Fino a questo momento la maggioranza della popolazione svizzera sembra aver affrontato bene l’emergenza. Tuttavia dai risultati di uno studio sinottico emerge che, più di altre, determinate fasce sono particolarmente colpite da problemi e malattie psicologici.
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Influenza e pertosse. In attesa dell’annunciato vaccino contro il COVID-19, sono le altre principali malattie infettive quelle da cui una donna in dolce attesa dovrebbe proteggersi.
Ad oggi in Italia accedono alla vaccinazione appena 2 mamme su 100, nonostante nell’ultimo decennio un numero crescente di paesi, Italia compresa, abbia incluso vaccini per donne incinte nei propri programmi di vaccinazione nazionali.
È quanto emerso nel corso del 3° Congresso dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid) (3-5 dicembre 2021) dove esperti immunologi, infettivologi e pediatri di tutto il mondo hanno fatto appello all’immunizzazione in gravidanza, l’unica arma in grado di proteggere il neonato e il lattante fino a 6 mesi di età, quando potrà essere sottoposto alla vaccinazione contro l’influenza e sarà protetto contro la pertosse dalle prime due dosi di vaccino esavalente. In particolare, sono state presentate le raccomandazioni di WAidid, di recente pubblicate sulla prestigiosa rivista Frontiers in Immunology (1), in cui sono state evidenziate anche le priorità per ricerche future e per una migliore accettazione delle vaccinazioni in gravidanza, considerando il loro valore etico.
La pertosse è una malattia infettiva con alta morbosità e mortalità nei primi mesi di vita e colpisce in oltre il 60% dei casi proprio bambini di età inferiore all’anno. L’influenza contratta in gravidanza può comportare importanti complicanze materne ma anche fetali e del neonato che, nei casi più gravi, possono persino portare al decesso del bambino. Ogni anno nel mondo l’influenza fa registrare 270.000 ricoveri ospedalieri in neonati e lattanti fino a 6 mesi di età ed è la prima causa di ospedalizzazione nei primissimi mesi di vita.
«L'immunizzazione materna - ha riferito Sussanna Esposito, Professore Ordinario di Pediatria all’Università di Parma e Presidente WAidid - presenta pochissimi rischi e diversi benefici: sia per la donna sia per il bambino. Non c’è quindi alcun motivo per non consigliare la vaccinazione a una donna in gravidanza, considerando che in questo periodo della vita il suo sistema immunitario può essere alterato e, di conseguenza, sono più alte le possibilità di incorrere in malattie come l’influenza e di sviluppare complicanze che in alcuni casi, purtroppo, possono essere anche gravi. Oggi in Italia e in altri paesi del mondo la somministrazione è prevista già a partire dai primi tre mesi di gravidanza, si tratta di sensibilizzare e informare maggiormente le neo-mamme, incoraggiarle a proteggere sé stesse e il bambino, incrementando così il tasso di accesso alla vaccinazione”.
Gravidanza e COVID-19: cosa fare in caso di infezione?
Niente allarmismi. Nel caso che la madre contragga il virus durante la gravidanza, questo non influisce nel suo proseguo. Dagli studi raccolti finora, infatti, non risulta un aumento di complicanze ostetriche in caso di contrazione dell’infezione da SARS-CoV-2. Le manifestazioni cliniche di COVID-19 nelle donne in gravidanza sono simili a quelle di pazienti adulte non gravide di età simile, cioè prevalentemente sintomi riconducibili a febbre, tosse, mialgia, dolori alla gola e malessere. Tuttavia, anche in caso di malattia e contrazione del COVID-19, questo non è un'indicazione per il parto anticipato.
Inoltre, in virtù dell'assenza di prove certe per la trasmissione verticale del virus dalle donne in gravidanza infette ai loro feti, il parto vaginale non è controindicato.
Tuttavia una volta nato, il neonato dovrebbe essere considerato come un caso sospetto di COVID-19. Se il neonato è negativo, tutte le precauzioni per limitare la trasmissione dell'infezione da madre a bambino utilizzate durante il ricovero devono continuare a casa fino alla guarigione della madre, prevedendo continui contatti ambulatoriali di follow-up (per telefono, telemedicina o in ambulatorio) durante i primi 14 giorni di vita, mentre tamponi rinofaringei devono essere ripetuti in serie (cioè a 7, 14 e 28 giorni di vita). Il follow-up può terminare a 28 giorni di vita se il neonato è sano e i tamponi sono negativi.
Per quanto riguarda l'allattamento al seno, considerando i benefici dell'assunzione di latte materno, non è controindicato. È sufficiente osservare le raccomandazioni di un rigoroso comportamento, indossare la mascherina chirurgica, lavare mani e seno prima dell'allattamento e pulendo i biberon e le superfici con cui è venuta a contatto, prima e dopo l'uso. In caso di separazione temporanea a causa delle condizioni della madre, è preferibile incoraggiare il latte materno estratto.
Influenza e vaccino: la strategia per non correre rischi
L’influenza contratta in gravidanza può comportare complicazioni respiratorie con conseguente ricovero in ospedalee, nei casi più gravi, può provocare il decesso delle donne gravide, specialmente durante il secondo e terzo trimestre della gravidanza e il primo mese dopo il parto.
La letteratura e l’esperienza clinica hanno dimostrato la sicurezza, sia per il feto che per la madre, dei vaccini antinfluenzali, che possono essere somministrati in qualsiasi trimestre di gravidanza e permettono di proteggere i neonati e i lattanti nei primi 6 mesi di vita. Diversi studi hanno dimostrato, infatti, che i bambini nati da madri vaccinate hanno livelli di anticorpi che rimangono elevati al di sopra del correlato di protezione per gli adulti fino a 5-6 mesi dalla nascita. Elemento importante dato il fatto che i neonati e i lattanti al di sotto dei 6 mesi sono tra le categorie più a rischio di gravi complicanze respiratorie e neurologiche dovute all’influenza. In questo senso la vaccinazione materna è l’unica modalità di prevenzione.
Pertosse, la minaccia neonatale che è possibile evitare
La pertosse, prima dell’età di 6 mesi, si può manifestare con difficoltà respiratorie talvolta gravi che possono provocare un arresto respiratorio: ancora oggi, nel mondo, 1 neonato su 1.000 muore di pertosse. Il 90% dei decessi dovuti alla pertosse avviene nel primo anno di vita.
È stato dimostrato come il vaccino contro la pertosse non evidenzi alcun aumento del rischio di sviluppo di gravi eventi avversi materni o esiti fetali e neonatali e sebbene possa essere somministrato durante tutto il periodo della gravidanza, per una più efficace protezione del neonato da parte degli anticorpi materni il momento ideale per questo vaccino è la somministrazione tra la 27° e la 36° settimana di gestazione. È stato più volte dimostrato che le più gravi manifestazioni cliniche e i decessi per pertosse si verificano principalmente nei primi due mesi di vita. Purtroppo, i programmi raccomandati di somministrazione del vaccino contro la pertosse non sono efficaci nel proteggere il bambino durante questo periodo ad alto rischio, anche quando viene utilizzato il programma accelerato che inizia a 6 settimane di età. La vaccinazione in gravidanza, dunque, rappresenta l’unico strumento per proteggere il bambino.
Tuttavia la persistenza degli anticorpi dopo una singola dose di vaccino in gravidanza è breve e non garantisce la protezione del bambino durante le gravidanze consecutive. Pertanto, la vaccinazione è attualmente raccomandata in ogni gravidanza.
Referenze
"Chi ha avuto il Covid non deve vaccinarsi contro la malattia perché ha sviluppato anticorpi naturali, semmai dovrà controllare il livello di questi anticorpi. E quando questi dovessero scendere, si può riconsiderare una vaccinazione".
Lo ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Spallanzani di Roma, intervenuto a 'Radio anch'io' su Rai Radio 1 sul tema del vaccino contro il coronavirus.
Il vaccino anti-Covid in sperimentazione allo Spallanzani di Roma "sarà disponibile all'inizio dell'estate, sempre che tutte le fasi vengano rispettate", ha aggiunto Ippolito, sottolineando che non ci si deve aspettare l'arrivo di tutti i vaccini allo stesso tempo: "Noi avremo dei vaccini opzionati entro l'estate, perché i vaccini non arrivano tutti insieme e non tutti hanno cominciato le fasi di sviluppo contemporaneamente".
"E' verosimile che le persone possano usare un vaccino" anti-Covid "diverso dopo essere state vaccinate" una prima volta senza successo, ha proseguito Ippolito. "Non è il primo caso. Abbiamo avuto esperienze con altri vaccini. Nelle persone che non rispondevano, o si raddoppiava la dose o si usava un altro vaccino. Tutti, alle conoscenze attuali, dovranno fare la seconda dose con lo stesso vaccino. Dopo però, per chi non risponde si farà probabilmente un altro vaccino".
"Ancora non abbiamo un criterio di scelta dei diversi vaccini - ha spiegato - Siamo già fortunati ad avere un vaccino che ha dimostrato, non su grandissimi numeri, ma su decina di migliaia di persone, di essere in grado di ridurre la malattia. Quando sapremo come la riduce, come rispondono e quale sarà l'mmunità delle singole persone, potremmo iniziare a dire 'questo vaccino è migliore per questa categoria'. Ora è ancora molto presto", ha concluso Ippolito.
Il vaccino contro il coronavirus sviluppato da Moderna è efficace al 94,1%. Si arriva al 100%, fa sapere l'azienda, se si considerano le forme gravi di Covid.
Sono molto promettenti i dati che arrivano dall'analisi di efficacia dello studio Cove di fase 3 sul candidato vaccino che ha coinvolto 30.000 volontari, fra cui 196 casi di Covid-19, di cui 30 gravi. L'efficacia del vaccino 'a stelle e strisce' "è risultata del 94,1%", rende noto Moderna, confermando così i risultati dell'analisi ad interim, mentre se si considerano le forme di Covid grave "è del 100%". Il vaccino mRna-1273 "continua ad essere generalmente ben tollerato", precisa ancora l'azienda: "Ad oggi non sono stati identificati seri problemi di sicurezza". Lo studio Cove ha superato i 2 mesi di follow-up mediano dopo la vaccinazione come richiesto dalla Fda statunitense per l'autorizzazione all'uso di emergenza.
A questo punto Moderna fa sapere che oggi chiederà l'autorizzazione all'uso di emergenza alla Fda, e l'autorizzazione all'immissione in commercio condizionale all'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e di andare avanti con le revisioni continue (rolling review), già avviate con le agenzie regolatorie internazionali. Lo studio di fase 3 è condotto in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) diretto da Anthony Fauci, parte dei National Institutes of Health (NIH), e con la Biomedical Advanced Research and Development Authority (Barda). L'efficacia del vaccino era stata dimostrata alla prima analisi ad interim su 95 casi.
L'analisi odierna si basa invece su 196 casi di Covid, di cui 185 nel gruppo placebo contro 11 casi nel gruppo mRna-1273. La stima puntuale dell'efficacia del vaccino risulta così del 94,1%. Un endpoint secondario ha analizzato i casi gravi di Covid-19. Tutti e 30 si sono verificati nel gruppo placebo e nessuno nel gruppo vaccinato con mRna-1273. "Ad oggi, nello studio si è verificato un decesso correlato a Covid-19 nel gruppo placebo".
L'efficacia era coerente "per età, razza, etnia e genere". I 196 casi di Covid-19 includevano 33 over 65 e 42 volontari appartenenti a minoranze. È in corso una revisione continua dei dati di sicurezza, e la società sottolinea di non aver identificato "nuovi gravi problemi di sicurezza". Sulla base di analisi precedenti, le reazioni avverse più comuni includevano dolore al sito di iniezione, affaticamento, mialgia, artralgia, mal di testa ed eritema o arrossamento al sito di iniezione. Le reazioni avverse sono aumentate in frequenza e gravità dopo la seconda dose. Moderna conferma inoltre che presenterà i dati dello studio Cove in una pubblicazione sottoposta a revisione.
L'azienda, che oggi presenta la domanda per il suo vaccino ad Ema ed Fda, ricorda di aver già avviato il processo di revisione continua con l'Agenzia europea dei medicinali, Health Canada, SwissMedic, l'Agenzia di regolamentazione dei medicinali e prodotti sanitari del Regno Unito (Mhra), il ministero della Salute in Israele e l'Autorità per le scienze sanitarie a Singapore e intende chiedere la prequalifica o l'Emergency Use Listing all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Inoltre, Moderna precisa che la riunione del Comitato consultivo sui vaccini e sui prodotti biologici correlati della Fda per l'esame del pacchetto di dati sulla sicurezza e sull'efficacia di mRna-1273 "sarà probabilmente programmata per giovedì 17 dicembre".
La società prevede che i Centri statunitensi per il controllo delle malattie e prevenzione (Cdc) stilino le raccomandazioni sui gruppi che dovranno essere vaccinati in via prioritaria, mentre la spedizione delle dosi ai punti di distribuzione del vaccino inizierà dopo aver ottenuto l'autorizzazione per l'uso di emergenza negli Stati Uniti.
Su mandato dell’UFSP, B&A e Büro BASS hanno esaminato l’influenza della COVID-19 sulla salute mentale della popolazione svizzera e sull’assistenza psichiatrica-psicoterapeutica nel nostro Paese.
Nel quadro del progetto è stato analizzato il ricorso a offerte di aiuto a bassa soglia. I dati mostrano che durante la fase del confinamento fino all’inizio dell’estate il ricorso a piattaforme informative e servizi di aiuto ha conosciuto un netto incremento. Il numero giornaliero di utenti è risultato in alcuni casi raddoppiato rispetto all’anno precedente. Vi sono inoltre indizi di un aumento dei pensieri suicidi in relazione all’emergenza.
Non si sono riscontrate difficoltà nell’ambito dell’assistenza psichiatrica o psicoterapeutica agli adulti. Nel caso di bambini e adolescenti si è invece registrato un aumento degli interventi d’emergenza.
Ripercussioni dei fattori di stress
La salute psichica è il risultato dell’interazione tra risorse e fonti di stress. Una situazione di emergenza, come quella che stiamo vivendo attualmente a causa della pandemia di COVID-19, può rompere questo equilibrio. Fattori di forte stress, quali disoccupazione, problemi finanziari, solitudine o conflitti familiari, possono accentuarsi durante la pandemia. Al contempo, le possibilità di attuare strategie consolidate di gestione dello stress, quali ad esempio il dialogo nella cerchia di amici sono limitate.
Alcuni aspetti dell’emergenza possono però essere vissuti anche in modo positivo. Per esempio per alcune persone il carico di lavoro nel periodo di confinamento è diminuito oppure si sono rafforzati i rapporti in famiglia. La pandemia ha dunque ripercussioni differenti in funzione della situazione individuale.
Nello studio sinottico sono state analizzate in modo approfondito le ripercussioni psichiche per determinate fasce della popolazione. In base ai risultati ottenuti si è potuto osservare quanto segue:
Non sono attualmente disponibili dati empirici riguardo ad altri possibili gruppi a rischio (personale sanitario, malati di COVID-19).
Il monitoraggio prosegue
Per lo studio sinottico sono stati raccolti e riassunti i risultati degli studi esistenti sulla salute mentale della popolazione in generale e di determinati gruppi a rischio in Svizzera.
Non sono ancora disponibili dati empirici sulle ripercussioni dell’emergenza a medio e lungo termine. Considerato che queste ultime dipenderanno in gran parte anche dal decorso della pandemia, il monitoraggio proseguirà fino all’inizio del 2021.
Venerdì 20 novembre, ore 12,46: nella sala parto del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS nasce Elisa.
La bimba, nata a termine da parto spontaneo, viene subito portata in stanza dalla mamma Chiara. Un fatto abituale al Gemelli, dove da almeno un decennio si effettua il rooming-in (‘stare insieme in una stanza’), pratica che supera il concetto tradizionale del ‘nido’ perché consente alla mamma e al bambino di stare insieme da subito, giorno e notte.
Ma nel caso di Elisa, il suo rooming-in ha un che di eccezionale. Perché Chiara, la mamma, ha contratto l’infezione da SARS CoV-2 nell’ultimo periodo della gravidanza. Ed è la prima volta in assoluto al Gemelli, e la prima volta in un ospedale di Roma, che a una mamma ‘positiva’ viene offerta la possibilità di stare in stanza con la sua neonata, subito dopo la nascita.
“Fino ad oggi – spiega il professor Giovanni Vento, direttore UOC di Neonatologia presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Associato di Neonatologia all’Università Cattolica, campus di Roma - per la situazione logistica ed epidemiologica dell’ospedale e per la mancanza di evidenze scientifiche certe (nessuno conosceva il comportamento e le conseguenze di questo nuovo virus all’inizio della pandemia), il neonato veniva temporaneamente separato da una madre positiva, fino alla dimissione, in attesa dell’esecuzione dei tamponi.
Grazie invece allo straordinario lavoro di un gruppo multidisciplinare costituito da ostetrici, ostetriche e anestesisti, neonatologi e pediatri, infettivologi e Direzione Sanitaria – prosegue il professor Vento - abbiamo costruito un percorso dedicato, che consente alle mamme positive di stare da subito insieme ai loro neonati, sempre garantendo però la massima sicurezza ai piccoli, posti in incubatrice o in un lettino coperto e collegati alla telemetria per il monitoraggio della saturazione arteriosa di ossigeno, della frequenza cardiaca e della frequenza respiratoria”.
“Questa esperienza del rooming-in COVID – riflette il professor Antonio Lanzone, Direttore UOC Ostetricia e Patologia Ostetrica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ordinario di Ostetricia e ginecologia, Università Cattolica, campus di Roma - sana una situazione umanamente difficile per le gestanti, poi puerpere, che passano molto tempo in solitudine; un disagio che viene accentuato dal distacco traumatico del figlio dal loro corpo e dal loro essere, che può avere anche conseguenze psicologiche a medio termine. Ma adesso, grazie ad uno sforzo organizzativo veramente importante e ad un ripensamento delle tecnologie e degli spazi, siamo potuti arrivare a fornire un vero rooming-in in tutto e per tutto simile a quello che pratichiamo per le mamme non COVID. E questo ci riempie di soddisfazione”.
La mamma di Elisa e la piccola ora sono tornate a casa e la neonata sarà visitata in ambulatorio nei prossimi giorni.
“Per la prima volta, all’interno del nostro Centro, abbiamo realizzato il rooming-in COVID mamma-neonato – prosegue il professor Vento - grazie all’organizzazione messa in campo sia durante la degenza in ospedale (madre-neonato insieme con monitoraggio e telemetria di tutti i parametri vitali e telecamera), che con la successiva presa in carico dopo la dimissione, attraverso controlli ambulatoriali, esecuzione dei tamponi e contatti telefonici e/o videochiamata. Organizzazione che vede il coinvolgimento di varie figure professionali (ostetrici, neonatologi, pediatri), in un meraviglioso gioco di squadra, portato avanti grazie alla grande disponibilità, competenza e amore da parte di tutti”.
A dimostrazione che, anche durante un’emergenza sanitaria come questa, si può continuare a migliorare e a donare gioia alle persone. Con una mano sul cuore.
Tra alcuni mesi – forse già a gennaio – arriveranno le prime dosi dei vaccini contro l'infezione da SARS-CoV2 e la Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie sta già ponendo la massima attenzione alle problematiche connesse all'arrivo di ingenti quantitativi di vaccino. Già nei giorni scorsi SIFO ha sottolineato la necessità di organizzare correttamente e per tempo tutta la filiera della cold chain (con particolare riferimento alla crioconservazione), e oggi richiama l'attenzione su un altro tema delicato: quello dei furti.
“Come società scientifica siamo molto attenti al fenomeno”, precisa Arturo Cavaliere, presidente SIFO, “il valore economico, clinico e sociale dei vaccini è così alto, che potrebbe richiamare l'attenzione di soggetti della criminalità organizzata, gli stessi che già negli anni scorsi si sono fatti protagonisti di furti in tante farmacie ospedaliere del nostro Paese. Non possiamo rischiare oggi di rivivere quelle situazioni inserite in un contesto ben più drammatico e diffuso, e per questo abbiamo deciso di alzare il livello di attenzione di tutto il sistema per non farci trovare impreparati”.
Negli anni scorsi la SIFO per far fronte ai numerosissimi furti di farmaci e medical devices aveva collaborato con i NAS e poi con AIFA. Con l'Agenzia del Farmaco aveva avviato il progetto PADLOCK che, grazie anche alla collaborazione di Scuola Superiore Sant’Anna, Farmindustria, Ania e Aiba, aveva messo a punto le Linee guida per fornire tutte le indicazioni necessarie per progettare e valutare il sistema di gestione per la garanzia della sicurezza del farmaco nella farmacia ospedaliera, consentendo agli agenti delle amministrazioni di controllare la corretta implementazione e gestione del sistema messo in opera. Quel documento oggi ritorna di grande attualità.
“Il messaggio che oggi SIFO ritiene di dover inviare a tutti gli attori della filiera, cioè istituzioni, decisori, gestori e operatori”, sottolinea Marcello Pani, segretario nazionale SIFO e coordinatore del progetto Padlock, “è quello di elevare al massimo il livello di attenzione, affinché il prezioso bene-vaccino sia protetto in tutte le fasi della sua gestione, con particolare riferimento al sito di stoccaggio che dovrà essere valutato con un approccio preventivo al fine di intraprendere le eventuali azioni di messa in sicurezza come ben descritto nelle Linee guida sopradette.”
“Il contrasto al furto ed al riciclaggio dei farmaci rimane al centro dell'attenzione di AIFA”, commenta Domenico Di Giorgio, Dirigente AIFA Area Ispezioni, Certificazioni, Contrasto al Crimine Farmaceutico, “la collaborazione consolidata da anni con SIFO e col nostro network di esperti ha già permesso lo sviluppo di linee guida che possono rappresentare un riferimento per gli operatori, anche in queste situazioni nuove determinate dalla situazione attuale. Le attività operative e la ricerca coordinate dall'Agenzia sul tema del contrasto ai furti farmaceutici rappresentano un'eccellenza a livello internazionale: in questi giorni, la letteratura relativa è stata aggiornata con una pubblicazione quadro realizzata con il Poligrafico dello Stato, che presenteremo a dicembre in un evento che vedrà anche il coinvolgimento di SIFO, per sottolineare l'importanza che diamo a questa collaborazione.”
“Denunciamo la gravissima situazione che si sta determinando negli ospedali del nostro Paese a danno dei pazienti cardiologici a causa della pandemia. Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) e convertite in terapie intensive per pazienti Covid.
L’intasamento dei Pronto Soccorso ed i percorsi promiscui in questi servizi di pronto intervento, che provocano i contagi del personale medico ed infermieristico, stanno inoltre determinando la paralisi delle attività di importanti hub cardiologici. Non possiamo permettere che si protragga questa situazione, il rischio concreto è di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Covid, perché le patologie cardiovascolari sono tempo-dipendenti”. È l’allarme lanciato da FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi), di fronte al progressivo depauperamento delle cardiologie e delle terapie intensive cardiologiche.
“Durante la prima ondata della pandemia, uno studio della Società Italiana di Cardiologia (SIC), condotto in 54 ospedali italiani, ha valutato la mortalità dei pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno – afferma il Prof. Ciro Indolfi, Vicepresidente FOCE e Presidente SIC -. A marzo 2020, si è registrata una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13,7% dal 4,1 %. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. La tempestività dell’intervento può fare la differenza fra la vita e la morte. Ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento di un infarto miocardico grave, la mortalità aumenta del 3% e un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può addirittura quadruplicare la mortalità. Non possiamo permettere il depotenziamento delle cardiologie ed è necessario ri-organizzare negli ospedali percorsi ad hoc per i pazienti cardiopatici acuti che dal territorio si ricoverano in urgenza”.
“Mi risulta che, anche nel Lazio, si stiano penalizzando le strutture cardiologiche e si stiano chiudendo anche alcuni dei centri che eseguono elevati numeri di angioplastiche primarie – spiega il Prof. Francesco Romeo, Segretario FOCE e Presidente Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus -. Più in generale, il numero di ricoveri per patologie cardiovascolari è crollato. Invece, va preservata la rete dell’emergenza cardiologica. Chiediamo a tutti di segnalarci situazioni di disagio per i pazienti”.
“Noi siamo i medici che curano e seguono ogni giorno gli undici milioni di cittadini in Italia colpiti da patologie oncologiche, cardiologiche e ematologiche – spiega il Prof. Francesco Cognetti. Presidente di FOCE -. Ne conosciamo le necessità, i bisogni e le problematicità. Abbiamo il dovere di proteggerli e di garantire loro la continuità dell’assistenza di diagnosi e cura, che per queste persone è cruciale e di primaria importanza. Siamo le antenne sul territorio che possono cogliere e denunciare le criticità a loro danno. E assistiamo con grande preoccupazione alla sottrazione di chances di cura, che rischia di vanificare vent’anni di progressi nella riduzione della mortalità. Chiediamo al Governo di stilare atti formali di indirizzo e coordinamento, per porre un argine a questa situazione. Uno degli otto punti irrinunciabili per la tutela delle persone con malattie oncologiche e cardiologiche, alla cui realizzazione è chiamato a lavorare il Tavolo Tecnico fra il Governo e FOCE da poco istituito, riguarda proprio la garanzia della piena operatività di tutte le strutture di oncologia medica (degenze ordinarie e day hospital), cardiologia (degenze cardiologiche e unità di terapie intensive cardiologiche) e ematologia (degenze ordinarie, day hospital, degenze per trapianto di midollo), anche a livello ambulatoriale”.
vettore adenovirus
Risultati positivi di alto livello da un'analisi ad interim di studi clinici di AZD1222 nel Regno Unito e in Brasile hanno mostrato che il vaccino è altamente efficace nel prevenire COVID-19 (endpoint primario) e non sono stati riportati ricoveri o casi gravi della malattia nei partecipanti che ricevevano il vaccino. Ci sono stati un totale di 131 casi COVID-19 nell'analisi ad interim.
Un regime di dosaggio (n = 2.741) ha mostrato un'efficacia del vaccino del 90% quando AZD1222 è stato somministrato come mezza dose, seguita da una dose piena ad almeno un mese di distanza, e un altro regime di dosaggio (n = 8.895) ha mostrato un'efficacia del 62% quando somministrato come due dosi intere ad almeno un mese di distanza. L'analisi combinata di entrambi i regimi di dosaggio (n = 11.636) ha prodotto un'efficacia media del 70%. Tutti i risultati sono stati statisticamente significativi (p <= 0,0001). Continueranno ad arrivare ulteriori dati e verranno condotte ulteriori analisi, affinando la lettura dell'efficacia e stabilendo la durata della protezione.
Un comitato di monitoraggio della sicurezza dei dati indipendente ha stabilito che l'analisi ha raggiunto il suo endpoint primario, mostrando la protezione da COVID-19 che si verifica 14 giorni o più dopo aver ricevuto due dosi del vaccino. Non sono stati confermati eventi gravi di sicurezza relativi al vaccino. AZD1222 è stato ben tollerato in entrambi i regimi di dosaggio.
AstraZeneca ora preparerà immediatamente la presentazione normativa dei dati alle autorità di tutto il mondo, che dispongono di un quadro per l'approvazione condizionale o anticipata. La Società cercherà una 'Emergency Use Listing' dall'Organizzazione mondiale della sanità -OMS, per un percorso accelerato verso la disponibilità di vaccini nei paesi a basso reddito. Parallelamente, l'analisi completa dei risultati provvisori viene presentata per la pubblicazione in una rivista peer-reviewed.
Il professor Andrew Pollard, capo investigatore dell'Oxford Vaccine Trial a Oxford, ha dichiarato: “Questi risultati mostrano che abbiamo un vaccino efficace che salverà molte vite. È interessante notare che abbiamo scoperto che uno dei nostri regimi di dosaggio può essere efficace intorno al 90%e se viene utilizzato questo regime di dosaggio, più persone potrebbero essere vaccinate con una fornitura di vaccini pianificata. L'annuncio di oggi è possibile solo grazie ai numerosi volontari che partecipano alla nostra sperimentazione e al team di ricercatori di talento e duro lavoro con sede in tutto il mondo.
Pascal Soriot, amministratore delegato, ha dichiarato: “La giornata di oggi segna una tappa importante nella nostra lotta contro la pandemia. L'efficacia e la sicurezza di questo vaccino confermano che sarà altamente efficace contro COVID-19 e avrà un impatto immediato su questa emergenza sanitaria pubblica. Inoltre, la semplice catena di approvvigionamento del vaccino e il nostro impegno e impegno senza scopo di lucro per un accesso ampio, equo e tempestivo significa che sarà conveniente e disponibile a livello globale, fornendo centinaia di milioni di dosi su approvazione ".
L'analisi aggregata includeva i dati dello studio di fase II / III COV002 nel Regno Unito e dello studio di fase III COV003 in Brasile. Sono in corso di valutazione oltre 23.000 partecipanti a seguito di due dosi di un regime di mezza dose / dose piena o di un regime di due dosi piene di AZD1222 o di un vaccino coniugato meningococcico di confronto chiamato MenACWY o soluzione salina. Gli studi globali stanno valutando partecipanti di età pari o superiore a 18 anni, provenienti da diversi gruppi razziali e geografici che sono sani o hanno condizioni mediche di base stabili.
Sono in corso studi clinici anche negli Stati Uniti, Giappone, Russia, Sud Africa, Kenya e America Latina con sperimentazioni pianificate in altri paesi europei e asiatici. In totale, la Società prevede di iscrivere fino a 60.000 partecipanti a livello globale.
L'azienda sta compiendo rapidi progressi nella produzione con una capacità fino a 3 miliardi di dosi di vaccino nel 2021 su base continuativa, in attesa dell'approvazione normativa. Il vaccino può essere conservato, trasportato e manipolato in condizioni refrigerate normali (2-8 gradi Celsius / 36-46 gradi Fahrenheit) per almeno sei mesi e somministrato all'interno delle strutture sanitarie esistenti.
AstraZeneca continua a impegnarsi con governi, organizzazioni multilaterali e collaboratori in tutto il mondo per garantire un accesso ampio ed equo al vaccino senza scopo di lucro per tutta la durata della pandemia.
COV002
COV002 è uno studio di Fase II / III in singolo cieco, multicentrico, randomizzato e controllato che valuta la sicurezza, l'efficacia e l'immunogenicità di AZD1222 in 12.390 partecipanti nel Regno Unito. Ad oggi i partecipanti alla sperimentazione hanno un'età pari o superiore a 18 anni, sono sani o hanno malattie croniche stabili dal punto di vista medico e sono a maggior rischio di essere esposti al virus SARS-CoV-2. I partecipanti ricevono una o due dosi intramuscolari di mezza dose (~ 2,5 x10 10 particelle virali) o dose intera (~ 5x10 10particelle virali) di AZD1222 o di confronto, vaccino meningococcico MenACWY. I partecipanti hanno prelevato campioni di sangue e valutazioni cliniche per la sicurezza e l'immunogenicità a più intervalli temporali fino a un anno dopo la vaccinazione. I casi sospetti che presentavano sintomi compatibili sono stati testati per la conferma virologica mediante PCR COVID-19. Inoltre, vengono eseguiti tamponi settimanali per il rilevamento dell'infezione e la valutazione dell'efficacia del vaccino contro l'infezione.
COV003
COV003 è uno studio di Fase III in singolo cieco, multicentrico, randomizzato e controllato che valuta la sicurezza, l'efficacia e l'immunogenicità di AZD1222 in 10.300 partecipanti in Brasile. I partecipanti alla sperimentazione ad oggi hanno un'età pari o superiore a 18 anni, sono sani o hanno malattie croniche stabili dal punto di vista medico e sono a maggior rischio di essere esposti al virus SARS-CoV-2. I partecipanti vengono randomizzati a ricevere due dosi intramuscolari di una dose piena (~ 5x10 10particelle virali) di AZD1222 o di confronto, il vaccino meningococcico MenACWY come prima dose e un placebo salino come seconda dose. I partecipanti hanno prelevato campioni di sangue e valutazioni cliniche per la sicurezza e l'immunogenicità a più intervalli temporali fino a un anno dopo la vaccinazione. I casi sospetti che presentavano sintomi compatibili sono stati testati per la conferma virologica mediante PCR COVID-19.
AZD1222
AZD1222 è stato inventato congiuntamente dall'Università di Oxford e dalla sua società spin-out, Vaccitech. Utilizza un vettore virale di scimpanzé carente di replicazione basato su una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus) che causa infezioni negli scimpanzé e contiene il materiale genetico della proteina spike del virus SARS-CoV-2. Dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale, che prepara il sistema immunitario ad attaccare il virus SARS-CoV-2 se successivamente infetta il corpo.
La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha rilasciato un'autorizzazione all'uso di emergenza (EUA) per casirivimab e imdevimab da somministrare insieme per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderato negli adulti e nei pazienti pediatrici (di età pari o superiore a 12 anni e con peso di almeno 40 chilogrammi) con risultati positivi del test virale SARS-CoV-2 diretto e che sono ad alto rischio di progredire a COVID-19 grave. Ciò include coloro che hanno 65 anni o più o che hanno determinate condizioni mediche croniche.
In uno studio clinico su pazienti con COVID-19, è stato dimostrato che casirivimab e imdevimab,somministrati insieme, riducono l'ospedalizzazione o le visite al pronto soccorso correlate a COVID-19 in pazienti ad alto rischio di progressione della malattia entro 28 giorni dopo il trattamento rispetto al placebo. La sicurezza e l'efficacia di questa terapia sperimentale per l'uso nel trattamento del COVID-19 continua a essere valutata.
Casirivimab e imdevimab devono essere somministrati insieme mediante infusione endovenosa (IV).
Casirivimab e imdevimab non sono autorizzati per i pazienti ricoverati in ospedale a causa di COVID-19 o che necessitano di ossigenoterapia a causa di COVID-19. Un beneficio del trattamento con casirivimab e imdevimab non è stato dimostrato nei pazienti ospedalizzati a causa di COVID-19. Gli anticorpi monoclonali, come casirivimab e imdevimab, possono essere associati a esiti clinici peggiori quando somministrati a pazienti ospedalizzati con COVID-19, che richiedono ossigeno ad alto flusso o ventilazione meccanica.
“La FDA resta impegnata a promuovere la salute pubblica della nazione durante questa pandemia senza precedenti. Autorizzare queste terapie con anticorpi monoclonali può aiutare i pazienti ambulatoriali a evitare il ricovero in ospedale e ad alleviare il carico sul nostro sistema sanitario ", ha affermato il commissario della FDA Stephen M. Hahn, MD" Come parte del nostro programma di accelerazione del trattamento del coronavirus, la FDA utilizza ogni possibile percorso per realizzare nuovi trattamenti a disposizione dei pazienti il ??più rapidamente possibile pur continuando a studiare la sicurezza e l'efficacia di questi trattamenti ".
Gli anticorpi monoclonali sono proteine ??prodotte in laboratorio, che imitano la capacità del sistema immunitario di combattere agenti patogeni dannosi come i virus. Casirivimab e imdevimab sono anticorpi monoclonali specificamente diretti contro la proteina spike di SARS-CoV-2, progettati per bloccare l'attaccamento del virus e l'ingresso nelle cellule umane.
"L'autorizzazione di emergenza di questi anticorpi monoclonali somministrati insieme offre agli operatori sanitari un altro strumento per combattere la pandemia", ha detto Patrizia Cavazzoni, MD, direttore ad interim del Center for Drug Evaluation and Research della FDA. "Continueremo a facilitare lo sviluppo, la valutazione e la disponibilità delle terapie COVID-19".
L'emissione di una EUA è diversa dall'approvazione della FDA.
Nel determinare se emettere una EUA, la FDA valuta la totalità delle prove scientifiche disponibili e bilancia attentamente qualsiasi rischio noto o potenziale con qualsiasi beneficio noto o potenziale del prodotto per l'uso durante un'emergenza. Sulla base della revisione della FDA della totalità delle prove scientifiche disponibili, l'agenzia ha stabilito che è ragionevole ritenere che casirivimab e imdevimab somministrati insieme possano essere efficaci nel trattamento di pazienti con COVID-19 lieve o moderata. Quando utilizzati per trattare COVID-19 per la popolazione autorizzata, i benefici noti e potenziali di questi anticorpi superano i rischi noti e potenziali. Non ci sono trattamenti alternativi adeguati, approvati e disponibili a casirivimab e imdevimab somministrati insieme per la popolazione autorizzata.
I dati a sostegno di questa EUA per casirivimab e imdevimab si basano su uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo su 799 adulti non ospedalizzati con sintomi COVID-19 da lievi a moderati. Di questi pazienti, 266 hanno ricevuto una singola infusione endovenosadi 2.400 milligrammi di casirivimab e imdevimab (1.200 mg di ciascuno), 267 hanno ricevuto 8.000 mg di casirivimab e imdevimab (4.000 mg di ciascuno) e 266 hanno ricevuto un placebo, entro tre giorni dall'ottenimento di un risultato positivo. Test virale SARS-CoV-2.
L'endpoint primario prespecificato per lo studio era la variazione media ponderata nel tempo della carica virale rispetto al basale. La riduzione della carica virale nei pazienti trattati con casirivimab e imdevimab è stata maggiore rispetto ai pazienti trattati con placebo al settimo giorno. Tuttavia, l'evidenza più importante dell'efficacia di casirivimab e imdevimab somministrati insieme proviene dall'endpoint secondario predefinito delle visite mediche correlate al COVID-19, in particolare ricoveri e visite al pronto soccorso entro 28 giorni dal trattamento. Per i pazienti ad alto rischio di progressione della malattia, i ricoveri e le visite al pronto soccorso si sono verificati in media nel 3% dei pazienti trattati con casirivimab e imdevimab rispetto al 9% nei pazienti trattati con placebo. Gli effetti sulla carica virale,
Sotto l'EUA, schede che forniscono informazioni importanti sull'uso casirivimab e imdevimab somministrati insieme nel trattamento COVID-19 come autorizzato deve essere messo a disposizione di operatori sanitari e ai pazienti e operatori sanitari. Queste schede informative includono istruzioni sul dosaggio, potenziali effetti collaterali e interazioni farmacologiche. I possibili effetti collaterali di casirivimab e imdevimab includono: anafilassi e reazioni correlate all'infusione, febbre, brividi, orticaria, prurito e arrossamento.
L'EUA è stata rilasciata a Regeneron Pharmaceuticals Inc.
The U.S. Food and Drug Administration issued an emergency use authorization (EUA) for casirivimab and imdevimab to be administered together for the treatment of mild to moderate COVID-19 in adults and pediatric patients (12 years of age or older weighing at least 40 kilograms [about 88 pounds]) with positive results of direct SARS-CoV-2 viral testing and who are at high risk for progressing to severe COVID-19. This includes those who are 65 years of age or older or who have certain chronic medical conditions.
In a clinical trial of patients with COVID-19, casirivimab and imdevimab, administered together, were shown to reduce COVID-19-related hospitalization or emergency room visits in patients at high risk for disease progression within 28 days after treatment when compared to placebo. The safety and effectiveness of this investigational therapy for use in the treatment of COVID-19 continues to be evaluated.
Casirivimab and imdevimab must be administered together by intravenous (IV) infusion.
Casirivimab and imdevimab are not authorized for patients who are hospitalized due to COVID-19 or require oxygen therapy due to COVID-19. A benefit of casirivimab and imdevimab treatment has not been shown in patients hospitalized due to COVID-19. Monoclonal antibodies, such as casirivimab and imdevimab, may be associated with worse clinical outcomes when administered to hospitalized patients with COVID-19 requiring high flow oxygen or mechanical ventilation.
“The FDA remains committed to advancing the nation’s public health during this unprecedented pandemic. Authorizing these monoclonal antibody therapies may help outpatients avoid hospitalization and alleviate the burden on our health care system,” said FDA Commissioner Stephen M. Hahn, M.D. “As part of our Coronavirus Treatment Acceleration Program, the FDA uses every possible pathway to make new treatments available to patients as quickly as possible while continuing to study the safety and effectiveness of these treatments.”
Monoclonal antibodies are laboratory-made proteins that mimic the immune system’s ability to fight off harmful pathogens such as viruses. Casirivimab and imdevimab are monoclonal antibodies that are specifically directed against the spike protein of SARS-CoV-2, designed to block the virus’ attachment and entry into human cells.
“The emergency authorization of these monoclonal antibodies administered together offers health care providers another tool in combating the pandemic,” said Patrizia Cavazzoni, M.D., acting director of the FDA’s Center for Drug Evaluation and Research. “We will continue to facilitate the development, evaluation and availability of COVID-19 therapies.”
The issuance of an EUA is different than an FDA approval. In determining whether to issue an EUA, the FDA evaluates the totality of available scientific evidence and carefully balances any known or potential risks with any known or potential benefits of the product for use during an emergency.
Based on the FDA’s review of the totality of the scientific evidence available, the agency has determined that it is reasonable to believe that casirivimab and imdevimab administered together may be effective in treating patients with mild or moderate COVID-19. When used to treat COVID-19 for the authorized population, the known and potential benefits of these antibodies outweigh the known and potential risks. There are no adequate, approved and available alternative treatments to casirivimab and imdevimab administered together for the authorized population.
The data supporting this EUA for casirivimab and imdevimab are based on a randomized, double-blind, placebo-controlled clinical trial in 799 non-hospitalized adults with mild to moderate COVID-19 symptoms. Of these patients, 266 received a single intravenous infusion of 2,400 milligrams casirivimab and imdevimab (1,200 mg of each), 267 received 8,000 mg casirivimab and imdevimab (4,000 mg of each), and 266 received a placebo, within three days of obtaining a positive SARS-CoV-2 viral test.
The prespecified primary endpoint for the trial was time-weighted average change in viral load from baseline. Viral load reduction in patients treated with casirivimab and imdevimab was larger than in patients treated with placebo at day seven. However, the most important evidence that casirivimab and imdevimab administered together may be effective came from the predefined secondary endpoint of medically attended visits related to COVID-19, particularly hospitalizations and emergency room visits within 28 days after treatment. For patients at high risk for disease progression, hospitalizations and emergency room visits occurred in 3% of casirivimab and imdevimab-treated patients on average compared to 9% in placebo-treated patients. The effects on viral load, reduction in hospitalizations and ER visits were similar in patients receiving either of the two casirivimab and imdevimab doses.
Under the EUA, fact sheets that provide important information about using casirivimab and imdevimab administered together in treating COVID-19 as authorized must be made available to health care providers and to patients and caregivers. These fact sheets include dosing instructions, potential side effects and drug interactions. Possible side effects of casirivimab and imdevimab include: anaphylaxis and infusion-related reactions, fever, chills, hives, itching and flushing.
The EUA was issued to Regeneron Pharmaceuticals Inc.
Nota Anaao Assomed
L’epidemia da COVID-19 ha rivoluzionato, in pochi mesi, l’assetto standard del nostro sistema di cure, evidenziando le sue qualità, ma allo stesso tempo i limiti, conseguenti al decennio di definanziamento ai danni del sistema sanitario nazionale utilizzato come bancomat invece che come preziosa risorsa.
Le politiche di tagli hanno così determinato una drastica riduzione di posti letto su tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle Regioni sottoposte a piani di rientro. E come prevedibile, oggi ci troviamo costretti a dover fronteggiare una pandemia che ripropone drammaticamente il problema della carenza dei posti letto insieme a quella del personale medico specialista.
La carenza di specialisti, già trattata da precedenti studi Anaao Assomed, si sta manifestando anche durante questa seconda ondata dell’epidemia: mancano internisti, infettivologi, pneumologi in tutte le Regioni, e allora le Aziende, quando si arriva al massimo ottenibile dagli specialisti di branca, “convertono” e precettano chirurghi, ortopedici, oculisti, chiedendo loro la gestione di pazienti complessi in branche non affini o equipollenti, e ovviando in tal modo, goffamente alla storica e mai definitivamente risolta carenza strutturale di personale.
Il saldo finale è sempre zero: il personale medico è praticamente quello di sempre.
In Italia oltre il 50% dei posti letto internistici è occupato da pazienti COVID, con punte regionali-provinciali elevatissime (Piemonte 93%, P.A. Bolzano 104%). Non tutte le Regioni partivano dallo stesso livello di dotazione di posti letto quando è scoppiata la pandemia: la Calabria ad esempio aveva circa 1/3 dei posti letto internistici del Friuli, rapportati alla popolazione, la Campania partiva da una condizione di posti letto/100.000 abitanti inferiore del 30% rispetto alla media nazionale.
Dai dati a disposizione, sembra che le Regioni abbiano aumentato i posti letto di degenza ordinaria e di terapia intensiva, ma probabilmente è come il gioco delle tre carte e permette di avere indicatori non “rossi” ma “gialli” o “arancioni”: si convertono posti letto per acuti di altre branche specialistiche e si fanno risultare come posti letto COVID, attivati o attivabili, riducendo drasticamente le possibilità di cure ordinarie del cittadino, non garantendo più risposte al bisogno di salute della popolazione per tutto ciò che non riguarda SARS-COV-2.
L’unico, vero indicatore oggettivo, che possa esprimere lo stato di criticità dei reparti di medicina interna, pneumologia e malattie infettive è il confronto del numero dei ricoveri COVID con i posti letto disponibili al 2018 (ultimo dato disponibile non “dopato” dalla pandemia). È possibile che siano state fatte alcune assunzioni di medici e che siano stati davvero incrementati i posti letto, ma riteniamo che siano dei correttivi poco o per nulla influenti sui carichi di lavoro.
In questo studio l’Anaao Assomed ha analizzato, regione per regione, i posti letto al 2018, i posti attivati nel 2020 e i rapporti con il numero di abitanti, poi li ha confrontati con il numero dei ricoveri COVID, mettendo in risalto regioni virtuose e regioni da “bocciare”.
Così facendo, si comprende il dramma delle nostre strutture sanitarie: Lombardia satura al 129%, Liguria al 118%, Lazio al 91%, Campania 87%, ma a far saltare dalla sedia è il dato del Piemonte al 191%.
Si può parlare a lungo di indice Rt e non ne si vuole screditare l’importanza, ma se i posti letto standard di una regione sono occupati solo da pazienti COVID, è necessario prendere decisioni politiche anche dolorose, per non piangere successivamente migliaia di morti evitabili per il collasso totale dei sistemi sanitari regionali.
Superata l’emergenza, sarà necessario superare un paradigma sanitario che si è rivelato fallimentare nella elargizione, divisione ed organizzazione delle risorse, confidando che le criticità emerse abbiano chiarito anche ai governatori meno lungimiranti, che la cura dei pazienti richiede posti letto, personale sanitario, risorse economiche ed una organizzazione capillare.
Pfizer and BioNTech SE announced that, after conducting the final efficacy analysis in their ongoing Phase 3 study, their mRNA-based COVID-19 vaccine candidate, BNT162b2, met all of the study’s primary efficacy endpoints. Analysis of the data indicates a vaccine efficacy rate of 95% (p<0.0001) in participants without prior SARS-CoV-2 infection (first primary objective) and also in participants with and without prior SARS-CoV-2 infection (second primary objective), in each case measured from 7 days after the second dose.
The first primary objective analysis is based on 170 cases of COVID-19, as specified in the study protocol, of which 162 cases of COVID-19 were observed in the placebo group versus 8 cases in the BNT162b2 group. Efficacy was consistent across age, gender, race and ethnicity demographics. The observed efficacy in adults over 65 years of age was over 94%.
There were 10 severe cases of COVID-19 observed in the trial, with nine of the cases occurring in the placebo group and one in the BNT162b2 vaccinated group.
To date, the Data Monitoring Committee for the study has not reported any serious safety concerns related to the vaccine. A review of unblinded reactogenicity data from the final analysis which consisted of a randomized subset of at least 8,000 participants 18 years and older in the phase 2/3 study demonstrates that the vaccine was well tolerated, with most solicited adverse events resolving shortly after vaccination. The only Grade 3 (severe) solicited adverse events greater than or equal to 2% in frequency after the first or second dose was fatigue at 3.8% and headache at 2.0% following dose 2. Consistent with earlier shared results, older adults tended to report fewer and milder solicited adverse events following vaccination.
In addition, the companies announced that the safety milestone required by the U.S. Food and Drug Administration (FDA) for Emergency Use Authorization (EUA) has been achieved. Pfizer and BioNTech plan to submit a request within days to the FDA for an EUA based on the totality of safety and efficacy data collected to date, as well as manufacturing data relating to the quality and consistency of the vaccine. These data also will be submitted to other regulatory agencies around the world.
“The study results mark an important step in this historic eight-month journey to bring forward a vaccine capable of helping to end this devastating pandemic. We continue to move at the speed of science to compile all the data collected thus far and share with regulators around the world,” said Dr. Albert Bourla, Pfizer Chairman and CEO. “With hundreds of thousands of people around the globe infected every day, we urgently need to get a safe and effective vaccine to the world.”
“We are grateful that the first global trial to reach the final efficacy analysis mark indicates that a high rate of protection against COVID-19 can be achieved very fast after the first 30 µg dose, underscoring the power of BNT162 in providing early protection,” said Ugur Sahin, M.D., CEO and Co-founder of BioNTech. “These achievements highlight the potential of mRNA as a new drug class. Our objective from the very beginning was to design and develop a vaccine that would generate rapid and potent protection against COVID-19 with a benign tolerability profile across all ages. We believe we have achieved this with our vaccine candidate BNT162b2 in all age groups studied so far and look forward to sharing further details with the regulatory authorities. I want to thank all the devoted women and men who contributed to this historically unprecedented achievement. We will continue to work with our partners and governments around the world to prepare for global distribution in 2020 and beyond.”
The Phase 3 clinical trial of BNT162b2 began on July 27 and has enrolled 43,661 participants to date, 41,135 of whom have received a second dose of the vaccine candidate as of November 13, 2020. Approximately 42% of global participants and 30% of U.S. participants have racially and ethnically diverse backgrounds, and 41% of global and 45% of U.S. participants are 56-85 years of age. A breakdown of the diversity of clinical trial participants can be found here from approximately 150 clinical trials sites in United States, Germany, Turkey, South Africa, Brazil and Argentina. The trial will continue to collect efficacy and safety data in participants for an additional two years.
Based on current projections, the companies expect to produce globally up to 50 million vaccine doses in 2020 and up to 1.3 billion doses by the end of 2021. Four of Pfizer’s facilities are part of the manufacturing and supply chain; St. Louis, MO; Andover, MA; and Kalamazoo, MI in the U.S.; and Puurs in Belgium. BioNTech’s German sites will also be leveraged for global supply.
Pfizer is confident in its vast experience, expertise and existing cold-chain infrastructure to distribute the vaccine around the world. The companies have developed specially designed, temperature-controlled thermal shippers utilizing dry ice to maintain temperature conditions of -70°C±10°C. They can be used be as temporary storage units for 15 days by refilling with dry ice. Each shipper contains a GPS-enabled thermal sensor to track the location and temperature of each vaccine shipment across their pre-set routes leveraging Pfizer’s broad distribution network.
Pfizer and BioNTech plan to submit the efficacy and safety data from the study for peer-review in a scientific journal once analysis of the data is completed.
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Spot Allegri
Progetto realizzato grazie al contributo incondizionato di: Ipsen S.p.A. ; Pierre Fabre Pharma
Il rilascio dei codici Covid avverà molto più rapidamente e facilmente. Immettendo questi codici nell’app SwissCovid, le persone risultate positive al test del coronavirus possono informare gli altri utenti dell’app di un rischio di contagio. Fino a questo momento erano autorizzati a rilasciare il codice unicamente i servizi medici cantonali e i medici curanti.
L’autorizzazione è stata ora estesa anche ai laboratori, ai collaboratori dell’Infoline Coronavirus, ai centri di test e alle farmacie. Nella sua seduta del 18 novembre 2020 il Consiglio federale ha adottato una modifica della pertinente ordinanza in tal senso, nell’ambito della quale è stata creata anche la base legale necessaria per la completa automatizzazione del processo inerente al codice Covid, il tutto nel pieno rispetto della protezione dei dati.
L'interruzione delle catene di infezione attraverso misure quali l'isolamento delle persone risultate positive al test e la messa in quarantena di chi ha avuto stretti contatti con loro, nel quadro del cosiddetto tracciamento dei contatti, è uno strumento importante nella lotta alla pandemia di COVID-19. Il sistema di tracciamento della prossimità (sistema TP) dell'app SwissCovid serve a supportare questo processo. Immettendo il codice Covid nell'app, gli utenti risultati positivi al test attivano l'invio anonimo di un messaggio a tutti gli utenti che sono stati esposti al contagio. Per fornire il codice Covid il più rapidamente possibile agli utenti dell'app risultati positivi al test, d'ora in poi anche altri attori potranno accedere al sistema di gestione dei codici per il rilascio di codici Covid. È tuttora garantita la protezione dei dati che mantiene assoluta priorità.
Scopo della modifica di ordinanza
La modifica dell'ordinanza del 24 giugno 2020 sul sistema di tracciamento della prossimità per il coronavirus SARS-CoV-2 (RS 818.101.25) permette di sgravare i medici cantonali estendendo ad altri attori il diritto di accesso al sistema di gestione dei codici e rendendo possibile la generazione automatica dei codici Covid. La modifica ha lo scopo principale di accelerare il rilascio dei codici Covid per ridurre al minimo il tempo che intercorre tra la ricezione di un test positivo e la comunicazione ad altri utenti dell'app SwissCovid.
Estensione dell'autorizzazione al rilascio dei codici Covid
In base alla modifica di ordinanza, i codici Covid possono essere rilasciati ora anche dai laboratori, dai collaboratori dell'Infoline, dai centri di test e dalle farmacie. Considerato che i laboratori sono i primi a conoscere il risultato positivo di un test, autorizzarli a rilasciare codici Covid può contribuire in modo determinante ad accelerare il processo di tracciamento e di conseguenza ad accrescere l'efficacia dell'app SwissCovid.
Nel caso dei test rapidi, sono i collaboratori dei centri di test a comunicare alle persone interessate l'eventuale risultato positivo: da questo momento, assieme al risultato potranno fornire direttamente loro anche un codice Covid. Lo stesso vale per il personale delle farmacie, attrezzati per l'esecuzione dei test rapidi. Per sgravare ulteriormente i servizi medici cantonali è stato inoltre esteso il diritto di accesso al sistema di gestione dei codici anche ai collaboratori dell'Infoline.
Automatizzazione del processo inerente al codice Covid
Al fine di semplificare e soprattutto di accelerare il rilascio dei codici Covid, questi ultimi potranno ora essere generati e inviati automaticamente agli utenti dell'app SwissCovid risultati positivi al test. Per principio possono utilizzare questo sistema automatico tutte le strutture sanitarie ovvero tutto il personale specializzato delle stesse, autorizzato ad accedere al sistema di gestione dei codici. Per permettere la generazione automatica di codici Covid serve un'interfaccia tra questo sistema e il sistema della struttura sanitaria interessata.
Oggi, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha rilasciato un'autorizzazione all'uso di emergenza (EUA) per il primo test diagnostico COVID-19 per l'auto-test a casa e che fornisce risultati rapidi. Lucira COVID-19 All-In-One Test Kit è un test molecolare (reazione di amplificazione mediata da loop in tempo reale) che ha lo scopo di rilevare il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 che causa COVID-19.
“La FDA continua a dimostrare la sua velocità senza precedenti in risposta alla pandemia. Sebbene i test diagnostici COVID-19 siano stati autorizzati per la raccolta a casa, questo è il primo che può essere completamente auto-somministrato e fornire risultati a casa. Questa nuova opzione di test è un importante progresso diagnostico per affrontare la pandemia e ridurre il carico pubblico della trasmissione della malattia ", ha affermato il commissario della FDA Stephen M. Hahn, MD" L'azione odierna sottolinea l'impegno costante della FDA per espandere l'accesso ai test COVID-19 ".
Il test Lucira COVID-19 All-In-One Test Kit è stato autorizzato per l'uso domestico con campioni di tamponi nasali auto-raccolti in soggetti di età pari o superiore a 14 anni sospettati di COVID-19 dal proprio medico. È anche autorizzato per l'uso in strutture point-of-care (POC) (p. Es., Studi medici, ospedali, centri di assistenza urgente e pronto soccorso) per tutte le età, ma i campioni devono essere raccolti da un operatore sanitario quando il test viene utilizzato presso il POC per testare individui di età inferiore ai 14 anni. Il test è attualmente autorizzato solo per uso su prescrizione.
Il test funziona facendo roteare il tampone del campione auto-raccolto in una fiala che viene quindi collocata nell'unità di test. In 30 minuti o meno, i risultati possono essere letti direttamente dal display luminoso dell'unità di test che mostra se una persona è positiva o negativa per il virus SARS-CoV-2. I risultati positivi indicano la presenza di SARS-CoV-2. Gli individui con risultati positivi dovrebbero autoisolarsi e cercare cure aggiuntive dal proprio medico. Gli individui che risultano negativi al test e manifestano sintomi simili a COVID dovrebbero seguire il proprio medico curante poiché i risultati negativi non precludono a un individuo l'infezione da SARS-CoV-2.
“L'autorizzazione odierna per un test completo a casa è un passo significativo verso la risposta nazionale della FDA al COVID-19. Un test che può essere completamente somministrato interamente al di fuori di un laboratorio o di una struttura sanitaria è sempre stata una delle principali priorità per la FDA per affrontare la pandemia. Ora, più americani che potrebbero avere COVID-19 saranno in grado di intraprendere azioni immediate, in base ai loro risultati, per proteggere se stessi e coloro che li circondano ", ha affermato Jeff Shuren, MD, JD, direttore del Center for Devices and Radiological Health della FDA. "Non vediamo l'ora di lavorare in modo proattivo con gli sviluppatori di test per supportare la disponibilità di più opzioni di test a casa".
Una componente importante per il successo dei test a casa è la capacità di tracciare e monitorare in modo efficiente i risultati. Come indicato in questa EUA, gli operatori sanitari prescrittori sono tenuti a riportare tutti i risultati dei test che ricevono dalle persone che utilizzano il test alle autorità sanitarie pubbliche competenti in conformità con i requisiti locali, statali e federali. Lucira Health, il produttore del test, ha anche sviluppato l'etichettatura delle scatole, istruzioni di riferimento rapido e istruzioni per gli operatori sanitari per assistere con la segnalazione.
Cosa determina reazioni così diverse di fronte all’attacco del virus SarS-CoV-2? Perché alcune persone si ammalano gravemente e altre meno? Di fronte a quadri clinici complessi e instabili, è possibile prevedere il livello di gravità della malattia?
Uno studio basato su due casistiche indipendenti, portate avanti rispettivamente da una task force dell’IRCCS Humanitas guidata dal prof. Alberto Mantovani che comprende ricercatori e medici in prima linea contro Covid 19, e dal gruppo di medici e ricercatori dell’ASST Papa Giovanni XXIII, guidato dal prof. Alessandro Rambaldi, ha identificato un indicatore di gravità di malattia nei pazienti affetti da Covid 19: la molecola PTX3.
Il lavoro “Macrophage expression and prognostic significance of the long pentraxin PTX3 in COVID-19”, appena pubblicato su Nature Immunology, ha coinvolto 96 pazienti in Humanitas e 54 al Papa Giovanni XXIII. In più, grazie all’accesso ai dati e all’analisi bioinformatica supportata da Intelligenza Artificiale, ha esaminato i dati di pazienti residenti in Israele e USA. I ricercatori hanno indagato i meccanismi dell’immunità innata a livello del sangue circolante e del polmone.
“L’analisi ha portato alla luce il ruolo di un gene scoperto dal mio gruppo anni fa, la PTX3: una molecola coinvolta nell’immunità e nell’infiammazione – spiega il prof. Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University -. Nei pazienti malati di Covid-19, questa molecola è presente a livelli alti nel sangue circolante, nei polmoni, nelle cellule della prima linea di difesa (i macrofagi) e nelle cellule che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni (l’endotelio vascolare). Informazioni importanti dal momento che i pazienti malati di Covid-19 presentano una fortissima infiammazione (la sindrome di attivazione macrofagica) che porta a trombosi del microcircolo polmonare a livello delle cellule endoteliali. A seguire, abbiamo verificato che la PTX3 potesse essere un marcatore di gravità, grazie a reagenti e a un test messo a punto dai ricercatori di Humanitas”.
Le due casistiche indipendenti, quella di Milano e quella di Bergamo, confermano che la misura della PTX3 costituisce, ad oggi, il più importante fattore prognostico associato all’aggravamentodelle condizioni dei pazienti.
“Questi dati - spiega il prof. Alessandro Rambaldi direttore dell’Unità di Ematologia e del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo - confermano la centralità del danno endoteliale nella patogenesi delle manifestazioni più gravi osservate nei pazienti Covid. I livelli circolanti di PTX3, misurati nel sangue, serviranno a guidare la valutazione della risposta ai trattamenti di questi pazienti. La validazione dei risultati ottenuta in due coorti indipendenti di pazienti sottolinea la robustezza e la riproducibilità di questa osservazione e l’importanza di poter utilizzare materiale biologico opportunamente conservato al momento del ricovero di questi pazienti”.
Prossimo passaggio sarà il trasferimento della scoperta dal bancone della ricerca al letto del paziente. “Lo studio, che necessita di ulteriori verifiche e conferme, potrebbe costituire uno strumento importante per guidare i medici nella definizione delle terapie per ogni paziente” – prosegue il prof. Mantovani -. In Humanitas stiamo mettendo il test a servizio di medici impegnati con i pazienti Covid grazie alla collaborazione del Laboratorio di Analisi Cliniche dell’ospedale guidato dalla dott.ssa Maria Teresa Sandri. Ci auguriamo che possa aiutare i clinici a valutare tempestivamente la gravità della malattia e curare sempre meglio i malati”.
Partito da un approccio ad alta tecnologia, lo studio arriva a definire un test semplice – basta infatti un esame del sangue per valutare il livello della PTX3 –, a basso costo e potenzialmente condivisibile con tutti.
“Lo studio dimostra che l’avanzamento delle conoscenze si fa grazie alla raccolta di campioni biologici e dati personali e sanitari della popolazione, indispensabili per una efficace ricerca su COVID-19, secondo procedure operative standard internazionali consolidate” - conclude il prof. Rambaldi.
Con il progressivo aumento della diffusione epidemica da COVID-19, è stato rafforzato, su esplicita richiesta del Ministro della Salute, Roberto Speranza, il dispositivo dei Carabinieri dei NAS dedicato al controllo dei servizi devoluti all’ospitalità e alla cura delle persone anziane che si trovano in condizione di particolare vulnerabilità fisica, in ragione dell’età e della sussistenza di pregresse patologie.
Nell’ultima settimana, d’intesa con il Ministero della Salute, pertanto, è stata realizzata un’intensa campagna di verifiche che ha portato all’esecuzione di n. 232 ispezioni presso strutture sanitarie e socio-assistenziali, quali Residenze Sanitarie Assistite e di lungodegenza, case di riposo, comunità alloggio, ecc., con la finalità di accertare la regolare attuazione delle misure di contenimento e prevenzione alla diffusione epidemica e, nel contempo, individuare eventuali situazioni di insufficiente erogazione di servizi assistenziali e di mancato possesso dei titoli abilitativi professionali da parte degli operatori, propedeutici a episodi di omessa custodia e maltrattamento.
In 37 strutture sono state riscontrate irregolarità, contestando, complessivamente, 59 violazioni, di cui 9 penali e 43 amministrative, deferendo all’autorità giudiziaria 11 persone e segnalandone ulteriori 42.
In particolare, gli esiti hanno evidenziato 24 violazioni in materia di misure di prevenzione alla diffusione da COVID-19 (pari al 40% complessivo delle irregolarità riscontrate), riconducibili all’assenza di piani preventivi anti-COVID e, in 9 episodi, alla loro mancata attuazione, come l’individuazione di percorsi e aree dedicati, le modalità di gestione dei casi e di comunicazione all’autorità sanitaria, la programmazione delle fasi di pulizia e sanificazione, le prescrizioni per l’accesso dei visitatori in condizioni di sicurezza.
In misura minore sono state rilevate anche infrazioni relative al possesso e uso di adeguati Dispositivi di Protezione Individuale da parte degli operatori, sia assistenziali che impiegati in altre mansioni, alla formazione dei dipendenti in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e alla presenza di igienizzanti e disinfettanti.
Oltre ai controlli tesi a tutelare la salute degli anziani e disabili esposti a potenziale rischio di contagio da COVID-19, le verifiche hanno evidenziato anche 35 irregolarità inerenti al livello di assistenza fornita agli ospiti e l’adeguatezza strutturale dei locali, individuando operatori privi di adeguata qualifica professionale, presenza di un numero superiore di anziani rispetto al limite previsto e carenze igieniche nella preparazione dei pasti.
In 4 situazioni sono emerse criticità particolarmente gravi tali da richiedere un immediato provvedimento di sospensione dell’attività assistenziale.
Tra gli episodi più rilevanti si segnalano i seguenti:
NAS Palermo
In provincia di Trapani, i Carabinieri del NAS e dell’Arma territoriale hanno individuato due comunità alloggio per anziani prive del documento di valutazione dei rischi (DVR) all’interno dei luoghi di lavoro e delle misure organizzative di prevenzione dal contagio del virus COVID -19.
I due titolari delle case di riposo sono stati deferiti all’A.G. ed il Sindaco, a seguito delle risultanze acquisite dal NAS, ha disposto la chiusura per entrambe le strutture per gravi carenze igienico-strutturali e gestionali, con immediato trasferimento degli ospiti presso i propri familiari o altre strutture idonee.
Ulteriori ispezioni svolte tra le province di Palermo e Trapani, hanno consentito di individuare 3 strutture alle quali sono state contestate violazioni relative all’omessa adozione di misure organizzative di prevenzione dal contagio del virus COVID-19, in particolare per la mancanza di adeguate informazioni per gli ospiti ed i visitatori circa le modalità di comportamento e l’assenza di dispositivi di sanificazione.
NAS Campobasso
Nell’ambito dei controlli eseguiti presso varie strutture socio-assistenziali della provincia di Campobasso, il NAS ha sanzionato 6 comunità alloggio e case di riposo, a vario titolo, per carenze strutturali ed organizzative, mancanza di un numero adeguato di operatori rispetto agli ospiti presenti e sovrannumero di ospiti rispetto ai posti letto autorizzati.
NAS Catanzaro
Sequestrate 9 confezioni di medicinali per uso umano, scadute di validità, detenute nell’infermeria di una comunità alloggio per anziani.
NAS Bologna
A conclusione di un’attività d’indagine, sono state eseguite 4 misure di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti della titolare e di 3 collaboratrici di una casa di riposo, per maltrattamenti, esercizio abusivo della professione sanitaria e omissione di soccorso.
L’attività investigativa ha consentito di individuare la sistematica e continuata modalità vessatoria, violenta, minacciosa e ingiuriosa con cui gli indagati si rapportavano ai 9 anziani ospiti ultraottantenni della struttura.
Gli accertamenti hanno consentito di monitorare il trasferimento abusivo dell’attività assistenziale presso un albergo al fine di eludere dei controlli ispettivi.
Alle indagate sono state contestate ulteriori violazioni relative all’attivazione di una struttura socio assistenziale in assenza di autorizzazione, all’abuso nella somministrazione di farmaci, alla carenza di procedure organizzative e gestionali nonché all’assenza di regolari contratti di lavoro delle maestranze impiegate.
NAS Viterbo
A conclusione di attività ispettiva è stato segnalato alle autorità amministrative il responsabile della casa di riposo per aver condotto la struttura in assenza dei prescritti requisiti strutturali, organizzativi e funzionali (mancanza di figure professionali adeguate, carenze igienico strutturali e documentali, ospiti accolti in numero superiore alla capacità autorizzata, inadeguata scorta di D.P.I.), nonché omesso di attuare le previste misure di contenimento covid-19. Al termine dei riscontri, il Sindaco ha disposto la chiusura della citata casa di riposo e il conseguente trasferimento dei 10 ospiti presenti in altra idonea struttura.
NAS Catania
A seguito di ispezione igienico-sanitaria presso una comunità alloggio per anziani, è stato deferito il gestore per omessa comunicazione all’Autorità di Pubblica Sicurezza delle generalità delle persone alloggiate, riscontrando inoltre la mancanza di alcune figure professionali addette all’assistenza infermieristica e socio-ricreativa e la presenza di ospiti in sovrannumero. È stata inoltrata segnalazione per l’adozione di provvedimenti sospensivi.
NAS Reggio Calabria
È stata deferita la legale responsabile di struttura socio assistenziale poiché, nonostante un’ordinanza di sospensione attività emessa dal comune nel maggio 2020, la stessa aveva continuato l’esercizio di assistenza agli anziani, ospitando peraltro 12 degenti anziché 6, seppure in presenza di carenze strutturali ed organizzative, mancanza di personale qualificato e presenza di alimenti in cattivo stato di conservazione e scaduti di validità, destinati alla somministrazione degli ospiti. Al termine dell’intervento ispettivo, è stato seguito il sequestro penale della struttura.
La parola "virus" in questo 2020 e' stata la parola piu' pronunciata assieme a lockdown. Il pensiero di tutti e' infatti alla pandemia di Covid-19 in corso, ma dal "Global Health - Festival della Salute Globale" arriva il monito che ci ricorda come le infezioni virali siano numerose e diffuse in ogni epoca e luogo.
Non e' infatti la prima pandemia che il nostro pianeta si trova a dover fronteggiare, ne' l'unica in corso. Esistono infatti altri virus che continuano a mietere vittime nonostante si abbiano strumenti validissimi per fronteggiarli. Nella sessione 'Insieme contro l'Epatite e l'Hiv in tempo di Covid', alla ricerca del virus, organizzata con il contributo non condizionato di Gilead Sciences per venerdi' 13 alle 11, si parlera' di due casi emblematici: HIV ed Epatite C.
Porteranno il loro contributo il Viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, la dott.ssa Loreta Kondili, Medico Ricercatore presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell'Istituto Superiore di Sanita' e Responsabile della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti ViRali (Piter), la dott.ssa Barbara Suligoi, Direttore del Centro Operativo Aids dell'Istituto Superiore di Sanita', il DG di Gilead Sciences Italia, Valentino Confalone, con la moderazione del giornalista Daniel Della Seta. Il dibattito riguardera' i tre virus che sono testimonianza diretta della globalizzazione in epoche diverse, in Italia e nel mondo: Sars-Cov2, Hcv e Hiv.
Proprio all'Hiv, il 15 novembre, sara' dedicato anche il dialogo "Aids: cosa e' cambiato e cosa deve cambiare per sconfiggerla" tra Anton Pozniak, Presidente della International AIDS Society e fra i massimi esperti mondiali in materia, e il Prof. Stefano Vella, condirettore del Festival insieme al Prof. Walter Ricciardi. "Abbiamo tre virus con i quali ci confrontiamo ciclicamente negli ultimi 40 anni: oltre al Sars-CoV-2, i virus dell'Hcv e dell'Hiv, scoperti negli anni'80. Tre momenti diversi che hanno contrassegnato la storia dell'uomo e influenzato i suoi comportamenti. L'esperienza vissuta ci puo' essere utile per imparare la lezione in relazione all'attualita'. L'Hcv, l'Epatite C, e' un virus che possiamo eradicare con un trattamento di poche settimane, gratuito che in Italia il Ssn dispone per i pazienti da avviare e prendere in carico con la formula del 'linkage to care' nei centri prescrittori di infettivologia, epatologia e medicina interna", sottolinea il Viceministro della Salute Pierpaolo Sileri.
Ma che capacita' abbiamo noi di individuare i pazienti affetti dal virus? E' questa la lezione per tracciare e far emergere la malattia. È importante sottolineare la duplice lettura dell'attuale situazione pandemica. E' un problema di salute pubblica. Il Covid-19 ci ha insegnato come sia possibile grazie agli attuali screening dedicati poter abbinare altri test di assoluta semplicita' e facilita' di esecuzione, per far emergere il 'sommerso' ovvero l'enorme numero di pazienti, stimati in oltre 300mila, ancora inconsapevoli di avere contratto anni fa il virus dell'Epatite C, che puo' essere mortale per le complicanze che potrebbe avere se non trattato, provocando cirrosi ed epatocarcinoma.
IL PROGETTO LAB MOBILE - La nuova emergenza non ha fatto passare in secondo piano le altre iniziative. A questo proposito, il 4 novembre a Firenze e' ripartito il Lab Mobile "Insieme contro l'Aids e l'Epatite": l'iniziativa, realizzata con il contributo non condizionato di Gilead Sciences, in collaborazione con la Caritas e i volontari del Cuamm, e con la richiesta di patrocinio del Ministero della Salute e dell'Istituto Superiore di Sanita', e' stata promossa dalla Simg - Societa' Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, con il patrocinio della Simit - Societa' Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e dell'Aisf - Ass. Italiana per lo Studio del Fegato e di Fondazione The Bridge.
Lo scopo del Lab e' quello di sensibilizzare la popolazione sui corretti atteggiamenti di prevenzione per le malattie infettive, di informare su quelli che sono i rischi concreti e di effettuare screening. A bordo, personale specializzato per effettuare gli esami clinici per scoprire il 'sommerso' per Epatite C e Hiv. Laddove si individueranno soggetti affetti da queste infezioni, seguira' il linkage-to-care, la presa in carico del paziente che verra' sottoposto ai trattamenti specifici. Il Lab Mobile e' partito proprio un anno fa da Piazza San Pietro per la Giornata della Poverta' e abbraccia molte altre piazze d'Italia: a Roma dal 14 al 20 Novembre, poi a Firenze dal 21 al 29 per il Congresso Simg e infine a Bologna dal 13 Dicembre per il Congresso Simit.
Il Covid-19 ci permette di intervenire come opportunita' irrinunciabile di tracciamento e di intervento tempestivo dei focolai che si presentano, tracciare la catena del contagio, e in tal modo Covid trae beneficio dall'esperienza passata e la ricerca del virus ci permette di sfruttare i test sul Covid per fa emergere anche gli altri virus che certo non si sono fermati, ma vanno fermati e controllati per arrivare secondo le indicazioni dell'Oms a un paese come l'Italia libero dall'Epatite C nel 2030. Ricercare i possibili serbatoi del virus Hcv e Hiv, nelle categorie piu' disagiate, tra poveri, indigenti, tossicodipendenti e detenuti.
L'EPATITE C: UNA SFIDA DA VINCERE - Il Nobel per la Medicina 2020 assegnato agli americani Harvey J. Alter e Charles M. Rice e allo scienziato britannico Michael Houghton per la scoperta del virus dell'Epatite C rappresenta un nuovo incentivo per la lotta a questa infezione. Questa scoperta, infatti, ha costituito il primo passo per salvare milioni di persone: da quel momento, la scienza ha fatto continui progressi, fino a scoprire i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali. Questi strumenti hanno portato l'Oms ha fissare dei target globali per il 2030: la riduzione dell'incidenza fino al 65% della mortalita' virus correlata e, in molti Paesi, l'eliminazione dello stesso virus.
Anche l'Italia si e' messa in corsa, con eccellenti risultati fino a inizio 2019, con oltre 200mila pazienti trattati. Tuttavia, a partire dallo scorso anno si e' verificato un decremento nel numero dei trattamenti a causa delle difficolta' di individuare il "sommerso", prima del crollo provocato dalla pandemia, che ha portato l'Italia a non essere piu' on track nel processo di eliminazione.
"Oggi emerge come prioritario un ampliamento degli screening, ossia la ricerca attiva dell'infezione nelle persone che non sanno di essere affette dal virus dell'Epatite C- sottolinea la dott.ssa Loreta Kondili- La politica ci ha dato una mano: a febbraio e' stato approvato l'emendamento al Decreto Milleproroghe che ha stanziato 71,5 milioni di euro in 2 anni per gli screening, ma manca ancora il Decreto attuativo. Si stimano circa 280mila persone ancora ignare di avere l'infezione da epatite C. Dobbiamo rivolgerci alla coorte di individui nati tra il 1969 e il 1989 e alle cosiddette 'key population', quali tossicodipendenti e detenuti.
Numerose evidenze scientifiche mostrano che la prevalenza dell'infezione e' piu' alta in queste popolazioni: si stima che in Italia l'infezione riguardi 150mila persone che abbiano fatto uso di stupefacenti per via endovenosa, recentemente o in passato, e 80mila che hanno fatto tatuaggi nel passato con procedure carenti di adeguati controlli igienico sanitari. Gli screening devono procedere rapidamente affinche' la malattia non progredisca: si e' stimato che durante la pandemia da Covid-19, un ritardo di solo 6 mesi nel trattamento (e adesso siamo ben oltre) tra 5 anni potrebbe provocare 500 morti, che invece sarebbero evitabili se il ritardo non si verificasse o se si riuscisse a recuperare rapidamente".
L'Epatite C e le sfide poste da questa infezione saranno anche al centro della Tavola Rotonda che si svolgera' online martedi' 17 novembre "Dal Decreto attuativo sullo screening all'obiettivo finale 'to cure': percorso condiviso e condivisibile a livello Centrale e Regionale", con Responsabili Scientifici la dott.ssa Loreta Kondili e il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico Simit. Parteciperanno i rappresentati dell'Associazione dei pazienti EpaC Onlus, delle Societa' Scientifiche operanti nel settore Aisf, Simit, Simg, FeDer,SerD,, SIMSPe, SiPaD, SiHTA, rappresentanti delle istituzioni.
IL FESTIVAL DELLA SALUTE GLOBALE - I temi di Hiv e Hcv sono al centro del Global Health, il Festival della Salute Globale, la manifestazione in corso dal 9 al 15 novembre 2020, in modalita' online sul sito www.festivalsaluteglobale.it e sulla relativa pagina facebook. Un'occasione per conoscere e informarsi direttamente sull'attuale situazione sanitaria globale, nonche' sulle ripercussioni della stessa nella sfera ambientale, sociale, economica e culturale.
L'obiettivo e' creare sempre piu' cittadini consapevoli e aperti al sapere, con un'attenzione particolare ai giovani, i professionisti della futura classe dirigente. Il Festival della Salute Globale e' ideato e progettato dagli Editori Laterza, in collaborazione con il Comune e l'Universita' di Padova, con il patrocinio della Regione Veneto, della Provincia di Padova e della Camera di Commercio di Padova. Partner della manifestazione, la Ong Medici con l'Africa Cuamm. La Direzione scientifica e' curata dal Prof. Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva all'Universita' Cattolica, e dal Prof. Stefano Vella, gia' Presidente dell'Aifa e Direttore del Centro per la Salute Globale dell'Istituto Superiore di Sanita' e attualmente docente di Salute Globale, Facolta' dell'Universita' Cattolica. Tutti gli approfondimenti sono visibili sul sito e via facebook in diretta e in registrata.
Come ogni anno, il 14 novembre si celebra la Giornata mondiale del diabete, creata nel 1991 dall'IDF-International Diabetes Federation e dall'Organizzazione mondiale della sanità in risposta alle crescenti preoccupazioni per la minaccia per la salute rappresentata da questa malattia.
Per l’occasione, l'Intergruppo parlamentare “Obesità e diabete” ha organizzato la conferenza Istituzionale “Diabete e Covid-19: assicurare l’assistenza alla persona con diabete”, svoltasi oggi presso la Camera dei deputati, coinvolgendo esponenti delle Istituzioni, delle società scientifiche e delle associazioni pazienti.
Se da un lato l’evento vuole celebrare la Giornata mondiale del diabete 2020, dall’altro vuole richiamare l’attenzione sullo scopo primario dell’iniziativa ovvero sull’importanza di intraprendere azioni coordinate e concertate per affrontare il diabete come un problema critico di salute globale, che, in un momento come questo, non può prescindere dall’emergenza pandemica che stiamo affrontando, in Italia e nel mondo, e che sta compromettendo l’assistenza alle persone con malattie croniche e fragilità, come il diabete.
Come hanno ricordato in apertura dei lavori la Presidente della Commissione Affari sociali della Camera, on. Marialucia Lorefice, e la Presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato, Sen. Annamaria Parente, l’assistenza per la persona con diabete è un diritto sancito anche da “Il Manifesto dei diritti e dei doveri della persona con diabete”, che tra i diritti ricomprende: “Garantire alle persone con diabete uniformità di accesso al sistema sanitario su tutto il territorio nazionale in modo da promuovere con equità la migliore qualità di cura e di vita, la prevenzione e il trattamento delle complicanze, ricorrendo quando possibile a PDTA specifici e soprattutto ricorrendo a specialisti con competenze specifiche”.
«Le persone con diabete necessitano di controllo periodico per la gestione della malattia e per l’adozione della terapia più appropriata. La riduzione delle visite specialistiche, delle attività ambulatoriali di routine, degli esami di controllo che si è verificata durante questi mesi di pandemia potrebbe essere causa di sospensioni più o meno prolungate delle terapie, con conseguenze negative sul controllo della malattia e sul rischio di insorgenza di complicazioni, rendendo così le persone con diabete maggiormente vulnerabili anche alle conseguenze indirette del Covid-19» ha sottolineato Agostino Consoli, Presidente eletto SID-Società italiana di diabetologia.
«Oggi è estremamente importante parlare di assicurare l’assistenza adeguata alle persone con diabete. Se alcuni pazienti possono ricevere un tipo di prestazione differente dalla visita presso gli ambulatori, quale ad esempio la televisita, è anche vero che questa modalità è difficile da attuare con tutti, per esempio con quelli anziani, che in Italia rappresentano circa il 50 per cento di tutte le persone affette da diabete. È quindi necessario implementare il triage della fragilità, ovvero identificare i pazienti per cui è necessaria la visita in presenza di diabetologia, e quelli che possono essere raggiunti da remoto per evitare sovraffollamenti negli ambulatori, razionalizzando quindi il percorso di accesso in base alle effettive necessità assistenziali» ha aggiunto Paolo Di Bartolo, Presidente AMD-Associazione medici diabetologi.
«In questo momento di ripensamento e revisione del Sistema Sanitario, il "Manifesto dei diritti e dei doveri delle persone con diabete" può rappresentare un ottimo strumento da cui partire per verificare le aree di intervento. Per questo motivo, con l’obiettivo di adeguarlo al contesto attuale è stato deciso di aggiungere due articoli, uno sull’inerzia clinica ed uno sul problema che negli ultimi mesi ci ha travolto: l’emergenza sanitaria.
Ancora una volta i due argomenti sono stati focalizzati sia dal punto di vista dei diritti della persona con diabete. ma anche della consapevolezza che il paziente deve assumere in relazione all'importanza del proprio impegno» ha dichiarato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia, organizzazione promotrice del documento già nel 2009 insieme al Comitato per i diritti della persona con diabete, a Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, con la collaborazione dalle associazioni di persone con diabete Agd Italia, Aid, Aniad, Ardi, Diabete Forum, Fand, Fdg, SOStegno70, dell’associazione degli operatori sanitari di diabetologia, Osdi, e di Cittadinanzattiva.
«Nonostante sia stato redatto oltre 10 anni fa con alcuni aggiornamenti legati all’attualità, il Manifesto dei diritti e doveri della persona con diabete è ancora oggi uno strumento di dialogo imprescindibile con le Istituzioni, per orientare le loro azioni e per stabilire delle priorità di un dialogo con le associazioni pazienti, quali portatori di questi diritti», ha spiegato la Sen. Emanuela Baio, coordinatrice del Comitato per i diritti della persona con diabete.
«Proprio per l’importanza che ricopre questo documento per le persone con diabete è mia intenzione, in qualità di co-Presidente dell'Intergruppo parlamentare “Obesità e diabete”, condividerlo per darvi ancor più fattiva attuazione con le più alte cariche istituzionali, a partire dal Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Ministro della salute, i Presidenti di Camera e Senato» ha annunciato l’On. Roberto Pella.
«Il diritto all’accesso alle cure come componente imprescindibile del diritto alla tutela della salute dell’individuo nell’interesse della comunità è sancito dall’articolo 32 della Costituzione e anche in un momento difficile come questo deve essere garantito a tutti, soprattutto alle persone più fragili come chi ha una malattia cronica come il diabete, magari con comorbilità», ha rimarcato la Sen. Daniela Sbrollini, Co-Presidente Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”.
Come ogni anno, la Giornata mondiale del diabete è dedicata ad un tema specifico e quest'anno è intitolata “Diabetes: nurses make the difference” per mettere in evidenza l’importante ruolo degli infermieri nel sostenere le persone che convivono con il diabete. Infatti, nell’ambito dell’equipe diabetologica, l’infermiere ricopre una posizione fondamentale, di raccordo tra il medico, la persona con diabete e i suoi familiari. Poiché il numero di persone con diabete continua a crescere in tutto il mondo, il ruolo degli infermieri, e di ogni altro professionista sanitario di supporto, diventa sempre più importante nella gestione dell'impatto di questa condizione ed è quindi basilare investire nella loro istruzione e formazione.
«L’infermiere in diabetologia, adeguatamente formato, si occupa di prevenzione, screening, progetta e personalizza l’intervento assistenziale sul bisogno del paziente al fine di agevolare la comprensione e l’aderenza alla terapia, la capacità di utilizzo di presidi terapeutici e di monitoraggio, il riconoscimento precoce delle complicanze o acuzie, con l’obiettivo finale di garantire alla persona con diabete un’elevata qualità di vita – ha detto Caterina Larocca, Presidente OSDI-Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani. Un efficace intervento educazionale non si improvvisa: richiede conoscenze, competenze e sviluppo di abilità relazionali ed educazionali dedicate. Ogni intervento educazionale mancato in ambito diabetologico rappresenta un fallimento per operatori sanitari, pazienti, collettività, ma anche per la sostenibilità, l’accessibilità e l’equità future del Sistema sanitario nazionale, considerate le previsioni d’incidenza della patologia. È indispensabile, per fare la differenza, investire su una formazione clinica e organizzativa avanzata e sulla certificazione delle competenze dell’infermiere di diabetologia», ha concluso.
Per scaricare il Manifesto dei diritti e doveri della persona con diabete: https://www.diabeteitalia.it/
“I campioni portano la mascherina”. Si chiama Yes Mask ed è la campagna su Instagram dell’Ospedale Bambino Gesù per promuovere l’uso della mascherina. Alla campagna ha aderito la Federazione Italiana Gioco Calcio ed è nato Azzurri Mask, il filtro Instagram targato FIGC e OPBG, che vedrà coinvolti i calciatori delle Nazionali maschile e femminile.
Prosegue in questo modo la collaborazione della Federazione Italiana Gioco Calcio con l’ospedale pediatrico della Santa Sede che si è concretizzata nel 2019 in una serie di iniziative in occasione del 150° della fondazione del Bambino Gesù.
Lo scorso 16 ottobre, l’Ospedale Bambino Gesù ha lanciato sul canale social Instagram la campagna Yes Mask, che ha l’obiettivo di sensibilizzare all’uso della mascherina, il presidio più importante (insieme al lavaggio delle mani e al distanziamento fisico), per evitare il contagio da Covid-19 e tutelare la salute propria e degli altri.
L’obiettivo è raggiungere soprattutto i più giovani in modo semplice e divertente. Il primo filtro lanciato dall’Ospedale offre la possibilità di scegliere tra 12 mascherine con colori e messaggi diversi. Alla campagna ha aderito la FIGC, con la quale l’Ospedale ha scelto di creare una versione ad hoc del filtro: Azzurri Mask.
Il filtro è un effetto che può essere selezionato mentre si scatta una foto o si registra un video su Instagram. La Azzurri Mask posiziona sul volto dell’utente una mascherina targata FIGC e OPBG e offre all’utente la possibilità di selezionarne 2 diverse toccando lo schermo. Una volta scattata la foto, l’utente potrà condividerla come Storia sul proprio profilo Instagram, aiutando l’Ospedale e la Federazione Italiana Gioco Calcio a diffondere la cultura della mascherina.
Gli Azzurii e le Azzurre nel corso delle prossime gare delle Nazionali sosterranno sui loro profili l’iniziativa.
Per utilizzare i filtri FIGC e OPBG, basta andare su Instagram, scorrere con il dito verso destra e selezionare il primo effetto disponibile. A quel punto, scegliere ‘Sfoglia gli effetti’ e cercare ‘Ospedale Bambino Gesù’. Da quella schermata, si potrà selezionare il filtro ‘Azzurri Mask’ e scattare una foto o registrare un video.
https://instagram.com/azzurri?
https://instagram.com/
"Probabilmente la settimana prossima arriveranno questi test" che permetteranno di distinguere il Covid dall'influenza.
"Questi test che sono test antigenici ci consentono in tempi rapidissimi, tra i 15 e i 30 minuti, di sapere se il soggetto che si sottopone al test ha in corso un'attività virale da coronavirus oppure di tipo influenzale. Inutile sottolineare la grandissima rilevanza di questo test in un momento in cui purtroppo la curva epidemica è ancora in atto e che si sovrappone alla curva influenzale. Sarà molto rilevante dal punto di vista della sanità pubblica".
Ad affermarlo è Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani di Roma nel corso della trasmissione di Rai 1 'Buongiorno Benessere'. Dalla settimana prossima, aggiunge, "faremo gli esperimenti". I costi del test "saranno molto contenuti dai 4 ai 10 euro", aggiunge.
Vaia sottolinea anche la necessità di potenziare la sanità sul territorio in modo evitare affollamenti negli ospedali. E ancora: "Dobbiamo provare a cambiare la versione sulle terapie intensive. E' giusto e corretto affermare che dobbiamo potenziarle ma si dica anche che la terapia intensiva non è l'anticamera della fine della vita. In terapia intensiva si guarisce", sottolinea Vaia, che fa l'esempio di "un sacerdote di 50 anni che è venuto dall'Albania in condizione gravissime, in fin di vita e che è guarito e ora sta a casa". Questa malattia, aggiunge, "dà un respiro corto ma non dobbiamo avere paura. Dobbiamo rimanere coesi e uniti. Si guarisce da questa malattia, ce la faremo".
Tempi non facili, questi, per le persone con un tumore del sangue. I pazienti ematologici che contraggono l’infezione rischiano molto, sia per le conseguenze dirette del virus sia per la mortalità, più alta di qualche punto (5-6%) rispetto alla popolazione sana e ad altre categorie di malati.
Cosa rischiano i pazienti con neoplasie ematologiche in tempi di pandemia, la sfida di fronteggiare le nuove infezioni in ematologia e il trattamento delle malattie del sangue nel 2020, sono alcuni dei temi che verranno discussi e approfonditi il 9 e 10 novembre durante i lavori della 5° Conferenza Nazionale “La vita ai tempi del COVID-19: ad alto rischio i pazienti affetti da tumori del sangue”, promossa da AIL Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma.
Luogo di incontro per la prima volta interamente “virtuale” per clinici, associazioni e pazienti declinato nelle Jam Session dedicate alle grandi patologie ematologiche, dove gli specialisti aggiornano i pazienti sulle più recenti acquisizioni scientifiche riguardo alle terapie e ai trattamenti, e ascoltano bisogni, attese e speranze dei malati.L’emergenza sanitaria in atto ha reso difficile la gestione delle malattie e questo è vero ancor di più per le persone affette da tumori del sangue, che hanno incontrato diversi problemi nella prima fase di lockdown e ne incontrano ancora oggi con la ripresa dell’infezione da Covid-19.
Nonostante questo, l’Ematologia italiana, a differenza di molte altre specializzazioni, non ha risentito troppo della situazione generale. I trattamenti sono proseguiti e così le cure di alta complessità, come le CAR-T, non hanno subito rallentamenti o ritardi. Per quanto riguarda i pazienti, nonostante le ansie e le preoccupazioni più che giustificate, un grande sostegno è arrivato dagli oltre 18.000 volontari AIL.
“È tradizione della nostra organizzazione essere sempre a fianco dei pazienti e dei loro familiari e AIL non è venuta meno a questo impegno nemmeno in questi mesi di grave emergenza sanitaria – dichiara Sergio Amadori, Presidente Nazionale AIL - Tutti i nostri volontari sono stati mobilitati attraverso l’attività delle 81 sezioni provinciali diffuse sul territorio nazionale e hanno sopperito a molte problematiche socio-sanitarie, ad esempio portando i farmaci a casa del paziente, la spesa, provvedendo ai pagamenti di routine e offrendo conforto. È stata implementata l’assistenza domiciliare dalle sezioni provinciali che la erogano per rispondere all’esigenza crescente di ambulatori e day hospital.
I nostri volontari, medici e infermieri hanno dovuto affrontare e risolvere alcune difficoltà: l’impiego di un numero maggiore di professionisti, l’adeguamento ai nuovi protocolli di sicurezza e il reperimento di tutti i dispositivi di sicurezza. AIL ha risposto come sempre con forza e coraggio grazie alla potente rete di amicizie e associati che in cinquant’anni di storia ha saputo riunire attorno a sé”.
In questi mesi nemmeno la ricerca si è mai fermata. GIMEMA – Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto ha proseguito il suo impegno con all’attivo numerosi studi clinici che coinvolgono gran parte dei 150 Centri di Ematologia aderenti e la rete dei laboratori LabNet, che AIL da sempre sostiene, contribuendo al loro finanziamento. Durante l’emergenza sanitaria si è verificato un altro profondo cambiamento che ha riguardato la comunicazione e la relazione interpersonale tra medico e paziente, argomento che verrà affrontato nel corso della Conferenza Nazionale di Ematologia. La relazione medico- paziente e il dialogo tra curante e curato è fondamentale in tutte le malattie, ma nelle neoplasie del sangue assume un ruolo cruciale e assolutamente delicato.
Fibrillazione atriale, BPCO e diabete, tra le patologie croniche a maggior diffusione, costano 700 miliardi di euro l’anno in Europa e in Italia affliggono 24 milioni di persone.
Con lo scopo di fare il punto a livello nazionale sull’omogeneità dell’accesso alle cure da parte dei cittadini, garantendo gli stessi livelli essenziali di assistenza a livello nazionale compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, chiude con un webinar nazionale “La gestione delle cronicità ad alto impatto assistenziale: focus diabete, fanv e Bpco nell’era Covid”, il ‘roadshow cronicità’, serie di appuntamenti regionali, realizzati da MOTORE SANITÀ, con il contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim, che hanno coinvolto massimi esperti del mondo sanitario, insieme a istituzioni e associazioni pazienti.
Dati epidemiologici della cronicità in Italia
Il 40% della popolazione italiana soffre di una o più malattie croniche (24mln di cui, 12.5 mln hanno multicronicità). La spesa totale per questi pazienti è stimata in circa 67miliardi di euro. Preoccupanti non solo i dati attuali ma anche quelli previsti per i prossimi anni. Infatti è stato stimato che nel 2028 in Italia saranno 26mln i pazienti cronici (14mln dei quali con multi-cronicità) e la spesa balzerà a 70,6miliardi l'anno.
Consumo delle risorse sanitarie delle malattie croniche
Una delle problematiche generate dalle cronicità è il consumo di risorse umane e professionali. Esempio di questo consumo è il numero di richieste di visite specialistiche: Il Diabete tipo 2 rappresenta il 18,5% delle richieste di visite specialistiche e il 18,2% degli accertamenti diagnostici
Le Malattie ischemiche del cuore rappresentano il 10,6% delle richieste di visite specialistiche e il 10,1% degli accertamenti
Lo Scompenso cardiaco congestizio assorbe il 4,0% delle richieste di visite specialistiche e il 4,1% per le prescrizioni di accertamenti diagnostici
I NUMERI DELLA BPCO IN ITALIA
“Secondo i dati Istat, in Italia, sono affetti da BPCO il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) e la BPCO è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie ma il dato è verosimilmente sottostimato. L’impatto della BPCO sul SSN e sulla società è in continuo aumento ed in fase di spiccata accelerazione, infatti, secondo il Global Burden of Diseases (GBD) la BPCO è attualmente la terza causa di morte e la quinta causa di disabilità nel mondo, fenomeni che l’OMS aveva previsto solo per il 2030. Il Programma Nazionale Esiti (PNE) riporta un tasso grezzo di ospedalizzazione per BPCO di circa il 2 per mille, per un totale di 109.674 ricoveri ordinari e 3.394 in day hospital che corrispondono ad oltre un milione di giornate di degenza ospedaliera.
Il PNE documenta inoltre che i pazienti ricoverati per BPCO riacutizzata hanno, entro 30 giorni, un tasso di mortalità del 9,8% e nel 13,45% dei casi necessitano di un nuovo ricovero ospedaliero (dati del 2017). Si rendono pertanto necessari urgenti interventi per ridurre l’impatto socio sanitario della BPCO come migliorare le capacità diagnostiche implementando l’impiego della spirometria e delle prove di funzionalità respiratorie in modo da intercettare le forme di BPCO live/moderata che sono quelle più ricettive agli interventi terapeutici atti a rallentarne l’evoluzione; promuovere la attivazione di reti clinico-assistenziali tra ospedale e territorio e la collaborazione tra specialisti pneumologi e MMG per consentire un efficace follow up dei pazienti e promuovere la gestione dei pazienti più complessi a maggior rischio di ricovero ospedaliero, anche con modalità di teleassistenza che possono rivelarsi particolarmente utili nell’attuale panorama sanitario caratterizzata dall’emergenza COVID-19”, ha dichiarato Adriano Vaghi Presidente AIPO – ITS
I danni cardiaci del covid.
Queste le parole del professor Francesco Romeo, Direttore UOC Cardiologia Policlinico Tor Vergata, Roma, “la malattia Covid 19 è stata considerata inizialmente come una malattia con interessamento respiratorio. La comprensione dei meccanismi di azione del virus attraverso i recettori Ace -2 che sono presenti anche nell’apparato cardiovascolare ha posto l’attenzione sulla possibilità di un danno cardiovascolare provocato dal virus SARS- COV 2, in quanto anche l’apparato cardiovascolare è ricco di recettori ACE-2. Numerosi studi hanno poi riportato un danno cardiaco acuto come un’importante manifestazione del Covid 19. Questo danno è presente dal 7 al 28 % dei pazienti ospedalizzati. Le principali manifestazioni cardiovascolari sono: il danno cardiaco acuto con elevazione della troponina che si presenta nei pazienti più anziani, con comorbidità e/o fattori di rischio (è associata anche una prognosi peggiore); miocarditi e SCA sono le altre manifestazioni del Covid; aritmie: per quanto riguarda le aritmie sono state riportate nel 17% dei pazienti ospedalizzati e nel 44% dei pazienti con SCA. Sono presenti sia aritmie atriali che ventricolari che BAV.
La patogenesi delle aritmie può essere legata sia al danno miocardico e/o ischemico che ad altre cause sistemiche come febbre, sepsi, ipossia e disturbi elettrolitici. D’altra parte, i farmaci utilizzati nel trattamento del Covid, come gli antivirali, gli antibiotici e gli idrossiclorochina possono essi stessi indurre aritmie”.