Le conoscenze attuali indicano che i bambini possono contagiarsi con il nuovo coronavirus: tuttavia quelli sotto i 12 anni presentano sintomi e trasmettono il virus ad altre persone più raramente.
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- individuare gli aspetti critici delle applicazioni di sistemi di telemedicina nell’età pediatrica;
- definire uno standard per l’approccio all’uso della telemedicina nelle sue varie declinazioni in campo pediatrico, con riferimento alla gestione dell’emergenza COVID-19 in Italia, tarato sui diversi scenari clinici e sulle diverse misure di contenimento dell’epidemia messe in atto a livello regionale e nazionale;
- indicare quei presupposti di carattere generale per l’implementazione di servizi di telemedicina in ambito pediatrico anche al di fuori dell’emergenza sanitaria da COVID-19.
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- assenza del marchio di conformità (marchio CE) sull’imballaggio
- assenza del recapito del mandatario europeo (EC-REP) sull’imballaggio
- riproduzione incompleta o errata di informazioni obbligatorie sull’imballaggio
- informazioni non presenti nelle tre lingue (DE; IT; FR) sull’imballaggio (questo requisito non si applica se il prodotto viene fornito a specialisti)
- assenza della prova che i requisiti di cui alla norma EN 14683 siano soddisfatti (assenza dei risultati dei test)
- verifiche di cui alla norma EN 14683 non effettuate in un laboratorio di prova accreditato.
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Lo scorso 19 ottobre sono stati oltre 18.000 gli articoli, i post, le storie, su Facebook, Twitter e Instagram che contenevano la citazione “usare la mascherina”. Il giorno precedente erano poco più di 10.000.
Numeri quasi raddoppiati nell’arco di 24 ore a causa, a quanto pare, di un singolo fattore: le due storie su Instagram nelle quali Fedez e Chiara Ferragni, su invito del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, hanno raccomandato l’uso della mascherina per evitare un secondo lockdown.
Anche se l’impatto effettivo sui comportamenti della popolazione non è misurabile, questo dato fotografa il potere mediatico degli influencer, che si amplifica nelle situazioni di emergenza come quella legata alla pandemia da Covid-19 e che diventa critico se messaggi non validati vengono diffusi in modo irresponsabile. Oggi la voce di un influencer sovrasta quindi quella dei canali ufficiali e della stampa? Come aiutare i cittadini a riconoscere le fonti attendibili durante le situazioni di emergenza e in generale sui temi della salute e della scienza? E come contrastare le credenze infondate o le vere e proprie bufale che circolano sulla rete?
Alcune risposte a queste domande emergono da INFORMING FOR LIFE, un progetto di comunicazione promosso da Fondazione MSD in partnership con CICAP – Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze – con l’obiettivo di promuovere sul web l’informazione scientifica validata. Il progetto è uno dei primi tentativi ad ampio raggio di individuare una risposta organica e condivisa al fenomeno delle fake news scentifiche e della disinformazione in rete, che ha un impatto notevole a livello sociale e sulla Salute delle persone. Nel corso di tre tavoli digitali, giornalisti, ricercatori ed esperti del web si sono confrontati sui percorsi da intraprendere per coniugare sul web rigore scientifico, viralità e trasparenza dell’informazione: dal ruolo di Facebook agli strumenti di verifica delle fonti e delle immagini, ai criteri per il fact checking, negli incontri sono state analizzate tutte le più importanti risorse per dare forza sul web alle informazioni scientifiche validate. Nel terzo e ultimo appuntamento, il focus è stato quello di come “dare valore” all’informazione social, anche alla luce dell’attuale pandemia.
A marzo, nella fase più acuta, le notizie sul Coronavirus sono arrivate a occupare quasi il 60% di tutta la copertura informativa offerta da TV, quotidiani, radio e internet (AGCOM-Osservatorio sulla disinformazione on line). L’emergenza Covid è stata un moltiplicatore degli accessi ai canali social: secondo i dati diffusi da Mark Zuckerberg ad aprile 2020, durante il lockdown, in Italia, il tempo trascorso sulle app social sarebbe aumentato del 70% e le visualizzazioni delle dirette su Instagram e Facebook sarebbero raddoppiate. E a fine maggio, mentre diminuiva la copertura da parte dei media, l’incidenza della disinformazione sul totale delle notizie relative all’epidemia veicolate attraverso i social ha raggiunto il 13%. Ma è cresciuto anche l’accesso alle fonti istituzionali: nella prima fase, la pagina Facebook del Ministero della Salute ha fatto registrare un incremento di accessi del 693%, con oltre 430.000 nuovi follower che hanno generato una community di oltre 490.000 persone (www.agendadigitale.eu).
“Le piattaforme digitali sono essenziali nell’informazione sanitaria e i social media hanno assunto un ruolo di rilievo durante l’emergenza – è il parere di Lorenzo Montali, vicepresidente del CICAP e docente di Psicologia Sociale, Università di Milano-Bicocca – Quando la disponibilità di informazioni diventa una necessità vitale le persone si rivolgono a Twitter o Facebook per cercare notizie, diffondere contenuti, condividere emozioni, chiedere aiuto o offrire supporto. A maggior ragione, in queste situazioni i messaggi che raggiungono i cittadini non devono promuovere comportamenti deleteri per la salute e la sicurezza pubblica”. Anche nell’emergenza COVID la disinformazione è stata favorita dai processi di disintermediazione che penalizzano il ruolo tradizionale dei giornalisti come interfaccia tra le fonti di informazione e il pubblico.
“Oggi il giornalista scientifico deve trovare un suo nuovo spazio, sapersi reinventare per interpretare, commentare, decodificare le notizie invece di limitarsi a raccontarle – afferma Roberta Villa, giornalista medico-scientifica e divulgatrice attraverso il suo profilo social – In realtà, sulla base della mia esperienza, se sui social si trova la chiave per presentare l’informazione scientifica in maniera al tempo stesso accattivante e rigorosa, emerge una platea vasta di persone interessate e che non si fanno attrarre da notizie non certificate”.
Ma come far emergere sui social una comunicazione scientifica di valore e distinguerla dal flusso delle notizie-spazzatura? Un supporto importante al ruolo dei giornalisti scientifici è offerto oggi da QUEST- QUality and Effectiveness in Science and Technology communication, un progetto biennale promosso dall’Unione Europea nell’ambito di Horizon2020, nel quale è coinvolta per l’Italia l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Obiettivo del progetto è studiare qualità ed efficacia della comunicazione scientifica in Europa per contribuire a migliorarla. Nell’ambito del progetto QUEST, attraverso un confronto che ha coinvolto esperti, accademici, comunicatori e giornalisti di tutta Europa, sono stati individuati 12 indicatori di qualità della comunicazione scientifica riconducibili a tre aree: affidabilità e rigore scientifico, stile di presentazione e connessione con la società e le sue esigenze, tenendo conto anche della responsabilità che può comportare questa comunicazione comporta e richiede (https://questproject.eu/).
Inoltre, l’Università Ca’ Foscari sta mettendo a punto una serie di strumenti utili a migliorare l’engagement della comunicazione scientifica sui social, basate sul monitoraggio di oltre mille account Facebook e Twitter europei di carattere scientifico. Oltre al rigore e alla qualità dell’informazione, la comunicazione su temi di salute di interesse pubblico può fare leva sul coinvolgimento di influencer. Ma si tratta di un’arma a doppio taglio: se anche nel passato personaggi celebri hanno prestato la loro notorietà a cause di salute pubblica, come Elvis Presley per la vaccinazione contro la poliomielite, oggi le piattaforme digitali amplificano immediatamente tutti i messaggi e la voce delle fonti ufficiali, della stampa o degli influencer “responsabili” viene offuscata da chi diffonde notizie inattendibili o dannose.
“Il coinvolgimento degli influencer nella comunicazione di crisi delle istituzioni può essere efficace e positivo se avviene all’interno di piani di comunicazione strutturati, integrati e misurabili che utilizzano i social media per assicurare la diffusione tempestiva di informazioni verificate, monitorare la situazione sul territorio e per coordinare gli interventi di soccorso – afferma Giancarlo Sturloni, giornalista scientifico, esperto in Comunicazione del rischio – In questo momento, però, a livello istituzionale non si vede una comunicazione strutturata sui social e c’è uno scarso livello di interazione con gli utenti e di risposte alle loro domande.
Le istituzioni deputate non presidiano ancora stabilmente il palcoscenico e lasciano dei vuoti che possono essere occupati da chiunque. Basta pensare che la Protezione Civile in Italia ha aperto il suo account Facebook solo nel 2018”. Le indicazioni emerse dai tre tavoli digitali di INFORMING FOR LIFE sono il primo step di ulteriori iniziative e progetti, realizzati da Fondazione MSD in partnership con altri soggetti, secondo il principio per cui solo attraverso una azione congiunta e sinergica di tutti gli attori del mondo scientifico e dell’informazione sia possibile prendere adeguatamente in carico il problema.
L’Anaao Assomed ha diffidato le Aziende Sanitarie dall’impiegare dirigenti medici e sanitari privi delle necessarie competenze specialistiche presso reparti o servizi disciplinarmente non equipollenti o omogenei rispetto al profilo di appartenenza.
“Ci risulta – commenta il Segretario Nazionale Anaao Assomed, Carlo Palermo - che alcune Direzioni aziendali, per far fronte all’emergenza epidemiologica, abbiano deciso di assegnare ai reparti che ospitano degenti COVID, personale medico inquadrato in discipline non equipollenti od omogene rispetto alla Medicina interna o a quella di Malattie Infettive o di Malattie dell’apparato respiratorio, come tale privo delle competenze specialistiche necessarie a gestire una patologia così complessa come l’infezione virale da Covid-19”.
“Un simile progetto organizzativo, ove concretamente attuato, oltre a violare la normativa contrattuale, metterebbe in grave pericolo l’incolumità dei pazienti ricoverati, esponendo inoltre i dirigenti coinvolti ad un ingiustificato aggravio del rischio professionale, con ricadute negative sia sul piano della responsabilità medica che delle garanzie assicurative”.
L’Anaao Assomed, se necessario, intraprenderà le opportune iniziative legali a tutela dei diritti dei propri iscritti, compresa la denuncia alle competenti Autorità giudiziarie ai fini dell’accertamento di eventuali responsabilità di natura penale.
LE MOTIVAZIONI DELLA DIFFIDA
Come noto, nell’ambito dei diversi servizi ospedalieri, la continuità assistenziale dei pazienti ricoverati e la gestione delle emergenze/urgenze devono essere garantite attraverso l’impiego di personale medico in possesso di adeguate competenze specialistiche, così come previsto dalla legge e dal contratto, in modo da rispettare il principio di appropriatezza e sicurezza delle cure, nonché di tutelare il diritto alla salute dei cittadini (art. 32, Cost., art. 1, L. n. 24/2017).
In particolare, il criterio dell’area e disciplina di appartenenza del dirigente medico e sanitario, così come definiti con l’accesso concorsuale, unitamente al contenuto dell’incarico dirigenziale, delineano il perimetro delle mansioni esigibili dal personale in relazione agli obiettivi assegnati e ai programmi da realizzare (art. 15, D.lgs. n. 502/1992, DPR n. 483/1997, art. 19, Ccnl 19.12.2019).
Per la dirigenza medica il concetto di equivalenza delle mansioni non può che misurarsi avendo riguardo al criterio di equipollenza delle discipline, come normato dal D.M. 30 gennaio 1998, per cui il medico può essere chiamato ad espletare tutte quelle funzioni sanitarie strettamente connesse o equipollenti alla disciplina specialistica oggetto dell’incarico.
Ciò vale sia per l’attività istituzionale che per altri istituti contrattuali, quali, ad esempio, l’esercizio della libera professione intramuraria, i servizi di guardia o di pronta disponibilità e, soprattutto, per la mobilità interna ordinaria o d’urgenza.
Il predetto principio è stato confermato da diverse pronunce della giurisprudenza di merito (Trib. di Catania, 11 maggio 2016, n. 2016; Trib. di Oristano, 18 ottobre 2019, n. 292), le quali hanno dichiarato illegittimo l’impiego di dirigenti medici in branche specialistiche tra loro non equipollenti.
Dalla televisita alla teleriabilitazione passando per il telemonitoraggio dei parametri clinici e per il coaching a distanza (ossia il tutoraggio per mezzo di videochiamate o app specifiche). Questo e molto altro può offrire la telemedicina che, complici le strategie per il contenimento dell’infezione da SARS-CoV-2, ha conosciuto in tempi recenti un enorme sviluppo e promette sorprendenti implementazioni.
Proprio alla telemedicina in un ambito particolare, quale quello pediatrico, è dedicato il “Rapporto Covid Indicazioni ad interim per servizi sanitari di telemedicina in pediatria durante e oltre la pandemia Covid 19”, il primo in Italia, curato dal gruppo di lavoro coordinato da Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’ISS.
Scopo del Rapporto è:
Il cambiamento dell’organizzazione delle prestazioni sanitarie imposto per minimizzare la probabilità di contatto tra le persone non può essere applicato ovviamente a tutte le specialità e le strutture sanitarie. Il Rapporto fornisce ad esempio indicazioni su quali prestazioni possono essere generalmente effettuate in regime di telemedicina:
· visita per patologie acute non urgenti;
· visita di follow-up in pazienti stabili;
· monitoraggio di pazienti cronici attraverso dispositivi;
· screening attraverso la somministrazione di questionari;
· counselling;
· coaching su temi di salute specifici;
· riabilitazione per alcune condizioni;
· teleconsulto tra professionisti sanitari.
Alle famiglie sono chiesti requisiti minimi (quali essere in possesso di un pc o di uno smartphone, avere accesso alla rete etc.) e, a tutela del minore, la garanzia della privacy e della sicurezza nelle diverse interazioni medico-famiglia-paziente.
La letalità del SARS-CoV-2 in Italia sembra essersi notevolmente ridotta da marzo: infatti, la letalità apparente del COVID-19 nelle Regioni italiane (14-20 ottobre 2020) - ovvero il rapporto tra pazienti Covid deceduti e totale dei positivi – è pari a 0,27%. Nel periodo 14-20 ottobre 2020 il dato più elevato si registra nella Provincia Autonoma di Trento pari a 0,44%. Nei 7 giorni tra il 18 e il 24 marzo 2020 la letalità grezza apparente, a livello nazionale, è stata pari al 6%.
È quanto emerge dalla 25ma puntata dell’Instant Report Covid-19 - https://altems.unicatt.it/altems-covid-19 - un’iniziativa dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di confronto sistematico dell’andamento della diffusione del Sars-COV-2 a livello nazionale.
L’analisi riguarda tutte le 21 Regioni e Province Autonome con un focus dedicato alle Regioni in cui è stato maggiore il contagio (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Lazio). Il gruppo di lavoro dell’Università Cattolica, è coordinato da Americo Cicchetti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con l’advisorship scientifica del Professor Gianfranco Damiani e della Dottoressa Maria Lucia Specchia del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica (Sezione di Igiene).
A partire dal Report #4 la collaborazione si è estesa al Centro di Ricerca e Studi in Management Sanitario dell’Università Cattolica (Professor Eugenio Anessi Pessina) e al Gruppo di Organizzazione dell’Università Magna Græcia di Catanzaro (Professor Rocco Reina). Il team multidisciplinare è composto da economisti ed aziendalisti sanitari, medici di sanità pubblica, ingegneri informatici, psicologi e statistici.
La finalità è comprendere le implicazioni delle diverse strategie adottate dalle Regioni per fronteggiare la diffusione del virus e le conseguenze del Covid19 in contesti diversi per trarne indicazioni per il futuro prossimo e per acquisire insegnamenti derivanti da questa drammatica esperienza.
Saturazione terapie intensive.
Dal report #25 è stata analizzata la Saturazione Covid Terapia Intensiva (DL 34/2020), mostrando l’andamento, nelle ultime 2 settimane, della saturazione dei posti letto di terapia intensiva previsti nelle singole Regioni dal Ministero della Salute, nelle Linee di indirizzo organizzative per il potenziamento della rete ospedaliera per emergenza Covid-19, emanato in recepimento del DL 34 del 19 maggio 2020. Tale saturazione è ottenuta dal rapporto tra il numero di pazienti Covid ricoverati in Terapia Intensiva ed il numero di posti letto previsti a livello Regionale, per un totale nazionale di 8.679 posti letto.
È stata riportata come soglia di riferimento (30%) il valore indicato in tal senso per l’occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva, previsto dal Ministero della Salute nella circolare sulle attività di monitoraggio del rischio sanitario in emergenza COVID-19 (30 aprile 2020). (nota: i valori riportati si riferiscono ai posti letto di TI previsti dalla circolare ministeriale, non al numero di posti letto attualmente effettivamente presenti nelle Regioni: ciò implica un lieve disallineamento rispetto alla saturazione reale). Tutte le regioni si trovano sotto la soglia massima, tuttavia si segnala che la Valle D’Aosta registra il valore più vicino al limite soglia (27,78%).
“La venticinquesima edizione dell’Instant Report pone l’attenzione sui posti letto di terapia intensiva, mappando il tasso di saturazione della capacità aggiuntiva di PL di Terapia Intensiva. L’indicatore – sostiene il Professor Americo Cicchetti – consente di verificare quanto, della capacità produttiva in termini di posti letto di terapia intensiva prevista dai piani di riorganizzazione della rete ospedaliera ed effettivamente implementati, sia in uso.
Sette regioni hanno già esaurito la suddetta capacità. Si tratta del Piemonte, delle Marche, dell’Emilia Romagna, dell’Abruzzo, della Toscana, della Lombardia e della Calabria. Risultano essere quasi al limite la Campania (92%) e la Sardegna (88%). Inoltre, è da attenzionare anche la situazione del Lazio, della Sicilia e della Puglia che hanno occupato più di due terzi della capacità aggiuntiva: rispettivamente 73%, 69% e 68%. Si segnala che l’indicatore in questione non è stato calcolato per l’Umbria che al momento non ha implementato alcun posto aggiuntivo. Inoltre – aggiunge - lo stesso indicatore mostra che sono sette le regioni che stanno utilizzando i posti letto di terapia intensiva in dotazione strutturale per rispondere alle esigenze dei malati COVID-19. Per la precisione, si tratta di Umbria (29%), Piemonte (10%), Marche (6%), Emilia Romagna (4%), Abruzzo (3%), Toscana (1%) e Lombardia (1%).
Il tasso di saturazione dei posti letto di terapia intensiva – rileva il prof Cicchetti – continua a crescere, rispetto alla settimana precedente, di 7,6 punti percentuali considerando la dotazione di posti letto di terapia intensiva PRE DL 34/2020 e di 4,6 punti percentuali considerando la dotazione di posti letto di terapia intensiva POST DL 34/2020.”
Quadro epidemiologico
I dati (al 20 Ottobre) mostrano che la percentuale di casi attualmente positivi (n = 142.739) sulla popolazione nazionale è pari allo 0,24% (quasi raddoppiato rispetto ai dati del 13/10 in cui si registrava lo 0,14%). La percentuale di casi (n= 434.449) sulla popolazione italiana è in sensibile aumento, passando dallo 0,61% allo 0,72%.
Il primato per la prevalenza periodale sulla popolazione si registra nella Valle d’Aosta (1,61%), nella P.A. di Trento e Lombardia (1,29%), seguita da Liguria (1,25%) ma è in Valle d’Aosta (0.58%), PA Bolzano (0,36%), Campania (0,34%), Toscana (0,31%) e Umbria (0,30%) che oggi abbiamo la maggiore prevalenza puntuale di positivi, con valori in leggero aumento nelle altre regioni, e con un media nazionale pari a 0,24% (sensibilmente in aumento rispetto ai dati del 13/10).
Dal report #25 è stata analizzata la prevalenza periodale che corrisponde alla proporzione della popolazione regionale che si è trovata ad essere positiva al virus nell’intervallo di tempo considerato (casi già positivi all’inizio del periodo più nuovi casi emersi nel corso del periodo). In particolare, è stata individuata, come soglia di riferimento, il valore massimo che questa dimensione epidemiologica ha assunto in Italia: proprio la settimana appena trascorsa, tra il 14 ed il 20 ottobre, è ad oggi il periodo in cui si è registrata la massima prevalenza periodale in Italia (256 casi ogni 100.000 residenti). Il valore massimo si registra in Valle D’Aosta (598 casi ogni 100.000 residenti), seguita da Liguria (399 casi ogni 100.000 residenti). Il dato più basso si registra in Calabria (71 casi ogni 100.000 residenti).
Inoltre, il 20 ottobre è anche la data in cui si è registrata la massima prevalenza puntuale in Italia (237 casi ogni 100.000 residenti). Il valore massimo si registra in Valle D’Aosta (578 casi ogni 100.000 residenti), seguita da PA Bolzano (356 casi ogni 100.000 residenti). Il dato più basso si registra in Calabria (65 casi ogni 100.000 residenti).
Quanto alla prevalenza derivante dal confronto negli ultimi mesi (Prevalenza periodale del 22 agosto-20 settembre e del 21 settembre-20 ottobre per 100.000 abitanti) si denota come nella maggior parte delle regioni tale indice è raddoppiato. In particolare, nell’ultimo mese la prevalenza di periodo nei 30 giorni è più che raddoppiata. La differenza più significativa riguarda la Liguria, la provincia di Trento, e la Campania. In particolare, il valore nazionale della prevalenza di periodo è incrementato notevolmente passando da 95,48 (nel periodo 22 agosto-20 settembre) a 298,82 (nel periodo 21 settembre-20 ottobre).
Tamponi diagnostici
Per quanto riguarda la ricerca del virus attraverso i tamponi, il trend nazionale sul tasso dei tamponi effettuati (per 1000 abitanti) continua ad aumentare rispetto alle scorse settimane, ed è pari a14,43. Relativamente al tasso settimanale di nuovi tamponi, i valori più alti vengono registrati in Umbria e nel Lazio. Il valore più basso viene registrato nella Regione Calabria (7,29).
Ricoveri
Analizzando l’andamento dei pazienti ricoverati sui positivi, vediamo delle differenze tra le regioni del Nord, del Centro e del Sud.
Si segnala un trend in aumento in Friuli-Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, nella P.A. di Trento, in Piemonte ed in Toscana. L’indicatore subisce una variazione meno marcata ma comunque in aumento nelle regioni Valle d’Aosta e Veneto. La P.A di Bolzano è l’unica regione in cui l’indicatore subisce una lieve diminuzione durante l’ultima settimana.
Il valore medio registrato nell’ultima settimana nelle Regioni del Nord dall’indicatore è pari a 6,21% (in aumento rispetto alla scorsa settimana che era pari a 5,26%).
Nelle Regioni del Centro si registra un andamento in diminuzione durante l’ultima settimana nel Lazio, in Abruzzo ed in Molise. Nelle Marche l’indicatore subisce una variazione in aumento. In Umbria l’indicatore subisce una variazione in aumento dopo aver registrato un trend in diminuzione nelle ultime tre settimane.
Il valore medio registrato nell’ultima settimana nelle Regioni del Centro dall’indicatore è pari a 7,54% (in calo rispetto alla scorsa settimana che era pari a 8,40%).
Nelle Regioni del Sud si registra un trend in diminuzione in Puglia, Campania e Sicilia durante l’ultima settimana. La Sardegna registra un andamento in lieve aumento durante l’ultima settimana.
Il valore medio registrato nell’ultima settimana nelle Regioni del Centro dall’indicatore è pari a 6,57% (in calo rispetto alla scorsa settimana che era pari a 7,35%).
Dal report #25 è stato analizzato l’andamento dei Ricoveri/Residenti per 100.000 abitanti, nelle ultime 2 settimane, che evidenzia il numero di ricoverati totale per Covid (ricoveri ordinari e ricoveri in terapia intensiva) in relazione alla popolazione residente. Sono state individuate la soglia minima e massima che questo indicatore ha raggiunto in Italia, al fine di confrontare le singole Regioni con i valori nazionali: il 1 agosto 2020 erano ricoverati 1,24 casi/100.000 abitanti in Italia (valore minimo); il 4 aprile 2020 erano ricoverati 54,78 casi/100.000 abitanti in Italia (valore massimo). Tutte le regioni si trovano sotto la soglia massima.
La Food and Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti ha approvato l'antivirale Veklury* (remdesivir) per l'uso in pazienti adulti e pediatrici dai 12 anni in poi per il trattamento di forme di Covid-19 che richiedono il ricovero. Remdesivir "è il primo farmaco per Covid-19 ad essere approvato dalla Fda", fa sapere la stessa agenzia in una nota.
Il trattamento "deve essere somministrato solo in un ospedale o in una struttura sanitaria in grado di fornire cure paragonabili a quelle ospedaliere".
Questa approvazione "non include l'intera popolazione autorizzata a utilizzare il medicinale in base al via libera per l'uso di emergenza (Eua)", rilasciato il 1 maggio 2020. "Per garantire l'accesso continuo al trattamento da parte dei bambini precedentemente inclusi dall'Eua, la Fda ha rivisto questa misura includendo i bimbi ricoverati per Covid di peso compreso tra 3,5 kg e 40 kg. "Sono in corso studi clinici per valutare la sicurezza e l'efficacia di Veklury* in questa popolazione di pazienti pediatrici".
"La Fda si impegna ad accelerare lo sviluppo e la disponibilità di trattamenti per Covid-19 durante questa emergenza sanitaria pubblica senza precedenti", ha affermato il commissario della Fda Stephen M. Hahn. "L'approvazione di oggi è supportata dai dati di numerosi studi clinici che l'agenzia ha rigorosamente valutato e rappresenta un'importante pietra miliare scientifica nella pandemia".
L'approvazione da parte della Fda di un nuovo prodotto farmaceutico "richiede prove sostanziali di efficacia e una dimostrazione di sicurezza per gli usi previsti del farmaco", ricorda l'Agenzia americana. L'approvazione di remdesivir è stata supportata dall'analisi dei dati di tre studi clinici randomizzati e controllati che includevano pazienti ospedalizzati con Covid-19 da lieve a grave.
“Esprimiamo solidarietà e appoggio incondizionato all’appello degli infettivologi perché le Istituzioni adottino provvedimenti urgenti per bloccare la diffusione del Covid-19. Preoccupa che nelle aree metropolitane ad alta densità, come Milano, il sistema di tracciamento dei casi e dei contatti non riesca più a funzionare perché l’indice di trasmissione Rt ha ormai superato la soglia critica.
Le conseguenze del comportamento irresponsabile di alcuni cittadini non possono più ricadere solo sugli operatori sanitari, che hanno già pagato un prezzo troppo alto in termini di vite umane perse nella prima ondata. Ora è il tempo di agire, subito, adottando provvedimenti mirati. La pandemia è un problema sanitario, che va affrontato con gli strumenti della scienza e i clinici devono essere ascoltati”. FOCE, la ConFederazione di Oncologi, cardiologi e ematologi, plaude all’appello degli infettivologi Marino Faccini (ATS Milano) Massimo Galli (Professore Ordinario Malattie infettive, Università di Milano) e Marco Rizzi (Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, presidente SIMIT Lombardia), perché le Istituzioni favoriscano la didattica a orari differenti (o a settimane alterne in presenza e a distanza) e il lavoro da casa per alleggerire la pressione sui mezzi di trasporto pubblici, insieme al blocco della attività ludiche e ricreative.
“Inoltre – sottolinea il prof. Francesco Cognetti, Presidente FOCE – tutti i cittadini, anche i più giovani, devono rinunciare a una parte della loro socialità per proteggere sè stessi ed i più fragili. Nel nostro Paese vivono più di 11 milioni di persone con tumori e malattie cardiovascolari. L’incremento dei casi sta di nuovo aumentando la pressione sugli ospedali, con il rischio di porre in secondo piano le grandi malattie che non sono scomparse in questi mesi. Se non vengono subito adottate misure urgenti per proteggere queste persone fragili, nei prossimi anni potremmo assistere a un incremento della mortalità in pazienti non Covid, a causa del sovraccarico di lavoro negli ospedali nella seconda ondata. Le patologie tempo-dipendenti, come quelle cardiovascolari, non possono aspettare la fine della pandemia e tutti i pazienti oncologici devono continuare le cure in sicurezza”.
Remdesivir is an antiviral medication that targets a range of viruses. It was originally developed over a decade ago to treat hepatitis C and a cold-like virus called respiratory syncytial virus (RSV). Remdesivir wasn’t an effective treatment for either disease. But it showed promise against other viruses.
Researchers tested remdesivir in clinical trials during the Ebola outbreak. Other investigational medications worked better, but it was shown to be safe for patients. Studies in cells and animals suggested that remdesivir was effective against viruses in the coronavirus family, such as Middle East Respiratory Syndrome (MERS) and Severe Acute Respiratory Syndrome (SARS).
Remdesivir works by interrupting production of the virus. Coronaviruses have genomes made up ribonucleic acid (RNA). Remdesivir interferes with one of the key enzymes the virus needs to replicate RNA. This prevents the virus from multiplying.
Researchers began a randomized, controlled trial of the antiviral in February 2020 to test whether remdesivir could be used to treat SARS-CoV-2, the coronavirus that causes COVID-19. By April, early results indicated that remdesivir accelerated recovery for hospitalized patients with severe COVID-19. It became the first drug to receive emergency use authorization from the U.S. Food and Drug Administration (FDA) to treat people hospitalized with COVID-19.
Researchers have now completed the trial, known as the Adaptive COVID-19 Treatment Trial (ACTT-1). The study was funded by the National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID). The final report appeared in the New England Journal of Medicine on October 8, 2020.
Scientists randomly assigned 1,062 hospitalized COVID-19 patients to receive remdesivir or a placebo plus standard treatment. The patients received an intravenous infusion of remdesivir or placebo for up to 10 days.
The final results showed that the antiviral treatment was beneficial, consistent with the preliminary findings. Patients who received remdesivir were quicker to recover, which was defined as being medically stable enough to be discharged from the hospital. The median recovery time was 10 days with remdesivir compared to 15 days for the placebo group. Patients given remdesivir were more likely to have improved by day 15.
Remdesivir also improved mortality rates. All-cause mortality was 11% with remdesivir and 15% with placebo at day 29 of treatment. The preliminary findings hadn’t shown an effect on mortality.
The study also suggested that remdesivir treatment may prevent patients from progressing to more severe respiratory disease. Those treated with remdesivir were less likely to need high levels of respiratory support. Remdesivir appeared to most benefit patients who were receiving supplemental oxygen.
“Our findings show that remdesivir is a beneficial treatment for patients with COVID-19,” says study author Dr. John Beigel of NIAID. “It may also help to conserve scarce health care resources, such as ventilators, during this pandemic.”
The findings show that remdesivir alone isn’t a sufficient treatment for all patients but does provide some benefit. Studies are underway to evaluate remdesivir in combination with other therapies.
—by Erin Bryant
References: Remdesivir for the Treatment of Covid-19 - Final Report. Beigel JH, Tomashek KM, Dodd LE, Mehta AK, Zingman BS, Kalil AC, Hohmann E, Chu HY, Luetkemeyer A, Kline S, Lopez de Castilla D, Finberg RW, Dierberg K, Tapson V, Hsieh L, Patterson TF, Paredes R, Sweeney DA, Short WR, Touloumi G, Lye DC, Ohmagari N, Oh MD, Ruiz-Palacios GM, Benfield T, Fätkenheuer G, Kortepeter MG, Atmar RL, Creech CB, Lundgren J, Babiker AG, Pett S, Neaton JD, Burgess TH, Bonnett T, Green M, Makowski M, Osinusi A, Nayak S, Lane HC; ACTT-1 Study Group Members. N Engl J Med. 2020 Oct 8:NEJMoa2007764. doi: 10.1056/NEJMoa2007764. Online ahead of print. PMID: 32445440.
Funding: NIH’s National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) and National Cancer Institute (NCI); Department of Defense; governments of Denmark, Japan, Mexico, and Singapore; Seoul National University Hospital; United Kingdom Medical Research Council.
La Confederazione intende garantire alla popolazione svizzera un accesso rapido ai vaccini anti COVID-19. Non è ancora chiaro su quali vaccini cadrà la scelta finale e pertanto punta su una procedura diversificata. Per questo ha stipulato contratti con l’azienda farmaceutica britannica AstraZeneca e con il governo svedese per la fornitura di un massimo di 5,3 milioni di dosi di vaccino.
In tal modo, la popolazione avrà accesso a un ulteriore vaccino COVID-19, se questo supererà la fase dei test clinici e sarà omologato da Swissmedic.
Alla base del contratto vi è l'accordo tra la Commissione europea e AstraZeneca sulla fornitura di un massimo di 400 milioni di dosi per l'Europa, che potranno essere ordinate dai singoli Stati in base al numero della popolazione e acquistate se il vaccino sarà omologato. Per gli Stati dello SEE e dell'AELS che non sono membri dell'UE, sarà la Svezia a ordinare le dosi e a rivenderle agli altri Stati senza alcun profitto. Dopo un'eventuale omologazione, il vaccino sarà fornito da AstraZeneca direttamente alla Svizzera. All'inizio di ottobre, AstraZeneca aveva già presentato una domanda di omologazione a Swissmedic.
Tecnologia basata su vettori virali
Il gruppo britannico ha sviluppato il vaccino AZD1222 in collaborazione con l'Università di Oxford e la sua affiliata Vaccitech. Si tratta di un vaccino vettoriale (adenovirus) che esprime la proteina di superficie del coronavirus (proteina Spike SARS-COV 2). Esso prepara il sistema immunitario ad aggredire il virus Sars-CoV-2 se questo infettasse l'organismo.
Strategia diversificata
Inoltre, la Confederazione intende, per quanto possibile, acquistare più vaccini COVID-19 prodotti con diverse tecnologie, ossia mRNA, basati su proteine, basati su vettori, poiché attualmente non è ancora chiaro quali di questi vaccini si affermeranno. Attualmente, sta negoziando con i fabbricanti di altri candidati vaccini molto promettenti, in vista dell'eventuale stipula di contratti supplementari.
Nell'agosto 2020, la Confederazione aveva concluso un contratto con l'azienda Moderna per l'acquisto di 4,5 milioni di dosi di vaccino. A questo si aggiunge la sua partecipazione all'iniziativa internazionale COVAX volta ad acquistare vaccini a un prezzo scontato del 20 per cento destinati alla popolazione. La strategia e le raccomandazioni di vaccinazione dipenderanno dai singoli vaccini e terranno conto delle conoscenze scientifiche più recenti.
Importante, oltre la prevenzione, è anche il trattamento delle persone contagiate da COVID-19. In tal senso, nell'estate del 2020 la Confederazione si è assicurata l'approvvigionamento di un agente immunoterapico prodotto dalla Molecular Partners. In determinati casi, il medicamento potrebbe essere somministrato anche come profilassi per proteggere da un'infezione (immunizzazione passiva), per esempio al personale ospedaliero esposto o ad altri gruppi a rischio.
L'emergenza sanitaria da COVID-19 ha avuto serie ed evidente ripercussioni anche sul fronte della sanità pubblica e sulla battaglia contro altre malattie, specie quelle croniche. E, di conseguenza, anche sul fronte delle malattie sessualmente trasmissibili.
Parlando dell'HIV, dagli USA e a livello globale, studi scientifici e sondaggi hanno dimostrato una riduzione significativa di accesso ai test, nonostante sia stato comunque mantenuto l'accesso ai servizi. Una situazione analoga, sebbene non esistono al momento studi specifici e dati ufficiali a riguardo, potrebbe avvenire in Italia.
COME IL COVID-19 HA INFLUENZATO LA LOTTA CONTRO L'HIV
"Non siamo ancora in grado di sapere se l’impatto della pandemia da COVID19 abbia comportato conseguenze nell’assistenza alle persone con HIV - dichiara il Prof. Andrea Antinori, Direttore di Immunodeficienze Virali allo Spallanzani di Roma – Se fossero confermati i dati sulla riduzione dei test anche in Italia, va capito de questo fenomeno possa essere ricondotto alla riduzione degli spostamenti durante e successivo al lockdown, o se dipende da una effettiva riduzione di comportamenti a rischio, o ancora se da una difficoltà di accesso alle strutture, impegnate ad affrontare la battaglia della pandemia".
"L’esperienza internazionale infatti rivela un evidente calo di test effettuati, come dimostrato da dati americani e da una recente survey del WHO in 140 paesi. In Italia non disponiamo ancora di dati ufficiali sui test HIV in era COVID19, anche se in sede di congresso ci saranno interessanti novità su questo argomento. Quello che possiamo dire è che c’è stata una continuità dei servizi erogati, sebbene con alcune restrizioni per quanto riguarda le attività ambulatoriali, limitate nella fase di lockdown alle attività essenziali non differibili. Anche oggi le prestazioni ambulatoriali alle persone con HIV devono adempiersi con tutte le norme di sicurezza al momento richieste, dalle distanze di sicurezza alla sanificazione, evitando il sovraffollamento degli ambulatori.
Una notizia positiva, invece, riguarda i risultati della telemedicina, che si dimostra metodica sempre più implementata nel setting HIV, e anche gradita dai pazienti. Sono aumentati del 50%, infatti, le consultazioni online, grazie anche a piattaforme sempre più evolute, i cui servizi sono migliorati anche durante la pandemia stessa. Questi nuovi strumenti saranno indubbiamente validi anche al termine dell'attuale situazione d'emergenza, purché non si comprometta la qualità e la professionalità del servizio offerto".
LE TERAPIE HIV E COVID19 - Sul fronte delle terapie, due le osservazioni che gli specialisti di ICAR sottolineano. All'inizio della pandemia da COVID19, infatti, si era discusso molto sulla possibilità che alcuni farmaci antiretrovirali potessero funzionare contro il coronavirus in questione, in special modo il Lopinavir/ritonavir e il darunavir/cobicistat. Ma i risultati degli studi, sin dai primi mesi della pandemia, hanno purtroppo dimostrato che gli inibitori delle proteasi di HIV non sono efficaci contro il COVID19. In tal senso è importante che non vengano modificate le terapie anti-HIV nella speranza di potersi proteggere dall’altra infezione. E' inoltre importante sottolineare, inoltre, che la malattia da COVID19 non ha ripercussioni più gravi, come dimostra la quasi totalità degli studi internazionali finora effettuati, anche nei pazienti immunodepressi, in particolare per i pazienti sieropositivi. "Al momento non sono state rilevate - conclude il Prof. Antinori - conseguenze più gravi e decorsi diversi rispetto ai malati con COVID19 non HIV".
IN ITALIA ICAR È L'ATTESO APPUNTAMENTO PER CAPIRE HIV E COVID
Se ne parlerà durante la 12a edizione del Congresso ICAR - Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, che si è aperto oggi online fino a venerdì 16 ottobre. L'appuntamento si conferma come punto di riferimento per la comunità scientifica nazionale in tema di HIV-AIDS, Epatiti, Infezioni Sessualmente Trasmissibili e virali. ICAR è organizzato sotto l’egida della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, di tutte le maggiori società scientifiche di area infettivologica e virologica e del mondo della community. Il Congresso, quest’anno in versione digitale in modalità webinar, sarà presieduto dal Prof. Massimo Clementi, Professore Ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; da Sandro Mattioli, Presidente Plus; dalla Prof.ssa Cristina Mussini, Professore Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università di Modena e Reggio Emilia; il Prof. Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia Generale alla Emory University di Atlanta; il Presidente SIMIT Marcello Tavio.
Le notizie sul congresso ICAR 2020 sono su http://salutedomani.com/categ/
Info:
http://www.salutedomani.
Al termine del periodo estivo, si è conclusa la campagna di controllo “ESTATE TRANQUILLA 2020”, realizzata dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, d’intesa con il Ministero della Salute, su un articolato programma di verifiche condotte dai Carabinieri NAS in ambito nazionale, finalizzato alla tutela della salute pubblica e alla sicurezza del consumatore.
Gli abituali controlli di “Estate Tranquilla” sono stati rinforzati da contestuali verifiche sull’attuazione delle misure di contenimento alla diffusione da COVID-19 in esercizi di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande, riconducibili al distanziamento sociale e dei tavoli di consumazione, alla presenza di informazioni anti-covid per la clientela e alla predisposizione di prodotti igienizzanti all’interno dei locali, all’uso di mascherine da parte di operatori e avventori.
Inoltre, nel corso delle oltre 14.200 ispezioni svolte da giugno a fine settembre è stata oggetto di controllo anche l’intera filiera commerciale dei dispositivi medici che ha consentito di individuare e sequestrare oltre un milione di mascherine facciali e dispositivi di protezione privi delle caratteristiche dichiarate, importate illegalmente, con false attestazioni di conformità e in assenza di indicazioni sul corretto impiego. Sono stati bloccati anche 46.500 confezioni di igienizzanti e presidi medici privi delle qualità vantate e senza autorizzazioni. L’attività di vigilanza è stata condotta anche sul web, che ha portato all’oscuramento di 60 siti e annunci su social forum che promuovevano la vendita di prodotti vantanti inesistenti proprietà curative anti-covid e farmaci vietati a causa dei gravi effetti collaterali.
Contestualmente alle attività di controllo del rispetto delle normative di contrasto alla diffusione epidemica, è stata effettuata anche la campagna tradizionalmente rivolta al monitoraggio, da giugno a settembre, di obiettivi riconducibili alla filiera alimentare e turistica (dalla produzione primaria fino agli agriturismi e alla ristorazione) nonché alla correttezza dell’offerta dei servizi sanitari e socio-assistenziali, mediante l’esecuzione di complessive 6.655 ispezioni nell’intero territorio nazionale.
Il 44% degli italiani e' aumentato di peso a causa del Covid, tra lo smart working, le limitazioni imposte dal lockdown e la maggiore tendenza a dedicarsi alla cucina. E' quanto emerge da una analisi di Coldiretti su dati Crea, il Centro di ricerca alimenti e nutrizione, diffusa in occasione dell'Obesity Day 2020 che si celebra in tutto il mondo il 10 ottobre in piena pandemia con il varo di nuove misure restrittive.
La pandemia ha imposto un cambiamento radicale delle abitudini di vita e di consumo - sottolinea Coldiretti - che ha avuto effetto anche sulla bilancia, dove la tendenza a mangiare di piu', spinta dal maggior tempo trascorso fra le mura di casa, non e' stata compensata da una adeguata attivita' fisica. Computer, divano e tavola hanno, infatti, tenuto lontano dal moto e dallo sport - rileva Coldiretti - addirittura il 53% degli italiani. La situazione peggiora per le persone obese - continua la Coldiretti -, soprattutto per quelle collocate in smart working e in cassa integrazione, che nel 54% dei casi ha registrato un aumento medio di peso di ben 4 chilogrammi, secondo una ricerca della Fondazione Adi dell'Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica. Soprattutto per questa fascia di popolazione il "lavoro agile" ha favorito l'adozione di comportamenti poco salutari, come mangiare scorrettamente e diminuire l'attivita' fisica
. Ma l'aumento di peso e' legato - nota la Coldiretti - anche alla maggiore tendenza a cucinare per se' e per i familiari, con lo smart working che ha spostato fra le mura domestiche tutti gli intervalli del tradizionale orario di lavoro con la necessita' di organizzarsi a casa per i pasti e magari anche per gli aperitivi di fine giornata. Il risultato e' un aumento di 10 miliardi di euro della spesa alimentare nelle case degli italiani nel 2020, secondo una analisi Coldiretti su dati Ismea. Nel carrello degli italiani si e' verificato cosi' - precisa la Coldiretti -un incremento del 9,4% degli acquisti al dettaglio di vino e del 16,2% per la birra, ma anche dei salumi che crescono del 10,2% e dei formaggi per cui si segnala un incremento del 12,5% nei primi sei mesi dell'anno.
Crescita boom per le uova - continua la Coldiretti - che segnano un +22% mentre gli acquisti di farina sono cresciuti del 59% per effetto della tendenza degli italiani a sbizzarrirsi in cucina preparando pasta, torte, pizze e biscotti. Un comportamento che ha reso necessario per molti italiani adottare un regime alimentare di recupero e "sgonfiamento" in un Paese dove peraltro piu' di un terzo della popolazione italiana adulta - evidenzia la Coldiretti - e' in sovrappeso, mentre una persona su dieci e' obesa (9,8%) con il 45,1% di persone dai 18 anni in avanti in eccesso ponderale secondo l'Istituto superiore di sanita'. Il rischio obesita' non risparmia neanche bambini e adolescenti duramente provati dal lockdown. In Italia si stimano - conclude la Coldiretti - circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni secondo l'Istat.
L’Italia è su un crinale sottile che non può essere oltrepassato, se non esponendo a gravi rischi la vita di oltre 33mila persone che, ogni anno, nel nostro Paese ricevono una diagnosi di tumore del sangue.
Uno studio tutto italiano, promosso dalla Società Italiana di Ematologia (SIE) e pubblicato sul numero di ottobre di “The Lancet Hematology”, ha evidenziato un altissimo tasso di mortalità, pari al 37%, nei pazienti ematologici contagiati dal Covid-19 nel periodo da febbraio a maggio 2020. Una percentuale 2,4 volte superiore rispetto a quella della popolazione generale che ha contratto il virus e ben 41,3 volte maggiore rispetto a quella dei malati ematologici osservata nello stesso periodo dello scorso anno, cioè in epoca pre-Covid.
Si tratta del più grande studio al mondo che ha analizzato le caratteristiche cliniche e i fattori di rischio associati al Covid-19 in persone colpite da malattie del sangue maligne: sono stati coinvolti 536 pazienti di 67 centri. La ricerca è stata presentata oggi in una conferenza stampa a Milano promossa da SIE.
“Il 70% dei cittadini colpiti da tumore del sangue guarisce – afferma il Prof. Paolo Corradini, Presidente SIE e Direttore Ematologia Istituto Nazionale Tumori di Milano -. Un risultato molto importante, raggiunto grazie a terapie sempre più efficaci. Dobbiamo continuare a curare questi pazienti, anche durante la pandemia. I trattamenti non possono essere interrotti. Lo studio, infatti, dimostra che uno dei principali fattori di rischio di morte, in caso di contagio da Covid-19, è proprio la fase avanzata della patologia ematologica.
L’immunodepressione provocata dalla malattia che interessa il midollo, l’organo che produce le difese immunitarie, espone i pazienti a maggior rischio di morte, se contagiati dal Covid-19. Anche a marzo e aprile, nel periodo più critico della pandemia, i nostri centri hanno continuato a curare con regolarità i pazienti, raccomandando il rispetto delle regole fondamentali come l’uso della mascherina per i familiari e il tampone per ogni paziente prima del ricovero”.
“Oggi, però – continua il prof. Corradini -, stiamo assistendo al rischio reale che tutto possa essere vanificato dal comportamento poco responsabile di molti cittadini. Troppi, soprattutto giovani, non indossano la mascherina e non osservano la distanza minima di almeno un metro dalle altre persone. Il nostro Paese confina, ad esempio, con la Francia dove purtroppo, a causa dell’altissimo numero di contagi, stanno già riducendo i posti letto per terapie salvavita, come i trapianti di midollo osseo e le CAR-T, in previsione di una seconda grave ondata del virus. Dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti e sensibilizzare i cittadini perché questo non avvenga anche in Italia, ma abbiamo poco tempo. Ed è corretto imporre l’obbligo di utilizzo della mascherina anche all’aperto”.
La terapia cellulare CAR-T è una forma innovativa di immunoterapia, che utilizza le cellule del sistema immunitario (linfociti T): queste ultime vengono prelevate dal paziente, ingegnerizzate in laboratorio e addestrate a riconoscere e combattere con più forza il tumore, per essere poi reinfuse nel paziente. Sono indicate nel trattamento dei linfomi avanzati e aggressivi negli adulti e della leucemia linfoblastica acuta nei bambini. Inoltre, sono in corso sperimentazioni in altre patologie come il mieloma multiplo. I trapianti allogenici, cioè da donatore, sono indicati per le leucemie acute, le mielodisplasie e i linfomi.
“La terapia CAR-T è eseguibile solo in ospedali dotati di unità di trapianto di midollo osseo da donatore – spiega il Prof. Fabio Ciceri, Primario Unità di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Presidente GITMO (Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo) -. Le due attività coincidono, perché i requisiti organizzativi e strutturali sono sovrapponibili. In Italia, durante la fase acuta della pandemia, i trapianti di midollo sono proseguiti regolarmente, pur con notevoli difficoltà logistiche. Ogni anno, nel nostro Paese, vengono effettuati circa 1.800 trapianti di midollo osseo da donatore. A oggi, rispetto allo stesso periodo del 2019, c’è stata una diminuzione davvero irrisoria, pari a circa l’8%. Il merito va al grandissimo sforzo degli operatori sanitari, del Registro donatori di midollo e dei centri, che hanno continuato a lavorare a pieno regime
. Ad esempio, all’Ospedale San Raffaele, dove portiamo a termine circa 100 trapianti allogenici all’anno, finora abbiamo eseguito lo stesso numero di trapianti registrati a ottobre 2019, ma i medici che hanno lavorato a marzo, aprile e maggio erano meno della metà dello staff ordinario, perché contagiati dal virus o destinati a reparti Covid. Ecco perché oggi, a maggior ragione, dobbiamo continuare a proteggere e rendere possibile questa attività. L’Italia, finora, non è stata toccata dal problema della riduzione dei posti letto per trapianti di midollo e terapie CAR-T, a differenza di quanto sta avvenendo nelle ultime settimane a Parigi. Ma la situazione può aggravarsi in poco tempo. Nella pianificazione della riorganizzazione ospedaliera, le Istituzioni e le direzioni generali e sanitarie devono porre come cardine la preservazione e il proseguimento di questa attività”.
Tra i tumori del sangue più frequenti vi sono i linfomi (13.182 nuovi casi di linfoma non Hodgkin e 2.151 di linfoma di Hodgkin, stimati in Italia nel 2020), le leucemie (7.967) e il mieloma multiplo (5.759). “Nello studio retrospettivo pubblicato su ‘The Lancet Hematology’ sono stati considerati non solo i tumori del sangue ma anche altre malattie ematologiche maligne, come le sindromi mielodisplastiche – sottolinea il Prof. Francesco Passamonti, Ordinario di Ematologia all’Università dell’Insubria di Varese e Direttore Ematologia ASST Sette Laghi di Varese -. Il periodo considerato va dal 25 febbraio al 18 maggio 2020. Il tempo mediano di ospedalizzazione è stato molto breve, pari a 16 giorni, 20 per i sopravvissuti e 11 per i morti. Il 18% ha potuto accedere alle terapie intensive. Su 536 pazienti con malattie ematologiche e contagiati dal Covid-19, 198, cioè il 37%, sono deceduti. Una percentuale altissima.
Inoltre, abbiamo analizzato un altro parametro, cioè il tasso di mortalità standardizzato, che indica il rapporto fra la mortalità del malato ematologico con Covid rispetto a quella della popolazione generale italiana colpita dal virus. È risultato 2,4 volte superiore, per arrivare a 3,72 volte maggiore nei pazienti ematologici under 70. Questo dato è molto importante, perché i pazienti più giovani sono i candidati ideali per il trapianto allogenico e le terapie CAR-T. E la leucemia mieloide acuta e il linfoma non Hodgkin sono le patologie che pongono più a rischio la vita dei pazienti, se contagiati”. Lo studio è stato promosso da SIE, in collaborazione con FIL (Fondazione Italiana Linfomi), SEIFEM (Sorveglianza Epidemiologica Infezioni nelle Emopatie) e SIES (Società Italiana Ematologia Sperimentale).
“La malattia ematologica avanzata rappresenta un fattore di rischio molto importante, in caso di contagio da Covid – conclude il prof. Corradini -. Per questo, dobbiamo continuare a trattare e tutelare i pazienti. Obiettivo che può essere raggiunto anche con una campagna di vaccinazione antinfluenzale mirata alle categorie a rischio e ai famigliari dei pazienti ematologici, già abituati a seguire regole stringenti di protezione anche prima della pandemia. Tutti i potenziali contatti dei malati devono essere vaccinati contro l’influenza, per creare una gabbia di difesa. Anche perché solo alcuni pazienti possono essere sottoposti alla profilassi, ad esempio i trapiantati da meno di un anno non riescono a produrre una risposta immunitaria.
Inoltre, SIE vuole promuovere un altro studio per fotografare lo stato di salute delle persone con malattie ematologiche sopravvissute al virus. Molte soffrono ancora di gravi problemi respiratori e non possono essere curate, ad esempio, con la chemioterapia. È fondamentale capire qual è l’impatto della pandemia nel lungo periodo sulla popolazione che ha superato il Covid”.
"Analizzando i dati del 2019 registriamo un decremento notevole e non giustificato di pazienti affetti da Epatite C avviati a trattamento: il calo ammonta a circa il 35% causando cosi' un possibile ritardo di 7 anni nel raggiungimento degli obiettivi sanitari prefissati dall'Organizzazione mondiale della sanita', vale a dire debellare la malattia entro il 2030.
Se a questi numeri sommiamo gli effetti della situazione assolutamente straordinaria per la pandemia Sars-Cov2, il calo del numero dei trattamenti dell'infezione da HCV registrato nel 2020 potrebbe essere addirittura superiore al 65% rispetto all'anno precedente. E' il drammatico corollario dell'emergenza Covid-19 nel nostro Paese che riguarda la riduzione dei trattamenti per tutti gli altri pazienti affetti da patologie diverse, in particolare quelli che devono essere seguiti nelle stesse strutture dei pazienti Covid".
E' l'allarme lanciato da Michela Rostan, vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera, che sul punto ha presentato un'interrogazione parlamentare rivolta al ministro per la Salute, Roberto Speranza, per chiedere di accelerare l'iter di approvazione del Decreto Attuativo del Fondo gia' istituito per lo Screening di HCV (G.U. 29 Febbraio 2020), la revisione del Piano Nazionale Eliminazione Epatiti (PNEV) con susseguente condivisione con la Conferenza Stato Regioni per la sua piena attuazione; e con l'istituzione di un Fondo ad hoc per il trattamento dell'epatite nell'ambito del relativo Piano Nazionale per la Prevenzione e il trattamento, integrato da piani regionali di eliminazione, che potrebbe rendere cosi' nuovamente raggiungibile l'obiettivo dell'OMS per l'eliminazione dell'HCV entro il 2030.
"Non puo' essere tollerato, anche di fronte a un'emergenza grave come quella che stiamo vivendo, che esistano malati di serie A e malati di serie B - prosegue Rostan. L'epatite C e' una malattia clinicamente rilevante dalle gravi conseguenze a livello epatico e che per la sua alta capacita' di contagio e', purtroppo ancora oggi, un problema di salute pubblica e lo sara' fino alla sua completa debellazione. Occorre che il governo ponga la necessaria attenzione a questi pazienti coerentemente con gli investimenti sostenuti sino ad oggi dal SSN per il trattamento di pazienti dal 2015 al 2018 che, e' bene ricordare, hanno portato ad un risparmio di oltre 52 milioni di euro per 1.000 pazienti trattati".
"La recente attribuzione del Premio Nobel ai ricercatori che hanno identificato il virus evidenzia come a livello internazionale sia alta l'attenzione verso questa patologia, il cui contrasto, grazie ai progressi di ricerca e clinica ha contribuito anche a definire le modalita' di approccio al covid, a livello - conclude la deputata di Italia Viva - e per questo proseguiremo con le campagne di prevenzione e gli screening in piazza per evitare la recrudescenza della diffusione del virus. Ma serve anche garantire la necessaria assistenza a chi ne e' affetto. A questo proposito giova ricordare la necessita' di organizzare le strutture ospedaliere con percorsi protetti che consentano ai pazienti con epatite C e promuovere screening congiunti con quelli per il Covid che consentano di proseguire in questa difficile battaglia".
Più di 130 tonnellate di mascherine facciali a uso medico controllate L’Amministrazione federale delle dogane (AFD) e Swissmedic hanno partecipato a una campagna coordinata a livello mondiale per combattere il commercio di medicamenti e dispositivi medici illegali. Dall’inizio della pandemia da COVID-19 circolano sempre più prodotti contraffatti e di qualità scadente. Nell’ambito della campagna, l’AFD e Swissmedic hanno controllato 29 spedizioni per un totale di 132 tonnellate di mascherine facciali a uso medico.
L’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD) ha coordinato l’operazione internazionale «STOP», che si è svolta dall’11 maggio al 12 luglio 2020 e ha coinvolto autorità di 99 Paesi.
Mascherine facciali a uso medico in primo piano
Con lo scoppio della pandemia da COVID-19, l’offerta di mascherine facciali a uso medico non conformi o solo apparentemente conformi è aumentata fortemente anche sul mercato svizzero.
Swissmedic ha quindi deciso di incentrare la campagna su questi dispositivi medici.
In Svizzera, l’autorità doganale ha controllato con Swissmedic 29 spedizioni di mascherine facciali a uso medico, vale a dire più di 34,2 milioni di mascherine per un peso totale di 132 tonnellate. Dieci delle 29 spedizioni contenevano mascherine facciali a uso medico di comprovata non conformità.
L’operazione si è concentrata principalmente sul controllo delle spedizioni destinate alle strutture sanitarie, come gli ospedali. Nell’ambito della campagna sono state inoltre verificate soprattutto le grandi spedizioni (da un milione di unità) ordinate da operatori commerciali. In un primo tempo, durante i controlli si è verificato che le informazioni obbligatorie fossero riportate sull’imballaggio ed eventualmente nelle informazioni sul prodotto. In un secondo tempo, se necessario, Swissmedic ha richiesto una documentazione di prova supplementare sulla conformità delle mascherine facciali a uso medico.
I controlli hanno messo in evidenza le seguenti non conformità:
Di conseguenza, Swissmedic ha deciso di avviare cinque procedimenti amministrativi. Un procedimento amministrativo ha portato al divieto di immettere sul mercato le mascherine chirurgiche in questione affinché fossero utilizzate per scopi medici, altri due procedimenti hanno portato rispettivamente al rilascio e alla verifica della deroga per l’immissione in commercio secondo le ordinanze COVID-19 e due ulteriori procedimenti sono stati conclusi dopo l’accertamento dei fatti senza che l’Istituto adottasse misure (uso non medico dei dispositivi).
I risultati dell’operazione hanno mostrato che sul mercato svizzero circolavano grandi quantità di mascherine facciali a uso medico non conformi.
Presentata in Svizzera la prima domanda di omologazione per un vaccino contro il COVID-19 Swissmedic ha avviato la valutazione scientifica del primo vaccino contro li COVID-19. La domanda di omologazione è stata presentata all’inizio di ottobre 2020 dalla società AstraZeneca, che sta sviluppando il vaccino in collaborazione con l’Università di Oxford.
La valutazione scientifica del vaccino denominato COVID-19 Vaccine AstraZeneca viene effettuata mediante la procedura «Rolling Submission», che consente alle aziende farmaceutiche di presentare domande per i medicamenti contro il COVID-19 ancor prima che lo sviluppo sia concluso e la documentazione sia completa.
In questo modo è possibile velocizzare la decisione di omologazione dei medicamenti perché Swissmedic esamina le prime valutazioni scientifiche provenienti da studi di laboratorio (dati non clinici) già mentre gli studi clinici in corso proseguono. I risultati degli studi disponibili nelle prossime settimane e nei prossimi mesi devono essere presentati a Swissmedic e sottoposti a valutazione scientifica non appena disponibili.
Una decisione di omologazione può essere presa solo quando sono presenti tutti i dati necessari per valutare la sicurezza, la qualità e l’efficacia di un vaccino. La documentazione deve mostrare in che misura il vaccino è sicuro ed efficace nel proteggere le persone contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2.
Swissmedic valuta i dossier in modo indipendente, ma intrattiene uno stretto scambio d’informazioni con le autorità partner estere ai fini della valutazione scientifica. Nonostante l’elevata urgenza, Swissmedic valuta i dati scientifici secondo gli standard abituali: la sicurezza dei medicamenti e la sicurezza dei destinatari rimangono una priorità assoluta.
Omologazioni per i vaccini: prevenire invece di curare
Per immettere sul mercato svizzero un medicamento è necessario presentare una relativa domanda di omologazione. Per i vaccini contro il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 o i medicamenti per il trattamento del COVID-19 si applicano in linea di principio gli stessi requisiti previsti per tutti i medicamenti.
Il profilo beneficio-rischio di un medicamento è sempre al centro della valutazione di una domanda di omologazione. I vaccini sono (di solito) usati in modo profilattico su persone sane, per cui i requisiti nei confronti dell’efficacia, della sicurezza e della qualità dei vaccini sono molto elevati, anche in conformità con gli standard internazionali.
Sono quattro i progetti finanziati da Fondazione Telethon per una cifra complessiva di 200 mila euro con lo scopo di utilizzare le malattie genetiche rare come strumento per comprendere aspetti ancora non noti dell'infezione da SARS-CoV-2.
Come la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare puo' contribuire alla lotta a Covid-19? Se lo e' chiesto Fondazione Telethon, che lo scorso maggio ha deciso di istituire un bando ad hoc per finanziare i migliori progetti di ricerca, che utilizzassero le malattie genetiche rare come "lente" sulla malattia che negli ultimi mesi ha rivoluzionato il mondo, per aggiungere un ulteriore tassello di conoscenza a quanto finora acquisito.
Le 114 proposte inviate al bando Telethon "Malattie genetiche rare e Covid-19 sono state rigorosamente valutate da una commissione scientifica istituita ad hoc, formata da nove scienziati di fama internazionale e presieduta da Michael Caplan, professore di Biologia cellulare e Fisiologia presso la facolta' di medicina dell'Universita' di Yale, che attualmente e' anche membro del consiglio di indirizzo scientifico della Fondazione. "Fondazione Telethon ha scelto il modo per migliore per mettere le proprie risorse e competenze al servizio della lotta contro la pandemia che ha sconvolto il mondo intero - ha dichiarato Michael Caplan - Sono stato davvero onorato di partecipare a un'iniziativa che definirei unica nel panorama mondiale: per quanto globalmente siano stati messi tantissimi fondi a disposizione della ricerca scientifica su COVID-19, questo bando e' un esempio brillante di come si possano mettere efficacemente a frutto risorse limitate.
Del resto, questo e' il marchio di fabbrica dell'organizzazione che, con capacita' economiche ben lontane da quelle di agenzie di finanziamento quale per esempio l'NIH qui negli Usa, e' riuscita ad arrivare all'incredibile risultato di mettere a punto e rendere disponibile ai pazienti la prima terapia genica ex vivo al mondo. Con questa iniziativa Fondazione Telethon ha mantenuto fede al patto con i propri stakeholder - pazienti e donatori - e al contempo ha messo la propria competenza al servizio di questa emergenza globale in modo efficace e focalizzato".
"L'attuale emergenza coronavirus ha reso infatti ancora piu' fragili le persone che vivono con una malattia genetica rara, aumentando le difficolta' che questi pazienti devono affrontare, ma ha fatto anche comprendere il valore universale e l'importanza della ricerca - ha dichiarato Manuela Battaglia, Responsabile della Ricerca di Fondazione Telethon. Le malattie genetiche rare a causa della loro complessita' portano a indagare meccanismi biologici allo stesso tempo fondamentali e che possono rivelarsi trasversali rispetto allo studio di altre patologie. Per questa ragione, coerentemente con la nostra missione di fornire ai pazienti risposte concrete in termini di cure e terapie, abbiamo stimolato la comunita' scientifica a mettere a frutto le conoscenze derivate dagli studi sulle malattie genetiche rare, finanziate da Fondazione Telethon da 30 anni, per lo studio dell'infezione da SARS-CoV-2, creando una sinergia internazionale con l'obiettivo di dare il nostro importante contributo anche a questa emergenza sanitaria globale".
I progetti finanziati avranno la durata di un anno e coinvolgeranno diversi istituti di ricerca e universitari. Presso l'UO di Pediatria dell'Ospedale San Raffaele di Milano Gianni Russo provera' a fornire ulteriori elementi a sostegno dell'impiego dei glucocorticoidi, farmaci con azione anche antinfiammatoria, che recentemente hanno dimostrato una certa efficacia nel trattamento dei pazienti Covid19 piu' critici con compromissione respiratoria.
In particolare, Russo e il suo team sfrutteranno la loro decennale esperienza nel trattamento di pazienti con iperplasia surrenalica congenita, malattia genetica che viene tenuta sotto controllo grazie a una somministrazione cronica di questo tipo di farmaci: con questo studio proveranno a capire se la eventuale lieve immunosoppressione indotta dalla somministrazione precoce e cronica di glucocorticoidi possa avere un impatto sia sulla suscettibilita' all'infezione da SARS-Cov-2 sia sul trattamento dei sintomi, aprendo potenzialmente nuove possibilita' terapeutiche. Sempre a Milano, Anna Kajaste-Rudnitski dell'Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) coordinera' invece uno studio incentrato sui meccanismi dell'immunita' innata, la nostra prima linea di difesa verso i patogeni.
In particolare, si concentrera' sui geni coinvolti nella risposta cellulare contro il nuovo coronavirus che sono anche alterati nella malattia genetica di cui si occupa da anni, la sindrome di Aicardi-Goutie'res: utilizzando i modelli cellulari di questa rara sindrome cerchera' di capire se i geni causativi abbiano un ruolo anche nella protezione dall'infezione da SARS-CoV2 e possano cosi' essere sfruttati per sviluppare nuove terapie antivirali. Il progetto di Maria Teresa Fiorenza della Sapienza Universita' di Roma si focalizzera' invece sull'analogia tra i meccanismi sfruttati dal nuovo coronavirus per entrare nelle cellule dell'epitelio respiratorio umano e le alterazioni cellulari tipiche di una rara malattia genetica degenerativa, quella di Niemann-Pick di tipo C.
Questa malattia e' dovuta infatti a difetti in una proteina fondamentale per l'integrita' della membrana cellulare, quella "barriera" che anche il virus deve aggirare per infettare la cellula e replicarsi. Inoltre, e' noto da altri studi che alterazioni di questa proteina rendono le cellule piu' resistenti all'ingresso e alla propagazione di altri virus, come per esempio Ebola, SARS, MERS e HIV. I modelli cellulari della malattia di Niemann-Pick di tipo C potranno quindi aiutare a comprendere se questo vale anche per SARS-CoV-2 e contribuire quindi a individuare nuove strategie farmacologiche per contrastarlo. Infine, Cristina Sobacchi dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr e di Humanitas Research Hospital di Milano approfondira' i meccanismi cellulari che il nuovo coronavirus utilizza a proprio vantaggio per entrare nelle cellule bersaglio e replicarsi. Per farlo sfruttera' le conoscenze su questi meccanismi acquisite studiando una rarissima malattia genetica dello scheletro, la disostosi acro-fronto-facio-nasale di tipo 1, che e' dovuta a mutazioni in una proteina coinvolta in questi processi.
Peraltro, mutazioni nella stessa proteina sono state gia' correlate a un'aumentata suscettibilita' a infezioni polmonari di origine virale: approfondire questi meccanismi nei modelli cellulari di questa rarissima malattia potrebbe quindi contribuire a chiarire meglio la relazione tra SARS-CoV-2 e la cellula ospite, e di conseguenza a suggerire nuove strategie terapeutiche mirate.
Grazie a un approccio innovativo solitamente usato per lo studio dell’autoimmunità nel diabete di tipo 1, un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano ha mappato la risposta anticorpale di 509 pazienti con Covid-19 ricoverati presso l’Istituto e ha identificato una classe di anticorpi molto efficaci nel combattere l’infezione: la presenza di questi anticorpi nel sangue è associata a una riduzione della mortalità di oltre il 60%.
La ricerca, pubblicata sul prestigioso Journal of Clinical Investigation, è stata condotta nei laboratori dell’Istituto di Ricerca sul Diabete diretto da Lorenzo Piemonti, professore associato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. L’approccio impiegato, per cui è stato appena depositato un brevetto di proprietà intellettuale, potrebbe aiutarci a riconoscere i pazienti a maggior rischio e permetterà di testare in modo più preciso l’efficacia dei vaccini attualmente in sperimentazione.
Il lavoro è stato condotto all’interno del maxi studio clinico osservazionale su Covid-19 coordinato dal professor Alberto Zangrillo, prorettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e dal professor Fabio Ciceri, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente di Ematologia e Trapianto di Midollo dell’Ateneo.
L’origine di un innovativo test
Gli anticorpi sono molecole speciali prodotte dal nostro sistema immunitario, costruite su misura per riconoscere una minaccia e aiutarci a sconfiggerla. Oltre a essere coinvolti nella risposta alle malattie infettive causate da virus e batteri, gli anticorpi giocano anche un ruolo nelle malattie autoimmuni. In questo caso invece di riconoscere una minaccia esterna, gli anticorpi riconoscono cellule dell’organismo e guidano il sistema immunitario del paziente ad attaccarle, producendo un danno.
“Rispetto alla situazione di una malattia virale, nel caso delle malattie autoimmuni – come il diabete di tipo 1 – la quantità di anticorpi presenti nel sangue è piuttosto bassa. Rilevare queste molecole con successo e distinguerle richiede metodiche ad alta sensibilità e specificità,” spiega Lorenzo Piemonti.
L’intuizione dei ricercatori è stata quella di applicare queste metodiche avanzate di studio degli anticorpi, sviluppate nel campo delle malattie autoimmuni, al Covid-19. “Analizzare il siero dei pazienti infettati dal nuovo coronavirus con il test che abbiamo sviluppato è un po’ come guardare con un microscopio invece che con una lente di ingrandimento.”
Non tutti gli anticorpi per SARS-CoV-2 sono uguali
“Bisogna ricordare che gli anticorpi non sono tutti uguali e possono riconoscere e legare punti diversi dello stesso virus determinando conseguenze differenti per la sua sopravvivenza e la capacità infettiva” spiega Lorenzo Piemonti.
Ecco perché, nello studio, i ricercatori hanno scoperto che alcuni tipi di anticorpi sono particolarmente efficaci nel combattere il nuovo coronavirus: sono quelli che riconoscono una regione relativamente piccola della proteina Spike, la proteina che permette al virus di agganciarsi alle cellule ed infettarle. Nel gruppo di pazienti con questo tipo specifico di anticorpi la mortalità risulta ridotta del 60% rispetto alla media. “Tra i tanti anticorpi possibili, capire quali sono più efficaci per sconfiggere SARS-CoV-2 è fondamentale, perché sono quelli che vorremmo monitorare nei pazienti, vorremmo utilizzare a scopo terapeutico e di cui vorremmo sollecitare la produzione con un eventuale vaccino.”
La miscela di SARS-CoV-2 e altre infezioni quali influenza
Oltre a rilevare gli anticorpi per SARS-CoV-2, i ricercatori del San Raffaele hanno testato il siero dei 509 pazienti anche per la presenza di anticorpi contro altri virus, in particolare quelli dell’influenza stagionale e altri coronavirus più comuni, i responsabili dei raffreddori stagionali. Questo è stato fatto per capire se la memoria anticorpale del sistema immunitario verso altri virus sia in grado di influenzare la risposta contro SARS-CoV-2. Secondo quanto ottenuto dai ricercatori, in una certa quota di soggetti si è evidenziata la presenza di una risposta anticorpale recente contro il virus dell’influenza, ma questa non si associa a un peggiore outcome clinico dei pazienti positivi al Covid.
“In altre parole, avere avuto una recente infezione da virus dell’influenza non sembra peggiorare le probabilità di guarigione in caso di COVID-19” spiega Piemonti. “Un risultato incoraggiante considerato l’arrivo della stagione invernale e la presenza combinata dei due virus. Questa evidenza però non ci deve dissuadere dal seguire la raccomandazione a sottoporsi alla vaccinazione antiinfluenzale.”
Più complesso è risultato il rapporto con la risposta immunitaria verso altri coronavirus. Infatti, l’infezione da SARS-CoV-2 risveglia la memoria anticorpale pregressa suggerendo un ruolo importante delle precedenti infezioni nella risposta contro il nuovo virus. “Nel rapporto con il sistema immunitario e con la sua storia pregressa sta probabilmente parte del segreto per cui la malattia si manifesta in modo diverso clinicamente. Questa è la direzione a cui stiamo guardando per poter individuare le persone che sono a maggior rischio in caso di infezione” conclude Piemonti
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COVID-19 survival associates with the immunoglobulin response to the SARS-CoV-2 spike
Receptor Binding Domain – Journal of Clinical Investigation
Massimiliano Secchi, PhD1; Elena Bazzigaluppi, MSc1; Cristina Brigatti, MSc1; Ilaria Marzinotto, PhD1; Cristina Tresoldi, MSc1; Patrizia Rovere-Querini, MD1,2; Andrea Poli, PhD1; Antonella Castagna, MD1,2; Gabriella Scarlatti, MD1,2; Alberto Zangrillo, MD1,2; Fabio Ciceri, MD1,2; Lorenzo Piemonti, MD1,2*, Vito Lampasona, MSc1*
Si è svolta oggi, presso l’auditorium del Ministero della Salute, la presentazione del Position paper AOPI sulla pandemia da SARS-Cov-2 e specificità pediatrica. Elaborato dall’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI), il documento si sofferma sulla pandemia da Covid-19 e condivide le principali peculiarità del virus in ambito pediatrico, le azioni messe in campo nella fase 1 e le proposte per coordinare interventi tempestivi per gestire la fase attuale e le successive.
Il testo si colloca nell’ambito della stretta e fruttuosa collaborazione fra AOPI e Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO) ed è stato coordinato dal Comitato Scientifico di AOPI. Il position paper è il racconto di come gli Ospedali pediatrici italiani hanno affrontato la crisi senza rimanere nel chiuso delle mura ospedaliere, ma anzi aprendosi ad una stretta collaborazione con le strutture territoriali e i PLS, e di come stanno progettando il prossimo futuro, in prospettiva di una possibile “ripresa autunnale della pandemia” e comunque del ritorno ad una normalità che colga e sfrutti gli insegnamenti emersi della fase emergenziale anche per ridisegnare le modalità di garantire l’erogazione delle cure pediatriche.
Tutto quanto è stato raccontato nel position paper è il frutto dello straordinario impegno quotidiano di tanti operatori sanitari che ha permesso di mettere in atto le necessarie modalità organizzative e i percorsi clinico-terapeutici e di prevenzione: in questo modo è stato consentito all’Italia di affrontare e contenere la pandemia prima e meglio di tanti altri Paesi. L’esperienza vissuta negli ultimi mesi con l’emergenza Covid-19 ha rafforzato e sostenuto tutte le ragioni di interventi mirati e specifici volti a rispettare la specificità pediatrica e il suo differente fabbisogno assistenziale e organizzativo.
L’emergenza Coronavirus ha rappresentato uno straordinario “acceleratore” di questa necessità di porre un’attenzione specifica per il bambino. Il sistema degli ospedali pediatrici è ora impegnato a gestire la ripresa di attività ordinaria sospesa o differita (ambulatoriale e chirurgica), la gestione dei pazienti Covid-19 positivi, la ripresa delle attività scolastiche e le comuni infezioni del periodo autunnale. Rispetto all’impatto della pandemia sull’adulto, l’ambito pediatrico si caratterizza per le seguenti caratteristiche:
• L’età pediatrica (fascia di età 0-18 anni) rappresenta una piccola proporzione del totale dei casi accertati: al 14 luglio 2020 circa il 2.2% (5.318 casi su 243.316 casi totali). Di questa popolazione, il 12.4% ha un’età inferiore o uguale ad 1 anno, il 18.5% ha un’età compresa tra 2 e 6 anni e il 69.0% tra 7 e 17 anni
• I dati preliminari provenienti dallo studio italiano di sieroprevalenza condotto dall’ISTAT mostrano, al 28 luglio 2020, 6.887 casi di pazienti pediatrici postivi per SARS-CoV-2 (2,8% di tutti i postivi); nei bambini di età compresa fra 0 e 5 anni la sieroprevalenza è inferiore (1,3%)
• L’età media dei pazienti Covid-19 in età pediatrica, secondo uno studio europeo, è pari a 5 anni (dati di aprile), mentre uno studio italiano (febbraio-maggio) riporta un’età media pari a 11 anni, probabilmente in relazione alla maggior percentuale dei casi registrati nella fascia di età adolescenziale nel nostro Paese
• La maggior parte dei bambini affetti da Covid-19 (circa il 75%) non presenta comorbidità
• Il tasso di ricovero ospedaliero nei bambini risulta elevato (circa il 65%), sebbene un recente studio italiano riporti tassi molto inferiori (13.3%). Il rischio di ospedalizzazione è inversamente proporzionale all’età: i bambini di età inferiore a 12 mesi sono a maggior rischio (36%) rispetto ai bambini di età maggiore (<13%). Il rischio di ricovero in Terapia Intensiva è maggiore nella coorte 2-6 anni
• Tutti gli studi finora condotti sulla popolazione pediatrica affetta da Covid-19 hanno dimostratoche la malattia si presenta più frequentemente in maniera asintomatica o paucisintomatica rispetto agli adulti ed alla popolazione anziana (rispettivamente circa 63% vs 44% e 27%), con rare complicanze ed esito favorevole
• Nei pazienti sintomatici, la febbre risulta essere la manifestazione clinica più comune, seguita dasegni o sintomi di coinvolgimento dell’apparato respiratorio (tosse, rinite, difficoltà respiratoria)
• La mortalità in età pediatrica è bassa, inferiore allo 0.5%, comparata al 14% circa della popolazione generale
La strategia complessiva per affrontare la fase 1 della pandemia si correla quindi a quanto messo in campo per l’adulto e si basa su due interventi principali: 1. Separazione dei percorsi ospedalieri per pazienti con sospetto COVID-19 2. Riduzione del numero complessivo di accessi e delle attività ospedaliere, in applicazione del principio di distanziamento sociale.
In generale, la gestione della fase 1 non ha mai assunto i toni di drammaticità o concitazione riscontrati talora nella area dell’adulto. La comprensibile paura è stata gestita essenzialmente con la tempestività delle smentite del sospetto diagnostico ottenute all’esito del tampone. Nel corso di questa emergenza, l’aspetto più peculiare rispetto agli ospedali per adulti è stato lo sforzo di mantenere la centralità del nucleo familiare, rispettando il diritto del bambino ad essere accompagnato nel suo percorso di cura dal proprio genitore. Tutte le misure di screening mirate ad individuare segni e sintomi compatibili con Covid-19 o un’anamnesi compatibile con una possibile esposizione sono state applicate sia al bambino che al suo familiare.
Per venire incontro alle esigenze dei piccoli malati più complessi sono stati attivati percorsi di teleconsulto e tele-assistenza, basati su supporto telefonico, WhatsApp, email, Skype o equivalenti. Particolare attenzione è stata data all’integrazione fra Ospedale e “Territorio”, ad esempio condividendo con i Pediatri di Famiglia percorsi preferenziali per l’invio di casi critici al Pronto Soccorso. “La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova non solo le nostre strutture sanitarie ma anche la nostra economia e il nostro assetto sociale, analogamente a quanto avvenuto in gran parte del mondo. Siamo stati in grado, prima e meglio di molti altri Paesi, di superare la Fase 1 della pandemia, grazie innanzitutto alla capacità, spinta fino al sacrificio, dei nostri sanitari, ai modelli organizzativi adottati, ma anche grazie al senso di consapevolezza e di responsabilità dimostrato da tutta la popolazione, capace di sopportare un durissimo lockdown, e all’impegno concreto dell’Unione Europea a sostegno dei Paesi più colpiti” – ha affermato la Sottosegretaria di Stato alla Salute Sandra Zampa.
“Se è vero che la prima ondata della pandemia è stata superata, seppur pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e di impatto sull’economia del Paese, sicuramente dovremo affrontare momenti difficili, legati in particolare alla recente riapertura delle scuole e alla piena ripresa delle attività produttive, almeno fino a quando non avremo a disposizione un vaccino e terapie efficaci contro il virus SARS-CoV-2. A questa sfida non dobbiamo farci trovare impreparati” – ha precisato Zampa. Lo stress test affrontato dal Sistema Sanitario Nazionale nella crisi pandemica ha riguardato soprattutto le fasce anziane e fragili della popolazione ma, seppur in misura minore, anche l’ambito pediatrico che, ancora una volta, ha dimostrato di avere una sua “specificità” che lo rende peculiare rispetto al mondo dell’adulto.
“Per consolidare quanto fatto finora e sviluppare le nuove progettualità che ci consentiranno di affrontare il futuro prossimo con maggiore sicurezza, AOPI propone al Governo di destinare una quota dell’investimento straordinario per il SSN alla costruzione di un fondo ad hoc per gli ospedali pediatrici, destinato all’innovazione a sostegno dei setting specifici pediatrici. Tale fondo rappresenta il riconoscimento del valore di tale specificità, oltre a consentire un decisivo avanzamento nella qualità delle cure e dell’assistenza: una volta definito, verrà declinato in progettualità operative da concordare a livello nazionale e regionale che, aldilà dell’emergenza COVID-19, consentiranno di far evolvere le cure pediatriche verso un nuovo modello di sviluppo” – ha spiegato il Dottor Paolo Petralia, Presidente AOPI. Alla luce di quanto avvenuto nel periodo di emergenza Covid-19, possono quindi essere avanzate considerazioni e proposte per affrontare la fase attuale e quelle successive in modo da far avanzare il sistema di assistenza ospedaliera pediatrica sul territorio nazionale.
Ambito ospedaliero
• Identificare e separare: differenziare e mettere in sicurezza tempestivamente i percorsi attraverso un sistema stabile di pre-triage
• Riorganizzare e rendere flessibile la dotazione e l’organizzazione ospedaliera. L’offerta di letti adeguati in regime ordinario o di area critica deve essere modulabile in base alla domanda, permettendo percorsi Covid distinti. È necessario riorganizzare la disponibilità dei posti letto di area intensiva e semi intensiva, così che siano fruibili sia in regime ordinario che in regime di trattamento infettivologico. Il personale sanitario dovrà essere flessibile, e rispondere prontamente per essere impiegato in terapia intensiva o semi-intensiva, per questo saranno pensati corsi periodici e aggiornamenti sul campo
• Mantenere in funzione i percorsi dedicati ai pazienti “possibili Covid-19” per garantire l’assenza di circolazione intraospedaliera del contagio
• Potenziare la rete Ospedale-Territorio per l’utilizzo ottimale dei posti letto pediatrici, sia in termini di appropriatezza del ricorso alle cure ospedaliere che di flessibilità nella programmazione
• Prendere in carico gli effetti della pandemia sui pazienti non affetti da Covid-19: riduzione degli accesi al PS, rinvio delle prestazioni ambulatoriali e chirurgiche, allungamento delle liste di attesa, vaccinazioni, ecc.
Presa in carico globale del bambino e della famiglia e interazione con il “Territorio”
• Implementare forme organizzative (come ad esempio Aggregazioni Funzionali Territoriali e Case della salute) che attraverso equipe miste con specialisti possano gestire le domande di salute, evitando un inappropriato ricorso al pronto soccorso e al ricovero ospedaliero
• Sviluppare la telemedicina per incrementare le connessioni a distanza fra colleghi e con i pazienti, attraverso lo sviluppo dell’attività di televisita/teleconferenza, e l’impiego di strumenti digitali per gestire in via informatica i percorsi assistenziali
• Presidiare le necessità assistenziali specifiche del bambino e della famiglia per definire i criteri per la permanenza in ospedale dei genitori o familiari per evitare che limitazioni dellevisite e dei caregiver possano creare problemi al ricovero o disagio sociale
• Coinvolgere il Pediatra di Famiglia e il Medico di Medicina Generale per contenere gliaccessi non appropriati al pronto soccorso, grazie alla gestione diretta, anche tramiteteleconsulto, dei pazienti, nell’ambito di protocolli condivisi, con il supporto dell’ospedaledi riferimento
• Definire e gestire PDTA condivisi sia per pazienti acuti che quelli cronico-complessi con un giusto equilibrio tra alta specializzazione e prossimità delle cure
• Avviare interventi psicosociali per promuovere la resilienza e ridurre l’angoscia dei piùpiccoli, facilitando la ricerca di strategie di coping adattive finalizzate a contrastare ediminuire la successiva probabilità di insorgenza di manifestazioni comportamentali, emotivee cognitive a deriva psicopatologica
• Contribuire con gli altri partner istituzionali, in primis il Ministero dell’Istruzione, ad
affrontare e risolvere il complesso problema della riapertura in sicurezza delle scuole
Il position paper AOPI sulla pandemia da SARS-Cov-2 e specificità pediatrica non rappresenta comunque un punto di arrivo, ma serve a tracciare una baseline partendo dalla quale da una parte avviare un sistema di monitoraggio e sperimentazione di nuovi modelli organizzativi che vadano oltre l’orizzonte dell’attuale emergenza pandemica, e dall’altra rinforzare la collaborazione con le società scientifiche del settore anche negli ambiti clinici e di ricerca.
La Svizzera s’impegna per una soluzione globale volta a un’equa distribuzione dei futuri vaccini COVID-19. Sotto la guida del Gavi, della CEPI e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l’iniziativa COVAX dovrà garantire globalmente la disponibilità di due miliardi di dosi di vaccino. Il 18 settembre 2020 la Svizzera ha confermato la sua adesione all’iniziativa COVAX per assicurare la disponibilità di vaccini per il 20 per cento della sua popolazione.
Fino ad oggi, nel mondo non sono stati ancora omologati vaccini COVID-19, anche se lo sviluppo e la ricerca lavorano intensamente in questo senso. Per garantire un’equa distribuzione di vaccini COVID-19a tutti i Paesi, un certo numero di Stati di tutto il mondo ha aderito all’iniziativa COVAX (COVID-19 Vaccine Global Access Facility) e creato un meccanismo di approvvigionamento comune.
L’obiettivo è di acquistare, entro la fine del 2021, circa due miliardi di dosi di vaccino da diversi fabbricanti. Al momento fanno parte dell’iniziativa COVAX nove candidati vaccini e altri nove sono attualmente in fase di verifica. In tal modo, COVAX ambisce a creare il più ampio e diversificato portafoglio di vaccini COVID-19 del mondo.
Per la prima volta, nell’ambito della lotta alla COVID-19 verrà allestito un programma d’acquisto mondiale per vaccini COVID-19 al quale potranno partecipare tutti i Paesi.
L’iniziativa transnazionale per i vaccini è stata avviata nel giugno del 2020. COVAX consente anche l’accesso ai vaccini, finanziato dall’aiuto allo sviluppo, a 92 Paesi a basso reddito; la Svizzera vi partecipa con 20 milioni di franchi. Inoltre, i cosiddetti Paesi che si autofinanziano, ossia quelli a reddito più elevato, come ad esempio la Svizzera, possono partecipare con ulteriori contributi per ottenere vaccini COVID-19 per il proprio fabbisogno.
COVAX è guidata da un’alleanza per i vaccini comprendente il Gavi, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) e l’OMS. La Svizzera ha sostenuto questa iniziativa sin dall’inizio e insieme a Singapore ha guidato un gruppo informale di Paesi con lo stesso scopo per accompagnare la creazione dello strumento COVAX dal punto di vista dei Paesi che si autofinanziano.
Approvvigionamento nazionale di vaccini
Il Consiglio federale ha stanziato complessivamente 300 milioni di franchi per l’acquisto di un vaccino.La Confederazione sta valutando diversi candidati vaccini per garantire alla popolazione svizzera un accesso rapido e sicuro a un vaccino. In una prima fase, ha stipulato un contratto con Moderna per l’acquisto di 4,5 milioni di dosi. Parallelamente, sta negoziando con altre aziende che fabbricano vaccini. L’adesione all’iniziativa COVAX è complementare a queste attività di approvvigionamento.
I bambini sotto i 12 anni devono poter frequentare la scuola e le strutture di custodia ogniqualvolta sia possibile. In questa fascia d’età, il contagio con il nuovo coronavirus avviene più raramente in queste strutture che in famiglia.
Le nostre raccomandazioni
Bambino con sintomi di malattia SENZA contatto stretto con una persona che presenta sintomi di COVID-19
a) Vostro figlio presenta lievi sintomi da raffreddamento (raffreddore, mal di gola, tosse leggera) e il suo stato di salute generale è buono:
Può continuare a frequentare la scuola o la struttura di custodia.
b) Vostro figlio ha la febbre e il suo stato di salute generale è buono:
Deve restare a casa e può tornare a scuola o nella struttura di custodia soltanto se non ha avuto più febbre per 24 ore.
Se la febbre persiste per tre o più giorni, telefonate al pediatra.
Se vostro figlio presenta altri sintomi, come disturbi gastrointestinali, mal di testa, dolori articolari e perdita dell’olfatto e/o del gusto, discutete con il pediatra la procedura da seguire.
c) Vostro figlio ha una tosse forte e il suo stato di salute generale è buono:
Deve restare a casa e può tornare a scuola o nella struttura di custodia soltanto se la tosse è migliorata visibilmente nell’arco di tre giorni.
Se la tosse forte di vostro figlio persiste per più di tre giorni, telefonate al pediatra.
Se vostro figlio presenta altri sintomi, come disturbi gastrointestinali, mal di testa, dolori articolari e perdita dell’olfatto e/o del gusto, discutete con il pediatra la procedura da seguire.
d) Vostro figlio ha la febbre o una tosse forte e/o il suo stato di salute generale non è buono:
Telefonate al pediatra per discutere la procedura da seguire.
Bambino con sintomi di malattia CON contatto stretto con una persona che presenta sintomi di COVID-19
La persona con la quale vostro figlio è stato a stretto contatto fa il test.
a) Se il risultato del test di questa persona è POSITIVO:
Vostro figlio deve restare a casa e fare il test. Telefonate al pediatra, che vi istruirà su come procedere.
b) Se il risultato del test di questa persona è NEGATIVO:
Vostro figlio può tornare a scuola o nella struttura di custodia se non ha avuto febbre per 24 ore o la tosse è migliorata visibilmente.
Bambini con sintomi di malattia in un gruppo in custodia o una classe scolastica
Se in un gruppo in custodia o una classe scolastica si ammalano tre o più bambini, sono le autorità cantonali, d’intesa con i pediatri curanti, a decidere come procedere.
Dopo la pausa imposta dal Covid, in occasione della Milan Heart Week, il Centro Cardiologico Monzino riapre il Women Heart Center, l’unico centro in Italia dedicato specificamente e unicamente alla prevenzione delle malattie cardiovascolari della donna e alla ricerca di nuove terapie per ridurre il loro impatto sul mondo femminile.
“Tra gli effetti collaterali del Covid è stato osservato un aumento della mortalità per infarto e arresto cardiaco, dovuto al ritardo di accesso agli ospedali in presenza di sintomi come il dolore toracico – dichiara Daniela Trabattoni, Responsabile del Women Heart Center Monzino – Ma ci aspettiamo ora nuovi dati negativi legati al ritardo che si è accumulato anche nella prevenzione, cioè nello svolgimento delle diagnostiche di screening delle persone sane. E ’comprensibile che fino a ieri chi non presentava sintomi si sia tenuto lontano dagli ambulatori, ma da oggi è indispensabile riprendere la prevenzione e questo vale soprattutto per le donne. Va ricordato che le malattie del cuore sono fatali per circa il 43% della popolazione femminile, contro il 35% di quella maschile, causando ogni anno in Italia oltre 125.000 vittime fra le donne e oltre 95.000 fra gli uomini. Eppure il 68% della popolazione femminile ritiene le malattie cardiache un problema “solo” maschile e trascura la prevenzione e la diagnosi precoce”.
“Sappiate prendervi a cuore, è il mio messaggio alle donne e vale ancor di più in epoca Covid – continua Trabattoni – sappiamo che nei soggetti con patologie cardiache e multipli fattori di rischio cardiovascolari, l’infezione da SARS-Cov-2 può risultare in forme anche molto aggressive. Quindi il primo passo verso un maggiore benessere è conoscere il proprio rischio cardiovascolare. Noi stiamo facendo passi avanti nella conoscenza dei fattori di rischio cardiovascolare individuale, per mettere a punto strategie di prevenzione personalizzate e più efficaci. La medicina preventiva di precisione vi aspetta: non mancate all’appuntamento”.
Per esempio è ai nastri di partenza uno studio clinico per valutare nelle donne sane il “calcium score”, vale a dire l’entità dell’indurimento della parete dei vasi, come raccomandato dall’ American College of Cardiology. Con una Tac senza mezzo di contrasto si può valutare se esiste una disfunzione nella parete dei vasi oppure un‘alterazione strutturale, che potrebbe in futuro diventare patologica. In caso di score troppo elevato è possibile intervenire farmacologicamente per rallentare la formazione di placche aterosclerotiche e prevenire l’infarto miocardico.
“Partendo dalla prevenzione di sindromi coronariche acute tipiche della donna, come la sindrome di Takotsubo o “broken heart” ( cuore infranto) - aggiunge Trabattoni - abbiamo osservato per un lungo periodo che nelle pazienti è presente una disfunzione endoteliale e una iperaggregabilità piastrinica molto maggiore rispetto alle donne sane. Quindi abbiamo imparato che la sindrome di Takotsubo non è legata solo a stress o emotività, come si pensava, ma si associa ad alterazioni che permangono nel tempo. Il nostro studio ci aiuta pertanto nella scelta di trattamenti farmacologic,i che permettano una protezione “sartoriale” nei confronti di possibili recidive di patologia.”
“Il Covid non ha mai fermato la ricerca- conclude Trabattoni – ma fortunatamente ora vediamo segnali di ripresa anche per clinica, e osserviamo un graduale ritorno alla normalità negli accessi all’ospedale e agli ambulatori. Segno che i pazienti hanno capito che centri specializzati, come il Monzino, sono stati messi in sicurezza, per poter garantire ai pazienti cure tempestive ed efficaci in totale sicurezza e protezione nei confronti del virus. Conto molto sulle donne per avviare un percorso di ripresa anche negli ambulatori di prevenzione.”
E' stata presentata la sintesi dell’indagine ‘A scuola in Ticino durante la Pandemia di COVID-19’, commissionata nel maggio 2020 dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) al Dipartimento formazione e apprendimento (DFA) della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).
Il sondaggio ha voluto indagare i vissuti, le esperienze, le difficoltà e i bisogni emersi durante la fase di scuola a distanza e durante quella parzialmente in presenza (periodo marzo-giugno 2020). Il quadro descritto da allievi, docenti, genitori e quadri scolastici è variegato: aspetti positivi e critici appaiono strettamente connessi. Due i temi che si evidenziano chiaramente: l’impossibilità di sostituire la scuola in presenza con quella a distanza, e il riconoscimento dell’impegno messo in campo da tutti gli attori per dare vita a un’"altra scuola" in cui flussi di comunicazione, metodologie di insegnamento e ruoli sono stati modificati per far fronte a un’emergenza inedita.
Circa il 50% delle famiglie e il 70% dei quadri scolastici e del corpo docente attivo sul territorio ticinese ha compilato il questionario.
Uno degli elementi che emerge frequentemente è il riconoscimento del grande impegno profuso per assicurare il diritto all’istruzione degli allievi nonostante l’emergenza. A fronte di questo dato molto positivo, l’indagine mostra tuttavia alcune criticità. I docenti hanno visto il loro carico di lavoro aumentare – 2 docenti su 3 sottolineano di aver lavorato molto più o più del solito – e hanno dovuto rimodulare notevolmente le pratiche didattiche normalmente attuate (una riprogettazione importante degli interventi è stata necessaria per il 61% dei docenti e una rimodulazione globale delle unità didattiche per il 59%).
La situazione appare altrettanto onerosa per i genitori che hanno segnalato accresciute difficoltà di conciliazione tra attività lavorative e personali. In particolare, le difficoltà sono associate all’accudimento dei figli (per il 30% dei rispondenti) e alla necessità di accompagnare gli stessi nelle attività scolastiche fornendo spiegazioni o alimentando la motivazione allo studio (con solo il 3% dei bambini di scuola dell’infanzia e il 5% dei bambini di scuola elementare, che ha lavorato da solo; la percentuale nella scuola media sale tuttavia al 40%).
Sull’efficacia della scolarizzazione a distanza è emerso un quadro moderatamente positivo. È stato ritenuto efficace dalla maggioranza degli allievi; dal 56% degli insegnanti delle scuole comunali e dal 41% dei docenti delle scuole medie. Solo il 4% dei docenti delle scuole comunali e l’8% dei docenti delle scuole medie ritiene che questa modalità didattica non sia stata efficace. I restanti docenti (40% nelle scuole comunali e 51% nelle scuole medie) sostengono che l’insegnamento a distanza sia stato efficace unicamente per una minoranza di allievi. Confrontando questo dato con le risposte di genitori e allievi si riscontra come più della metà dei genitori (il 64%) ritiene che durante la scuola a distanza i figli abbiano imparato cose nuove spesso o sempre; il 51% degli allievi delle scuole comunali e il 43% degli allievi delle scuole medie è dello stesso avviso. Sebbene la scuola a distanza sembri essere stata apprezzata, il ritorno a una scuola parzialmente in presenza lo è stato ancora di più: il 93% di genitori dichiara infatti che il proprio figlio è stato contento di rientrare a scuola dopo il lockdown.
Secondo l‘80% dei genitori, i figli sono apparsi sereni e felici durante la scuola a distanza ma 8 allievi delle scuole comunali su 10 hanno sentito la mancanza dei compagni di scuola e 7 su 10 quella dei maestri. Stare a casa è piaciuto agli allievi (il 30% ha risposto “sì”, e il 53% ha risposto “a volte”), ma molti di loro si sono anche annoiati (16% “sì” e 59% “a volte”).
Anche tra i docenti le emozioni positive hanno avuto la prevalenza su quelle negative. Ciononostante dalle risposte appare una certa preoccupazione sulla pressione e sull’incertezza vissuta dagli insegnanti, soprattutto durante il primo periodo. Con la scuola a distanza il 57% dei docenti di scuola media ha dichiarato di essersi sentito spesso o sempre sotto pressione e il 30% ha affermato di essersi sentito spesso o sempre ansioso. Con il passaggio alla scuola parzialmente in presenza, la situazione è generalmente migliorata.
Da segnalare infine il giudizio positivo espresso da docenti e direttori su come il DECS e gli istituti scolastici hanno gestito l’emergenza. In generale, per i due periodi, le linee guida formulate dalle direzioni degli istituti sono state ritenute utili e tempestive da ogni categoria di docenti. Quelle emanate dal DECS, pur essendo considerate utili, secondo una buona parte dei quadri scolastici non sono state emesse con sufficiente anticipo; una valutazione, quest’ultima, che può anche essere ricondotta al comprensibile stato d’incertezza del momento. Info: www.ricercascuola2020.supsi.ch
Livelli elevati di troponina, un enzima proteico associato alla contrazione muscolare miocardica , rappresentano un fattore di rischio per la mortalità e lo sviluppo di complicanze cardiovascolari e non (embolia polmonare ad esempio ) nei pazienti ospedalizzati per COVID-19.
«La troponina cardiaca» spiega Maurizio Volterrani, Direttore del Dip. Scienze Cardiologiche e Respiratorie dell’ IRCCS San Raffaele di Roma, sono solitamente campanelli d'allarme per la diagnosi di un infarto del miocardio: di norma si rilevano concentrazioni assenti o basse nel sangue, tuttavia in seguito a un infarto i livelli salgono repentinamente, e maggiore è il danno cardiaco, più è elevata la quantità dell'enzima. Ora è stato dimostrato anche un legame con la COVID-19».
A metterlo nero su bianco lo studio multicentrico e trasversale di un team di ricerca tutto italiano, il “Cardio-Covid Italy multicenter study” che ha coinvolto ben 13 ospedali tra cui l’Istituto di Ricerca romano.
Lo studio, coordinato da scienziati del reparto di Cardiologia dell'ASST Spedali Civili di Brescia – Università degli Studi di Brescia, ha arruolato pazienti con covid-19, che sono stati ricoverati in 13 diverse unità cardiologiche di ospedali italiani dal 1 marzo al 9 aprile 2020. Il 70,8% era di sesso maschile e l'età media era di 67 anni. Durante il periodo di follow-up sono morti in 148 (il 24,1% del totale). Il 37% dei soggetti con troponina elevata è deceduto contro il 13% dei soggetti che non ne avevano un rialzo al momento del ricovero in ospedale.
Livelli elevati di troponina sono stati trovati in 278 pazienti, il 45,3 percento del totale, in generale si tratta di pazienti più anziani con una maggiore prevalenza di condizioni cardiovascolari qualiipertensione, insufficienza cardiaca, malattia coronarica e fibrillazione atriale.
I dettagli della ricerca “Association of Troponin Levels With Mortality in Italian Patients Hospitalized With Coronavirus Disease 2019 – Results of a Multicenter Study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica JAMA Cardiology.
Altri quattro studi clinici sui farmaci per il trattamento della malattia COVID-19 hanno concluso il processo di autorizzazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco e del Comitato Etico unico nazionale.
Il primo è uno studio di Fase III, randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo, multicentrico, per valutare l’efficacia e la sicurezza d’impiego di ruxolitinib in pazienti con COVID-19, associato a tempesta citochinica. Ruxolitinib è un inibitore selettivo delle Janus Associated Kinases (JAKs) JAK1 e JAK2, già autorizzato in Europa per altre indicazioni terapeutiche.
Il secondo studio autorizzato è uno studio in aperto di Fase 2/3 a braccio singolo, volto a valutare la sicurezza, la tollerabilità, la farmacocinetica, e l’efficacia di remdesivir in partecipanti dalla nascita a < 18 anni di età, affetti da COVID-19. Il remdesivir è un farmaco antivirale che lo scorso giugno ha già ricevuto dall'EMA la raccomandazione all’autorizzazione condizionata per il “trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) negli adulti e negli adolescenti (di età pari o superiore a 12 anni e peso pari ad almeno 40 kg) con polmonite che richiede ossigenoterapia supplementare”.
Il terzo è uno studio di fase 2, randomizzato, doppio cieco versus placebo, che impiega Opaganib in soggetti adulti ospedalizzati, affetti da polmonite da SARS-CoV-2. Opaganib è un inibitore dell'enzima sfingosina chinasi-2 (SK2), ancora in fase clinica di sperimentazione per molteplici indicazioni oncologiche.
Il quarto è uno studio di fase III, randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo, multicentrico, per valutare l’efficacia e la sicurezza d’impiego di baricitinib in pazienti con COVID-19. Il Baricitinb è un inibitore delle Janus Associated Kinases (JAKs) JAK1 e JAK2 autorizzato in Italia per il trattamento dell’artrite reumatoide.
E' una causa significativa di morte improvvisa negli atleti competitivi e potrebbe rappresentare una minaccia silenziosa, che si nasconde anche dietro il coronavirus Sars-CoV-2.
Si chiama miocardite ed è un'infiammazione del muscolo cardiaco. Studi recenti hanno sollevato preoccupazioni rispetto alla possibilità che questa patologia possa presentarsi dopo la guarigione da Covid-19, anche in pazienti asintomatici o lievemente sintomatici. Uno studio ha provato a far luce su questo fenomeno, sottoponendo a risonanza magnetica cardiaca e altri test 26 atleti di college che si stavano riprendendo dall'infezione. Risultato: il 15% (4 su 26) presentava risultati indicativi di una miocardite.
Il 30,8% mostrava segni di un precedente danno miocardico, che però non può essere preso in considerazione, in quanto l’anomalia rilevata potrebbe essere anche solo una spia di un adattamento cardiaco dell'atleta. Lo studio è pubblicato su 'Jama Cardiology' ed è stato condotto da ricercatori dell'Ohio State University di Columbus. Gli atleti arruolati praticano calcio, basket, lacrosse, atletica leggera. Nessuno di loro ha avuto bisogno del ricovero per Covid-19 o ha ricevuto una terapia antivirale specifica. Dodici hanno riportato sintomi lievi durante l'infezione (mal di gola, mancanza di respiro, mialgie, febbre), altri erano asintomatici.
"Abbiamo deciso che oltre alle solite raccomandazioni, un esame clinico e la ricerca dei sintomi, avremmo anche fatto una risonanza magnetica cardiaca per ottenere maggiori informazioni e vedere cosa fa il virus ai cuori degli atleti", spiega il cardiologo Saurabh Rajpal, coautore dello studio, secondo quanto riporta 'Nbc news' online. Quello che ha colpito gli esperti è che due dei 4 atleti nei quali la risonanza ha rilevato la miocardite non presentavano alcun sintomo, gli altri due sintomi lievi (mancanza di respiro).
"Ciò che questo studio mostra è che la miocardite può verificarsi anche dopo casi meno gravi e persino asintomatici" di Covid, evidenzia Brett Toresdahl, medico sportivo dell'Hospital for Special Surgery di New York City, non coinvolto nella ricerca. "Pertanto, il rischio di miocardite di un atleta potrebbe non essere correlato alla gravità dei sintomi". Il danno miocardico correlato a Covid-19 negli sportivi a livello agonistico rimane poco chiaro, concludono gli autori della ricerca.
Lo studio ha esaminato l'uso della risonanza magnetica cardiaca negli atleti dei college che si sono ripresi da Covid per rilevare un'infiammazione miocardica che identificherebbe quelli ad alto rischio per un ritorno al gioco competitivo. Anche perché una recente ricerca ha segnalato un coinvolgimento cardiaco in un numero significativo di pazienti guariti. E di recente c'era stata, proprio in virtù di questi timori, una presa di posizione da parte di esperti sulla necessità di una convalescenza di 2 settimane prima del ritorno agli sport competitivi.
Gli autori del lavoro concludono che "mentre sono necessari follow-up a lungo termine e ampi studi per comprendere i cambiamenti" nel cuore degli atleti competitivi a seguito di Covid-19, "la risonanza magnetica cardiaca potrebbe fornire una valutazione della stratificazione del rischio per la miocardite" e guidare un loro ritorno sicuro alle gare.