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In Europa posiamo dire di essere "in una gestione post pandemica, perché c'è uno spirito secondo il quale il Covid è finito. In realtà così non è".
L'invito, quindi, per la copertura delle persone fragili con la quarta dose "lo condivido pienamente perché è così che sconfiggeremo il Covid, attraverso la scienza e i vaccini". Così la direttrice generale dell’Health and food safety dell’Unione europea, Sandra Gallina, venerdì i collegamento con 'Sky Tg24 Live In Bergamo 2022'.
Ricordando l'esperienza della Cina, Gallina ha spiegato che "purtroppo i lockdown sono fallimentari dal punto di vista economico e sociale, e anche dal punto di vista della salute". Per quanto riguarda il superamento del Covid "non sottovaluterei le possibili varianti del virus". In ogni caso "i momenti più acuti della pandemia li abbiamo superati perché siamo stati veramente bravi come europei a cercare di vaccinarci". Ma ora "la pandemia come l'abbiamo conosciuta non c'è", ha concluso Gallina.
"E' evidente che siamo in una fase in cui la pandemia intesa come stato emergenziale è superata. Abbiamo una circolazione virale ancora rilevante per quanto in calo, comunque intorno ai 300 casi ogni 100mila abitanti, su 7 giorni. Serve continuare a prestare ancora attenzione". Lo ha detto il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, ospite a Live in, su SkyTg24.
E' importante, ha sottolineato, "continuare a coprire chi rischia di più, quindi chi ha fragilità o per ragioni anagrafiche o per patologie concomitanti". E' necessario quindi "aderire alla campagna della quarta dose. Siamo al 18% per la fascia di età 60-69 anni, al 29% quella 70-79, e al 42,5% sopra gli 80 anni", ha spiegato sottolineando che la campagna per la quarta dose non è stato un fallimento "ma va assolutamente ribadito il concetto di una maggiore copertura per le categorie a rischio".
Sulle nuove misure riguardanti la durata dell'autoisolamento in caso di Covid "il Consiglio superiore di Sanità, che io presiedo, si era già espresso a fine agosto rispetto ai 5 giorni di isolamento, non facendo differenza tra sintomatici e asintomatici, semmai con 2 giorni senza sintomi per chi era sintomatico all'inizio. Forse un'attenzione potrebbe essere data ai medici e al personale sanitario e chi opera nelle Rsa perché evidentemente sono le persone che hanno maggiormente a che fare con potenziali fragili, quindi magari per loro il ragionamento potrebbe essere diversificato" ha detto il presidente del Consiglio superiore di sanità.
"I dati dell'Iss sull'incidenza del Covid dimostrano un calo importante nel numero di contagiati, siamo scesi rispetto alla scorsa settimana di oltre il 20 % e la pressione sugli ospedali e sulle terapie intensive, che è il fattore più importante da tenere in conto, è sempre rimasta sotto controllo''. Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci ospite a Domenica In.
Quanto alle vaccinazioni, “abbiamo lanciato una campagna sia per la quarta dose sia per l’influenza e quindi sono assolutamente compatibili, si possono fare insieme nella stessa giornata'' ha affermato il ministro della Salute.
Poi, sull'ipotesi di una quinta dose, ha risposto: “Dobbiamo continuare a monitorare la situazione, soprattutto i fragili e gli anziani. Vediamo quello che succede, io sono ottimista sul fatto che comunque la parte più brutta l’abbiamo superata e guardo con ottimismo per il Covid al futuro, però noi siamo sempre pronti laddove dovessero esserci nuove necessità e siamo pronti a intervenire per salvaguardare tutti, soprattutto i più fragili. Però credo che sul Covid, forse, possiamo essere ottimisti e ce lo meritiamo”.
INFLUENZA AUSTRALIANA 2022 - Riguardo all'influenza australiana, Schillaci ha spiegato: ''Quest'anno abbiamo avuto un'incidenza dell'influenza molto importante con un anticipo stagionale, erano due anni che con l'uso delle mascherine l'influenza non si era presentata. Nei giorni scorsi questo trend di numeri che crescevano ha rallentato, però lo strumento più importante è la vaccinazione, soprattutto per gli anziani e i fragili'' ha sottolineato.
''Siamo vicini a Natale, il mio consiglio - ha aggiunto - è di portare le mascherine se si ha una sintomatologia anche lieve e si fa visita a fragili e anziani".
Le vaccinazioni anti-COVID-19 saranno gratuite per la popolazione anche nel 2023. Nella seduta del 16.12.2022 il Consiglio federale ha prorogato e parzialmente adeguato le corrispondenti disposizioni dell’ordinanza sulle epidemie per la rimunerazione delle vaccinazioni anti-COVID-19 fino alla fine del 2023.
Ha inoltre deciso di cedere a Paesi terzi i vaccini anti-COVID-19 eventualmente non utilizzati in Svizzera anche nel 2023.
Le vaccinazioni sono un elemento essenziale della lotta alla pandemia di COVID-19 e offrono una buona protezione dai decorsi gravi e dalle ospedalizzazioni. Anche l’anno prossimo, quindi, i costi delle vaccinazioni anti-COVID-19 raccomandate saranno assunti dalla Confederazione, sempre che non siano già coperti dall’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (AOMS). Ciò riguarda in particolare le vaccinazioni somministrate nelle farmacie.
Le disposizioni dell’ordinanza sulle epidemie in materia di rimunerazione sono prorogate e parzialmente adeguate fino alla fine del 2023. Continueranno a essere rimunerate le vaccinazioni delle persone che hanno il loro domicilio in Svizzera ma non sono soggette all’AOMS e quelle dei frontalieri. Resta così garantito l’accesso gratuito per la popolazione in Svizzera alle vaccinazioni raccomandate. L’ordinanza entra in vigore il 1° gennaio 2023 e ha effetto sino al 31 dicembre 2023.
Inoltre il Consiglio federale ha approvato la proroga a partire dal 1° gennaio 2023 della convenzione tariffale, che disciplina gli importi forfettari per le vaccinazioni anti COVID 19 per le persone soggette all’AOMS. Gli importi rimangono invariati rispetto al 2022.
Cessione di vaccini anti-COVID-19 nel 2023
Già nel febbraio 2022 il Consiglio federale aveva stabilito la strategia fondamentale per la cessione di dosi di vaccino inutilizzate ad altri Stati. Questa strategia continua a essere opportuna e sarà applicata anche nel 2023. Nel 2023 potrà essere rivenduto o ceduto un massimo di 13 milioni di dosi eventualmente non utilizzate in Svizzera.
Continua il calo delle prescrizioni di anticorpi monoclonali anti-Covid in Italia. In 7 giorni (8-14 dicembre) le richieste di farmaco diminuiscono del 14,3% per sotrovimab (Xevudy*), del 19% per Evusheld* (tixagevimab-cilgavimab) come trattamento precoce e dell'8,4% per lo stesso mix somministrato in profilassi.
E' quanto emerge dall'ultimo report dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa sull'impiego di questi medicinali, il numero 66. Complessivamente, salgono a 88.486 gli italiani, che hanno ricevuto anticorpi monoclonali contro Covid-19 dal 10 marzo 2021 - quando questi farmaci sono stati autorizzati in via emergenziale nel nostro Paese - al 14 dicembre, indica il rapporto Aifa sul monitoraggio delle prescrizioni, che avvengono in 294 strutture di tutto il territorio. Rispetto all'ultima rilevazione, di 2 settimane fa, i pazienti che hanno ricevuto questi medicinali sono aumentati di quasi il 2%.
Sul totale di 88.486, sono 75.797 (+1,5%) quelli che hanno ricevuto monoclonali usati in terapia, e 12.689 (+4,9%) quelli trattati in profilassi con Evusheld. In numeri assoluti, Veneto, Lazio e Campania restano in testa per maggiore utilizzo di monoclonali in terapia, mentre Lombardia, Piemonte e Lazio guidano le prescrizioni di Evusheld in profilassi.
Ai medici e agli infermieri cinesi è stato detto di lavorare in ospedale anche se positivi al coronavirus. Lo scrive il Guardian segnalando che, in alcuni ospedali di Pechino, l'80% del personale sanitario risulta infetto.
La decisione delle autorità cinesi è dovuta alla carenza di personale di fronte a un acutizzarsi dell'infezione che, secondo il responsabile delle emergenze dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) Michael Ryan, precede ''di molto'' la revoca delle restrizioni impedite nell'ambito della politica zero-Covid.
L'aumento dei contagi di Covid-19 non si limita a Pechino e il cambiamento nella politica ufficiale per combattere l'infezione ha suscitato paura in molti cinesi. I residenti di altre grandi città hanno detto al Guardian che sembrava che "i casi positivi fossero ovunque". A Chongqing, nella Cina sud occidentale, un residente ha detto al Guardian che tutti gli insegnanti della scuola del figlio erano positivi e che le lezioni si stavano svolgendo online. A Zhengzhou, nella Cina centrale, molte aziende sono passate allo smart working a causa dei contagi. Molte le strade deserte segnalate nella metropoli di Guangzhou, dove tanti residenti restano in casa e dove le linee telefoniche dedicate all'emergenza sanitaria restano senza risposta.
L'Oms ha espresso preoccupazione per il fatto che la popolazione cinese di 1,4 miliardi non fosse adeguatamente vaccinata. La Cina ha risposto che circa il 90 per cento della sua popolazione è vaccinata e la Commissione sanitaria nazionale (Nhc) ha che avrebbe lanciato il secondo richiamo annunciato per i fragili e gli anziani di età superiore ai 60 anni.
Le autorità cinesi lo ammettono, ''è impossibile'' tracciare il contagio del coronavirus. E mentre a Pechino si registra un vero e proprio boom di casi dopo la rimozione delle restrizioni introdotte nell'ambito della politica zero-Covid, la Commissione sanitaria nazionale (Nhc) annuncia che nei bollettini quotidiani non verranno più registrati i casi asintomatici.
Le autorità cinesi hanno anche rivolto un appello alla popolazione, chiedendo di non chiedere più l'assistenza sanitaria d'emergenza a meno che non sia strettamente necessario. Parallelamente prosegue la lotta al contagio con l'introduzione di una seconda dose di richiamo per gli anziani e i fragili.
La nuova politica ha fatto abbassare drasticamente il numero dei contagi da coronavirus presenti nella comunicazione ufficiale quotidiana, nonostante il virus stia circolando più rapidamente soprattutto a Pechino. Secondo il China Daily, nell'ultima settimana gli ospedali della capitale hanno registrato un aumento di sei volte delle prestazioni mediche e di sedici volte per quanto riguarda episodi di febbre. L'ultimo bollettino riferisce però di soli 2.291 casi sintomatici in tutta la Cina, mentre il vice premier Sun Chunlan parla di nuove infezioni "in rapida crescita" a Pechino, secondo quanto riportano i media statali.
Li Ang, vicedirettore della Commissione sanitaria municipale di Pechino, ha dichiarato ai media che il 9 dicembre ci sono state 3mila chiamate ai servizi medici di emergenza, sei volte di più rispetto alla media. Il Guardian cita poi diversi abitanti di Pechino che parlano di amici, colleghi e intere famiglie malata di Covid.
Dipendenti di aziende, scuole e ambasciate hanno descritto un numero enorme di colleghi che sono a casa malati di virus o si prendono cura dei familiari. James Zimmerman, un avvocato di Pechino, ha dichiarato su Twitter che il 90% delle persone del suo ufficio aveva il Covid.
Che effetti ha prodotto sui cittadini la pandemia? Che tipo di problemi ha fatto emergere la riduzione dell'interazione sociale? È aumentata la richiesta di sostegno agli psicologi?
Sono alcune delle domande a cui l'Ordine nazionale degli Psicologi ha provato a dare risposta attraverso un sondaggio condotto dall'Istituto Piepoli su una platea di 5621 iscritti all'ordine e presentato oggi a Roma durante il Convegno nazionale degli Psicologi, che si è svolto in occasione della Giornata italiana della Psicologia 2022. Dal sondaggio è emerso che secondo il 56% degli iscritti all'ordine l'attività professionale post-pandemia sia aumentata, il 17% ritiene invece sia diminuita mentre per il restante 27% è rimasta immutata. Emerge inoltre una forte crescita di richiesta di sostegno da parte delle donne (+37%) e dei giovani (+31% under 18; +36% nella fascia 18-24). Seppur di fronte ad un incremento generalizzato delle tipologie di richieste quelle che hanno subito un aumento considerevole riguardano i disturbi da ansia (+83%), la depressione (+72%) i disturbi dell'adolescenza (+62%) e i problemi relazionali (+61%). Quasi unanime il giudizio degli intervistati (83%) che ritengono abbastanza o molto probabile che la crescita dei disturbi sia stata causata dalle limitazioni sociali imposte per la pandemia; solo l'1% ritiene invece che non ci sia alcuna correlazione.
Ma il Covid ha influito anche economicamente sulle famiglie e infatti il sondaggio sottolinea che molti pazienti non hanno iniziato (27,5%) o interrotto (21%) un trattamento per problemi economici. Nella ricerca si è affrontata anche la possibilità di offrire servizi psicologici online: l'81% degli intervistati ha dichiarato di offrire trattamenti via internet a circa il 22% dell'utenza dell'utenza complessiva. Uno strumento emerso fortemente durante la pandemia che sembra trovi un gradimento più che sufficiente da parte del 49% degli intervistati e dal 62% dell'utenza. Il sondaggio poi si è rivolto direttamente ai cittadini attraverso lo strumento dello stressometro per definire il livello di stress vissuto in questo periodo che ha raggiunto un punteggio di 56 su 100. I motivi principali risultano essere causati dal conflitto tra Russia ed Ucraina, dalla condizione economica, dalla salute e dal lavoro.
Le autorità di Hong Kong revocheranno a partire da domani le restrizioni di ingresso legate al contenimento del Coronavirus, che prevedono per chi entra nel territorio dell'ex colonia britannica un isolamento di 72 ore indipendentemente dalle condizioni di salute.
Ad annunciarlo è stato il capo dell'esecutivo di Hong Kong, John Lee. "La decisione si basa su dati e rischi. Il rischio di infezioni di casi importati è minore del rischio di infezioni locali. Crediamo che la revoca delle misure non accrescerà il rischio di focolai locali", ha dichiarato.
D'ora in poi, chi risulterà negativo al test Pcr fatto in aeroporto riceverà un codice azzurro che gli consentirà di muoversi liberamente in città. Chi risulterà positivo dovrà seguire le misure di protocollo abituali. "Il nostro obiettivo è permettere i viaggi transfrontalieri normali prima possibile ma possiamo andare avanti solo seguendo l'evolversi della situazione locale".
In Europa "la situazione" sanitaria "sta cambiando e la grande maggioranza di noi ha a che fare con una massiccia sovrabbondanza di vaccini" contro la Covid-19.
"Questo da una parte dimostra che abbiamo superato la pandemia, ma è un peso per i bilanci. E' uno spreco, non c'è modo di conservarli, di usarli e neanche di donarli". Lo dice il ministro della Salute della Repubblica Ceca, Vlastimil Valek, per la presidenza del Consiglio Ue, in apertura dei lavori del Consiglio Salute a Bruxelles.
Lo stesso ministro italiano alla Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato "un'allocazione non efficiente" della spesa pubblica, con un eccesso di acquisti di vaccini anti-Covid in un contesto di domanda calante, "oltre a rappresentare uno spreco in sé sarebbe difficilmente compreso" dai cittadini e rischierebbe "di generare paradossalmente un senso di disaffezione verso future campagne vaccinali. Reputo necessaria la rinegoziazione dei contratti con le case farmaceutiche" per la fornitura dei vaccini anti Covid "ancora ineseguiti o soltanto parzialmente eseguiti".
"Un'allocazione non efficiente" della spesa pubblica, con un eccesso di acquisti di vaccini anti-Covid in un contesto di domanda calante, "oltre a rappresentare uno spreco in sé sarebbe difficilmente compreso" dai cittadini e rischierebbe "di generare paradossalmente un senso di disaffezione verso future campagne vaccinali.
Credo che sia un tema da affrontare subito: è urgente invitare la Commissione Europea a porre in essere tutte le azioni contrattuali per tutelare i diritti degli Stati membri con riguardo agli Apa (Advanced Purchase Agreement, ndr) sottoscritti. Reputo necessaria la rinegoziazione dei contratti con le case farmaceutiche" per la fornitura dei vaccini anti Covid "ancora ineseguiti o soltanto parzialmente eseguiti". Lo dice il ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenendo nel Consiglio Salute a Bruxelles, sottolineando comunque che l'azione centralizzata condotta dalla Commissione per acquistare i vaccini nella fase acuta della pandemia ha consentito all'Europa di tornare ad una "normalità accettabile".
Considerando la fase attuale della pandemia di Covid-19, è "legittimo" pensare di tornare "progressivamente" a un acquisto dei vaccini a livello nazionale, anziché centralizzato a livello Ue come nella fase acuta, spiega quindi il ministro. E' "delicata - afferma Schillaci - la questione del possibile ritorno alle procedure di acquisto gestite direttamente dai singoli Stati, anziché in base alla negoziazione centralizzata effettuata dalla Commissione europea. Se è indubitabile che nel pieno dell'emergenza pandemica il ricorso a siffatta procedura sia stato proficuo, mi pare che, pur dovendosi preservare l'obiettivo-valore della collaborazione tra gli Stati membri, il contesto attuale consenta di individuare strumenti d'acquisto ulteriori, legittimando anche un progressivo ritorno a processi di acquisizione ordinari anche su base nazionale".
"Fondamentale rimane per noi, in ogni caso - precisa Schillaci - la possibilità di accedere a tutti i vaccini autorizzati dall'Ema, tenendo conto ovviamente dell'evoluzione epidemiologica".
Per il ministro, deve essere prevista "la possibilità di ridurre gli acquisti contrattualmente previsti in funzione dell’effettivo fabbisogno degli Stati e in ogni caso una dilazione dei pagamenti e delle consegne delle dosi acquisite in più anni, almeno quattro, adattando queste ultime all’evoluzione epidemiologica del virus".
"Infine - aggiunge Schillaci - con riguardo ai vaccini consegnati in prossimità della loro scadenza, di fatto inutilizzabili, o comunque al momento della consegna perché non efficaci rispetto all’evoluzione del virus, essendo venuto meno l’interesse alla loro fornitura, pare essersi verificata una impossibilità sopravvenuta legittimante i rimedi della sostituzione delle dosi consegnate ovvero, in alternativa, della consistente riduzione del prezzo. E' auspicabile che la Commissione anche in tal caso agisca a tutela dei diritti degli Stati membri".
Per Schillaci, è inoltre "indispensabile che la Commissione Europea in sede di rinegoziazione riveda la clausola degli Apa (Advanced Purchase Agreement, ndr) che pone a carico degli Stati membri il risarcimento e/o l’indennizzo dovuto per i danni cagionati dai vaccini, nonché le spese legali sostenute dalle case farmaceutiche produttrici nei singoli procedimenti, non essendo ragionevole che esse gravino sugli Stati membri, specialmente dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio ordinaria dei singoli vaccini come anche rilevato dalla Corte dei Conti europea".
L'Apa siglato dalla Commissione con Pfizer/BionTech è stato pubblicato nel marzo 2021, ma con ampi omissis, cosa per la quale l'esecutivo Ue è stato ampiamente criticato. Tra le parti omissate, c'era appunto la parte relativa agli indennizzi, cioè a chi avrebbe pagato gli oneri connessi ai possibili danni provocati da vaccini sviluppati in pochi mesi, a causa della pandemia che ha imposto un'accelerazione dei normali tempi di sviluppo di questi farmaci.
Informalmente alcune fonti Ue avevano spiegato che, in pratica, gli Stati si sarebbero accollati gli oneri relativi a danni non prevedibili, ma che le case farmaceutiche avrebbero risposto per eventuali danni derivanti da colpa o dolo. Nell'Apa l'unica parte in chiaro, prima di un paio di pagine interamente 'sbianchettate', recita che "la Commissione, per conto degli Stati membri, dichiara che l'uso dei vaccini prodotti ai sensi dell'Apa accadrà in condizioni pandemiche che ne richiedono l'uso e l'amministrazione dei vaccini sarà quindi condotta sotto l'esclusiva responsabilità degli Stati membri".
Encefalopatia acuta, ictus, disturbi cognitivi e di gusto e olfatto. Queste le principali conseguenze neurologiche riscontrate in pazienti con Covid-19, fotografate dallo studio multicentrico 'Neurocovid' patrocinato dalla Società italiana di neurologia (Sin) e presentato in occasione del Congresso nazionale Sin in corso a Milano.
L'indagine ha coinvolto 38 reparti di Neurologia italiani, distribuiti nelle varie regioni, con la partecipazione anche di San Marino, e ha reclutato quasi 3.000 pazienti affetti da complicanze neurologiche, quasi 2.000 dei quali ospedalizzati e un migliaio seguiti a domicilio, nel periodo 1 marzo 2020-30 giugno 2021, con un follow-up dei casi fino al 31 dicembre 2021.
Le complicanze neurologiche più frequenti - ha riferito Carlo Ferrarese, direttore del Centro di neuroscienze dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca e della Clinica neurologica dell'Ospedale San Gerardo di Monza - erano un'encefalopatia acuta, che si manifesta con delirium o disturbo di coscienza (25% dei casi), disturbi dell'olfatto o del gusto (20% dei casi), ictus ischemico (18% dei casi) e disturbi cognitivi (14% dei casi). L'incidenza delle complicanze neurologiche si è progressivamente ridotta nelle varie ondate della malattia, con una percentuale di 8%, 5% e 3% rispettivamente nelle prime tre ondate", ha sottolineato.
"L'esordio dei sintomi - ha evidenziato - si manifestava soprattutto nella fase iniziale di malattia, ma in alcuni casi vi era un esordio nelle settimane successive. Nella maggior parte dei casi - ha spiegato - vi era un buon recupero funzionale, anche se in molti casi si è assistito a un persistere dei sintomi fino ad oltre 6 mesi dall'infezione. Tra le complicanze neurologiche a distanza, che rientrano nel cosiddetto Long Covid, prevalgono i disturbi cognitivi, si trovano soprattutto da difficoltà di attenzione e di memoria. I meccanismi di tali problemi cognitivi a lungo termine sono oggetto di ricerca di vari gruppi italiani, oltre che di neurologi di tutto il mondo".
Un farmaco economico e già disponibile, usato per trattare una malattia del fegato che si chiama colangite biliare primitiva, potrebbe prevenire il Covid-19 sbarrando a tutte le varianti del virus Sars- CoV-2 - presenti e futuri - la porta d'ingresso alle cellule degli organi bersaglio.
A proporre una nuova possibilità d'impiego dell'acido ursodesossicolico (Udca), un medicinale fuori brevetto che si assume per bocca, è uno studio pubblicato su 'Nature' da un team di scienziati coordinati da Fotios Sampaziotis del Wellcome-Mrc Cambridge Stem Cell Institute dell'Università di Cambridge e dell'Ospedale di Addenbrooke (Uk), in collaborazione con Ludovic Vallier del Berlin Institute of Health at Charité (Germania).
Il lavoro è stato condotto su organoidi (modelli d'organo miniaturizzati fabbricati in laboratorio), su animali, su organi umani e su un piccolo gruppo di volontari sani. E se i risultati saranno confermati in studi clinici più ampi, secondo gli autori l'Udca potrebbe affiancare i vaccini offrendo uno 'scudo' efficace anche ai pazienti per i quali la vaccinazione non funziona o è inaccessibile, nonché alle persone a maggior rischio di infezione . "Abbiamo trovato un modo per chiudere la porta al virus, impedendogli di entrare nelle nostre cellule e proteggendoci dal contagio", spiega Sampaziotis. Poiché l'Udca agisce non sul virus, bensì sul recettore cellulare Ace2 che Sars-CoV-2 sfrutta per introdursi nelle cellule target, il farmaco potrebbe essere efficace indipendentemente dalla variante del coronavirus pandemico.
Tutto è iniziato da alcune ricerche del gruppo di Sampaziotis, che per studiare le patologie dei dotti biliari aveva costruito 'mini dotti' capaci di riprodurre le funzioni di quelli naturali. La sua équipe aveva così scoperto in maniera quasi fortuita che una molecola nota come Fxr, presente in grandi quantità negli organoidi di dotto biliare, regola direttamente lo stato di apertura o chiusura di Ace2. Gli scienziati hanno quindi dimostrato che l'Udca 'spegne' Fxr trasformando Ace2 in una 'porta blindata'. In questo nuovo lavoro, Sampaziotis e colleghi hanno utilizzato lo stesso approccio per sbarrare Ace2 in modelli miniaturizzati di polmone o intestino, due tra bersagli preferiti di Sars-CoV-2, e prevenire l'infezione virale. L' esperimento ha avuto successo ei ricercatori hanno incontrato gli step successivi.
Dagli organoidi gli studiosi sono passati innanzitutto agli animali: insieme ad Andrew Owen dell'Università di Liverpool (Uk) hanno confermato che Udca riesce a prevenire l'infezione nei criceti esposti a Sars-CoV-2. Dopo gli animali, l'uomo. Prima, lavorando con Andrew Fisher dell'Università di Newcastle (Uk) e Chris Watson dell'ospedale di Addenbrooke, gli scienziati hanno verificato i loro risultati su due polmoni umani prelevati da cadavere e non adatti a trapianto: mantenendoli vitali e 'respiranti', ne hanno trattato uno con il farmaco e hanno messo entrambi a contatto con il virus, osservando che il polmone 'controllo' si infettava mentre quello curato n.
Infine i test su volontari umani, svolti in collaborazione con Ansgar Lohse del Centro medico universitario Hamburg-Eppendorf, in Germania: l'Udca è stato somministrato a 8 persone sane, nei cui tamponi nasali sono stati trovati livelli più bassi di Ace2, a suggerire che il virus avrebbe meno probabilità di infettarli. Sebbene non fosse possibile condurre un trial clinico su vasta scala, i ricercatori hanno indagato sullo 'stato Covid' di due gruppi di pazienti: uno riceveva il farmaco perché affetto da colangite biliare primitiva, l'altro non lo assumeva. E' così emerso che i pazienti del 'gruppo Udca' avevano meno probabilità di sviluppare Covid-19 grave e di essere ricoverati in ospedale.
"Questo studio unico - afferma la prima autrice Teresa Brevini, dottoranda dell' Università di Cambridge - ci ha dato l'opportunità di fare davvero scienza traslazionale", dal bancone al letto del malato, "sfruttando una scoperta di laboratorio per provare a rispondere a un'esigenza clinica. Usando quasi tutti i possibili approcci a nostra disposizione, abbiamo dimostrato che un farmaco già disponibile chiude la porta d'ingresso al virus e può proteggerci da Covid-19. E' importante sottolineare che, poiché questo farmaco agisce sulle nostre cellule" e non sul virus, "non è influenzato dalle mutazioni virali e dovrebbe mantenersi efficace anche quando emergono nuove varianti".
Secondo Sampaziotis, questo vecchio farmaco potrebbe dunque offrire in futuro una strategia efficace e low cost per proteggere dall' infezione da Sars-CoV-2 le persone nelle quali il vaccino non funziona o che non possono accedervi. "Utilizziamo l'Udca in clinica da molti anni - rimarca l'autore del lavoro, finanziato in gran parte da Uk Research & Innovation, European Association for the Study of the Liver, Nihr Cambridge Biomedical Research Center ed Evelyn Trust - quindi sappiamo che è sicuro e molto ben tollerato, cosa che rende semplice la somministrazione a pazienti ad alto rischio Covid".
"Questa compressa costa poco - aggiunge Sampaziotis - Il farmaco può essere prodotto velocemente in grandi quantità e conservato facilmente, il che lo rende facile da distribuire rapidamente in caso di pandemia soprattutto contro varianti virali resistenti ai vaccini, quando potrebbe essere l'unica linea di protezione in attesa che vengano sviluppati nuovi vaccini" aggiornati. "Siamo ottimisti - conclude lo scienziato - sul fatto che questo farmaco possa diventare un'arma importante nella nostra lotta contro Covid-19".
L'amministrazione del Presidente Joe Biden sta valutando una proposta del leader repubblicano Kevin McCarthy per abrogare l'obbligo del vaccino COVID-19 per le forze armate statunitensi, ha dichiarato sabato la Casa Bianca.
McCarthy, che è in lizza per diventare speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, ha dichiarato in precedenza a Fox News di aver ottenuto un accordo bipartisan per revocare l'obbligo durante un incontro alla Casa Bianca con Biden, il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer, il presidente della Camera Nancy Pelosi e il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell.
McCarthy ha detto che il mandato sarà abrogato nell'ambito della legge di autorizzazione alla difesa nazionale (National Defense Authorization Act, o NDAA) da 817 miliardi di dollari, una legge annuale che definisce le politiche del Pentagono e che dovrebbe passare questo mese al Senato e alla Camera dei Rappresentanti.
Ma la Casa Bianca ha detto che Biden ha accettato solo di prendere in considerazione l'idea, riporta Reuters.
"Il leader McCarthy ha sollevato la questione con il Presidente e quest'ultimo gli ha detto che l'avrebbe presa in considerazione", ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Olivia Dalton. "Il Segretario della Difesa ha raccomandato di mantenere l'obbligo e il Presidente sostiene la sua posizione. Le discussioni sull'NDAA sono in corso".
L'obbligo, imposto nell'agosto del 2021, prevede che tutti i membri del servizio americano siano vaccinati contro la COVID-19.
"Sapete cosa sono riuscito a ottenere in quell'incontro? Riuscire - lo vedremo nel NDAA - a revocare l'obbligo di vaccinazione per i nostri militari", ha detto McCarthy, il principale repubblicano della Camera, nell'intervista andata in onda nella tarda serata di venerdì. "So che lo otterrò", ha detto McCarthy. "Ci stiamo lavorando proprio ora. Credo che... lo otterremo".
Secondo i dati del Dipartimento della Difesa, 3.717 marines, 1.816 soldati e 2.064 marinai sono stati congedati per essersi rifiutati di vaccinarsi. Ma quest'anno i tribunali federali hanno bloccato i servizi militari dal punire il personale, che ha rifiutato i vaccini per motivi religiosi.
"La semplice realtà, che molti non vogliono ammettere per non doversi rimangiare scelte e prese di posizioni passate, è che" contro Covid-19 "le chiusure hanno funzionato - per quel po' che hanno funzionato e lasciandosi dietro danni socioeconomici e psicologici enormi - solo in conseguenza di un caso fortuito, cioè il fatto che la R0", il cosiddetto indice di riproduzione di base (ossia il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ogni persona infetta, in una popolazione mai venuta a contatto con un nuovo patogeno emergente), "del virus originale di Wuhan fosse tutto sommato piuttosto basso e risentisse di certe misure di contenimento".
Il virologo Guido Silvestri della School of Medicine della Emory University di Atlanta, a capo del board internazionale dell'Istituto Spallanzani di Roma, analizza così l'effetto dei lockdown adottati per arginare lo 'tsunami' Sars-CoV-2 nelle prime fasi della pandemia.
"Questo - spiega lo scienziato su Facebook, in un post con cui torna a commentare la politica Zero Covid scelta dalla Cina e la nuova fase annunciata dal gigante asiatico - lo diciamo visto che, di fronte a Omicron, che ha la R0 molto più alta, non ci sono state 'chiusure' che tenessero e fossero anche compatibili con i valori umani e morali del mondo Occidentale. Si veda in questo senso il caso esemplare della Nuova Zelanda, dove i morti sono stati 7 per milione di abitanti prima di Omicron e 425 per milione dopo Omicron, e questo nonostante i vaccini e la ridotta patogenicità della nuova variante. Mentre le misure draconiane della Cina sono arrivate a far vacillare il trono di Xi Jinping proprio nella fase post-congressuale in cui sarebbe dovuto diventare saldissimo".
"L'ho detto e l'ho scritto mille volte - insist Silvestri - e continuerò a ripeterlo finché ne avrò la forza: a inizio pandemia e in pieno caos sanitario, un breve lockdown ci stava (io stesso lo consigliai per la Georgia nell'aprile 2020). Ma l'idea che il Covid si potrebbe e dovrebbe fronteggiare, eliminando a tempo indeterminato la socialità tra le persone passerà alla storia come una delle idee più stupide e dannose mai partorite dalla mente umana", chiosa il virologo che aggiunge un "Ps: curioso come a far dire 'basta' ai cinesi siano state le immagini dei Mondiali in Qatar, epidemiologia mainstream e politicamente corretta".
"Come dice Yanzhong Huang, che si intende di virus e di Cina - riassume l'italiano prorettore negli Usa - un'ondata di Covid, con le attuali basse percentuali di vaccinazioni negli anziani, porterebbe in quel Paese 'un numero stimato di 363 milioni di infezioni, circa 620mila morti, 32mila ricoveri al giorno in terapia intensiva e una potenziale crisi sociale e politica'. E sarebbe solo la prima di numerose ondate. In altre parole, se così fosse - evidenzia Silvestri - 3 anni di sacrifici immensi sarebbero serviti a poco o niente".
Nel 2021, quasi 43.300 ospedalizzazioni riguardavano persone con una diagnosi di COVID-19, un numero in aumento rispetto al 2020 (40.893).
Nel biennio 2020–21, queste ospedalizzazioni hanno rappresentato il 3% dell’insieme dei ricoveri ospedalieri, ma il 22% delle ore trascorse in terapia intensiva. Delle persone ricoverate con questa diagnosi, l’11% è deceduto in ospedale. Inoltre, tra marzo e dicembre 2021 circa 1400 persone sono state ricoverate in ospedale con una diagnosi di caso di effetti indesiderati dei vaccini anti-COVID-19. Questi sono alcuni risultati tratti dall’ultima pubblicazione dell’Ufficio federale di statistica (UST).
La pandemia di COVID-19, che in Svizzera si è manifestata per la prima volta nel mese di febbraio del 2020, è proseguita per tutto il 2021. In totale, nel corso di questi due anni hanno avuto luogo 84 186 ospedalizzazioni con una diagnosi di COVID-19.
La metà delle ospedalizzazioni tra ottobre 2020 e febbraio 2021
Oltre la metà delle ospedalizzazioni con una diagnosi di COVID-19 è avvenuta tra ottobre 2020 e febbraio 2021, al culmine della seconda ondata della pandemia, mentre il 35% si è verificato nel corso delle tre ondate successive, tra marzo e dicembre 2021. Le ospedalizzazioni con COVID-19 nella primavera del 2020, durante la prima ondata della pandemia, quando erano in vigore misure di semiconfinamento, rappresentano soltanto il 12% del totale di ospedalizzazioni con questa diagnosi recensite nel 2020 e nel 2021.
La metà delle persone ricoverate in ospedale con una diagnosi di COVID-19 avevano almeno 70 anni, e la maggior parte di esse era di sesso maschile (55,6%). In sei casi su dieci, la diagnosi principale alla base dell’ospedalizzazione con COVID-19 era una malattia respiratoria, perlopiù una polmonite.
Oltre un quinto delle ore trascorso in terapia intensiva
Più di un’ospedalizzazione su otto (13%; 10 924 ospedalizzazioni) con una diagnosi di COVID-19 ha reso necessaria una terapia intensiva, reparto in cui le degenze sono state molto lunghe. La metà di esse è stata di oltre 153 ore, valore cinque volte superiore alla durata mediana dei ricoveri in terapia intensiva in assenza di una diagnosi di COVID-19 (29 ore). Ne risulta che il 22% delle ore in terapia intensiva negli ospedali nel 2020 e nel 2021 è stato destinato a persone con una diagnosi di COVID-19, mentre i pazienti che ne hanno beneficiato rappresentavano soltanto il 7% del totale. Questa proporzione (numero di ore in terapia intensiva) ha addirittura superato il 50% durante i picchi delle prime due ondate della pandemia, dapprima tra la metà di marzo e l’inizio di aprile 2020 e poi dalla metà di ottobre 2020 all’inizio di gennaio 2021.
Deceduto in ospedale un paziente con la COVID-19 su nove
Nel 2020 e nel 2021, 8232 persone ospedalizzate con una diagnosi di COVID-19 sono decedute in ospedale. Si tratta dell’11,3% delle persone ricoverate in ospedale con questa diagnosi. Quando si è resa necessaria una terapia intensiva, il tasso di mortalità è doppio (24,4%). La percentuale di decessi tra queste persone ricoverate in ospedale ha segnato un record durante le prime due ondate della pandemia, quando era di poco inferiore al 13%. Nelle tre ondate successive, ovvero da marzo a di-cembre 2021, il tasso di mortalità è stato inferiore: si attestava in media all’8,5%.
Effetti indesiderati del vaccino: 1400 ospedalizzazioni
Per circa 1400 ospedalizzazioni tra marzo e dicembre 2021 sono stati segnalati effetti indesiderati dei vaccini contro la COVID-19. Oltre la metà di questi ricoveri ospedalieri hanno avuto luogo tra aprile e luglio, nel periodo più intenso della campagna di vaccinazione. In un quarto dei casi, la diagnosi principale consisteva in sintomi di febbre, un’alterazione dello stato generale o una sensazione di malessere. In un altro quarto dei casi, la diagnosi principale era una malattia del sistema circolatorio, come le miocarditi e pericarditi, l’insufficienza cardiaca e l’infarto. Le malattie del sistema circolatorio sono state la causa principale di ospedalizzazione per le persone di età inferiore ai 50 anni che presentavano effetti collaterali indesiderati della vaccinazione (nel 37% dei casi).
"Allo Stato richiedere le multe potrebbe costare più di quello che poi ne potrebbe derivare". Così il ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenuto a 'Radio anch'io' su Rai Radio 1, ha commentato il pronunciamento della Consulta che ha respinto i ricorsi dei no vax, giudicando legittima la scelta fatta a suo tempo sull'obbligo vaccinale anti-Covid.
Il discorso delle multe" a chi non si è vaccinato contro Covid-19 "riguarda essenzialmente il Mef", il ministero dell'Economia e delle Finanze, "e mi sembra che a tal proposito ci sia un'iniziativa parlamentare, un emendamento - ha sottolineato - Io voglio semplicemente ricordare che in Europa solamente due Stati avevano introdotto le multe, che sono l'Austria e la Grecia", ma "in realtà nessuno di queste due Stati che aveva introdotto le multe per chi non si vaccinava poi è andato effettivamente all'incasso".
Vaccino
"A oggi, dai dati in nostro possesso, meno del 30% delle persone di riferimento hanno fatto il secondo booster" di vaccino "per Covid", ha sottolineato il ministro della Salute. In merito allo spot lanciato ieri dal ministero per promuovere le vaccinazioni Covid-19 e antinfluenzale, Schillaci ha sottolineato: "Credo che questa sia una campagna di responsabilità, per ribadire l'impegno di questo Governo sul fronte del Covid e anche sul fronte dell'influenza. Questa campagna viene fatta dal nuovo Governo a poco più di un mese dal dall'insediamento", ha evidenziato.
"Questa campagna - ha spiegato il ministro - mira a far sì che sia per Covid, con il richiamo, sia per l'influenza che quest'anno potrebbe essere particolarmente virulenta, ci sia un maggior numero di adesioni alla vaccinazione, soprattutto fra le popolazioni che noi definiamo target, cioè fra gli anziani e i fragili". Schillaci ha ricordato che "anche l'influenza, in era pre-Covid, comunque causava purtroppo in Italia molti decessi, soprattutto tra gli anziani".
SSN
"Come ho detto nelle mie prime dichiarazioni dopo la fiducia ottenuta dal Governo al Senato, credo che in uno Stato moderno come il nostro nel terzo millennio sia inaccettabile che ci siano disparità di cura, legate a dove una persona risiede e alla disponibilità economica che un cittadino ha. Quindi su questo io metterò tutto il mio impegno", ha garantito Schillaci precisando: "Però i mali della sanità di oggi sono i mali che esistono purtroppo da anni".
"Se noi guardiamo all'era pre Covid, dal 2013 al 2019 la sanità è sempre stata definanziata - ha ricordato il ministro - Il Covid non ha fatto altro che aumentare le diseguaglianze anche in sanità e mostrare di più la fragilità di un Servizio sanitario nazionale che una volta era veramente un fiore all'occhiello e che, a mano a mano negli anni, per i continui definanziamenti", ha perso tanto e "ovviamente mostra oggi dei problemi".
"Siamo in una fase endemica per il Covid e abbiamo riacquistato spazi di socialità. Oggi puntiamo alla responsabilità dei cittadini per un ritorno alla normalità in sicurezza. Voglio ribadire che non abbiamo mai pensato di togliere l'obbligo delle mascherine in Rsa o reparti a rischio".
Così il ministro della Salute Orazio Schillaci, illustrando la nuova campagna di comunicazione 'Vacciniamoci contro il Covid-19 e l'influenza stagionale', promossa dal ministero della Salute e presentata oggi a Roma.
"Oggi presentiamo la campagna nazionale di vaccinazione per il Covid e per l'influenza. Vogliamo ribadire che noi non rimaniamo indietro su nessun tema, non abbiamo mai pensato di non guardare con attenzione al Covid che è sicuramente in una fase diversa è una malattia diversa rispetto a quella di tre anni fa. Noi controlliamo con attenzione tutti i dati e invitiamo le persone più fragili a vaccinarsi", ha sottolineato.
"C'è un rialzo dei contagi Covid, ma l'attenzione deve essere sulle terapie intensive e sulle ospedalizzazioni, che sono sotto i livelli di guardia", ha quindi affermato il ministro.
Dopo gli ultimi anni "ci troviamo in una situazione Covid diversa che speriamo di chiudere definitamente. I problemi della sanità sono tanti e ora dobbiamo concentrarci su questi", ha detto ancora Schillaci.
Aifa
"Aifa è un organismo importantissimo, che a mio giudizio necessita di una rivisitazione e un ammodernamento. E' stato istituito più di 20 anni fa, credo che ora sia fondamentale andare a rivederne la governance: Aifa deve fare più ricerca e c'è poi l'anomalia di un presidente, che non ha la rappresentanza legale dell'Aifa. La riforma va in questa direzione, credo sia un provvedimento giusto per ammodernare" l'Agenzia italiana del farmaco, ha sottolineato Schillaci, rispondendo ai giornalisti sulla riforma della governance dell'Aifa, prevista da un emendamento al Dl Nato-Calabria in Senato.
"Una volta finito il percorso - ha detto il ministro, durante la presentazione della nuova campagna di comunicazione 'Vacciniamoci contro il Covid-19 e l'influenza stagionale' - spero che i tempi dei dossier, che Aifa esamina, diventino molto più brevi. Abbiamo un ritardo incredibile nell'approvazione dei nuovi farmaci rispetto agli altri Paesi europei. Avere uno snellimento delle procedure nel rigido rispetto della sicurezza dei pazienti - chiosa - credo sia mandatorio".
Con la continua comparsa di nuove varianti e il rischio di nuovi ceppi del virus, lo sviluppo di terapie innovative contro la SARS-CoV-2 rimane una sfida importante per la salute pubblica. Attualmente, le proteine, che si trovano sulla superficie del virus e/o sono coinvolte nella sua replicazione sono i bersagli terapeutici preferiti, come le proteine Spike per i vaccini.
Una di queste, la proteina non strutturale Nsp1, era stata finora poco studiata. Un team dell'Università di Ginevra (UNIGE), in collaborazione con l'University College London (UCL) e l'Università di Barcellona, ha ora rivelato l'esistenza di una "tasca" nascosta sulla sua superficie. Potenziale bersaglio di farmaci, questa cavità apre la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti contro Covid-19 e altri coronavirus. I risultati sono pubblicati sulla rivista eLife.
La rapida introduzione di nuovi vaccini e farmaci antivirali ha contribuito a contenere la pandemia di Covid-19, causata dal virus SARS-CoV-2. Nonostante i progressi compiuti, lo sviluppo di nuove terapie è ancora una priorità urgente: la continua comparsa di nuove varianti - alcune delle quali resistenti ai trattamenti attuali - e la possibile comparsa di nuovi ceppi del virus rappresentano un rischio di nuove pandemie. Le proteine sono in prima linea tra i bersagli terapeutici per combattere il virus. La più nota è la proteina Spike, che si trova sulla superficie del SARS-CoV-2 e gli conferisce il suo aspetto "a spillo". È la chiave per l'ingresso del virus nelle nostre cellule. È il bersaglio dei vaccini a RNA messaggero.
Una proteina chiave poco studiata
SARS-CoV-2 produce anche altre proteine dette "non strutturali", utilizzando le risorse delle nostre cellule dopo essere entrato in esse. Sono sedici. Sono essenziali per la replicazione del virus. Alcune sono state studiate nel contesto dello sviluppo di nuovi farmaci. Altri hanno ricevuto meno attenzione. È il caso della proteina Nsp1. Senza cavità evidenti sulla sua superficie per ancorare un potenziale farmaco, i ricercatori hanno ritenuto che non potesse essere un bersaglio per il trattamento.
''Nsp1 è invece un importante agente infettivo della SARS-CoV-2 - spiega Francesco Luigi Gervasio, professore ordinario presso la Sezione di Scienze Farmaceutiche e l'Istituto di Scienze Farmaceutiche della Svizzera Occidentale della Facoltà di Scienze dell'UNIGE e presso il Dipartimento di Chimica e l'Istituto di Biologia Strutturale e Molecolare dell'UCL.- Questa piccola proteina virale blocca selettivamente i ribosomi - le fabbriche di proteine delle nostre cellule - rendendoli inutilizzabili dalle nostre cellule e impedendo così la risposta immunitaria. Allo stesso tempo, attraverso i ribosomi, Nsp1 stimola la produzione di proteine virali".
Rivelato dagli algoritmi
L'équipe del professor Gervasio, in collaborazione con l'UCL e l'Università di Barcellona, ha rivelato l'esistenza di una cavità ''nascosta'' sulla superficie di Nsp1, che potrebbe essere il bersaglio di futuri farmaci contro la SARS-CoV-2. ''Per scoprire questa tasca criptica e parzialmente nascosta, abbiamo effettuato simulazioni utilizzando algoritmi da noi sviluppati- aggiunge Alberto Borsatto, assistente alla ricerca e all'insegnamento presso la Sezione di Scienze Farmaceutiche e l'Istituto di Scienze Farmaceutiche della Svizzera Occidentale della Facoltà di Scienze dell'UNIGE, primo autore dello studio. - Poi, per confermare che questa tasca poteva essere usata come bersaglio farmacologico, abbiamo usato uno screening sperimentale e tecniche di cristallografia a raggi X".
Il team di ricerca ha testato molte piccole molecole potenzialmente in grado di legarsi alla cavità di Nsp1 (screening sperimentale). Ne ha individuata una in particolare - il 5 acetilaminoindano o 2E10 - che ha permesso anche di determinare la disposizione spaziale degli atomi che compongono la cavità (tramite cristallografia). Si tratta di dati essenziali, che costituiscono la base per lo sviluppo di nuovi farmaci.
''Questi risultati aprono la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti mirati alla proteina Nsp1, non solo contro la SARS-CoV-2 e le sue varianti, ma anche contro altri coronavirus in cui Nsp1 è presente- afferma Francesco Luigi Gervasio, ultimo autore dello studio- Il metodo sviluppato per rivelare la tasca nascosta di Nsp1 potrebbe essere utilizzato per scoprire, sulla superficie di altre proteine, nuove cavità ancora sconosciute agli scienziati".
eLife: "Revealing druggable cryptic pockets in the Nsp1 of SARS-CoV-2 and other β-coronaviruses by simulations and crystallography". DOI: 10.7554/eLife.81167
Antonio Caperna
Nelle foto: i promotori dello Pneumomeeting, da sinistra Giuliano, Schisano, Vancheri, Privitera e Bellofiore
Pazienti presunti “guariti” dal long covid e che invece dopo molte settimane ancora hanno difficoltà a respirare: è stato scoperto nel 60% dei soggetti esaminati un difetto circolatorio dei capillari polmonari, residuo del covid, responsabile della continua dispnea.
La novità dimostrata grazie ad uno studio durato due anni, il primo al mondo, presentato a Taormina nel XV Pneumomeeting da Roberto W. Dal Negro, direttore del Centro Medico Specialistico di Verona, che lo ha pubblicato nelle scorse settimane sulla letteratura scientifica internazionale. “Lo abbiamo identificato attraverso apparecchiature molto avanzate, ce ne sono poche in Italia e non è visibile in altro modo, ad esempio le Tac sono inutili. Il prossimo 6 dicembre al congresso nazionale di Cardiologia - ha annunciato - approfondirò l’argomento, parlando anche del nebivololo, una vecchia molecola (già utilizzata per l’ipertensione polmonare, ndr) potenzialmente efficace contro gli effetti del long covid e oggetto di un’ulteriore pubblicazione di qualche giorno fa”.
Tanti i temi trattati al congresso taorminese giunto alla 15esima edizione da oltre 200 pneumologi, che hanno rivolto un appello alle Istituzioni: alleggerire gli ospedali dal carico di alcune patologie respiratorie particolarmente diffuse come l’asma o le bronco pneumopatie, tipiche dei fumatori, che possono essere trattate nel territorio e investire nelle figure specialistiche, ancora carenti. “Bisogna puntare sulle strutture periferiche - ha spiegato Salvatore Privitera, direttore Centro Insufficienza respiratoria di Giarre - sono più vicine e comode per il paziente che ha un continuo bisogno di rivolgersi allo specialista senza aumentare i costi di gestione e assistenza ospedaliera, quando non è necessario il ricovero”. Una tavola rotonda sulle criticità emerse durante la pandemia: “La pneumologia ha avuto un ruolo di primo piano nella fase pandemica - ha sottolineato Salvatore Bellofiore - responsabile Ambulatorio Pneumologia Policlinico San Marco di Catania - abbiamo lavorato a stretto contatto con infettivologi e rianimatori”. Per Giovanni Passalacqua direttore Malattie respiratorie del Papardo di Messina “Non bisogna abbassare la guardia perché non siamo nella fase post covid ma in una fase nuova della pandemia”.
Secondo lo pneumologo dell’ASP di Catania Riccardo Giuliano: “È indispensabile programmare la sanità con più lungimiranza e non nel breve periodo, superare le disparità e le incongruenze siciliane”. Accesi i riflettori sul “big killer” tumore del polmone che in Italia conta 41mila i nuovi casi ogni anno e 34mila i morti e in Sicilia, terza regione per numero di fumatori, 3mila diagnosi di cui due terzi uomini e sulle interstiziopatie polmonari: “Colpiscono proprio la zona dell’organo dove viene assorbito l’ossigeno - ha evidenziato Carlo Vancheri, ordinario Malattie respiratorie Università di Catania e presidente Società italiana di Pneumologia - stiamo studiando nuove prospettive terapeutiche molto interessanti”.
Prima del congresso un incontro tra specialisti e Antonio Colucci, in rappresentanza dell’Assessorato regionale: “Abbiamo spiegato quali devono essere i criteri di accreditamento da parte delle Asp e delle strutture sanitarie - ha detto Mario Schisano, pneumologo già Dirigente medico ASP Siracusa - al fine di attivare la procedura dell’assistenza domiciliare per tutte le patologie respiratorie, in particolare l’insufficienza respiratoria. Focus anche su infezioni ospedaliere, tosse cronica, insufficienza respiratoria cronica, fisiopatologia respiratoria, ventilazione polmonare con illustri relatori da tutta Italia, tra cui Erino Rendina, chirurgo pionieristico del trapianto di trachea, che ha parlato di patologia chirurgica tracheo bronco polmonare dopo il covid. Nella seconda giornata la consueta consegna del Premio Pneumomeeting, condotto da Salvo La Rosa e assegnato al direttore Malattie respiratorie di Brescia Claudio Tantucci e all’ordinario Malattie respiratorie del Policlinico universitario di Messina Gaetano Caramori.
"Stiamo assistendo all'ennesima vergognosa ingiustizia a danno delle lavoratrici e dei lavoratori del Servizio sanitario regionale. I lavoratori precari, assunti per far fronte alla pandemia da Covid, oggi hanno ricevuto la retribuzione senza il salario di produttività che è stato assicurato alle colleghe e ai colleghi che come loro hanno lavorato in questi anni di pandemia".
La denuncia, in una nota congiunta, è dei sindacati della Funzione pubblica, con i segretari Roberta Gessa (Fp Cgil), Massimo Cinus (Cisl Fp) e Fulvia Murru (Uil Fpl), all'indomani di un incontro in assessorato alla Sanità.
"Chiediamo alla giunta regionale e al Consiglio, che sta esaminando in questi giorni la 'omnibus 2', di mettere immediatamente a disposizione le somme necessarie per consentire anche ai lavoratori e alle lavoratrici assunti appositamente per far fronte alla pandemia, di avere riconosciuti gli stessi diritti dei loro colleghi con cui hanno lavorato fianco a fianco in questi anni terribili", la posizione dei sindacati.
A stretto giro, la replica dell'assessore alla Sanità, Mario Nieddu: "Non c'è alcuna preclusione al pagamento del premio di produttività per il personale sanitario assunto a tempo determinato per l'emergenza Covid. Parliamo del pagamento della produttività dell'anno 2021 agli operatori assunti con risorse regionali per la gestione della pandemia- precisa l'assessore- a cui a oggi è stato corrisposto il salario accessorio. Indubbiamente ci troviamo davanti a una situazione particolare".
Le assunzioni a progetto per rispondere alle necessità del sistema sanitario durante la pandemia, "rappresentano un caso eccezionale in una situazione di emergenza e questo vale a livello nazionale- spiega Nieddu-. In seguito all'incontro con i sindacati, stiamo avviando le opportune verifiche con le aziende che hanno contrattualizzato gli operatori, per i necessari approfondimenti. Ai lavoratori sarà corrisposto tutto ciò che è previsto dal loro contratto, senza esclusioni".
I vaccini e i farmaci covid-19 sono stati sviluppati a "velocità di curvatura" e ora gli esperti sono preoccupati per l'inadeguata sorveglianza dei siti di sperimentazione clinica da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, come riporta un'inchiesta pubblicata da The BMJ.
I documenti normativi dimostrano che solo nove dei 153 siti di sperimentazione di Pfizer sono stati sottoposti a ispezione da parte della FDA prima di concedere la licenza per il suo vaccino a mRNA covid-19. Allo stesso modo, sono stati ispezionati 10 dei 99 siti di sperimentazione Moderna e cinque dei 73 siti di sperimentazione remdesivir, scrive la giornalista investigativa Maryanne Demasi.
In particolare, l'FDA ha ricevuto una denuncia da Brook Jackson, informatore di comportamenti scorretti in tre siti di sperimentazione clinica che stavano testando il vaccino covid-19 della Pfizer, mentre lei era impiegata come direttore regionale. La Jackson ha osservato una serie di problemi, tra cui la falsificazione dei dati, pazienti "non in cieco" e vaccinatori non adeguatamente formati, che tardavano a seguire gli eventi avversi. "Pensavo che la FDA sarebbe intervenuta e si sarebbe occupata di tutto", ha detto Jackson. L'FDA, tuttavia, non ha ispezionato i siti di sperimentazione in questione.
Gli esperti hanno criticato la supervisione della FDA sugli studi clinici, definendola "gravemente inadeguata". Secondo gli esperti, il problema, che ha preceduto il covid-19, non si limita alla mancanza di ispezioni, ma include anche la mancata notifica proattiva al pubblico o alle riviste scientifiche, quando vengono identificate delle violazioni, tenendo di fatto nascosta la cattiva condotta scientifica all'establishment medico.
La FDA "mette in pericolo la salute pubblica" non essendo sincera sulle violazioni scoperte durante le ispezioni dei siti di sperimentazione clinica, sostiene David Gortler, farmacista e farmacologo, che ha lavorato come revisore medico della FDA tra il 2007 e il 2011 e poi come consulente senior del commissario della FDA nel 2019-2021.
La FDA supervisiona la ricerca clinica di farmaci e dispositivi regolamentati dalla FDA negli Stati Uniti e all'estero, se il prodotto è destinato al mercato statunitense. Conduce visite di routine per le sperimentazioni, esamina i registri di tali siti o delle commissioni di revisione istituzionale (IRB) che supervisionano le sperimentazioni a livello locale e segue le denunce di violazioni. La FDA non ha un obiettivo per la percentuale di siti di sperimentazione che ispeziona.
Nonostante le centinaia di migliaia di siti di sperimentazione clinica, stimati in funzione negli Stati Uniti e all'estero, la FDA ha dichiarato al BMJ di avere solo 89 ispettori per il suo programma di monitoraggio della bioricerca, che assicura la qualità e l'integrità dei dati presentati all'agenzia a sostegno delle approvazioni di nuovi prodotti e delle domande di commercializzazione, ma che sta reclutando altri ispettori per raggiungere la media annuale di 100.
"Non credo che il personale sia sufficiente per svolgere un tale livello di sorveglianza- afferma Jill Fisher, professore di medicina sociale presso l'Università del North Carolina-La FDA deve avere una presenza sufficiente per dissuadere i siti di indagine dal commettere frodi".
Tra marzo e luglio 2020, al culmine delle restrizioni per la pandemia, la FDA ha sospeso le ispezioni dei siti e ha effettuato solo ispezioni "mission critical". Tuttavia, Gortler sostiene che questo era il momento esatto in cui l'FDA avrebbe dovuto aumentare la sua sorveglianza, non ridurla, soprattutto perché i prodotti a base di covid-19 venivano sviluppati a velocità vertiginosa e destinati a milioni di persone.
L'FDA ha dichiarato al BMJ di prendere sul serio la supervisione degli studi clinici e di essersi adattata alle restrizioni di viaggio, pubblicando una bozza di guida per le valutazioni regolatorie a distanza, che descrive le ispezioni virtuali che utilizzano lo streaming dal vivo e le videoconferenze e le richieste di visionare i documenti a distanza.
L'FDA ha una lunga storia di mancata adeguata supervisione dei siti di sperimentazione clinica, osserva Demasi. Ad esempio, un rapporto del 2007 dell'Office of the Inspector General del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani ha rilevato che l'FDA ha controllato meno dell'1% dei siti di sperimentazione clinica del Paese tra il 2000 e il 2005 e ha criticato fortemente l'agenzia perché non disponeva di un database dei siti di sperimentazione clinica operativi.
In risposta, l'FDA ha dichiarato di aver creato una task force dedicata e di aver "sviluppato nuovi regolamenti e linee guida per migliorare la conduzione degli studi clinici e aumentare la protezione delle persone che vi partecipano", ma ha negato al BMJ un'intervista con un membro della task force.
Inoltre, un'indagine condotta nel 2020 dalla rivista Science sull'applicazione delle normative sulla ricerca clinica da parte della FDA tra il 2008 e il 2019 ha concluso che l'agenzia è stata spesso leggera, lenta e segreta. Secondo l'indagine, la FDA ha raramente comminato sanzioni e quando ha formalmente avvertito i ricercatori di aver violato la legge, ha spesso trascurato di garantire che i problemi fossero risolti.
Sebbene la FDA pubblichi i suoi rapporti di ispezione, non li divulga in modo proattivo. Inoltre, in genere non notifica alle riviste quando un sito che partecipa a uno studio clinico pubblicato riceve un grave avvertimento, né avvisa il pubblico della cattiva condotta di ricerca riscontrata.
Demasi sottolinea le segnalazioni di personale insufficiente e di morale basso presso la FDA. Secondo Fisher, la FDA "ha bisogno di finanziamenti e personale migliori per condurre le ispezioni. Come minimo, l'agenzia deve ispezionare i siti quando sono stati presentati reclami o preoccupazioni". Gortler non è d'accordo, tuttavia, sul fatto che la FDA non disponga di risorse sufficienti. Con un budget totale di 6,1 miliardi di dollari nel 2021, suggerisce che l'agenzia deve essere più snella ed efficiente, con dipendenti interessati a migliorare la salute pubblica. "Metà del suo budget, circa 3 miliardi di dollari, è discrezionale, il che significa che avrebbe potuto assumere appaltatori, pensionati o riutilizzare i lavoratori esistenti. Ha scelto di non farlo. L'FDA si è limitata a sbadigliare durante la pandemia. L'intera agenzia è in panne".
The BMJ "Investigation: FDA oversight of clinical trials is “grossly inadequate". DOI: 10.1136/bmj.o2628
Antonio Caperna
Le terapie anticorpali attualmente approvate utilizzate per il trattamento di soggetti ad aumentato rischio di malattia grave da COVID-19 sono efficaci anche contro le varianti virali attualmente in circolazione?
Un recente studio condotto da ricercatori del German Primate Center (DPZ) – Leibniz Institute for Primate Research e Friedrich-Alexander University Erlangen-Nürnberg mostra che il sub-lignaggio Omicron BQ.1.1, attualmente in aumento in tutto il mondo, è resistente a tutti gli anticorpi approvati come terapie. Lo studio è pubblicato su The Lancet Infectious Diseases.
A seguito di un'infezione da SARS coronavirus-2 (SARS-CoV-2) o di una vaccinazione COVID-19, viene attivata una risposta immunitaria, che comporta la formazione di anticorpi neutralizzanti, che aiutano a proteggere dalla (re)infezione da SARS-CoV-2 o un decorso grave della malattia. Gli anticorpi neutralizzanti proteggono legandosi alla proteina spike virale, che impedisce al virus di entrare nelle cellule.
Tuttavia, a causa di mutazioni nella proteina spike, alcune varianti di SARS-CoV-2, in particolare la variante Omicron, sfuggono agli anticorpi neutralizzanti e causano infezioni sintomatiche anche nelle persone vaccinate o convalescenti. Questo è indicato come evasione immunitaria e minaccia i gruppi ad alto rischio come gli anziani e le persone con un sistema immunitario indebolito, ad esempio a causa di malattie o farmaci, e spesso non riescono a sviluppare una risposta immunitaria sufficiente per la protezione da malattie gravi, anche dopo la vaccinazione completa.
Per proteggere i pazienti ad alto rischio, gli anticorpi prodotti biotecnologicamente vengono somministrati come misura preventiva o come terapia precoce in caso di infezione SARS-CoV-2 confermata. Le mutazioni nella proteina spike di diverse varianti SARS-CoV-2 conferiscono resistenza alle singole terapie anticorpali. Pertanto, è importante monitorare regolarmente, se gli anticorpi terapeutici continuano ad essere efficaci contro le varianti virali attualmente in circolazione. Le mutazioni nella proteina spike di diverse varianti SARS-CoV-2 conferiscono resistenza alle singole terapie anticorpali. Pertanto, è importante monitorare regolarmente se gli anticorpi terapeutici continuano ad essere efficaci contro le varianti virali attualmente in circolazione.
Le mutazioni nella proteina spike di diverse varianti SARS-CoV-2 conferiscono resistenza alle singole terapie anticorpali. Pertanto, è importante monitorare regolarmente se gli anticorpi terapeutici continuano ad essere efficaci contro le varianti virali attualmente in circolazione.
Un team di ricercatori dell'Unità di biologia delle infezioni presso il German Primate Center – L'Istituto Leibniz per la Ricerca sui Primati e la Divisione di immunologia molecolare dell'Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga hanno studiato l'efficacia con cui le terapie anticorpali approvate inibiscono le sottovarianti Omicron attualmente in circolazione. I ricercatori hanno scoperto che la sottovariante BQ.1.1 di Omicron, che è in aumento in tutto il mondo, è resistente a tutte le terapie anticorpali disponibili.
"Per i nostri studi, abbiamo mescolato particelle virali non propaganti che trasportano la proteina spike di varianti virali selezionate con diverse diluizioni degli anticorpi da testare e successivamente misurato la quantità di anticorpi necessari per inibire l'infezione delle colture cellulari. In totale, abbiamo testato dodici singoli anticorpi, sei dei quali approvati per l'uso clinico in Europa, e quattro cocktail di anticorpi" spiega Prerna Arora, autrice principale dello studio. I ricercatori hanno scoperto che la sottovariante BQ.1.1 di Omicron non poteva essere neutralizzata né da singoli anticorpi né da cocktail di anticorpi. Al contrario, la sottovariante BA.5 di Omicron attualmente predominante era ancora neutralizzata da un anticorpo approvato e da due cocktail di anticorpi approvati.
"Tenendo presente i pazienti ad alto rischio, siamo molto preoccupati per la resistenza della sottovariante BQ.1.1 di Omicron a tutte le terapie anticorpali approvate. Soprattutto nelle regioni in cui la BQ.1.1 è diffusa, i medici non dovrebbero affidarsi alle sole terapie anticorpali quando trattano i pazienti infetti ad alto rischio, ma dovrebbero prendere in considerazione anche la somministrazione di altri farmaci come paxlovid o molnupiravir", commenta il responsabile dello studio Markus Hoffmann.
La scoperta che la sottovariante BQ.1.1 di Omicron è già resistente a una nuova terapia anticorpale che sta per essere approvata negli Stati Uniti sottolinea l'importanza dello sviluppo di nuove terapie anticorpali contro COVID-19.
"Il crescente sviluppo di resistenza agli anticorpi delle varianti della SARS-CoV-2 richiede lo sviluppo di nuove terapie anticorpali specificamente mirate alle varianti virali attualmente in circolazione e a quelle future. Idealmente, dovrebbero colpire le regioni della proteina spike, che hanno poco potenziale per le mutazioni di fuga", conclude Stefan Pöhlmann, responsabile dell'Unità di Biologia delle Infezioni presso il Centro Tedesco per i Primati - Istituto Leibniz per la Ricerca sui Primati.
The Lancet Infectious Diseases: "Omicron sublineage BQ.1.1 resistance to monoclonal antibodies". DOI: 10.1016/S1473-3099(22)00733-2
Antonio Caperna
Sono oltre 36 mila le persone che in Ticino hanno già ricevuto o prenotato la dose di richiamo contro il coronavirus, nell’ambito della campagna autunnale di vaccinazione. Nel mese di dicembre le somministrazioni proseguiranno al Centro cantonale di Quartino, nelle farmacie e negli studi medici che aderiscono alla campagna.
La dose di richiamo è fortemente raccomandata alle persone di età superiore a 65 anni, a chi soffre di malattie croniche e a chi vive o lavora a stretto contatto con persone a rischio.
La campagna autunnale per la vaccinazione di richiamo ha preso avvio in Ticino lo scorso 11 ottobre, e ha finora raccolto oltre 35 mila adesioni, con altre mille persone che dispongono già di un appuntamento per i prossimi giorni. La risposta della popolazione del nostro Cantone si conferma così, una volta ancora, superiore alla media svizzera. Dopo questa prima fase, nella quale è stato necessario fare fronte a una forte richiesta, il dispositivo cantonale sarà adattato. Nel mese di dicembre le somministrazioni proseguiranno al Centro cantonale di Quartino nelle giornate del 2, 3, 9 e 16 dicembre 2022. Ulteriori date verranno offerte in base alle richieste. Vaccinarsi rimane inoltre possibile nelle farmacie e negli studi medici che aderiscono alla campagna. Tutti i dettagli sono disponibili sulla pagina web www.ti.ch/vaccinazione.
La dose di richiamo ha lo scopo di ridurre il rischio di un decorso grave della malattia e le conseguenze a lungo termine dell’infezione; è somministrata gratuitamente a tutte le persone a partire dai 16 anni di età, purché siano trascorsi almeno 4 mesi dall’ultima dose di vaccino o dalla guarigione. Il richiamo vaccinale è fortemente raccomandato alle persone con 65 o più anni, a chi soffre di malattie croniche, alle donne in gravidanza o che allattano e a chi è regolarmente a contatto con persone a rischio, come il personale sanitario.
Nelle prime settimane del mese di dicembre, un’ulteriore vaccinazione di richiamo sarà offerta alle oltre 4 mila persone che vivono nelle case per anziani, e che avevano ricevuto una dose nel mese di luglio 2022. A distanza di oltre quattro mesi, questo ulteriore richiamo è raccomandato per rafforzare la protezione contro il coronavirus, tenendo anche in considerazione l’arrivo della stagione invernale, più favorevole alla diffusione dei virus. Le persone con 80 o più anni che nel corso dell’estate 2022 si erano invece vaccinate al di fuori delle case anziani possono rivolgersi nuovamente al proprio medico, oppure al Centro cantonale di Quartino.
Infine, le autorità cantonali tengono a ringraziare i Comuni e la Protezione civile per il supporto alla campagna vaccinale anche in questa fase legata al richiamo autunnale.