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Buone notizie per il candidato vaccino Covid-19 di origine vegetale di Medicago, testato in combinazione con l'adiuvante pandemico di Gsk.
Gli studi clinici di fase 2 hanno ottenuto "dati positivi", tra cui risposta anticorpale simile negli adulti e negli anziani dopo due dosi; livelli di anticorpi neutralizzanti 10 volte superiori a quelli delle persone guarite dall'infezione da coronavirus; nessun effetto collaterale grave correlato.
A riferirlo Medicago, società biofarmaceutica con sede a Quebec City in Canada, e la britannica GlaxoSmithKline (Gsk).
I dati - dettaglia una nota - fanno parte dello studio clinico di fase 2/3 in corso e ribadiscono il profilo promettente osservato durante i test di fase 1. L'immunogenicità, misurata dal titolo dell'anticorpo neutralizzante, è stata alta: circa 10 volte superiore a quella di un gruppo selezionato di sieri di pazienti che si stavano riprendendo da Covid-19. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi correlati, e la reattogenicità è stata generalmente da lieve a moderata e di breve durata.
Ora si attendono i risultati della sperimentazione di fase 3, lanciata il 16 marzo scorso. I centri coinvolti stanno arruolando soggetti in Canada, Stati Uniti, Regno Unito e Brasile, con ulteriori siti che dovrebbero essere aggiunti nelle prossime settimane. Il candidato vaccino ha ricevuto la designazione Fast Track dalla Fda negli Stati Uniti, e Health Canada ha avviato una revisione dei dati.
"Siamo molto entusiasti di vedere risultati così positivi dai dati di fase 2. Dopo due dosi, il candidato vaccino adiuvato ha indotto robusti anticorpi neutralizzanti e risposte immunitarie cellulari in tutti i soggetti, indipendentemente dall'età - afferma Nathalie Landry, vicepresidente esecutivo, Affari scientifici e medici di Medicago - Questi risultati ci danno fiducia, mentre continuiamo ad andare avanti con la nostra sperimentazione clinica di fase 3. Speriamo di aggiungere un altro strumento nella lotta globale contro Covid-19, in particolare poiché la protezione incrociata emerge come una considerazione importante negli sforzi di vaccinazione in tutto il mondo".
"Siamo lieti di vedere che i risultati suggeriscono una risposta immunitaria molto forte - dichiara Thomas Breuer, Chief Medical Officer, Gsk Vaccines - Anche il candidato vaccino Covid-19 di Medicago combinato con l'adiuvante pandemico di Gsk è stato ben tollerato, rafforzando i suoi potenziali benefici. Attendiamo ora con impazienza l'esito della sperimentazione di fase 3 in corso su questo candidato vaccino stabile in frigorifero, come il prossimo passo avanti nel nostro contributo alla risposta globale alla pandemia".
“I pazienti reumatologici sono soggetti fragili e quindi il richiamo della vaccinazione anti-Covid non deve subire slittamenti. Va effettuato entro il termine stabilito dagli studi scientifici ad oggi disponibili”.
E’ quanto afferma l’ANMAR ONLUS (Associazione Nazionale Malati Reumatici) in seguito alla notizia che una donna, con artrite reumatoide residente nella Regione Lazio, ha avuto uno slittamento della somministrazione della seconda dose oltre le tempistiche indicate dai protocolli per il vaccino Pfizer.
Si tratta di un caso emblematico ma non isolato e perciò l’Associazione ha deciso di inviare una lettera, tra gli altri, al Ministro della Salute Roberto Speranza, al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e al Commissario Straordinario Francesco Paolo Figliuolo. Con la missiva si chiede un urgente adeguamento del programma vaccinale a tutela dei soggetti fragili nelle Regione Lazio (e anche nel resto della Penisola).
“Stiamo ricevendo molte segnalazioni di una mancata realizzazione del programma vaccinale a tutela dei pazienti affetti da patologie rare e croniche come quelle reumatiche – afferma Silvia Tonolo, Presidente ANMAR -. A queste si aggiungono le molte difficoltà riscontrate dai malati nelle prenotazioni prioritarie dei vaccini o nell’effettuare le visita INPS per il riconoscimento dell’invalidità. Siamo consapevoli che la pandemia abbia travolto il Paese e portato al collasso la sanità regionale e nazionale. Tuttavia oggi, a distanza di oltre un anno dalla dichiarazione di emergenza, non è più accettabile che i nostri malati debbano subire ritardi negli aggiornamenti dei piani terapeutici, sospensioni delle visite presso gli enti previdenziali e ora anche slittamenti vaccinali per l’incapacità di coloro che dovrebbero organizzare una macchina da guerra all’altezza di un sistema sanitario tanto decantato dalle altre nazioni”.
“In Regione Lazio la modalità di prenotazione va immediatamente adeguata e permettendo così a noi “fragili” di usufruire sempre, e non per periodi limitati, di una linea preferenziale che tuteli la nostra salute già minata da anni di sofferenze – prosegue Tonolo -. Va inoltre stabilito che sia sufficiente autocertificare, al momento della prenotazione, la sussistenza di una patologia accertata clinicamente da specialisti di enti pubblici o privati accreditati per non incappare in altri paletti burocratici, che di fatto inceppano il sistema.
Chiediamo, dunque, che tutte le Autorità si adoperino immediatamente in concreto e non più solo a parole perché gli oltre 5 milioni di pazienti reumatologici che vivono in Italia siano tutelati da un punto di vista socio-sanitario in questo momento ancora molto difficile”.
La pandemia da Covid-19 ha causato una forte riduzione della donazione di latte umano, fondamentale per la crescita di neonati prematuri e di quelli piu' fragili, che non possono riceverlo dalle proprie mamme.
Lo scrive in una nota la SIN Societa' Italiana di Neonatologia. "Purtroppo la situazione di emergenza sanitaria, che stiamo vivendo da un anno, ha creato notevoli problemi per le Banche del Latte Umano Donato presenti nel nostro paese" affermano il Presidente della Societa' Italiana di Neonatologia Prof. Fabio Mosca ed il Presidente dell'Associazione Italiana Banche del Latte Umano Donato (AIBLUD) - ONLUS Dott. Guido Moro.
"Molte delle piu' importanti banche hanno visto una riduzione significativa del numero delle donatrici nell'anno 2020, in piena pandemia, rispetto al 2019, ultimo anno pre-pandemia, motivata dai timori delle mamme a recarsi presso l'ospedale sede della Banca del Latte a donare e dalla sospensione, in alcuni casi, del Servizio di raccolta del latte al domicilio della donatrice per l'emergenza Covid. In una visione di insieme prevale in Italia un netto calo delle donazioni, anche se i dati sono strettamente correlati alla diffusione e gravita' dell'evento epidemico nelle singole regioni.
Ad esempio, in Lombardia, epicentro dell'emergenza sanitaria, la Banca "Nutrici" della Mangiagalli a Milano ha registrato un calo delle donatrici del 47%, mentre la Banca del Latte dell'Ospedale Sant'Anna a Torino del 23% e la Banca del Latte dell'Ospedale Bambino Gesu' di Roma dell'8%. Stesso numero di donatrici nel 2019 e 2020 per la Banca del Latte Umano dell'Ospedale Buccheri La Ferla di Palermo, e in controtendenza le Banche dell'Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo e dell'Ospedale Meyer a Firenze (con un incremento rispettivamente del 3% e del 4%)".
L'allarme viene lanciato dalla SIN e da AIBLUD Onlus nella Giornata Mondiale della Donazione del Latte Umano, che si celebra il 19 maggio, occasione per presentare le nuove Raccomandazioni per la costituzione e l'organizzazione di una Banca del Latte Umano Donato. Prodotte da un team multidisciplinare di neonatologi, epidemiologi, dietologi clinici ed esperti esterni, tra i quali operatori delle Banche del Latte (BLUD), le raccomandazioni rappresentano uno strumento per standardizzare ed ottimizzare la funzione delle BLUD esistenti in Italia e definiscono i requisiti minimi indispensabili per costituirne di nuove.
L'organizzazione e la gestione delle BLUD devono garantire la sicurezza e la qualita' del prodotto e tutelare le mamme donatrici ed i neonati che ne beneficeranno, ancora di piu' in epoca Covid, durante la quale sono stati inseriti dei protocolli aggiuntivi, tra i quali lo screening delle donatrici per SARS-Cov-2. Quando il latte materno e' assente o insufficiente, il latte umano donato (LUD) rappresenta l'alimento per eccellenza per i neonati prematuri e le BLUD rivestono un ruolo fondamentale nel rispondere a questa esigenza. Le BLUD sono, infatti, strutture senza fini di lucro, create con lo scopo di raccogliere, secondo i principi dell'HACCP e le piu' scrupolose norme igieniche, trattare, conservare e distribuire il latte umano donato da mamme idonee, per utilizzarlo successivamente, per le necessita' dei neonati pretermine ricoverati nelle neonatologie italiane. I principali vantaggi dell'utilizzo del Latte Umano di Banca per il neonato prematuro sono: riduzione dell'incidenza di intolleranza alimentare, di enterocolite necrotizzante, di displasia broncopolmonare, di sepsi e di altre infezioni, di retinopatia del prematuro, precoce raggiungimento dell'alimentazione enterale esclusiva, miglioramento degli outcome neurocognitivi e promozione dello sviluppo cerebrale.
L'utilizzo precoce del latte Umano Donato consente, inoltre, una riduzione dei tempi di degenza e favorisce la promozione dell'allattamento materno esclusivo nelle TIN. Recenti dati pubblicati dalle TIN italiane ed in uno studio statunitense evidenziano, infatti, che la presenza di una Banca del latte nella stessa struttura sede della TIN, o, comunque, la possibilita' di usufruire del latte donato, sembra avere un impatto notevolmente positivo sulle percentuali di allattamento esclusivo alla dimissione (dati italiani: 60,4% vs 52,8% 0,04). Nel mondo si contano oltre 750 banche del latte umano donato distribuite in 66 paesi e ogni anno 800 mila neonati ricevono questo alimento, che rappresenta un dono unico e molto speciale da parte di donne sensibili e generose. Quasi la meta' di queste banche e' ubicata in Europa (270 banche operative). Le Banche del Latte distribuite sul territorio nazionale oggi sono 39, con una maggiore presenza nelle regioni del Centro-Nord, confermando a livello europeo l'Italia come il paese col maggior numero di BLUD.
"La generosita' deve superare la paura", concludono il Prof. Mosca ed il Dott. Moro. "La cultura della donazione deve essere promossa e incentivata, anche con l'aiuto delle istituzioni sia a livello locale che nazionale, attraverso politiche mirate ad aumentare la disponibilita' ed abbattere i costi del Latte umano donato. All'interno di un buon programma di assistenza sanitaria, ogni donna dovrebbe poter contare sulla vicinanza di una Banca del Latte e sapere che e' possibile donare liberamente e in sicurezza, consapevole dell'importanza del gesto che andra' a compiere".
"Vaccinare i maturandi ora è possibile e lo faremo. Torniamo alla normalità con i vaccini e pensando a tutti". Lo scrive su Twitter il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti.
"È giusto pensare a ragazzi e ragazze che hanno di fronte questa prova, dopo 2 anni difficili anche per lo studio e la vita sociale", aggiunge l'esponente del Partito Democratico.
L'ipotesi di vaccinare i maturandi è accolta positivamente dal sottosegretario all'Istruzione Rossano Sasso: "Ben vengano tutte le iniziative che contribuiscono a mettere in sicurezza la comunità scolastica", dice Sasso all'Adnkronos. "Fa piacere - aggiunge- che altre forze politiche stiano seguendo la linea della Lega nel formulare proposte concrete e offrire soluzioni: penso ad esempio alle nostre iniziative per la ripresa della vaccinazione per gli insegnanti e il via libera per l'uso dei tamponi salivari. Lo spirito di un Governo di unità nazionale deve essere questo: collaborazione senza pregiudizi e furori ideologici".
Anche le associazioni dei presidi supportano la possibile iniziativa: "Mi sembra una buona idea, condivisibile in pieno", afferma il presidente dell'Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli. "Anche se i più giovani sono meno esposti ai rischi del contagio, credo sia molto importante diffondere nella loro comunità - sottolinea Giannelli - il valore, il significato, la cultura della vaccinazione, che a volte abbiamo visto essere messa in discussione quando invece è uno dei progressi più grandi dell'umanità. Infatti, come osserviamo, il miglioramento dei dati sul territorio nazionale è frutto della campagna vaccinale che sta andando avanti bene".
Avere varianti di rischio genetico nel gene ABO potrebbe aumentare significativamente le possibilità di sviluppare COVID-19 e altri geni potrebbero anche aumentare il rischio COVID-19, secondo una ricerca presentata alla Conferenza internazionale ATS (American Thoracic Association) 2021.
Molte informazioni sul COVID-19 restano un mistero, incluse quelle sulla possibilità che alcuni geni mettano le persone a maggior rischio di contrarre il virus SARS-CoV-2. La dott.ssa Ana Hernandez Cordero e i suoi colleghi, presso il Center for Heart Lung Innovation, University of British Columbia hanno utilizzato la genomica integrativa combinata con la proteomica per identificare questi geni.
La ricerca genomica identifica geni specifici, che possono svolgere un ruolo nei processi biologici come lo sviluppo di malattie mentre la proteomica fa lo stesso per le proteine. I ricercatori possono ottenere un quadro più completo dei processi patologici integrando strumenti per indagare su entrambi.
"Il DNA è una molecola grande e complessa e quindi le associazioni genetiche da sole non possono individuare il gene esatto responsabile del COVID- ha affermato Hernandez -Tuttavia, combinando le informazioni genetiche COVID-19 con l'espressione genica e set di dati proteomici, possiamo capire quali geni stanno guidando la relazione con COVID-19".
I ricercatori hanno combinato le informazioni genetiche con un esame dell'espressione genica del polmone per identificare le varianti genetiche che controllavano l'espressione genica nel polmone responsabili di COVID-19. I ricercatori hanno identificato marcatori di geni specifici che condividono i loro effetti sull'espressione genica e sui livelli di proteine ??con suscettibilità COVID-19. Per l'analisi, hanno utilizzato la bioinformatica per integrare:
(1) un set di dati genomici ottenuto da pazienti infettati da SARS-CoV-2 e da individui non infetti (controlli);
(2) dataset di espressione genica del polmone e del tessuto sanguigno da popolazioni cliniche (non COVID-19);
(3) un set di dati sul proteoma, ottenuto da donatori di sangue (non COVID-19).
In questo modo, hanno scoperto che diversi geni responsabili della risposta del sistema immunitario a COVID-19 sono coinvolti anche nella suscettibilità a COVID-19, il tutto supportato dai risultati di ricerche precedenti.
Oltre alla ricerca di geni candidati nelle proteine ??del sangue, sono stati in grado di fare un ulteriore passo avanti nel collegare gli effetti dei geni alla suscettibilità a COVID-19. La proteomica del sangue può anche aiutare a identificare i marcatori nel sangue, che possono essere facilmente misurati per indicare lo stato della malattia e, potenzialmente, per monitorare la malattia.
"Sfruttando il potere delle informazioni genomiche, abbiamo identificato i geni correlati a COVID-19- ha aggiunto Hernandez- In particolare, abbiamo scoperto che il gene ABO è un fattore di rischio significativo per COVID-19. Di particolare nota è stata la relazione tra il gruppo sanguigno ABO e il rischio COVID-19. Abbiamo dimostrato che la relazione non è solo un'associazione ma è di tipo causale"
Oltre al gene ABO, Hernandez e il gruppo di ricercatori hanno scoperto che le persone portatrici di determinate varianti genetiche per SLC6A20, ERMP1, FCER1G e CA11 hanno un rischio significativamente più elevato di contrarre COVID-19. "Questi individui dovrebbero usare estrema cautela durante la pandemia. Questi geni possono anche rivelarsi buoni marcatori per la malattia, nonché potenziali bersagli farmacologici".
Molti dei geni identificati nell'analisi dei ricercatori sono già stati collegati a malattie respiratorie. Ad esempio, ERMP1 è stato collegato all'asma. CA11 può anche aumentare il rischio di COVID-19 per le persone con diabete.
Le associazioni genetiche per COVID-19 e l'espressione di geni e proteine ??sono state combinate utilizzando la genomica integrativa (IG). IG mira a identificare meccanismi (ad esempio: livelli di espressione genica), che collegano gli effetti del codice genetico a una malattia complessa. Questi metodi, sebbene complessi, sono anche veloci e i loro risultati possono aiutare i ricercatori a dare la priorità ai geni candidati per i test in vitro (in laboratorio) e in vivo (negli organismi viventi).
"La nostra ricerca è progredita dal momento in cui abbiamo condotto questa analisi per la prima volta -ha concluso Hernandez- Ora abbiamo identificato candidati ancora più interessanti per COVID-19 come IL10RB, IFNAR2 e OAS1. Questi geni sono stati collegati a COVID-19 grave. Il loro ruolo nella risposta immunitaria alle infezioni virali e le prove crescenti suggeriscono che questi candidati e il loro ruolo in COVID-19 dovrebbero essere ulteriormente studiati".
Antonio Caperna
I ricercatori della Rutgers Robert Wood Johnson Medical School in New Jersey hanno segnalando il primo caso di COVID-19, che ha innescato una rara recidiva di coaguli di sangue potenzialmente gravi nelle braccia delle persone.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Viruses, migliora la comprensione di come l'infiammazione causata da COVID-19 può portare a coaguli di sangue degli arti superiori e come trattarli al meglio. Questo caso fa parte di uno studio più ampio di Rutgers su 1.000 pazienti ospedalizzati con diagnosi di COVID-19 che sono stati ammessi e dimessi tra marzo e maggio 2020.
Sebbene siano stati segnalati casi di trombosi venosa profonda degli arti inferiori in seguito a COVID-19, questo è il primo studio in cui COVID-19 ha innescato una recidiva nella parte superiore del braccio di un uomo attivo di 85 anni, che aveva una precedente diagnosi di estremità superiore coaguli di sangue.
"Il paziente si è presentato al suo medico di base con lamentele di gonfiore al braccio sinistro ed è stato inviato in ospedale per un'ulteriore gestione, dove gli è stato diagnosticato un coagulo di sangue nella parte superiore del braccio e un'infezione asintomatica da COVID-19", ha detto Payal Parikh, un assistente professore di medicina presso la Rutgers Robert Wood Johnson Medical School, che ha condotto lo studio insieme a Martin Blaser, direttore del Center for Advanced Biotechnology and Medicine e professore alla Rutgers Robert Wood Johnson Medical School.
"Sebbene i suoi livelli di ossigeno non fossero diminuiti, è stato ricoverato in ospedale per la gestione del coagulo di sangue delle vene profonde degli arti superiori. Spesso, i coaguli di sangue sono preceduti da condizioni infiammatorie croniche esacerbate dall'immobilità e raramente si verificano in pazienti che sono altrimenti sani e attivo al basale. "
La maggior parte dei casi di trombosi venosa profonda si verifica nelle gambe. Solo il 10% circa dei coaguli di sangue si verifica nelle braccia e di quei casi solo il 9% si ripresenta.
"Questo è motivo di preoccupazione poiché nel 30 % di questi pazienti, il coagulo di sangue può viaggiare al polmone ed essere potenzialmente fatale- ha detto Parikh- Altre complicazioni invalidanti includono gonfiore persistente, dolore e affaticamento del braccio".
Lo studio suggerisce che i medici dovrebbero prendere in considerazione il test per la trombosi venosa profonda e COVID-19 in pazienti che presentano lamentele di gonfiore inspiegabile. Le persone che risultano positive al COVID-19 dovrebbero consultare un medico se hanno livelli di ossigeno in calo, mancanza di respiro e qualsiasi gonfiore inspiegabile.
"Se ti è stata diagnosticata in precedenza una trombosi venosa profonda o hai una malattia medica cronica che ti predispone a coaguli di sangue, hai un rischio maggiore di recidiva di un trombo venoso profondo nel contesto di un'infezione da COVID-19 e quindi, dovresti essere vigile ", ha detto Parikh.
Antonio Caperna
L’11% dei pazienti oncologici rifiuta la vaccinazione anti-Covid. I motivi? Per il 48% il timore degli effetti collaterali della profilassi, per il 26,7% la preoccupazione di possibili interazioni con la concomitante terapia antitumorale, per il 10,7% la paura di reazioni allergiche. Non solo.
La decisione di sospendere uno dei vaccini disponibili, quello prodotto da AstraZeneca, nel periodo fra il 15 e il 19 marzo, ha determinato una netta flessione nella propensione di questi pazienti fragili all’immunizzazione anche con un vaccino diverso, cioè quello prodotto da Pfizer. I cittadini colpiti da cancro che hanno detto no al vaccino sono più che raddoppiati dopo il 15 marzo, passando dall’8,6% al 19,7%. Lo studio è in pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica “European Journal of Cancer”.
Si tratta del primo report al mondo sull’aderenza dei pazienti oncologici alla vaccinazione anti-Covid ed è stato condotto fra l’1 e il 20 marzo 2021, coinvolgendo 914 persone in cura presso l’Istituto Regina Elena di Roma.
“I cittadini colpiti da tumore presentano un rischio maggiore di complicazioni se contagiati da Covid, con un tasso di mortalità del 30% in caso di ospedalizzazione – afferma il Prof. Francesco Cognetti, ultima firma dello studio, Direttore Oncologia Medica Regina Elena di Roma e Presidente FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) -. Il Ministro della Salute e FOCE, nei mesi scorsi, hanno collaborato per inserire proprio i pazienti oncologici, cardiologici ed ematologici nella categoria con priorità assoluta nella vaccinazione, perché particolarmente fragili. Il travagliato iter autorizzativo dei vaccini, in particolare di quello prodotto da AstraZeneca (AZD1222) che è stato temporaneamente sospeso per 5 giorni dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), insieme alla grande attenzione riservata dai media a questo tema, possono aver influenzato l’aderenza alla vaccinazione”.
La maggioranza dei pazienti coinvolti nello studio (96%) era in trattamento attivo o lo aveva ricevuto nei 6 mesi precedenti e il 4% era sotto sorveglianza con progressione di malattia. A questi pazienti, in linea con il Piano vaccinale del Governo, è stato proposto il vaccino BNT162b2, prodotto da Pfizer.
“Un’indagine era stata condotta in Francia, prima dell’inizio della campagna di immunizzazione, e aveva evidenziato la mancata propensione a vaccinarsi da parte del 16,6% dei pazienti oncologici – continua il Prof. Cognetti -. Il nostro studio invece si riferisce al rifiuto effettivo di ricevere il siero. E per la prima volta al mondo viene scattata una fotografia di questo tipo, riferita alla campagna in corso. Inoltre nello studio francese più della metà dei pazienti era sotto sorveglianza o assumeva terapia ormonale rispetto alla popolazione arruolata nel nostro lavoro, che era in maggioranza in trattamento attivo”.
“È interessante notare – sottolinea il Prof. Cognetti – come il tasso di rifiuto sia più che raddoppiato dopo il bando del vaccino prodotto da AstraZeneca. È la dimostrazione che le decisioni delle autorità regolatorie e le informazioni diffuse dai media possono influenzare la volontà dei pazienti nell’accesso all’immunizzazione. Il tasso di rifiuto, che ha raggiunto il 19,7%, risulta decisamente maggiore (+5%) rispetto a quanto riportato in un’indagine nella popolazione generale italiana nello stesso periodo”. “Si può, quindi, presumere che i pazienti con cancro, pur avendo un consistente rischio di letalità da Covid, subiscano maggiore influenza negativa da informazioni sulla sicurezza del vaccino, proprio per la loro grande fragilità – conclude il Prof. Cognetti -. Infatti il tasso di rifiuto era più alto fra i malati in condizioni cliniche più gravi.
La drammatica diminuzione dell’aderenza al vaccino può tradursi in un numero elevato di morti altrimenti evitabili. Per raggiungere il successo della campagna vaccinale, con l’appropriato coinvolgimento dei più fragili, è necessaria più chiarezza nelle decisioni da parte dell’autorità regolatoria e più cautela nella diffusione di notizie potenzialmente allarmistiche, riprese con troppa eco prima di una valida revisione scientifica”.
Un'arma in più contro Sars-CoV-2 e in futuro anche contro nuovi virus respiratori. E' quello che promette uno spray nasale anti-Covid sviluppato da un team di italiani dell'azienda italo-svizzera Apr Applied Pharma Research s.a., che ha brevettato l'innovazione tecnologica alla base dello spray sperimentale.
"Dalle statistiche a cui abbiamo avuto accesso, sappiamo che a livello Ue ci sarà una buna parte della popolazione che non si vaccinerà, si stima il 20-30%, perché è esitante o contraria o perché ha condizioni cliniche che non lo permettono. Noi con lo spray puntiamo a queste persone". Lo afferma all'Adnkronos Salute Paolo Galfetti, Ceo di Apr.
Ma ci sono altri motivi per cui lo spray potrà essere un'arma in più contro il Covid. "Se la sperimentazione avviata all'Irccs ospedale San Martino di Genova andrà a buon fine - prosegue Galfetti - a fine anno avremo lo spray in commercio. L'obiettivo, oltre ad aiutare chi non è immunizzato, è poter fornire un dispositivo medico in grado di intervenire dove ancora non abbiamo certezze scientifiche assolute: la contagiosità potenziale delle persone vaccinate e quanto durerà la copertura vaccinale. In caso avremmo quindi uno spray nasale, che potrà aiutarci contro il Covid, pensiamo ad esempio agli ambienti chiusi, ai mezzi di trasporto o ai teatri e ai cinema. Ci sono buone premesse e i dati preliminari ci portano ad essere molto ottimisti sulla riuscita dello spray e sull'efficacia contro le varianti del Covid".
Il Ceo non si sbilancia, ma nel prossimo futuro dello spray potrebbe esserci anche l'uso contro altri virus respiratori. "La storia ci ha insegnato che i virus respiratori sono temibili - ammonisce - Dobbiamo essere pronti e avere strumenti, oltre alle terapie e ai vaccini, per contrastarli".
Per i test sull'uomo dello spray nasale anti-Covid è partito l'arruolamento dei pazienti. La sperimentazione verificherà la sicurezza e l'efficacia del prodotto (Aos2020), inalato nelle due narici per 3-5 volte al giorno, nel ridurre la carica virale nelle alte vie respiratorie. Questo dato, quando disponibile, rappresenterà il punto di partenza per l'utilizzo dello spray nella prevenzione di sintomi più gravi e nella riduzione della contagiosità delle persone e della diffusione del virus. Lo studio clinico è condotto dall'Unità di Igiene del policlinico genovese e coordinato da Giancarlo Icardi, e arruolerà un totale di 57 pazienti contagiati da Sars-CoV-2, positivi al tampone e con sintomi lievi.
Entro 4 mesi sono previsti i primi risultati e, se positivi, il prodotto - come ricorda Galfetti - potrà essere disponibile entro l'anno. Lo spray è una soluzione acquosa di lavaggio che contiene acido ipocloroso allo 0,005%, una sostanza antimicrobica prodotta anche dalle cellule del nostro sistema immunitario, resa stabile e pura e quindi inalabile grazie a Tehclo*, una nanotecnologia ideata e sviluppata da un team di italiani dell'azienda Apr che ha brevettato l'innovazione tecnologica. I risultati dei test preliminari in vitro e in vivo, recentemente pubblicati sul Giornale ufficiale della Società europea di otorinolaringoiatria, hanno dimostrato che lo spray nasale elimina il coronavirus pandemico in meno di un minuto senza irritare le mucose di naso e gola.
Il meccanismo di azione del prodotto si fonda sull'azione di lavaggio della soluzione che, coadiuvata dall'effetto dell'acido ipocloroso, sarebbe in grado di rimuovere meccanicamente e uccidere in meno di un minuto virus e batteri, incluso Sars-CoV-2, anche le varianti. La forte azione antimicrobica di questa sostanza è nota, ma finora non era sfruttabile in questo modo in quanto non inalabile perché nociva per l'uomo. La nuova nanotecnologia, messa a punto da un team di italiani, l'ha resa inalabile senza irritare le mucose di naso e gola. La conservazione della soluzione non richiede particolari precauzioni e può essere mantenuta per 2 anni a temperatura ambiente tra i 5 e i 25°C.
Ritardare la somministrazione della seconda dose del vaccino anti Covid, affinché un numero maggiore di persone possa ricevere la prima, riduce fino a un quinto il numero dei decessi da coronavirus.
E' quanto afferma uno studio statunitense, pubblicato sul British Medical Journal. Secondo lo studio, che ha simulato l'evoluzione "reale" di un modello basato su 100mila americani adulti, con la sola prima dose del vaccino, che offre l'80% di protezione dal virus, i morti sarebbero 207 su 100mila persone. Se invece si eseguisse la somministrazione della seconda dose del vaccino secondo il previsto arco di tempo, i morti salirebbero a 233 ogni 100mila persone.
Lo studio rileva quindi che rimandare la somministrazione della seconda dose comporta dei benefici, purché il tasso di vaccinazione si mantenga giornalmente tra lo 0,1 e lo 0,3 % della popolazione.
Una nuova tappa verso il ritorno alla normalità in Svizzera. Il Consiglio federale ha adottato il modello a tre fasi, che definisce la strategia per i prossimi mesi. Alla fine di maggio, quando saranno state vaccinate tutte le persone a rischio che lo desiderano, si passerà dalla fase di protezione a quella di stabilizzazione, che sarà accompagnata da una quarta tappa di riapertura.
Se la situazione epidemiologica lo consentirà, da lunedì 31 maggio i ristoranti potranno riaprire i locali interni, il numero massimo di persone ammesse a manifestazioni pubbliche sarà innalzato e per le imprese che effettuano regolarmente test l’obbligo del telelavoro sarà tramutano in una raccomandazione. Il Consiglio federale sottopone queste e altre proposte ai Cantoni, alle commissioni parlamentari competenti e alle parti sociali e prenderà una decisione definitiva il 26 maggio.
La situazione epidemiologica sta migliorando: il numero di nuovi casi, le ospedalizzazioni e l’occupazione dei posti letto nei reparti di terapia intensiva sono in calo. La popolazione si attiene alle misure di protezione e le riaperture decise il 19 aprile scorso non hanno avuto finora un impatto negativo sull’evoluzione dell’epidemia. Secondo il Consiglio federale vi sono buone probabilità che nelle prossime settimane la situazione negli ospedali continui a migliorare e che alla fine di maggio possano essere decisi ulteriori allentamenti. È tuttavia essenziale che la campagna vaccinale proceda ad alto ritmo e che tutti - specialmente i gruppi a rischio - continuino a proteggersi con molta attenzione fino a quando non saranno stati vaccinati. Il Consiglio federale pone in consultazione le seguenti proposte.
Manifestazioni in presenza di pubblico: al chiuso 100 e all’aperto 300 persone
Per le manifestazioni in presenza di pubblico il limite passerà da 50 a 100 persone al chiuso e da 100 a 300 all’aperto. Potrà inoltre essere usata la metà della capienza e non più soltanto un terzo come finora. Lo stesso varrà per le manifestazioni per la formazione dell’opinione politica e le manifestazioni religiose. Altre manifestazioni, come gli eventi di associazioni o le visite guidate, potranno svolgersi sia al chiuso che all’aperto con un massimo di 30 persone invece delle attuali 15. Resteranno per contro vietate le manifestazioni di ballo. Poiché il rischio di trasmissione è più alto, negli incontri privati saranno ammesse come finora non più di 10 persone al chiuso e non più di 15 all’aperto.
Ristoranti: apertura dei locali interni, se il numero di casi non aumenta
Il Consiglio federale propone che possano essere riaperti anche i locali interni dei ristoranti, a condizione che sia applicato un piano di protezione. Dal punto di vista epidemiologico, questo è l’allentamento più critico, perché s’incontrano al chiuso molte persone di diverse economie domestiche senza mascherina. Una riapertura alla fine di maggio presuppone pertanto che il numero di casi resti stabile o cali. Sono previste le stesse regole che vigono attualmente per le aree esterne: rispetto della distanza o installazione di barriere, non più di quattro persone per tavolo, registrazione dei dati di contatto di tutti gli ospiti, obbligo di restare seduti e di portare la mascherina anche al tavolo quando non si consuma. Verrà per contro abrogato l’obbligo della mascherina sulle terrazze, quando si è seduti al tavolo. Sarà compito dei Cantoni controllare il rispetto dei piani di protezione.
Sport amatoriale: gruppi più grandi e partite di calcio in tutte le leghe
Il limite di persone che potranno praticare insieme uno sport sarà innalzato da 15 a 30. Sarà inoltre nuovamente ammessa la presenza di pubblico, anche alle competizioni. Alle manifestazioni saranno ammessi 100 spettatori al chiuso e 300 all’aperto. Per permettere lo svolgimento di partite di calcio anche nel settore amatoriale, la dimensione massima dei gruppi per gli sport di squadra nei campionati nazionali e regionali passerà da 30 a 50 persone. Le competizioni negli sport di squadra saranno permesse soltanto all’aperto.
Per gli sport al chiuso, continueranno a valere le regole seguenti: al massimo 15 persone nella stessa sala se non è indossata la mascherina e gli sport di contatto come lo judo o la lotta svizzera sono ammessi al chiuso senza mascherina soltanto in gruppi di quattro persone a composizione stabile. Sarà inoltre ridotta a 10 metri quadrati la superficie per persona per la pratica al chiuso di sport tranquilli (p. es. lo yoga).
Cultura amatoriale: possibili gruppi più grandi
Analogamente a quanto previsto nello sport, anche nella cultura la dimensione massima dei gruppi sarà aumentata a 30 persone. Alle rappresentazioni e alle prove che le precedono saranno ammesse non più di 50 persone sia al chiuso che all’aperto. La superficie richiesta per persona per le orchestre a fiato sarà ridotta da 25 a 10 metri quadrati. I concerti all’aperto saranno di nuovo permessi sia per i cori amatoriali che per quelli professionali.
Revoca dell’obbligo del telelavoro per le imprese che effettuano test regolari
L’obbligo del telelavoro sarà tramutato in una raccomandazione per le imprese che effettuano test regolari. Per ridurre ulteriormente gli ostacoli per i test nelle imprese, la Confederazione coprirà non soltanto i costi dei test, ma anche quelli per l’aggregazione dei campioni. Dal 18 gennaio, i datori di lavoro sono obbligati a disporre il telelavoro qualora per la natura dell’attività ciò sia possibile e attuabile senza un onere sproporzionato. Non appena tutte le persone che lo desiderano saranno state vaccinate (inizio della fase di normalizzazione), la regola del telelavoro sarà allentata senza condizioni. La protezione delle persone particolarmente a rischio sul posto di lavoro sarà prorogata.
Scuole universitarie: esteso l’insegnamento presenziale
Nelle scuole universitarie la limitazione a 50 persone per le manifestazioni presenziali sarà revocata se sarà previsto un piano di test nel quadro della strategia cantonale e il Cantone avrà rilasciato la pertinente autorizzazione. Potrà inoltre essere usata la metà della capienza delle sale e non più soltanto un terzo come finora. Resteranno in vigore l’obbligo della mascherina e il rispetto della distanza.
Apertura delle strutture per il wellness
I bagni termali e i centri wellness potranno riaprire. Per persona devono essere previsti 15 metri quadrati e potranno essere svolte attività senza mascherina ma tenendo la distanza.
Nessuna quarantena per le persone vaccinate
Oltre alle persone guarite, saranno esentate dalla quarantena di contatto e dalla quarantena per chi viaggia anche le persone vaccinate, poiché si ritiene che non possano trasmettere la malattia. Devono ancora essere stabiliti la durata di questa deroga e i vaccini cui si applica.
In vista delle vacanze estive, il Consiglio federale adegua inoltre i consigli di viaggio della Confederazione, segnalando che in tutte le regioni del mondo vi è il rischio di infezione. Prima di recarsi all’estero, vanno consultate le informazioni e le raccomandazioni dell’Ufficio federale della sanità pubblica e, in particolare, l’elenco aggiornato degli Stati e delle regioni con rischio elevato di contagio. Chi entra in Svizzera in provenienza da uno di questi Stati o regioni deve mettersi in quarantena. È sconsigliato recarsi in Paesi o regioni in cui sono presenti nuove mutazioni del virus. Questi Stati e queste regioni sono riportati nell’elenco.
Approvato il modello a tre fasi
Il Consiglio federale ha adottato oggi anche la sua strategia per i prossimi mesi, definendo tre fasi fino a quando saranno stati vaccinati tutti gli adulti che lo desiderano e potranno essere ampiamenti revocati i provvedimenti di protezione contro la COVID-19. Questo modello a tre fasi è stato accolto favorevolmente in sede di consultazione. Quasi tutti i Cantoni approvano sia il modello che la strategia, alla quale sono stati pertanto apportati soltanto adeguamenti minimi. La maggioranza dei Cantoni è consapevole che il modello comporta anche dei rischi, per esempio per le persone che non possono farsi vaccinare e che quindi sono esposte a un rischio maggiore a lungo termine.
La prima fase (fase di protezione) durerà fino a quando non saranno state completamente vaccinate tutte le persone particolarmente a rischio che lo desiderano e dovrebbe concludersi alla fine di maggio. Nella seconda fase (fase di stabilizzazione) tutta la popolazione adulta avrà accesso alla vaccinazione. Non appena saranno state completamente vaccinate tutte le persone adulte che lo desiderano inizierà la terza fase (fase di normalizzazione). Il virus continuerà tuttavia a circolare anche dopo che tutte le persone adulte che lo desiderano saranno state vaccinate.
Previste altre riaperture
Il Consiglio federale prevede altre riaperture nella seconda e terza fase. Il 26 maggio prenderà decisioni definitive sulle grandi manifestazioni con più di 1000 persone; l’analisi dei risultati della consultazione su questa proposta è in corso. Il Consiglio federale intende porre in consultazione la prossima tappa di riapertura l’11 giugno per poi decidere il 18 giugno. In questo pacchetto sono previsti ulteriori allentamenti tra l’altro per lo sport, la cultura e le manifestazioni. In estate, il Consiglio federale discuterà anche la pianificazione a medio termine e si occuperà dei lavori preparatori necessari per il prossimo inverno.
Adeguate diverse ordinanze COVID-19
Ancora prima di prendere una decisione sulla quarta tappa di riapertura, il Consiglio federale ha adottato alcuni adeguamenti tecnici a diverse ordinanze COVID-19, imposti da nuove acquisizioni scientifiche e dalle attività estive.
- Le persone che hanno contratto il SARS-CoV-2 e sono guarite non sono più considerate particolarmente a rischio per sei e non più, come finora, per tre mesi.
- In vista della stagione estiva gli stabilimenti balneari hanno la possibilità di prevedere nei loro piani di protezione esenzioni dall’obbligo della maschera per alcune parti dell’area esterna, per esempio i prati.
- Per i viaggiatori che entrano in Svizzera da uno Stato o una regione in cui è presente una variante del SARS-CoV-2 preoccupante, le esenzioni dall’obbligo di test e di quarantena per l’ingresso in Svizzera saranno limitate.
- Agli assicuratori è data la facoltà di richiedere il rimborso dei costi dei test fai da te prelevati in eccesso direttamente alla persona assicurata. Le spese per i richiami eventualmente necessari saranno a carico della Confederazione.
Una rapida risposta a livello internazionale avrebbe potuto evitare che l'epidemia di Covid scoppiata in Cina nel 2019 si trasformasse nel 2020 in una catastrofe globale. Sono le conclusioni con le quali un rapporto indipendente punta il dito contro le responsabilità dell'Organizzazione mondiale della sanità e dei leader mondiali di fronte alla pandemia.
Il rapporto, commissionato proprio dall'Oms e realizzato dagli esperti dell'Independent Panel for Pandemic Preparedness and Response, indica diverse soluzioni da adottare per il futuro e fa decine di raccomandazioni, compresa l'attribuzione di maggiori poteri di sorveglianza all'Oms. Gli esperti non hanno esaminato le origini del Sars-Cov-2, ma criticano le autorità cinesi e l'Oms per la troppa lentezza nel riconoscere che il virus si stava diffondendo tra la popolazione di Wuhan e poi nell'avvertire il mondo riguardo alla trasmissione dl virus da umani a umani.
"Per i futuro, dovrebbe essere usato dall'inizio un approccio precauzionale, ammettendo che una malattia respiratoria può diffondersi da persona a persona, a meno che non venga accertato il contrario", si afferma nel rapporto. Gli esperti indipendenti criticano quindi l'Oms per non aver dichiarato fino al 30 gennaio che il covid era un'emergenza sanitaria di livello internazionale e per avere atteso fino all'11 marzo del 2020 per dichiarare la pandemia.
Le raccomandazioni contenute nel documento comprendono un nuovo trattato internazionale per la creazione di un Consiglio globale per le minacce alla salute; più poteri di indagine per l'Oms e la possibilità di pubblicare informazioni sulle epidemie anche senza l'approvazione dei governi; nuovi fondi per l'International Pandemic Financing Facility (Ipff), prevedendo una spesa tra i 5 e i 10 miliardi di dollari all'anno nella preparazione per fronteggiare le pandemie e tra i 50 e i 100 miliardi di dollari in caso di emergenza.
Un fungo "potenzialmente fatale" sta colpendo alcuni pazienti Covid in India. Questo quanto riporta il New York Times, che parla della mucormicosi - infezione fungina già presente nel Paese prima della pandemia - e delle relative infezioni nei contagiati da coronavirus.
"I medici in India - si legge - sono preoccupati per un numero crescente di infezioni fungine potenzialmente fatali, che colpiscono le persone che hanno Covid-19 o quelle che si sono recentemente riprese dalla malattia. La condizione, nota come mucormicosi, ha un alto tasso di mortalità ed era presente in India prima della pandemia". Il fungo, si legge ancora, "è causato da una muffa che prospera in ambienti umidi e può attaccare attraverso le vie respiratorie, potenzialmente erodendo le strutture facciali e danneggiando il cervello".
L'infezione fungina, scrive ancora il New York Times "è relativamente rara, ma dottori e medici esperti affermano che sembra stia infettando alcuni pazienti Covid resi vulnerabili dal sistema immunitario debole e dalle condizioni precarie, in particolare quelli affetti da diabete".
Alcuni esperti, spiega ancora il Nyt, "attribuiscono le infezioni fungine a un maggiore uso di steroidi per curare i pazienti ospedalizzati. Un altro fattore - si legge - potrebbe dipendere dal fatto che, con gli ospedali sopraffatti da questa seconda ondata di pandemia, molte famiglie si auto-medicano e applicano l'ossigenoterapia a casa senza un'igiene adeguata".
"Solo il 5% dei bambini si ammala di Covid e di questi il 6% presenta un quadro sintomatologico. Nonostante sia una malattia benigna per la maggior parte di loro, alcuni manifestano segni e sintomi come cefalea, tosse, dispnea anche a distanza di settimane e mesi dopo essersi negativizzati.
Per dare risposte alle famiglie e ai pediatri di famiglia, abbiamo costituito l'ambulatorio per il follow-up dei bambini guariti dal Covid. Questo spazio e' stato creato all'interno del Policlinico Luigi Vanvitelli ed e' il primo ambulatorio in Campania".
A raccontarlo, interpellato dalla Dire, e' Michele Miraglia del Giudice, professore di Pediatria dell'azienda ospedaliero-universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli, dove e' responsabile dell'ambulatorio di malattie respiratorie infantili.
"L'iniziativa e' partita da poco tempo- racconta Miraglia- ma e' portata avanti dalla Societa' di malattie respiratorie infantili (Simri) su tutta Italia per mappare le differenze e le casistiche di long Covid tra i bambini su tutto il territorio nazionale". L'obiettivo dell'ambulatorio guidato dal docente di pediatria e' quello di verificare la funzione respiratoria del bambino colpito dall'infezione da Covid, nella sua fase di remissione, attraverso vari esami: "La spirometria, il test di broncodilatazione, il test del cammino grazie al quale misuriamo la saturazione dell'ossigeno e l'ecografia polmonare. Un esame, quest'ultimo molto importante- spiega Miraglia- perche' ci fornisce gli esiti dell'infezione. I bambini fanno anche una visita pneumologica, all'ingresso nell'ambulatorio di follow-up. Quelli coinvolti dalle attivita' del laboratorio campano vanno dai 5 anni in su, infatti Miraglia precisa che "la spirometria puo' essere svolta correttamente da questa eta' in poi, ma con l'oscillometria stiamo valutando anche i bambini in eta' pre-scolare, ampliando in questo modo il supporto dell'ambulatorio a un numero piu' ampio di pazienti".
Perche' indagare sul Long Covid nei bambini, che si ammalano pochissimo e spesso senza sintomi? Miraglia risponde senza fare allarmismi: "Ci sono stati casi di iper-reattivita' bronchiale, alterazioni ecografiche in cui sono emerse linee focali tipiche del SARS-CoV-2, la presenza di una linea pleurica irregolare. Segnali che l'infezione ha lasciato delle tracce anche pesanti pur non avendo dato manifestazioni acute di se'. L'importante su questi bambini- aggiunge il professore della Vanvitelli- e' eseguire il monitoraggio, verificando se tali alterazioni si risolvono o invece durano nel tempo.
Il bambino, in seguito al monitoraggio, tornera' in ambulatorio dopo sei mesi per capire se queste alterazioni e/o sintomi sono rimasti. Noi ci auguriamo di non trovare nulla, tuttavia ci sono sintomi comparsi dopo l'infezione ed e' importante monitorarli per evitare che possano dare adito a cronicita'".
Rispetto alle caratterizzazioni differenti della sindrome post/Long Covid tra un territorio e l'altro, il gruppo di lavoro e di ricerca del professore Miraglia ha gia' condotto un'indagine e due survey, nel 2020 e nel 2021: "Abbiamo registrato differenze tra Centro, Sud e Nord Italia, anche in ragione di come questi territori sono stati colpiti in modo molto diverso tra la prima e la seconda ondata. Ora ci attendiamo di elaborare e realizzare un'altra indagine- conclude- in cui saranno presenti le attivita' di follow-up dell'ambulatorio long Covid".
Il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS), tramite la Divisione della formazione professionale (DFP), comunica che dopodomani, mercoledì 12 maggio, in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere, il Centro professionale sociosanitario in cure infermieristica di Bellinzona e Lugano propone a studenti, docenti e formatori tre momenti d’incontro a distanza sull’esperienza COVID-19.
Ogni anno sono oltre 500 gli studenti e le studentesse, che frequentano la Scuola specializzata superiore in cure infermieristiche (SSSCI) del Centro professionale sociosanitario di Bellinzona e Lugano, ripartiti tra formazione di base di infermieri e soccorritori professionali e i curricola specialistici post diploma per esperti in cure intensive, in cure urgenti e in anestesia.
Gli studenti e le studentesse del terzo anno della SSSCI sin dalla primavera 2020, hanno svolto la loro pratica professionale in aiuto ai vari reparti e istituti e a sostegno del personale sanitario con la supervisione garantita da docenti e formatori. È stato un piccolo ma fondamentale esercito di futuri infermieri/e e soccorritori/trici che si sono messi in gioco con una forza e coinvolgimento eccezionali, consapevoli della responsabilità del loro lavoro.
In occasione della Giornata internazionale dell’infermiere di mercoledì 12 maggio 2021, la direzione scolastica ha organizzato tre momenti, tutti a distanza, dedicati alla condivisione dell’esperienza COVID-19, con uno sguardo verso il futuro. Al mattino, tra le 9 e le 12, sono previsti diversi interventi di studenti e docenti, con il contributo di specialisti e personalità del territorio che porteranno testimonianze e spunti di riflessione. Nel primo pomeriggio si terrà l’assemblea degli studenti che riprenderà quanto presentato al mattino. Alle 17.30, infine, la giornata si concluderà con la cerimonia di consegna dei diplomi.
Un nuovo studio ha dimostrato che la maggior parte dei pazienti dimessi dall'ospedale, dopo aver subito una grave infezione da COVID-19 sembra tornare in piena salute, sebbene fino a un terzo abbia ancora prove di effetti sui polmoni un anno dopo.
Sebbene siano stati compiuti progressi significativi nella comprensione e nel trattamento della polmonite acuta da COVID-19, si sa molto poco sul tempo impiegato dai pazienti per riprendersi completamente e se i cambiamenti all'interno dei polmoni persistono.
In questo nuovo studio, pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine , i ricercatori dell'Università di Southampton hanno lavorato con collaboratori a Wuhan, in Cina, per indagare sulla storia naturale del recupero dalla polmonite grave da COVID-19 fino a un anno dopo il ricovero.
83 pazienti sono stati reclutati dopo essere stati dimessi dall'ospedale in seguito a polmonite grave da COVID-19 e sono stati seguiti dopo tre, sei, nove e dodici mesi. In ogni momento sono stati sottoposti a valutazione clinica e misurazioni del funzionamento dei polmoni, una TAC del torace per scattare una foto dei polmoni e un test del cammino.
Nell'arco di 12 mesi nella maggior parte dei pazienti si è verificato un miglioramento dei sintomi, della capacità di esercizio e dei cambiamenti CT correlati a COVID-19. Entro 12 mesi la maggior parte dei pazienti sembrava essersi completamente ripresa, sebbene circa il 5% dei pazienti riferisse ancora di mancanza di respiro. Un terzo delle misurazioni della funzione polmonare dei pazienti era ancora ridotto - in particolare l'efficienza con cui l'ossigeno viene trasferito dai polmoni al sangue - e questo è stato riscontrato più frequentemente nelle donne che negli uomini. In circa un quarto dei pazienti le scansioni TC hanno mostrato che c'erano ancora piccole aree di cambiamento nei polmoni, e questo era più comune nei pazienti con alterazioni polmonari più gravi al momento del ricovero.
Il dottor Mark Jones, professore associato in medicina respiratoria presso l'Università di Southampton e NIHR Southampton Biomedical Research Center, che ha co-condotto lo studio, ha affermato che "la maggior parte dei pazienti con polmonite COVID-19 grave sembrava guarire completamente, sebbene per alcuni pazienti ciò richiedesse molti mesi. Le donne avevano maggiori probabilità di avere riduzioni persistenti nei test di funzionalità polmonare e sono necessarie ulteriori indagini per capire se c'è una differenza specifica per sesso nel modo in cui il paziente guarisce. Inoltre non sappiamo ancora cosa succede oltre i 12 mesi e questo sarà necessario studio in corso."
I ricercatori hanno riconosciuto che questo studio ha coinvolto solo un piccolo numero di pazienti e i risultati richiederanno la conferma in ulteriori studi, tuttavia hanno identificato una serie di importanti implicazioni.
"In primo luogo la nostra ricerca fornisce la prova che è richiesto il follow-up respiratorio di routine dei pazienti ricoverati in ospedale con polmonite COVID-19 -ha spiegato dottor Yihua Wang, docente di scienze biomediche presso l'Università di Southampton e NIHR Southampton Biomedical Research Center che ha co-condotto lo studio- In secondo luogo, dato il tempo necessario affinché alcuni pazienti si riprendano, suggerisce che è necessaria una ricerca per stabilire se i programmi di esercizio fisico aiutino i pazienti a recuperare più rapidamente. Infine, evidenzia la necessità di strategie di trattamento, per prevenire lo sviluppo di COVID- 19 cambiamenti polmonari correlati".
Un'app può prevedere un'epidemia di Covid? Si chiama "COVID Control" e utilizzando informazioni sui sintomi del virus auto-segnalate dagli utenti, potrebbe predire il prossimo focolaio.
Secondo gli scienziati della Johns Hopkins Medicine, che hanno sviluppato l'app mobile, che utilizza dati di crowdsourcing sui sintomi di COVID-19, si può identificare con precisione proprio dove appariranno i focolai di coronavirus locali.
Il team della Johns Hopkins ha lanciato l'app "COVID Control" nel maggio 2020 e ha studiato in che modo i sintomi del COVID-19 segnalati dagli utenti possono prevedere potenziali focolai del virus, consentendo ai leader della sanità pubblica di attuare misure per contenere la diffusione del virus. I risultati delle scoperte dei ricercatori sono stati pubblicati il ??25 febbraio su Nature Scientific Reports .
"È un esempio davvero promettente di come possiamo utilizzare la partecipazione del pubblico e l'ubiquità della tecnologia come i telefoni cellulari per monitorare le malattie- afferma il dr. Robert Stevens, Direttore di anestesiologia e medicina di precisione di terapia intensiva presso la Johns Hopkins University School of Medicine- Non è limitato alle malattie infettive ma potrebbe essere utilizzato per monitorare l'epidemiologia di una serie di condizioni di salute prevalenti, come malattie cardiache, cancro e diabete".
Disponibile tramite Google Play e l' App Store di Apple, COVID Control consente agli utenti di segnalare in modo anonimo i sintomi associati a COVID-19, come febbre, perdita di gusto / olfatto, nausea e altri sintomi per creare una mappa visualizzabile pubblicamente che mostra gruppi di persone che manifestano tali sintomi . Dal suo lancio, più di 19.000 utenti in 1.019 contee in ogni stato degli Stati Uniti hanno registrato più di 174.000 voci di dati.
Lo studio si è concentrato su Baltimora City e Baltimora County e ha mostrato che nove gruppi di sintomi registrati dagli utenti di COVID Control erano correlati a luoghi di maggiore prevalenza di coronavirus segnalati dal Dipartimento della salute della città di Baltimora. Una nuova perdita di gusto o olfatto ha mostrato la più forte correlazione tra la segnalazione dei sintomi e i casi confermati di COVID-19, prevedendo il picco nei casi in media cinque giorni prima, che il Dipartimento della Salute della città confermasse un'epidemia di coronavirus.
Antonio Caperna
Tutti i pazienti colpiti da forma grave di Covid-19, dimessi da un ricovero ospedaliero e giudicati guariti, potranno usufruire per due anni, a titolo gratuito e con la totale esenzione del ticket, delle prestazioni diagnostiche e specialistiche ambulatoriali del Servizio Sanitario Nazionale, che rientrano nelle attività di follow-up sulle possibili conseguenze del virus.
Un follow-up che servirà anche ad acquisire informazioni sugli esiti di questa patologia, ancora da approfondire ad appena un anno e mezzo dalla sua comparsa. È quanto prevede la misura a cui il Ministro della Salute, Roberto Speranza, sta lavorando in vista del decreto “Sostegni bis”.
“Il Coronavirus può lasciare, nei pazienti che lo hanno avuto in forma grave, conseguenze anche dopo la guarigione. Per questo ho proposto che vengano stanziati 50 milioni di euro, affinché il Servizio Sanitario Nazionale prenda in carico gratuitamente, con esami diagnostici e terapie, tutti i pazienti maggiormente colpiti dal virus anche dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera. Questo provvedimento consentirà, inoltre, di avviare un monitoraggio per acquisire ulteriori dati da mettere a disposizione dei nostri ricercatori”, spiega il Ministro della Salute, Roberto Speranza.
Nel pacchetto delle prestazioni previste, quelle per il controllo delle funzioni più interessate, quella respiratoria, cardiaca, renale ed emocoagulativa: dalle analisi del sangue – esami come l’emocromo, ves, creatinina, solo per citarne alcuni – all’elettrocardiogramma dinamico, dalla spirometria al test del cammino, fino alla tac del torace.
L’intenzione è di destinare al follow-up dei pazienti Covid-19 circa 50 milioni di euro fino al 2023, che dovrebbero essere ripartiti in oltre 24 milioni di euro per l’anno in corso, circa 20 milioni per il 2022 e poco meno di 6 milioni di euro per il 2023. Risorse che serviranno appunto per il “Protocollo sperimentale nazionale di monitoraggio”, che prevede l’erogazione – esente da ticket – di prestazioni di specialistica ambulatoriale contenute dei Livelli essenziali di assistenza ritenute appropriate – anche in base alla severità della sintomatologia del paziente – per il monitoraggio, la prevenzione e la diagnosi precoce di eventuali esiti o complicanze, per le persone che nel tempo potrebbero riportare effetti cronici in seguito a una malattia da Covid-19 con un quadro clinico severo. Soggetti spesso anziani, che potrebbero avere conseguenze cardiache e polmonari e nei quali è fondamentale identificare precocemente lo sviluppo di una fibrosi polmonare o di cardiopatie.
Per i pazienti più anziani è prevista una valutazione multidisciplinare e in particolare per quelli sottoposti a terapia intensiva o subintensiva è previsto anche un colloquio psicologico. Il piano si basa sui dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui sono circa 164 mila i pazienti con gravi forme di Covid-19 guariti e dimessi dagli ospedali (più di un terzo dei quali, residenti in Lombardia): saranno loro ad essere arruolati nel monitoraggio.
“Pur comprendendone gli obiettivi, siamo molto preoccupati per la decisione del Comitato Tecnico Scientifico di estendere l’intervallo fra la prima e la seconda dose dei due vaccini anti Covid a mRNA da 21 e 28 giorni a 42 anche ai pazienti fragili. I pazienti oncologici in trattamento attivo, in particolare, devono invece essere vaccinati con la seconda inoculazione entro 21 giorni.
Le evidenze scientifiche infatti dimostrano che questi cittadini estremamente vulnerabili hanno meno probabilità rispetto alle persone sane di sviluppare una risposta anticorpale dopo la prima dose del vaccino prodotto da Pfizer (BNT162b2) e dovrebbero avere la priorità della seconda dose entro tre settimane”.
Il Prof. Francesco Cognetti, Direttore Oncologia Medica Regina Elena di Roma e Presidente FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi), chiede al Comitato Tecnico Scientifico e al Ministro della Salute, Roberto Speranza, che non venga applicata la circolare sull’estensione degli intervalli di immunizzazione anti Covid ai pazienti oncologici e, con ogni probabilità, anche a tutti coloro che sono considerati estremamente fragili. “Bene la scelta di vaccinare più persone con la prima dose, come già sperimentato positivamente in altri Paesi – afferma il Prof. Aldo Morrone, Direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano (IRCSS) -, purché questa scelta non venga applicata ai pazienti più fragili in trattamento attivo, secondo la tabella indicata dallo stesso Ministero della Salute. In queste persone è necessario somministrare la seconda dose entro i 21 o i 28 giorni a seconda dei diversi vaccini a mRNA utilizzati”.
“I cittadini colpiti da tumore presentano un rischio maggiore di complicazioni se contagiati da Covid, con un tasso di mortalità del 30% in caso di ospedalizzazione – spiega il Prof. Cognetti -. Uno studio recente pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica ‘Lancet Oncology’ ha dimostrato che la risposta anticorpale dei pazienti colpiti da tumori solidi e del sangue dopo la prima dose di vaccino è molto più bassa che in persone normali e che tale risposta si consolida solo dopo la seconda dose. Il tempo migliore per il richiamo deve rimanere quindi dopo 21 giorni. Lo studio è stato condotto dal King’s College di Londra. Sono stati arruolati 151 pazienti con tumori solidi o ematologici e 54 persone sane che hanno ricevuto la prima dose del vaccino di Pfizer (BNT162b2). Circa 21 giorni dopo l’inoculazione, solo il 38% dei pazienti con tumori solidi e il 18% con neoplasie ematologiche presentava un titolo positivo di immunoglobuline (IgG) rispetto al 94% delle persone sane. E l’analisi dei titoli IgG suggerisce che la principale differenza tra queste ultime e i pazienti con il cancro è proprio la mancata risposta.
Considerando coloro che hanno ricevuto la seconda dose entro tre settimane, il 95% dei pazienti con tumori solidi e il 60% dei pazienti con neoplasie ematologiche hanno evidenziato una adeguata risposta anticorpale. Invece, tra coloro che non hanno ricevuto la seconda dose il ventunesimo giorno, solo il 30% dei pazienti con tumori solidi e l’11% dei pazienti con tumori ematologici hanno sviluppato una risposta contro il virus”. “Questi risultati – conclude il Prof. Cognetti – sono analoghi a quelli preliminari finora conseguiti in uno studio tuttora in corso presso l’Istituto Regina Elena di Roma e l’Istituto San Gallicano di Roma in 816 pazienti con neoplasie solide in trattamento attivo o che hanno ricevuto il trattamento negli ultimi sei mesi. Su oltre 700 pazienti finora esaminati solo circa la metà risulteranno immunizzati dopo la prima dose e circa il 70% dopo un mese dalla seconda dose. Questi risultati mostrano inoltre valori nettamente più bassi rispetto a quelli ottenuti in una serie di alcune centinaia di medici e/o infermieri sani dello stesso Istituto. Va inoltre sottolineato che i pazienti immunocompromessi presentano una maggiore incidenza di infezione persistente da SARS-CoV-2, che può rappresentare un importante serbatoio per lo sviluppo di nuove varianti virali. Ecco perché vanno rispettati rigorosamente i tempi di somministrazione dei vaccini nei più fragili”.
Questi pazienti devono essere adeguatamente protetti perché la loro parziale o incompleta vaccinazione è ancora una delle cause più importante nel determinare la persistente elevata mortalità nei contagiati registrata in Italia.
L'infezione da Covid è più pericolosa per le donne incinte e i bambini che portano in grembo. DI qui l'appello a vaccinare.
"Valutiamo per le donne in gravidanza la priorità per la vaccinazione contro Covid-19 per preservare la loro salute e quella dei loro bambini", sottolineano degli esperti della Società italiana di riproduzione umana (Siru) alla quale aderiscono ginecologi, endocrinologi, andrologi, urologi, biologi, embriologi, genetisti, oncologi, medici dei consultori, psicologi e counselor, medici di medicina generale, ostetriche, infermieri nonché giuristi e bioeticisti, sottolineando come "l'infezione da Covid-19 è più pericolosa per le donne incinte e i bambini che portano in grembo" e che "i vaccini attualmente disponibili sono sicuried efficaci in gravidanza", come emerge dalle conclusioni di due studi pubblicati di recente su 'Jama Pediatrics' e sul 'New England Journal of Medicine' (Nejm), riferisce la Siru in una nota.
Il virus - dettaglia la società scientifica - può alterare il corso della gravidanza e danneggiare le madri e i neonati, secondo lo studio di 'Jama Pediatrics', uno dei più grandi condotti su Covid-19 e la gravidanza, che ha arruolato oltre 2.100 donne incinte, curate in 43 centri medici di 18 Paesi diversi, tra marzo e ottobre 2020. E' emerso che le donne con Covid-19 avevano una probabilità maggiore del 76% di soffrire di ipertensione indotta dalla gravidanza, nota come preeclampsia o eclampsia. Non solo. Queste stesse pazienti sono risultate 3 volte più a rischio di sviluppare una grave infezione e 5 volte più a rischio di essere ricoverate in un reparto di terapia intensiva. Undici donne con Covid-19 sono morte, rispetto a una sola donna nel gruppo di controllo.
Lo studio ha anche collegato l'infezione Covid-19 a un aumento dal 60% al 97% del tasso di parto pretermine e, nelle pazienti infette con febbre e mancanza di respiro, a un aumento di 5 volte delle complicanze neonatali come immaturità dei polmoni, danni cerebrali e altri disturbi. Circa il 13% dei bambini è risultato positivo al virus e il parto cesareo è stato collegato a un rischio più elevato di trasmissione. L'allattamento al seno, al contrario, non sembra collegato al contagio. "Questi risultati sottolineano l'importanza di includere le donne incinte nei gruppi a cui dare priorità nella vaccinazione anti-Covid e di limitare la loro esposizione ai malati", dice Antonino Guglielmino, presidente Siru.
"Poiché i vaccini anti-Covid approvati non sono stati testati su donne in gravidanza, alcune autorità sanitarie esitano a dare loro la priorità per la vaccinazione", spiega Guglielmino. "Ma come dimostrano gli ultimi promettenti dati, i vaccini risultano efficaci e sicuri anche in gravidanza", aggiunge. Secondo uno studio dei Cdc americani pubblicato sul 'Nejm', i vaccini a Rna di Moderna e Pfizer/BioNTech sono sicuri. Dalla ricerca, basata sui dati di oltre 35mila donne americane, è emerso che il rischio di aborto spontaneo, nascite premature e altre complicazioni per le donne vaccinate è paragonabile a quello osservato nelle donne incinte prima della pandemia.
"Sono dati molto rassicuranti - specifica Guglielmino - che cerchiamo di condividere con le nostre pazienti che ci chiedono continuamente cosa è meglio fare. In un momento così delicato occorre informare adeguatamente le coppie in attesa o che cercano una gravidanza, che già vivono con ansia e incertezza l'attesa o la ricerca di un figlio", conclude.
Per questo la Siru ha aperto da qualche settimana uno sportello informativo gratuito, la cui attivazione è possibile contattando il numero 349-0753000 (dalle 11 alle 17) oppure via mail a info@siru.it.
Via libera alla seconda dose del vaccino anti Covid di AstraZeneca, per chi ha ricevuto la prima senza riportare trombosi rare. Questa l'indicazione del Comitato tecnico scientifico per l'emergenza coronavirus, contenuta nel parere allegato a una circolare del ministero della Salute.
Oggetto del documento, firmato dal direttore generale Prevenzione, Giovanni Rezza: 'Trasmissione parere del Cts in merito alla estensione dell'intervallo tra le due dosi dei vaccini a mRna e alla seconda dose del vaccino Vaxzevria'.
"Il Cts - si legge in un estratto del verbale del Comitato, datato 30 aprile - ritiene che, sulla scorta delle informazioni a oggi disponibili sull'insorgenza di trombosi in sedi inusuali (trombosi dei seni venosi cerebrali, trombosi splancniche, trombosi arteriose) associate a piastrinopenia, riportate essersi verificate solamente dopo la prima dose del vaccino di AstraZeneca, i soggetti che hanno ricevuto la prima dose di questo vaccino senza sviluppare questa tipologia di eventi non presentano controindicazione per una seconda somministrazione del medesimo tipo di vaccino".
"Questa posizione - si precisa - potrà essere eventualmente rivista qualora dovessero emergere evidenze diverse nelle settimane prossime venture, derivanti in particolare dall'analisi del profilo di sicurezza del vaccino nei soggetti che nel Regno Unito hanno ricevuto la seconda dose".
Estendere a 42 giorni l'intervallo fra la prima e la seconda dose dei vaccini anti-Covid a mRna, quelli di Pfizer/BioNTech e di Moderna. Questa l'indicazione del Comitato tecnico scientifico contenuta nel parere allegato a una circolare del ministero della Salute. Oggetto del documento, firmato dal direttore generale Prevenzione, Giovanni Rezza: 'Trasmissione parere del Cts in merito alla estensione dell'intervallo tra le due dosi dei vaccini a mRna e alla seconda dose del vaccino Vaxzevria'
"In relazione all'evoluzione nella conduzione della campagna vaccinale contro Sars-CoV-2 - si legge in un estratto del verbale del Comitato, datato 30 aprile - il Cts rimarca che rimane una quota significativa di soggetti non vaccinati che, in ragione di connotazioni anagrafiche o per patologie concomitanti, sono a elevato rischio di sviluppare forme di Covid-19 marcatamente gravi o addirittura fatali. Sulla scorta di questa considerazione, pur a fronte di studi registrativi che indicano come l'intervallo tra la prima e la seconda dose dei vaccini a Rna (Pfizer/BioNtech e Moderna) sia di 21 e 28 giorni rispettivamente, è raccomandabile un prolungamento nella somministrazione della seconda dose nella sesta settimana dalla prima dose".
"Questa considerazione - motivano gli esperti - trova il suo razionale nelle seguenti osservazioni: la somministrazione della seconda dose entro i 42 giorni dalla prima non inficia l'efficacia della risposta immunitaria; la prima somministrazione di entrambi i vaccini a Rna conferisce già efficace protezione rispetto allo sviluppo di patologia Covid-19 grave in un'elevata percentuale di casi (maggiore dell'80%); in uno scenario in cui vi è ancora necessità nel Paese di coprire un elevato numero di soggetti a rischio di sviluppare forme gravi o addirittura fatali di Covid-19, si configurano condizioni in cui è opportuno dare priorità a strategie di sanità pubblica che consentano di coprire dal rischio il maggior numero possibile di soggetti nel minor tempo possibile".
"Il parere - precisa il Cts - potrà in futuro essere supportato da ulteriore approfondimento epidemiologico su: letalità per fascia d'età, infetti per fascia l'età (dati correnti delle nuove infezioni), stima degli infetti modellizzata anche rispetto ai dati dello studio di prevalenza".
Il 31% dei cani da compagnia e il 40% dei gatti da compagnia sono risultati positivi al COVID-19, dopo la diagnosi dei loro proprietari, anche se meno della metà ha mostrato sintomi. Lo studio della Fondazione Osvaldo Cruz di Rio de Janeiro è pubblicato nella rivista 'Plos One'.
L'infezione da SARS-CoV-2 negli animali domestici, infatti, è stata correlata allo stretto contatto con esseri umani con diagnosi di COVID-19.
"La presenza e la persistenza dell'infezione da SARS-CoV-2 sono state identificate in cani e gatti provenienti da famiglie con casi di COVID-19 umano a Rio de Janeiro, Brasile -affermano gli autori- Le persone con COVID-19 dovrebbero evitare il contatto ravvicinato con i loro animali domestici durante il periodo della malattia".
Tra maggio e ottobre 2020, sono stati studiati 39 animali domestici (29 cani e 10 gatti) su 21 pazienti. Nove cani (31%) e quattro gatti (40%) di 10 famiglie (47,6%) erano infetti o sieropositivi per SARS-CoV-2. Gli animali sono risultati positivi da 11 a 51 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi del caso indice umano COVID-19. Tre cani sono risultati positivi due volte entro 14, 30 e 31 giorni di distanza. Anticorpi neutralizzanti SARS-CoV-2 sono stati rilevati in un cane (3,4%) e due gatti (20%). In questo studio, sei animali su tredici infettati o sieropositivi per SARS-CoV-2 hanno sviluppato segni lievi ma reversibili della malattia.
Utilizzando l'analisi di regressione logistica, la sterilizzazione e la condivisione del letto con il proprietario malato sono stati associati all'infezione da animali domestici. Agli animali sono stati fatti i tampoi e raccolti i campioni di sangue per analisi di laboratorio e test specifici (PRNT90) per indagare la presenza di anticorpi.
Antonio Caperna
Le persone si sono abituate a controllare la temperatura durante la pandemia, perché la febbre è un indicatore chiave di COVID-19.
Un nuovo commento della professoressa associata Catherine Van Son del College of Nursing della Washington State University Catherine Van Son e della professoressa assistente clinica Deborah Eti su Frontiers in Medicine, propone che la misurazione della temperatura è un indicatore meno utile di infezione negli anziani e che al suo posto deve essere utilizzato un pulsossimetro.
Le due esperte affermano che la temperatura basale è inferiore negli anziani, quindi la febbre può essere trascurata utilizzando la definizione standard del CDC di 100,4 gradi Fahrenheit (38 gradi centigradi) o superiore.
"In effetti- si legge- più del 30% degli anziani con infezioni gravi mostra febbre lieve o assente".
Altri segni comuni di COVID possono anche essere ignorati e attribuiti all'invecchiamento, come affaticamento, dolori muscolari e perdita del gusto o dell'olfatto.
Inoltre, alcuni pazienti COVID-19 non hanno segni visibili di bassi livelli di ossigeno, come mancanza di respiro ma hanno una saturazione di ossigeno inferiore al 90%. Tale ipossia asintomatica può essere associata a esiti estremamente poveri.
Van Son ed Eti affermano che i pulsossimetri portatili economici dovrebbero essere considerati per un ampio uso negli screening COVID-19 degli anziani, perché i dispositivi possono rilevare i cambiamenti nella saturazione dell'ossigeno senza altre indicazioni di infezione.
"Il rilevamento (ipossia asintomatica) è fondamentale per la prevenzione della progressione dell'infezione e l'inizio del trattamento -affermano- Interventi immediati potrebbero aiutare i pazienti a evitare procedure altamente invasive (come l'intubazione) e migliorare l'allocazione delle scarse risorse sanitarie".
Una nuova revisione sistematica e meta-analisi pubblicate su Diabetologia (la rivista della European Association for the Study of Diabetes -EASD) mostra che i pazienti con un decorso più avanzato di diabete hanno un rischio di morte più elevato se infettati da SARS-CoV- 2.
L'analisi comprende 22 studi e 17.687 persone ed è realizzata della dott.ssa Sabrina Schlesinger, del German Diabetes Center, del Leibniz Center for Diabetes Research presso l'Università Heinrich Heine di Düsseldorf, in Germania, con alcuni colleghi.
Questa è la prima edizione di una revisione sistematica "in real life" e di una meta-analisi su studi osservazionali che indagano sui fenotipi in individui con diabete e morte e gravità correlate a COVID-19, che gli autori aggiorneranno periodicamente come nuovi studi sul diabete e COVID-19.
La revisione ha rilevato che le associazioni con la morte correlata a COVID-19 nelle persone con diabete erano simili a quelle riscontrate nella popolazione generale senza diabete. Tuttavia gli uomini con diabete avevano il 28% di probabilità in più di morire con COVID-19 rispetto alle donne con diabete e le persone di età superiore ai 65 anni con diabete avevano una probabilità tre volte maggiore di morire rispetto a quelle con diabete di età inferiore. Con ogni aumento di età di 5 anni, il rischio relativo di morte correlata al COVID-19 nelle persone che convivono con il diabete è aumentato del 43%.
Solo pochi dei 22 studi hanno esaminato i fattori specifici del diabete correlati a COVID-19 e gli autori richiedono ulteriori studi su questi fattori per migliorare la forza delle prove. Le associazioni più forti sono state osservate per i livelli di glucosio nel sangue 11 mmol/l al ricovero e alla morte, con un rischio di morte 8,6 volte maggiore rispetto a <6 mmol/l, con la forza dell'evidenza ritenuta moderata in quanto proveniva da solo due dei 22 studi.
I pazienti che usano l'insulina per controllare il diabete hanno dimostrato in 5 studi il 75% di probabilità in più di morire con COVID-19 rispetto a chi non l'utilizza. L'uso dell'insulina di solito indica un decorso più avanzato del diabete. Al contrario, le persone che trattavano il loro diabete con metformina (la terapia di "prima linea", prescritta nella maggior parte dei casi di diabete di tipo 2) avevano il 50% in meno di probabilità di morire con COVID-19 rispetto a quelle che non utilizzavano metformina (in 4 studi).
Come per la popolazione generale senza diabete, è stato riscontrato che condizioni preesistenti aumentano il rischio di morte correlata a COVID-19 in quelli con diabete. Le malattie cardiovascolari (del 56%, 8 studi), la malattia renale cronica (del 93%, 6 studi) e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (del 40%, 5 studi) hanno aumentato il rischio di morte correlata a COVID-19 nelle persone che convivono con il diabete .
"In conclusione, la nostra revisione sistemica vivente e la nostra meta-analisi forniscono le migliori prove attuali sulle associazioni tra fenotipi di individui con diabete e morte confermata correlata a SARS-CoV-2 e COVID-19 e gravità di COVID-19- affermano gli autori- Il sesso maschile, l'età più avanzata e alcune condizioni preesistenti, così come l'uso di insulina, la maggior parte dei quali sono potenziali indicatori di un decorso più progressivo del diabete, sono stati associati a un aumento del rischio di morte e di gravità correlata al COVID-19 negli individui con diabete e infezione da SARS-CoV-2, mentre l'uso della metformina è stato associato a un rischio inferiore di morte. Sono inoltre necessari più studi, che indaghino i fattori di rischio specifici del diabete, come il tipo e la durata del diabete o ulteriori condizioni preesistenti, e che tengano conto di importanti variabili -concludono- Aggiorneremo continuamente questo rapporto, per rafforzare l'evidenza delle associazioni già esaminate e per indagare ulteriori risultati, come le complicazioni a lungo termine dovute al COVID-19 per questo tipo di pazienti."
Antonio Caperna
Secondo le nuove raccomandazioni dell’Ufficio federale della salute pubblica (UFSP), le persone che hanno già contratto la malattia COVID-19 possono essere considerate come completamente vaccinate già dopo una sola dose di vaccino.
Nel Cantone Ticino le persone che hanno già contratto la malattia potranno decidere liberamente, se effettuare una oppure due dosi di vaccino. Nel caso in cui si scegliesse una sola dose sarà necessario dimostrare di aver contratto il virus – attraverso un documento ufficiale da mostrare al momento della prima somministrazione – per ricevere l’attestazione di vaccinazione completa.
Lo scorso 14 aprile 2021, l’UFSP ha aggiornato le raccomandazioni in merito alla vaccinazione delle persone che hanno già contratto la COVID-19. La vaccinazione rimane raccomandata a tutte le persone, ma per chi ha già contratto la malattia è sufficiente una dose di vaccino per ottenere un’attestazione di vaccinazione completa.
Qualora si volesse far capo a questa possibilità, per dimostrare di aver contratto la malattia sarà necessario mostrare, al momento della vaccinazione in uno dei Centri cantonali di vaccinazione, un documento che attesti l’avvenuta positività (non è rilevante a quando risale il contagio). Sono ammessi documenti ufficiali di un test di laboratorio, un’attestazione del medico o della farmacia oppure copia dell’intimazione di isolamento da parte del servizio di tracciamento («contact tracing»). Le persone che non dovessero più essere in possesso di tale documento possono farne richiesta all’indirizzo di posta elettronica tracciamento-covid(at)ti.ch.
Nella piattaforma di registrazione online (disponibile su www.ti.ch/vaccinazione) è stata inserita una domanda che chiede di specificare se si ha contratto la malattia. Indipendentemente da questa risposta, il sistema fornirà due appuntamenti (prima e seconda dose) e solo nel caso in cui si è data una risposta positiva ricorderà che sarà necessario dimostrare di aver contratto la malattia attraverso un documento. Questa dimostrazione è richiesta, se si intende rinunciare alla seconda dose. Al momento della prima dose, queste persone verranno informate nel dettaglio dal personale medico del Centro di vaccinazione e verrà discusso, se procedere con la seconda dose. Nel caso in cui la persona dovesse rinunciare alla seconda dose, riceverà in ogni caso un’attestazione di vaccinazione completa.
Il Cantone Ticino ha quindi deciso di continuare a offrire a tutte le persone la possibilità di ottenere due dosi di vaccino indipendentemente se hanno contratto o meno la COVID-19 e di lasciare la libertà di decidere individualmente in merito a come procedere con la vaccinazione, anche sulla scorta delle attuali incognite in tema di clausole di entrata negli altri Paesi. Non è infatti ancora chiaro se una singola vaccinazione, pur aggiuntiva all’attestazione di aver contratto la malattia, potrà essere riconosciuta anche all’estero e nei certificati vaccinali a livello internazionale.
Martedì 11 maggio 2021 si conferma l’apertura di un quinto centro cantonale di vaccinazione a Tesserete nelle strutture della protezione civile già adibite a centro vaccinale nei mesi scorsi. Il centro, in cui verrà somministrato il vaccino di Moderna, serve a supportare in particolare le richieste del Luganese e l’iscrizione è possibile a partire da oggi, lunedì 3 maggio 2021.
L'Istat ipotizza che la mortalita' indotta direttamente o indirettamente dal Covid abbia provocato 99mila morti. Secondo il Sistema di Sorveglianza Nazionale integrata dell'Istituto Superiore di Sanita', nel corso del 2020 sono stati registrati 75.891 decessi 3 attribuibili in via diretta a Covid-19.
Tuttavia, come gia' evidenziato, l'incremento assoluto dei decessi per tutte le cause di morte sull'anno precedente e' stato pari a +112 mila. Cosi', se da un lato e' possibile ipotizzare che parte della mortalita' da Covid-19 possa essere sfuggita alle rilevazioni, dall'altro e' anche concreta l'ipotesi che una parte ulteriore di decessi sia stata causata da altre patologie letali che, nell'ambito di un Sistema sanitario nazionale in piena emergenza, non e' stato possibile trattare nei tempi e nei modi richiesti. In attesa degli approfondimenti sui dati dettagliati per causa di morte, che nello specifico ripercorrono le fasi di ciascun singolo decesso del 2020 (dalle cause iniziali alle complicanze, fino alla causa letale ultima), e' possibile effettuare alcune valutazioni di massima.
Se, ad esempio, nel corso del 2020 si fossero riscontrati i medesimi rischi di morte osservati nel 2019 (distintamente per sesso, eta' e provincia di residenza e applicati ai soggetti esposti a rischio di decesso 4 ) i morti sarebbero stati 647mila, ossia soltanto 13mila in piu' rispetto all'anno precedente, invece dei 112 mila registrati. Ne consegue che la mortalita' indotta direttamente/indirettamente da Covid-19 ammonta a 99mila decessi, un livello che puo' considerarsi come limite minimo. Infatti, nei primi due mesi del 2020, in una fase antecedente alla diffusione del virus, i decessi sono stati 6.877 in meno rispetto agli stessi mesi del 2019. È dunque lecito ipotizzare che senza la pandemia i rischi di morte sarebbero stati inferiori e non, come qui e' ipotizzato ai fini del calcolo, precisamente eguali. Delle 99mila unita' stimate come eccesso di mortalita' 53mila sono uomini e 46mila donne, a riprova che la pandemia ha prevalentemente colpito il genere maschile.
In base all'eta' le perdite umane in eccesso si concentrano tutte dopo i 50 anni e risultano maggiori all'avanzare dell'eta'. Fino a sotto i 50 anni, infatti, l'ipotesi di rischi di morte costanti nel 2020 sui livelli espressi nel 2019 produce un numero di decessi atteso in ogni caso superiore, di circa 1.500 unita', a quello realmente osservato nonostante la pandemia. Cio' avvalora non solo la tesi che la letalita' del virus sia di fatto irrilevante nelle classi di eta' piu' giovani, ma anche quella che senza la pandemia il 2020 avrebbe potuto essere un buon anno per le prospettive di sopravvivenza nel Paese. Si registra invece un eccesso di mortalita' nelle eta' piu' fragili, che per gli uomini interessa soprattutto le classi 80-84 e 85-89 anni (circa 22mila decessi in piu') mentre per le donne, in ragione di una presenza piu' numerosa, l'eccesso prevale nella classe 90-94 anni (oltre 15mila decessi in piu').
A livello nazionale l'eccesso di mortalita' rappresenta il 13% della mortalita' riscontrata nell'anno, ma la situazione e' molto varia sul piano territoriale. Nel Nord rappresenta il 19%, nel Centro l'8% e nel Mezzogiorno il 7% del totale. A livello regionale i valori variano dal 4% di Calabria e Basilicata al 25% (un decesso su quattro) della Lombardia. In quest'ultima regione, peraltro, emergono le aree piu' colpite. Nella provincia di Bergamo l'eccesso di mortalita' costituisce il 36% del totale, in quella di Cremona il 35%, in quella di Lodi il 34%.