della popolazione residente con quelli risultanti nelle anagrafi vaccinali regionali o provinciali.
Obbligo Green pass e sanzioni
Per le persone che accederanno senza Green pass ai servizi e alle attività in cui è obbligatorio, è prevista una sanzione da 400 a 1.000 euro. La stessa sanzione si applica al soggetto tenuto a controllare il possesso del Green pass se omette il controllo.
Pass verde e durata
Dall'1 febbraio 2022 durata del Green pass vaccinale e del Green pass da guarigione post vaccinazione sarà ulteriormente ridotta da 9 a 6 mesi. Il 15 dicembre 2021 infatti la durata del certificato verde era già stata ridotta da 12 a nove mesi.
Pass verde illimitato? Per chi
La durata del Green pass potrebbe essere allungata per chi ha completato il ciclo vaccinale con la terza dose (o booster). Ma ogni valutazione sui tempi, 9 mesi, 1 anno o anche oltre, necessita di una valutazione scientifica prima di un decreto che intervenga a modificare l'attuale durata.
Omicron 2 sbarca in Italia, dove è presente in 9 Regioni ed è pari all'1% delle sequenze classificate come Omicron. Lo evidenzia l’indagine rapida condotta dall'Iss e dal ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler.
In particolare la sottovariante di Omicron Ba.2, è stata segnalata in Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia e Toscana. "E' di un certo interesse il fatto che in questa indagine siano state rilevate 21 sequenze riconducibili al lignaggio BA.2, che è causa di più del 50% di infezioni da Sars-CoV-2 in alcuni Paesi Europei tra i quali, in particolare, la Danimarca", conclude l'Iss.
"La variante Omicron è ormai largamente predominante nel nostro Paese, si rileva in più del 95% dei casi, e in alcuni casi è stata anche rilevata la presenza della variante Omicron 2 che però non differisce molto nelle caratteristiche rispetto a Omicron 1", ha detto il direttore della Programmazione sanitaria del ministero della Salute, Gianni Rezza.
La variante BA.2 appartiene allo stesso ceppo di Omicron, ma si distingue dalla 'sorella maggiore' per alcune mutazioni della proteina Spike. Secondo Seppo Meri, insegnante di Immunologia all'università di Helsinki, "le varianti di Omicron si diffondono più velocemente, perché sembrano essere migliori nello sfuggire all'immunità indotta dal vaccino (e in parte anche dalle infezioni). E questo perché le varianti di Omicron hanno molte più mutazioni nella proteina S", la Spike del virus, "rispetto alle varianti precedenti. A questo proposito le differenze tra BA.1 e BA.2 non sono così grandi, sebbene ci siano alcuni cambiamenti di amminoacidi nella proteina S. La maggiore differenza tra BA.1 e BA.2 è stata riportata nel gene ORF1ab. Cosa significhi, è ancora una questione aperta. Il grande complesso proteico codificato da ORF1ab è coinvolto nella replicazione del virus e nell'elaborazione proteolitica delle proteine virali". Quanto alla sintomatologia legata a Omicron, "BA.1 sembra causare una malattia leggermente meno grave rispetto alla variante Delta, il che è un segno positivo", riflette l'esperto.
Dal primo febbraio scatta l'obbligo vaccinale per gli over 50 e partiranno anche le sanzioni per coloro che non hanno rispettato la norma. Le sanzioni verranno recapitate direttamente ai cittadini da AdEr, l'Agenzia delle entrate per la riscossione, l' ente pubblico autonomo collegato all'Agenzia delle entrate, che però svolge le funzioni esattoriali di quella che un tempo era Equitalia.
Sarà pari a 100 euro l'importo della sanzione di cui si occuperà AdEr, che svolgerà a tutti gli effetti un ruolo di postino: i dati anagrafici e l'indirizzo di residenza del cittadino da sanzionare, verranno infatti forniti all'ente dal ministero della Salute, che a sua volta avrà i nominativi dalla Sogei, società informatica partner del Mef la quale, attraverso le tessere sanitarie, è in grado di determinare i cittadini senza vaccino ed incrociare questi dati con i codici fiscali. Vediamo nel dettaglio come funziona. Secondo il decreto numero 1 del 7 gennaio 2022, che norma l'estensione dell'obbligo vaccinale, l'AdEr invierà dapprima una segnalazione al cittadino ancora inadempiente a partire dal primo febbraio, il cittadino avrà però 10 giorni di tempo per comunicare all'Azienda sanitaria locale competente territorialmente che ha, eventualmente, provveduto alla vaccinazione ma il dato non è ancora aggiornato, oppure che gode di un'esenzione, come previsto dalla circolare del ministero della Salute. Successivamente l'Asl ha 10 giorni per trasmettere al ministero della Salute, e quindi a Sogei, i certificati di esenzioni e, qualora non vi siano motivi ostativi alla vaccinazione, la sanzione viene emessa entro 180 giorni dall'AdER. A quel punto, il cittadino ha 60 giorni per pagarla e 30 giorni per ricorrere al giudice di pace. Come si apprende da fonti autorevoli, anche se il decreto che regolamenta l'obbligo attende ancora la conversione in Parlamento, per cui qualcosa può ancora essere modificata, qualora il cittadino non provveda al pagamento la sanzione andrà a far cumulo su altri pagamenti inevasi, contribuendo eventualmente all'emissione di cartelle esattoriali.
Il meccanismo di emissione della sanzione e di accertamento della violazione implica diversi passaggi e diversi soggetti, se i tempi fossero rispettati, il cittadino si troverebbe a dover pagare la sanzione entro circa 30-60 giorni dalla notifica di sanzione. Tuttavia l'ente che si occuperà della riscossione ha 180 giorni per inviare la notifica di pagamento, a cui possono sommarsi altri 60 o 30 giorni per il pagamento o il ricorso al giudice di pace. Se fossero pienamente impiegati, questi giorni supererebbero la durata dell'obbligo vaccinale previsto dalla legge n.1 del 7 febbraio 2022, con buona pace del cittadino che eviterebbe di pagare la sanzione e, possibilmente, anche di fare ricorso al giudice. L'obbligo infatti è in vigore dal primo febbraio fino al 15 giugno 2022. É possibile che il governo estenda i tempi di questo obbligo, ma fino a che questo non accade, l'inadempiente all'obbligo vaccinale, per chi ha almeno 50 anni, potrebbe scommettere sui tempi dilatati e farla franca.
"Una donna in gravidanza su sei partorisce con il Covid". Lo afferma Fiaso, la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, fatta attraverso il network degli ospedali sentinella che monitorano l'andamento della curva pandemica.
I dati relativi alle donne incinte ricoperte nelle aree Covid dei reparti di Ginecologia e Ostetricia sono stati 12 ospedali aderenti alla rete sentinella. "Su un totale di 404 parti eseguiti nelle 12 strutture sanitarie nella settimana dal 18 al 25 gennaio, 65 sono avvenuti in area Covid. Complessivamente, dunque, il 16% delle gravide ha contratto l'infezione da Sars-Cov-2 e ha partorito con il Covid", evidenzia il report.
" La presenza di pazienti gravide positive pone un problema dal punto di vista gestionale: a differenza di tante altre condizioni di positività che possono essere gestite in parti multidisciplinari, una parte positiva al Covid va ricoverata nei reparti di Ostetricia e questo impone la duplicazione dei percorsi per l'assistenza di pazienti negativi e positivi, che devono essere separati, con il conseguente raddoppio delle risorse necessarie - osserva Giovanni Migliore, presidente Fiaso - È un impegno importante e ulteriori per le aziende sanitarie e ospedaliere che da due anni sono in prima linea nell 'emergenza. Occorre rivolgere ancora una volta un appello alla vaccinazione a tutte le donne incinte che ancora non hanno aderito alla campagna”.
Quasi 1 donna su 2 (47%) in attesa e in procinto di partorire " non aveva ancora fatto la profilassi vaccinale contro il virus Sars-Cov-2, nonostante sia raccomandato dal ministero della Salute e dalle società scientifiche dei ginecologi e dei pediatri", emerge ancora dal report. "Tra le donne risultate positive al momento del parto, il 60% non era vaccinato e il 5% aveva sviluppato sintomi respiratori e polmonari tipici della malattia da Covid. Un solo neonato, figlio di una non vaccinata, ha contratto l'infezione", prosegue.
"Una donna incinta su due non è vaccinata e il rischio, con l'ampia circolazione della variante Omicron, di contrarre l'infezione da Sars-Cov-2 durante i nove mesi, nei quali la donna è più suscettibile, è altissimo e può generare complicazioni nella gravidanza, per la salute della donna prevenzione e del bambino - commento Migliore - È necessario insistere sulla necessità di vaccinarsi in gravidanza per l'infezione e minimizzare il rischio di complicanze; in questo il ruolo dei ginecologi è fondamentale per fugare le paure di una donna in attesa.
Via libera in Ue alla pillola anti-Covid di Pfizer. Il Comitato per medicinali a uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea del farmaco Ema ha raccomandato di concedere l'autorizzazione all'immissione in commercio per la pillola antivirale Paxlovid* (PF-07321332/ritonavir) nel trattamento degli adulti con infezione da Sars-CoV-2, che non necessitano di ossigeno supplementare e hanno un maggior rischio di sviluppare la malattia in forma grave. Lo comunica l'ente regolatorio in una nota.
Il questa riunione del termine Chmp. Paxlovid è il primo antivirale orale per Covid raccomandato in Ue, essendosi concluso il suo iter prima di quello ancora in corso per l' altra pillola anti-Covid, molnupiravir di Merck (Msd fuori da Usa e Canada), farmaco però già in uso in Italia. Paxlovid contiene due principi attivi - PF-07321332 e ritonavir - in due compresse diverse. PF-07321332 agisce riducendo la capacità del coronavirus Sars-CoV-2 di replicarsi mentre ritonavir prolunga l'azione di PF-073213332 di rimanere più a lungo nell'organismo a livelli che influenzano la moltiplicazione del virus.
Per approdare al verdetto di oggi, il Chmp ha valutato i dati di uno studio in cui il trattamento con Paxlovid ha ridotto si essi i ricoveri oi decessi nei pazienti Covid con almeno una patologia pre-esistente che li mette a rischio di sviluppare una forma grave. Le persone arruolate nello studio hanno ricevuto Paxlovid o un placebo entro 5 giorni dall' inizio dei sintomi Covid. Nel mese successivo al trattamento, lo 0,8% (8 su 1.039) dei trattati con Paxlovid è stato ricoverato in ospedale per più di 24 ore, rispetto al 6,3% (66 su 1.046) di coloro che hanno ricevuto il placebo. Non ci sono stati decessi nel gruppo Paxlovid, mentre ce ne sono stati 9 nel gruppo placebo. La maggior parte dei pazienti coinvolti nel processo era stata infettata dalla variante Delta. Ma "sulla base di studi di laboratorio, si prevede che Paxlovid sia attivo anche contro Omicron e altre varianti", spiega l'Ema.
Il profilo di sicurezza del farmaco è stato "favorevole e gli effetti collaterali sono stati generalmente lievi. - aggiunge l'agenzia Ue - è noto che ritonavir influenza l'azione di molti altri medicinali" e, in considerazione di questo, sono stati " inclusi consigli e avvertenze nelle informazioni sul prodotto di Paxlovid. L'azienda ha anche fornito uno strumento sul proprio sito web, a cui è possibile accedere tramite un Qr code incluso nelle informazioni sul prodotto e sulla confezione esterna". Verrà inoltre inviata "una lettera alle organizzazioni degli operatori sanitari per ricordare loro ulteriormente il problema " delle interazioni approvate con altri farmaci. Il Chmp ha dunque concluso che i benefici del medicinale per l'uso sono maggiori dei suoi rischi. Ora sono sue raccomandazioni che arriveranno alla Commissione europea per una decisione applicabile in tutti gli Stati membri dell'Ue .
FINO A 120 MLN CICLI PAXLOVID ENTRO FINE 2022
Fino a 120 milioni di cicli di trattamento anti-Covid con la pillola Paxlovid* (nirmatrelvir/ritonavir) saranno messi a disposizione investimenti entro fine 2022 a livello globale da Pfizer, grazie a continui volti a supportare la produzione e la distribuzione del farmaco.
Cosa devono controllare i genitori ogni mattina prima di portare l'alunno a scuola? Cosa deve fare una famiglia in caso l'alunno venga allontanato da scuola per sintomi sospetti Covid? Come mi devo comportare se sviluppo sintomi riconducibili al Covid?
E cosa devo fare se ho avuto un contatto stretto con un positivo, sono asintomatico e sono guarito dal Covid-19 da meno di 120 giorni? Sono solo alcune delle domande più frequenti che in questi giorni -in cui il picco pandemico è particolarmente elevato e il numero di contagi da Sars-Cov2 è in aumento - cittadini, genitori, studenti e studentesse si pongono in merito alla situazione che stanno vivendo quotidianamente.
Per questa ragione, il Servizio di igiene e sanità pubblica della Asl di Cagliari ha diffuso, sul sito aziendale e con comunicazione ai sindaci del territorio, alle organizzazioni sindacali e agli Ordini dei medici due vademecum con le nuove regole da seguire per chi risulta positivo, o per chi ha un contatto e risulta asintomatico, anche sulla base delle dosi di vaccino già effettuate, da chi ha il booster a chi non ha nemmeno una dose di vaccino.
Ecco quindi cosa fare e come ci si deve comportare se si è in quarantena, o in isolamento, per salvaguardare la propria salute e quella degli altri. Domande e risposte utili per capire quanto deve durare il periodo di isolamento, quando effettuare i tamponi di controllo e come ottenere il green pass da guarigione.
L’età media dei deceduti e positivi a SARS-CoV-2 in Italia è di 80 anni, la maggior parte è stata ricoverata in ospedale ma non in terapia intensiva e i deceduti vaccinati hanno un’età media più alta e più patologie preesistenti rispetto a quelli non vaccinati. Sono alcuni dei dati emersi dall’aggiornamento del report decessi, basato sui dati della Sorveglianza Integrata e su un campione di cartelle cliniche di pazienti deceduti con positività al SARS-CoV-2, appena pubblicato dall’Iss.
Ecco i risultati principali.
Dati dalla sorveglianza integrata COVID-19
Questa sezione descrive le caratteristiche di 138.099 pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 in Italia dall’inizio della sorveglianza al 10 gennaio 2022 riportati dalla Sorveglianza Integrata COVID-19 coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Dati da un campione di cartelle cliniche
I contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all'Inail dall'inizio della pandemia alla data dello scorso 31 dicembre sono 191.046, pari a un sesto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e al 3,1% del complesso dei contagiati nazionali comunicati dall'Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data.
Rispetto ai 185.633 contagi del monitoraggio di fine novembre, spiega l'Inail in una nota, i casi in più sono 5.413 (+2,9%), di cui 4.490 riferiti a dicembre, 613 a novembre e 60 a ottobre scorsi, mentre gli altri 250 casi sono per il 62,4% riferiti agli altri mesi del 2021 e il restante 37,6% al 2020. Il consolidamento dei dati, infatti, permette di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni e nei mesi precedenti.
Come rilevato dal 23esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale (Csa) dell'Inail, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, nel 2021 i casi di contagio denunciati all'Istituto, benché non consolidati, sono diminuiti del 71,3% rispetto all'anno precedente, mentre il calo dei casi mortali è stato del 57,2%. Nel dettaglio, i decessi sul lavoro da nuovo Coronavirus segnalati all'Istituto dall'inizio della pandemia sono 811, pari a un quarto degli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati da gennaio 2020, con un'incidenza dello 0,6% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall'Iss alla stessa data.
Rispetto ai 797 rilevati dal monitoraggio mensile precedente, i casi mortali sono 14 in più, di cui solo uno avvenuto a dicembre e i restanti 13 riconducibili ai mesi precedenti (otto avvenuti nel 2021 e cinque nel 2020). La netta maggioranza dei decessi riguarda gli uomini (82,5%) e i lavoratori nelle fasce di età 50-64 anni (71,0%), over 64 anni (18,6%) e 35-49 anni (9,8%), mentre tra gli under 35 si registra solo lo 0,6% dei morti. I lavoratori stranieri sono il 9,6% del totale, con le comunità peruviana (15,4% dei decessi occorsi agli stranieri), albanese (11,5%) e rumena (7,7%) ai primi tre posti.
Oltre un quarto delle morti (25,8%) è avvenuto tra il personale sanitario e socio-assistenziale. A livello territoriale, più di un terzo dei casi mortali è concentrato nel Nord-Ovest (36,1%), seguito da Sud (26,1%), Centro (18,1%), Nord-Est (12,9%) e Isole (6,8%). Le province che contano più decessi da inizio pandemia sono quelle di Napoli (8,0%), Roma (7,8%), Milano (6,5%), Bergamo (6,3%), Torino (4,1%), Brescia (3,9%), Cremona e Genova (2,3% ciascuna), Bari, Caserta e Palermo (2,1% ciascuna), Parma e Salerno (2,0% ciascuna). Prendendo in considerazione tutti i contagi sul lavoro, il rapporto tra i generi si inverte.
La quota delle lavoratrici contagiate sul totale dei casi denunciati, infatti, è pari al 68,3%. La componente femminile, in particolare, supera quella maschile in tutte le regioni, a eccezione della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l'incidenza delle donne sul complesso delle infezioni di origine professionale è pari, rispettivamente, al 49,1%, al 46,1% e al 44,4%. Il dettaglio per classe di età mostra come il 42,3% del totale delle denunce riguardi la classe 50-64 anni, seguita dalle fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (19,2%) e over 64 anni (1,9%). Per la prima volta il report della Csa riporta anche il dato delle infezioni di origine professionale riconosciute e indennizzate dall'Inail dall'inizio della pandemia. Al 31 dicembre 2021, l'83% di tutte le denunce è stato riconosciuto positivamente, generando nel 96% dei casi un indennizzo.
Per i decessi, invece, la percentuale di riconoscimento si attesta provvisoriamente al 63%. Il 99% degli indennizzi sono inabilità temporanee, con le menomazioni permanenti pari allo 0,7% e le rendite a superstiti per casi mortali allo 0,3%. L'inabilità temporanea riconosciuta per ogni tipo di indennizzo ha raggiunto complessivamente quasi quattro milioni di giornate, con un numero medio di giorni di assenza dal lavoro, compresi i tre di franchigia, pari a 30. L'assenza media dal posto di lavoro di un infortunato da Covid-19 è dunque di un mese.
Gli anticorpi monoclonali funzionano anche contro la variante omicron del SARS CoV-2? E sono utili nei pazienti a basso rischio di complicanze in caso di Covid-19? E quali effetti indesiderati presentano?
A questi e ad altri interrogativi cercherà di rispondere AntiCov, uno studio di fase 3b, randomizzato, multicentrico, coordinato dalla Fondazione Policlinico Gemelli e finanziato da AIFA. Gli altri centri coinvolti in questa sperimentazione sono l'Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, l'Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata e l'Ospedale Pertini di Roma.
"Questo è uno dei quattro studi (due a Roma, con capofila Gemelli e Spallanzani, uno a Verona, uno a Modena) che AIFA ha finanziato a livello nazionale- spiega il professor Luca Richeldi, direttore della UOC di Pneumologia Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Pneumologia presso l'Università Cattolica- per cercare di dare risposte solide, basate sull'evidenza, sull'efficacia real world degli anticorpi monoclonali nel Covid-19. Il nostro studio in particolare si focalizzerà su due domande: ci sono differenze tra i vari anticorpi monoclonali in termini di efficacia e sicurezza nella popolazione ad alto rischio? Questi anticorpi sono utili anche nella popolazione a basso rischio? E nella popolazione pediatrica?
Rispetto a quando abbiamo vinto questo bando, si è aggiunta una variabile importante, quella della variante Omicron. Non ci sono al momento studi che ci dicano in modo definitivo quali anticorpi siano più efficaci o perdano efficacia nei confronti di Omicron. Abbiamo per ora solo studi in vitro che suggeriscono che solo uno di questi anticorpi mantenga la sua efficacia contro Omicron, ma non abbiamo ancora prove cliniche certe.
Questo studio ci aiuterà dunque a verificarlo. Nella popolazione a basso rischio invece che sarà randomizzata a uno dei tre trattamenti anticorpali o al cosiddetto 'standard of care' (terapia sintomatica) vogliamo verificare un'altra ipotesi: i monoclonali sono utili o no in questa popolazione? Lo studio da noi coordinato comprenderà anche una fascia pediatrica (saranno arruolati pazienti over 12) e questo è molto tempestivo perché Omicron si sta diffondendo in modo molto veloce in questa popolazione". "Diversi pazienti che giungono in pronto soccorso con il sospetto di infezione da Covid-19- afferma il professor Francesco Franceschi, direttore UOC Medicina d'Urgenza e Pronto Soccorso Fondazione Policlinico Gemelli- non hanno necessità di ricovero, ma possono essere trattati con gli anticorpi monoclonali e/o essere seguiti a domicilio.
Per questi pazienti, entrare nella nostra sperimentazione può rappresentare la giusta occasione per ottenere entrambe le suddette opportunità. Abbiamo provveduto ad affiggere dei poster informativi all'interno del 'percorso febbre' in pronto soccorso, con tutti i dettagli dello studio e il nostro personale medico è pronto a fornire tutte le informazioni necessarie ai pazienti Covid-positivi che desiderino di entrare a far parte della sperimentazione". Un'altra caratteristica peculiare è che questo studio per la prima volta vede un coinvolgimento attivo delle farmacie, che durante la pandemia sono state tra i protagonisti del Servizio Sanitario, fornendo inizialmente i test, poi i vaccini e adesso partecipando attivamente a questo studio.
I farmacisti forniranno informazioni ai cittadini sulle modalità dello studio e sulle caratteristiche necessarie per partecipare. I pazienti fanno un primo test in farmacia e, se positivi ed eleggibili allo studio, ne ripeteranno un altro al Gemelli per la genotipizzazione (cioè per individuare la variante responsabile dell'infezione), prima di essere randomizzati ad uno dei bracci dello studio. i pazienti arruolati verranno sottoposti a trattamento con un'unica infusione endovena di anticorpi monoclonali presso l'Ambulatorio monoclonali del Columbus Covid Hospital (Gemelli).
"Anche le farmacie ospedaliere nel corso della pandemia hanno giocato un ruolo chiave per l'approvvigionamento di farmaci e dispositivi- ricorda il professor Marcello Pani, direttore Farmacia Ospedaliera Fondazione Policlinico Gemelli- riuscendo da un lato a reggere le improvvise pressioni generate dall'aumento dei casi e dall'altro a garantire le idonee condizioni di conservazione, allestimento e dispensazione. Per questo studio specifico le stesse farmacie dovranno gestire gli anticorpi monoclonali già forniti in collaborazione con la Regione Lazio e l'Ente Commissariale rietichettandoli e rendendoli disponibili e riconoscibili nel rispetto delle norme che sottendono le sperimentazioni cliniche".
Infine, altro elemento caratterizzante dello studio AntiCOV, è che la verifica degli effetti della terapia verrà effettuata mediante telemonitoraggio a distanza. Una procedura questa che consente l'isolamento del paziente e che utilizza come parametro la saturazione di ossigeno nel sangue, considerato l'indice più importante di coinvolgimento del polmone e quindi di potenziale progressione della malattia. "Questo studio- conclude il professor Richeldi- è focalizzato su una delle classi di trattamento disponibili contro il Covid, gli anticorpi monoclonali; altre stanno arrivando (gli antivirali); questo ci consentirà di valutare l'efficacia di queste terapie in alcune sottopopolazioni, rispetto alla variabile 'variante' (Omicron o Delta) e soprattutto rispetto alla variabile 'vaccino'; lo studio arruolerà infatti sia pazienti vaccinati, che non vaccinati.
Ma ricordo che il vaccino rimane la base della difesa immunologica rispetto a questo virus. Gli anticorpi monoclonali vanno considerati qualcosa di diverso o in più nei vaccinati ad alto rischio (per comorbilità o altro) o nei pazienti che non hanno potuto o non hanno voluto vaccinarsi".
Secondo un nuovo studio multicentrico dell'Università di Pittsburgh, pubblicato su JAMA Pediatrics e condotto da JAMA Pediatrics, i bambini dell'Africa subsahariana, ricoverati in ospedale con COVID-19, muoiono a un tasso di gran lunga maggiore rispetto ai bambini negli Stati Uniti e in Europa.
Tra i bambini africani ricoverati in 25 ospedali con COVID-19 tra marzo e dicembre 2020, i bambini di età inferiore a 1 anno avevano un rischio di morte quasi cinque volte superiore rispetto agli adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni. Anche i bambini di tutte le età con comorbidità, tra cui ipertensione, malattie polmonari croniche, disturbi ematologici e cancro, erano a maggior rischio di morte.
"Sebbene il nostro studio abbia esaminato i dati dell'inizio della pandemia, la situazione non è cambiata molto per i bambini africani, semmai si prevede che peggiorerà con l'emergere globale della variante altamente contagiosa di Omicron- affermato l'autore principale Jean B. Nachega, professore associato di malattie infettive, microbiologia ed epidemiologia presso la Pitt's Graduate School of Public Health -I vaccini non sono ancora ampiamente disponibili e la terapia intensiva pediatrica non è facilmente accessibile".
Lo studio ha esaminato i risultati in 469 bambini di età compresa tra 3 mesi e 19 anni e che sono stati ricoverati in ospedale in uno dei sei paesi: Repubblica Democratica del Congo, Ghana, Kenya, Nigeria, Sud Africa e Uganda. Un quarto dei bambini aveva condizioni preesistenti. Diciotto avevano confermato o sospettato una sindrome infiammatoria multisistemica , una grave complicanza del COVID-19 in cui diverse parti del corpo si infiammano.
Lo studio, che ha coinvolto ricercatori in tutti e sei i paesi africani, che hanno fornito dati, ha rilevato che il 34,6% dei bambini ricoverati in ospedale era in un'unità di terapia intensiva (ICU) o ha richiesto ossigeno supplementare e il 21,2% di quelli ricoverati in terapia intensiva ha richiesto un trattamento invasivo ventilazione meccanica. Durante il periodo di tempo studiato, 39, oltre l'8%, dei bambini sono morti. Ciò si confronta con i tassi compresi tra l'1% e il 5% che sono stati segnalati nei paesi ad alto reddito .
"L'elevata morbilità e mortalità associate ai bambini ricoverati in ospedale con COVID-19 nel nostro studio sfidano la comprensione esistente di COVID-19 come malattia lieve in questa popolazione- prosegue Nachega, che è anche professore straordinario di medicina presso la Facoltà di Medicina della Stellenbosch University e Scienze della salute a Cape Town, Sud Africa- Ma se un bambino ha una comorbilità, è molto piccolo e si trova in un luogo dove ci sono medici specializzati, strutture o attrezzature per la terapia intensiva pediatrica limitate o assenti, allora quel bambino deve affrontare una possibilità molto reale di morire”.
"I nostri risultati richiedono un urgente aumento della vaccinazione COVID-19 e degli interventi terapeutici tra i bambini e gli adolescenti idonei a rischio in Africa -aggiunge- Aumentano ulteriormente l'acuta necessità di rafforzamento delle capacità e supporto per la terapia intensiva pediatrica in questi contesti".
Nachega ha notato i recenti progressi nell'aumentare la fornitura di vaccini COVID-19 in Africa, ma ha sottolineato che quei vaccini non sono ancora ampiamente disponibili e solo circa il 5% della popolazione del continente è stato completamente vaccinato.
"L'esitazione del vaccino contro il COVID-19 è un problema globale e l'Africa non fa eccezione- conclude- È imperativo che le campagne di salute pubblica, basate sull'evidenza, affrontino le preoccupazioni in modi accessibili e affidabili in modo che vi sia un'elevata diffusione del vaccino non appena è disponibile".
Ulteriori ricercatori di questo studio sono membri dell'African Forum for Research and Education in Health COVID-19 Research Collaboration on Children and Adolescents e sono elencati nell'articolo JAMA Pediatrics .
Questa ricerca è stata supportata dalla concessione 1R25TW011217-01 del National Institutes of Health Fogarty International Center .
DOI: 10.1001/jamapediatrics.2021.6436
Antonio Caperna
Uno studio recente ha esaminato la forza, la durata e l'ampiezza delle risposte anticorpali neutralizzanti generate da infezioni rivoluzionarie negli individui vaccinati contro SARS-CoV2.
I risultati sono stati pubblicati questa settimana su Cell, una delle riviste scientifiche di Cell Press. Alexandra Walls e David Veesler del Dipartimento di Biochimica dell'Università di Washington a Seattle hanno guidato il progetto.
Le caratteristiche delle varianti preoccupanti del coronavirus Delta e Omicron includono una maggiore trasmissibilità ed evasione immunitaria anche in individui non immunologicamente nuovi, rispetto al coronavirus pandemico ancestrale.
Queste caratteristiche e il declino dell'immunità dai vaccini hanno portato a renfezioni negli individui vaccinati. Per la maggior parte, le persone altrimenti sane che sono vaccinate contro il SARS-CoV-2 di solito non hanno sintomi gravi, se finiscono per contrarre il virus.
I ricercatori volevano capire quale effetto ha la cattura del virus dopo essere stati vaccinati sugli anticorpi neutralizzanti e vedere quanto siano durature e ampie queste risposte. La loro speranza è che l'avanzamento di tale conoscenza aiuterà a guidare le politiche di vaccinazione e le strategie di mitigazione della pandemia.
Attraverso il loro progetto i ricercatori hanno appreso che il grado di risposta anticorpale dipendeva dal fatto che una persona avesse avuto una, due, tre o quattro esposizioni alla proteina spike attraverso l'infezione, la vaccinazione o un mix delle due. Gli scienziati hanno anche verificato le risposte anticorpali in gruppi di individui che erano stati vaccinati dopo aver contratto il COVID-19, quelli che erano stati precedentemente vaccinati e avevano avuto un'infezione rivoluzionaria, quelli che erano stati solo vaccinati e quelli che erano stati potenziati e quindi vaccinati tre volte.
Tra i loro soggetti di studio, coloro che avevano completato un protocollo di tre vaccinazioni e coloro che erano stati vaccinati dopo essersi ripresi da COVID-19 e quelli con una nuova infezione, dopo la vaccinazione, hanno lanciato risposte anticorpali neutralizzanti quasi comparabili, in termini di grandezza e ampiezza. Le loro risposte sieriche e neutralizzanti l'anticorpo alla proteina spike nelle attuali varianti di coronavirus pandemico erano molto più potenti e durature di quelle generate da persone che avevano ricevuto solo due dosi di vaccino COVID-19 o che avevano avuto un'infezione precedente non seguita dalla vaccinazione.
Questa osservazione ha suggerito che l'aumento del numero di esposizioni agli antigeni SARS-CoV-2, attraverso l'infezione e la vaccinazione o la tripla vaccinazione, ha migliorato la qualità delle risposte anticorpali.
I ricercatori hanno anche esaminato quanto ampi potrebbero essere gli anticorpi provocati. Hanno studiato la neutralizzazione della variante preoccupante divergente Omicron SARS-CoV-2, attualmente responsabile della maggior parte dei casi negli Stati Uniti. I loro risultati hanno mostrato che gli individui potenziati (o quelli che hanno un mix di infezione e doppia vaccinazione) hanno anticorpi neutralizzanti a livelli simili ai soggetti vaccinati due volte contro il ceppo ancestrale originale. Ciò suggerisce una grande quantità di evasione immunitaria, ma che i richiami del vaccino possono aiutare a colmare il divario di anticorpi neutralizzanti causato da Omicron.
Guardare al di fuori della famiglia SARS-CoV-2 mostra un modello simile, in cui esposizioni ripetute e multiple migliorano la risposta anticorpale neutralizzante altrimenti debole alla SARS-CoV. Infine, gli autori non hanno identificato miglioramenti nel legame degli anticorpi al raffreddore comune, che causano le proteine ??spike del coronavirus come OC43 o HKU1. Ciò suggerisce che l'esposizione ripetuta a SARS-CoV-2 non migliora la reattività del picco a coronavirus differenti. Questi risultati supportano lo sviluppo di vaccini contro il sarbecovirus o il coronavirus più ampi da preparare in caso di un futuro evento di spillover.
I gruppi di studio erano costituiti da circa 15 persone, provenienti dal progetto Hospitalised or Ambulatory Adults with Respiratory Viral Infections, o HAARVI, presso l'UW di Seattle. HAARVI, guidato dal medico delle malattie infettive di UW Medicine Helen Chu, esamina i pazienti guariti da COVID-19 per studiare le risposte immunitarie nel tempo, per comprendere le conseguenze a lungo termine dell'infezione e per confrontare le risposte immunitarie dai vaccini e dalle infezioni naturali.
Anche i ricercatori del Dipartimento di Medicina e del Dipartimento di Medicina e Patologia di Laboratorio presso la UW School of Medicine e di Humabs Biomed SA, una sussidiaria di Vir Biotechnology, hanno contribuito a condurre lo studio.
Cell: "SARS-CoV-2 breakthrough infections elicit potent, broad and durable neutralizing antibody responses" DOI: 10.1016/j.cell.2022.01.011
Antonio Caperna
"La variante Omicron, come ha detto l'Oms, potrebbe portarci fuori dalla pandemia" di Covid. Ne è convinto Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma.
"E' fuori discussione - dice l'esperto all'Adnkronos Salute - che questa variante è quella che ci dà un po' la svolta, perché è molto contagiosa e pochissimo letale. E' una variante che finalmente" si comporta come fanno i virus, "ovvero infetta e si moltiplica il più possibile, quindi fa il suo lavoro proprio a livello evolutivo. Perciò tenderà a diventare endemica, resterà con noi e questo potrà significare che i fragili magari faranno un vaccino ogni anno come per l'influenza".
Tutto questo a meno di brutte sorprese, avverte l'epidemiologo. "Il virus si endemizzerà perché diventerà una virosi, cioè un passaggio di virus uomo-uomo. Ma c'è l'incognita del passaggio uomo-animale-uomo - mette in guardia Ciccozzi - Pensiamo ai criceti che si sono infettati, ai procioni, e non dimentichiamo i visoni o i casi dei felini. E' sempre una zoonosi. Se questo accadesse, ed è possibile, sarebbe un guaio - avverte - perché in quel caso il virus si adatterebbe a quell'animale e poi ripasserebbe a noi perché da noi c'è già stato e quindi sa come fare. Per questo va sorvegliato e va studiato anche il passaggio animale del Covid".
"Questa pandemia - ricorda lo specialista - ci ha insegnato che dobbiamo sorvegliare sia la parte animale che quella dell'uomo sia con l'epidemiologia classica sia con l'epidemiologia molecolare, quindi il tracciamento genomico. Questo vale per l'uomo e per gli animali. Sempre per non rincorrere il virus, ma cercare di anticiparlo, cosa che non siamo riusciti a fare in questa pandemia".
Le persone ricoverate per Covid-19 presentano un livello molto basso di cellule staminali nel sangue, rispetto a soggetti senza infezione da Sars-CoV-2. E tra queste, coloro che presentano livelli più bassi di cellule staminali hanno una probabilità aumentata più di 3 volte di ricovero in terapia intensiva o morte.
E' quanto emerge da uno studio pubblicato su 'Diabetes', condotto dal dipartimento di Medicina dell'università di Padova e coordinato da Gian Paolo Fadini, dal quale è emerso che l'iperglicemia durante Covid rappresenta una delle cause di riduzione delle cellule staminali circolanti.
Fin dall'inizio della pandemia, è emersa una stretta relazione tra diabete mellito e forme severe di Covid-19. Già nel 2020 uno studio dell'ateneo di Padova - coordinato dallo stesso Fadini, professore associato di Endocrinologia e principal investigator dell'Istituto veneto di medicina molecolare - aveva dimostrato che i pazienti affetti da diabete presentavano una probabilità raddoppiata di trasferimento in terapia intensiva o decesso. "I nostri precedenti studi sui pazienti diabetici - spiega Fadini - ci hanno insegnato che le alte concentrazioni di glucosio riducono il livello di cellule staminali ematopoietiche circolanti. Il rilascio di queste cellule nel sangue - sottolinea - è necessario all'organismo per mantenere un'adeguata capacità dei tessuti di ripararsi e di rispondere agli insulti".
"Ora - evidenzia Benedetta Bonora, ricercatrice del Dipartimento di Medicina dell'ateneo padovano e prima autrice dello studio - abbiamo osservato che anche nei pazienti senza una storia di diabete lo stato iper-infiammatorio durante Covid può causare iperglicemia e che questo rialzo glicemico riduce le cellule staminali. A sua volta, il difetto di cellule staminali conduce ad un peggioramento del decorso clinico della malattia e spiega perché i pazienti con iperglicemia al momento dell'ingresso in ospedale rischiano di soccombere al Covid-19".
Il lavoro è frutto di una collaborazione congiunta con l'Unità di Malattie infettive, diretta da Annamaria Cattelan, dove i pazienti sono stati ricoverati, e della Medicina di laboratorio, diretta da Daniela Basso che precisa: "Raramente osserviamo livelli così bassi di cellule staminali circolanti in individui senza malattie del sangue. Si tratta molto probabilmente di una delle conseguenze dell'abnorme immuno-attivazione indotta dal virus, ma non possiamo escludere che il virus infetti le cellule staminali e le uccida".
"Nelle nostre precedenti ricerche - ricorda Fadini - abbiamo scoperto che uno dei meccanismi con cui l'iperglicemia riduce le cellule staminali passa attraverso una molecola chiamata Oncostatina M che stimola la produzione di cellule infiammatorie e trattiene le cellule staminali nel midollo, creando un circolo vizioso. Ora intendiamo verificare se Oncostatina M può essere un target terapeutico per la cura dei pazienti con Covid-19".
"L'iperglicemia all'ingresso in ospedale era presente in quasi la metà dei pazienti ricoverati per Covid-19", conclude Angelo Avogaro, direttore della Diabetologia dell'Azienda ospedale-università di Padova, facendo comprendere l'enorme rilevanza di questo problema nell'attuale fase pandemica. "Ampliando le conoscenze sulle interazioni tra iperglicemia, cellule staminali e Covid-19, questo studio - rimarca - aiuta a identificare un nuovo potenziale bersaglio terapeutico per spegnere l'eccessiva risposta immuno-infiammatoria che conduce i pazienti con infezione da Sars-CoV-2 a sviluppare complicanze gravi e a soccombere al virus".
L'occupazione dei posti letto di terapia intensiva, a livello nazionale, da parte di pazienti Covid nei reparti di rianimazione è da due giorni 'ferma' al 17%, nelle 24 ore - secondo gli ultimi dati dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), aggiornati a ieri sera - sale in 5 regioni ma scende in altre 6.
In particolare segnano 1 punto percentuale in più Basilicata (al 6%), Emilia Romagna (17%), Friuli Venezia Giulia ( 22%), mentre sale di 2 punti l'occupazione di posti letto intensivi in Molise (5%) e Piemonte (25%). In discesa, sempre di 1 punto percentuale: Calabria (16%), Campania (12%), Liguria (18%), provincia di Bolzano (18%) e Veneto (16%). Scende invece di 2 punti l'Umbria (al 9%).
Al momento la percentuale di occupazione più alta si registra nella provincia autonoma di Trento al 26%, la più bassa - nonostante l'incremento nelle 24 ore - in Molise al 5%.
Per quanto riguarda l'occupazione media nei reparti di area non critica degli ospedali, a livello nazionale è stabile al 30% da 6 giorni (18 gennaio), mentre cresce nelle 24 ore in 11 regioni e province autonome.
Nel dettaglio, si registra l'aumento di 1 punto percentuale in Abruzzo e Campania che raggiungono il 31%; Emilia Romagna al 28%; Lazio al 31%; Liguria al 41%; provincia di Bolzano al 21%; provincia di Trento al 27%; Sardegna al 18%; Sicilia al 38%; Valle d'Aosta al 53%. Il Friuli Venezia Giulia registra un aumento di 2 punti percentuali attestandosi al 35%.
Le regioni che registrano un calo, di 1 punto percentuale, sono tre: la Lombardia (al 32%), le Marche (al 28%) e la Toscana (al 26%). Tutte le altre restano stabili. La regione con la percentuale più alta di occupazione resta la Valle d'Aosta (53%), quella più bassa il Molise al 10%.
L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e la Commissione federale per le vaccinazioni (CFV) raccomandano la vaccinazione di richiamo per tutti i 12-15enni e per tutte le persone che finora sono state vaccinate con una dose di vaccino Janssen.
La raccomandazione per la vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA è stata aggiornata per la fascia d’età dai 12 ai 15 anni. D’ora in poi è raccomandata a tutti una vaccinazione di richiamo dopo quattro mesi. Inoltre è stata aggiunta la raccomandazione per una vaccinazione di richiamo con una seconda dose di vaccino Janssen.
In questo modo si intende rafforzare la protezione individuale dall’infezione e dai decorsi gravi e frenare la trasmissione e la diffusione del virus nella situazione epidemiologica attuale. Finora in Svizzera hanno ricevuto una vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA più di tre milioni di persone.
Vaccino Pfizer per la vaccinazione di richiamo dei 12-15enni
Nella situazione epidemiologica attuale, ai giovani di età compresa tra i 12 e i 15 anni è raccomandata una vaccinazione di richiamo con il vaccino a mRNA di Pfizer per proteggerli maggiormente da un’infezione lieve e da altre ripercussioni negative (quarantena, isolamento) e ridurre il rischio di trasmissione ai contatti stretti (conviventi), in particolare alle persone gravemente immunodeficienti e meno protette nonostante la vaccinazione.
Per questa fascia d’età deve essere utilizzato per la vaccinazione di richiamo il vaccino a mRNA di Pfizer (Comirnaty®). Il richiamo è raccomandato non prima di quattro mesi dopo il completamento dell’immunizzazione di base, purché nel frattempo non sia comparsa un’infezione confermata, e avviene al di fuori dell’omologazione da parte di Swissmedic (off-label). La raccomandazione si basa sui dati di efficacia della vaccinazione di richiamo per i giovani adulti e sui dati di sicurezza alla base dell’autorizzazione da parte dell’FDA. La situazione dei dati viene osservata attentamente.
Seconda vaccinazione con il vaccino di Janssen
Da fine dicembre 2021 è omologata una seconda dose di vaccino Janssen come vaccinazione di richiamo. In base alla situazione dei dati e a quella epidemiologica, UFSP e CFV la raccomandano espressamente non prima di due mesi dopo il completamento dell’immunizzazione di base soltanto a:
• persone a partire dai 18 anni vaccinate con il vaccino Janssen e che non possono essere vaccinate con un vaccino a mRNA per motivi medici o che rifiutano i vaccini a mRNA;
• persone a partire dai 18 anni con un’immunizzazione di base con un vaccino a mRNA che non possono più ricevere una vaccinazione di richiamo con lo stesso tipo di vaccino per motivi medici o la rifiutano.
In caso di infezione confermata e quattro mesi dopo quest’ultima, la seconda dose di vaccino Janssen o una vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA è raccomandata almeno quattro settimane dopo la prima dose di vaccino Janssen.
Vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA anziché con il vaccino Janssen
I dati indicano che una vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA offe una protezione più elevata da un’infezione sintomatica con la variante Omicron rispetto a una seconda dose di vaccino Janssen. Per questo CFV e UFSP raccomandano primariamente la vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA anche alle persone già vaccinate con una dose di vaccino Janssen. Alle persone a partire dai 18 anni che sono state vaccinate con una dose di vaccino Janssen da più di quattro mesi si raccomanda in linea di principio una vaccinazione di richiamo con una dose di un vaccino a mRNA (off-label), se nel frattempo non è avvenuta alcuna infezione.
Alle persone a partire dai 18 anni che sono state vaccinate con una dose di vaccino Janssen da meno di quattro mesi si raccomanda di completare l’immunizzazione di base con una dose di vaccino a mRNA, a distanza di almeno 28 giorni dalla prima dose di vaccino anti-COVID-19 (off-label). La successiva vaccinazione di richiamo con un vaccino a mRNA raccomandata dovrebbe avvenire non prima di quattro mesi dopo questo completamento dell’immunizzazione di base (off-label), se nel frattempo non è avvenuta alcuna infezione.
Vaccinazione di richiamo con Janssen dopo un’immunizzazione di base con vaccini a mRNA
Nel quadro dell’omologazione, alle persone a partire dai 18 anni che non possono sottoporsi a una terza dose di vaccino a mRNA per motivi medici o che la rifiutano può essere somministrata una dose di vaccino Janssen quale vaccinazione di richiamo eterologa non prima di quattro mesi dopo l’immunizzazione di base con un vaccino a mRNA, se nel frattempo non è avvenuta alcuna infezione.
Informazioni:
Pazienti positivi con fratture, ustioni o tumori insieme nella stessa area di degenza. I reparti multidisciplinari per l'assistenza delle persone con infezione da Sars-Cov-2 senza malattia Covid sono realtà in molti ospedali d'Italia.
A fronte del gran numero di asintomatici, che arrivano in ospedale, per curare altre patologie ma vengono trovati positivi al virus, le Aziende sanitarie e ospedaliere si sono organizzate sperimentando un modello assistenziale che prevede, all'interno della stessa area, l'attività di medici di differente specializzazione, come ad esempio ortopedici chirurghi plastici, oncologi, per l'erogazione di prestazioni indifferibili. Lo scrive in una nota stampa la FIASO (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere). Succede al San Matteo di Pavia o al Policlinico di Chieti con un reparto multidisciplinare chirurgico; a Napoli- scrive FIASO- dove è stato creato un apposito Covid Hospital da 55 posti al San Giovanni Bosco per degenze di chirurgia, cardiologia, ortopedia, ostetricia ed emodinamica; al Policlinico di Tor Vergata di Roma dove in un'area medica a bassa intensità vengono accolti pazienti chirurgici, ortopedici o positivi provenienti dai reparti non Covid.
Nella Asl Toscana Sud Est sono state individuate in via sperimentale, in tre strutture ospedaliere, setting specifici plurispecialistici di degenza ordinaria a media complessità per la gestione dei pazienti risultati positivi all'accertamento diagnostico per Covid 19 ed asintomatici ma che necessitano di cure ospedaliere per patologie non correlate. Fiaso, infatti- prosegue la nota- attraverso la rete degli ospedali sentinella ha monitorato come un paziente Covid su tre si trovi in ospedale per curare altre patologie e la diagnosi di positività arrivi in via incidentale attraverso il tampone pre-ricovero. Così la Federazione ha elaborato un modello organizzativo che prevede almeno tre aree funzionali in cui organizzare l'assistenza dei pazienti con infezione da Sars-Cov-2 senza malattia Covid: - l'area della chirurgia multispecialistica, dedicata al trattamento di tutte quelle patologie o condizioni che impongono un intervento chirurgico in emergenza/urgenza, politraumatizzati, traumatismi di interesse ortopedico, pazienti ustionati, nonché al trattamento della patologia oncologica di interesse chirurgico non differibile o il cui differimento potrebbe determinare pericolo per il decorso clinico, in cui possono lavorare professionisti di chirurgia generale, toracica e plastica, neurochirurghia, ortopedia, otorinlaringoiatria, oftalmologia, oncologia; -l'area Ostetrica, per il percorso nascita o altre prestazioni ospedaliere correlate alla gravidanza, compresa l'interruzione volontaria; - l'area della patologia cardio-cerebro-vascolare dedicata alla presa in carico di pazienti affetti da ischemia cardiaca o cerebrale acuta, emorragia cerebrale, patologia aritmica che necessita di terapia medica urgente o impianto di pacemaker, embolia polmonare con competenze di cardiologia, neurologia, neuroradiologia, cardiochirurgia.
"L'attuale fase epidemica- dichiara il Presidente di Fiaso, Giovanni Migliore- determina ancora una grossa pressione sugli ospedali e il trend dei ricoveri, in costante crescita nelle ultime settimane, è atteso permanga ancora per 3 o 4 settimane, anche in caso di una flessione dei contagi. Tuttavia, la circolazione di una variante potenzialmente meno patogena e la campagna vaccinale estesa hanno determinato una modifica della tipologia di pazienti perché all'atto del ricovero, tutti vengono sottoposti a tampone e troviamo una certa quota di diagnosi incidentali. Di solito, dopo l'accertamento di positività, le prestazioni non urgenti sono rinviate, mentre è necessario procedere con quelle urgenti in ambienti e percorsi dedicati".
Prosegue Migliore: "Le dimensioni del fenomeno, quasi un paziente su tre, richiedono una risposta di sistema, che consenta anche di erogare, a favore di pazienti positivi ma senza malattia Covid, prestazioni per le quali il rinvio non è auspicabile per il decorso clinico, si pensi ad esempio alla chirurgia oncologica. L'ipotesi della collocazione di questi pazienti nei cosiddetti reparti bianchi ovvero Non Covid pone il problema dell'effettivo isolamento e l'ipotesi di inquinamento dei percorsi. La soluzione, dunque, già adottata nelle Aziende, è quella di creare delle aree interdisciplinari per prestazioni specialistiche su pazienti con infezione da Sars-Cov-2 senza malattia Covid. L'assistenza specialistica, come molti stanno sperimentando, può essere concentrata in poli ad elevata specializzazione con aree funzionali dedicate".
Quanto alla distinzione dei ricoveri "per Covid" e "con Covid" il presidente Fiaso puntualizza: "È necessario distinguere i casi per una comunicazione più corretta e trasparente e per una migliore organizzazione ospedaliera". Dichiara Antonio Ferro, coordinatore Fiaso Provincia autonoma di Trento e Presidente SITI Società Italiana di Igiene: "Quello che è certo è che si tratta di nuove sfide molto impegnative per le organizzazioni sanitarie, dove il personale è così duramente provato da due anni di pandemia. Le Direzioni dei nostri ospedali stanno già iniziando a lavorare sui modelli organizzativi ed assistenziali per il 2022-2023".
Un software in grado di riconoscere precocemente la polmonite interstiziale nei pazienti in isolamento domiciliare.
Si chiama Vector, è nato alcuni anni fa dalla collaborazione fra la Reumatologia modenese e il dipartimento di Scienze e Metodi dell'Ingegneria di UniMoRe e oggi è stato sviluppato per l'identificazione precoce dei pazienti con polmonite da Covid. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista scientifica Computers in Biology and Medicine a cura del gruppo di lavoro che coinvolge le strutture complesse di Reumatologia e di Pronto Soccorso dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e il dipartimento di Scienze e Metodi dell'Ingegneria dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Come spiega Carlo Salvarani, direttore di Reumatologia e professore all'Università di Modena e Reggio, "le interstiziopatie polmonari secondarie a malattie reumatiche e la polmonite interstiziale da Sars-CoV-2 hanno in comune tra loro la presenza di suoni polmonari tipici, cosiddetti rantoli a velcro, il cui riscontro ci permette di identificare i pazienti in cui sia necessario un approfondimento".
Vista l'analogia tra le due patologie, "abbiamo testato il software nei pazienti che accedevano al Pronto Soccorso evidenziando una corretta identificazione della polmonite da Covid-19 in oltre il 75% dei casi". L'idea dello studio è nata dall'esigenza di dotare i medici incaricati di valutare i pazienti in isolamento domiciliare per Covid-19 di uno strumento che permettesse di individuare un'eventuale polmonite e di inviare quindi tali pazienti in Pronto soccorso in tempo utile. Uno dei test di screening attualmente utilizzati per i pazienti che accedono in Pronto soccorso è l'ecografia polmonare, che fornisce ottimi risultati.
Tuttavia, questo esame richiede apparecchiature dedicate, una formazione specifica e difficilmente può essere utilizzata in ambito extraospedaliero, in particolare è di ardua esecuzione nei pazienti in isolamento domiciliare. Come sottolinea Fabrizio Pancaldi, professore al dipartimento di Scienze e Metodi dell'Ingegneria di UniMoRe, "recenti studi sull'artrite reumatoide e sulle malattie polmonari interstiziali hanno dimostrato che i suoni polmonari possono essere rilevati automaticamente da algoritmi opportunamente sviluppati. Scopo del lavoro era dimostrare che i suoni polmonari patologici evidenziati nei pazienti affetti da polmonite da Covid-19 possono essere rilevati dalla stessa classe di algoritmi".
Il software "ha confermato un'accuratezza diagnostica elevata, nonostante le difficoltà di auscultazione in un ambiente 'difficile' come quello del Pronto Soccorso. Fra i possibili sviluppi futuri c'è anche la possibilità di auscultazione da parte di un familiare e l'invio della registrazione direttamente al medico, che potrà analizzarla e valutare 'a distanza' la necessità di un intervento".
L'endocrinologo è destinato a diventare una figura chiave per affrontare le emergenze post-Covid. Servono più specialisti e, in generale, una nuova organizzazione dell'endocrinologia nelle strutture ospedaliere.
E' l'appello lanciato dall'Associazione Medici Endocrinologi (AME), in seguito alla pubblicazione del recente report del CDC americani, che confermano l'associazione tra infezione Covid-19 ed esordio di diabete di tipo 1 nella popolazione giovanile. "I nuovi dati non fanno altro che confermare le numerose segnalazioni presenti in letteratura già nei primi mesi del 2020, provenienti anche da accreditati gruppi di studio italiani, riguardo alla possibile correlazione tra Covid e malattie autoimmuni in particolare il diabete tipo 1", conferma Franco Grimaldi, presidente dell'AME.
"Del resto è ben noto il rischio aumentato di sviluppare diabete tipo 1 dopo infezioni virali. Sappiamo ad esempio- continua- che i bambini vaccinati per il rotavirus hanno meno probabilità di sviluppare il diabete mellito di tipo 1. Ma nel caso specifico del Covid-19 resta da verificare se si tratta di un reale aumento della patologia o un anticipato esordio in soggetti predisposti. Solo l'osservazione nei prossimi anni potrà darci risposte in tal senso". Lo scenario che però abbiamo di fronte non è confortante. "E' probabile che dopo questa emergenza, ci ritroveremo ad affrontare nuove emergenze", sottolinea Grimaldi.
"Per questo è fondamentale prepararsi e ripensare al ruolo strategico dell'endocrinologia, fino ad oggi la Cenerentola della sanità, a causa dei numerosi tagli subiti", conclude.
L'efficacia della vaccinazione anti Covid nel prevenire l'infezione da Sars- Cov-2 si riduce nel tempo in tutte le fasce di età. Con la dose di richiamo la protezione si attesta al 66,7%, mentre dopo 4 mesi dal completamento del ciclo vaccinale (seconda dose o vaccino J&J) si arriva al 34,7%.
Una piccola riduzione si registra anche nella protezione dalla malattia grave passando dal 97,5% di chi ha fatto già il richiamo all'89% dopo 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale. E' uno dei dati che emerge dal Report esteso dell'Istituto superiore di sanità sull'andamento dell'epidemia di Covid-19 in Italia.
L’efficacia del vaccino, "come riduzione percentuale del rischio (rispetto ai non vaccinati), nel prevenire la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2, è pari al 66% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 53% tra i 91 e 120 giorni, e 34,7% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale. Ed è pari al 66,7% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster", si legge nel Report.
Per quanto riguarda la prevenzione della malattia severa la percentuale è "pari a 95% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 93% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e 89% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni. E' invece pari al 97,5% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster", indica il Report.