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- Nel Regno Unito si studia un solo vaccino per Covid e influenza
- Sindrome da Long COVID e problemi nella coagulazione del sangue
- COVID. NUOVO ESAME A MODENA PREDICE EVOLUZIONE MALATTIA
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- ISS e Covid, come anticipare l' andamento di una pandemia
- Covid Ticino, campagna Meglio se vaccinati
- Ferragosto, le regole anti covid nelle ordinanze delle regioni italiane
- Covid, la Cina rifiuta una nuova indagine OMS su origine coronavirus
- Covid, cambiano le norme sulla quarantena per i contatti dei positivi al coronavirus
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, ad una distanza inferiore ai 2 metri e per meno di 15 minuti;
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) o che ha viaggiato con un caso COVID-19 per meno di 15 minuti;
- un operatore sanitario o altra persona, che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19, provvisto di DPI raccomandati;
- tutti i passeggeri e l’equipaggio di un volo in cui era presente un caso COVID-19, ad eccezione dei passeggeri seduti entro due posti in qualsiasi direzione rispetto al caso COVID-19, dei compagni di viaggio e del personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto che sono infatti classificati contatti ad alto rischio.
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"Crediamo che i dati fino ad oggi non indichino la necessità" della terza dose di vaccino anti-Covid. Lo ha puntualizzato in conferenza stampa l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), attraverso le parole di Soumya Swaminathan, Chief Scientist dell'Oms.
Da tempo l'agenzia Onu per la salute puntualizza che più che a una terza dose si debba puntare a coprire equamente le popolazioni di tutti i Paesi del pianeta, in particolare quelli a medio e basso reddito che sono in ritardo rispetto agli altri sui tassi di copertura vaccinale. Concetto rimarcato ieri dal direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus - nel consueto press briefing da Ginevra - mentre gli Usa annunciavano il 20 settembre come data di partenza delle terze dosi.
"Solo 10 Paesi hanno somministrato il 75% di tutta la fornitura di vaccini e i Paesi a basso reddito hanno vaccinato appena il 2% della loro popolazione - ha incalzato il Dg - Ho chiesto una moratoria temporanea sui richiami per aiutare a spostare l'offerta verso quei Paesi che non sono stati nemmeno in grado di vaccinare i loro operatori sanitari e le comunità a rischio e che ora stanno vivendo picchi importanti" di Covid. "L'ingiustizia dei vaccini è una vergogna per tutta l'umanità e se non la affrontiamo insieme prolungheremo la fase acuta di questa pandemia per anni, quando potrebbe finire nel giro di pochi mesi. Quando i ministri della Salute del G20 si incontreranno il 5 e 6 settembre a Roma, li inviterò a considerare la fragilità di questo momento storico e a prendere un chiaro impegno alla solidarietà".
"C'è abbastanza vaccino in tutto il mondo, ma non sta andando nei posti giusti nell'ordine giusto per salvare più vite possibile e prevenire più malattie gravi possibile", ha aggiunto l'esperto Oms Bruce Aylward. La variante Delta di Sars-CoV-2, ha puntualizzato l'epidemiologa Maria Van Kerkhove, esperta a capo del gruppo tecnico Oms per il coronavirus, "sta circolando veramente nelle aree con bassi livelli di copertura vaccinale e in un contesto di utilizzo limitato e inconsistente di misure sociali e di sanità pubblica.
Scienziati britannici studieranno la possibilità di combinare vaccini antinfluenzali e covid in un'unica iniezione, al fine di accelerare i futuri programmi di immunizzazione, ha affermato il direttore del Vaccine Manufacturing and Innovation Center (VMIC, in inglese), Matthew Duchars.
Questo centro, fondato da diverse università del Regno Unito e che dispone di 215 milioni di sterline di finanziamenti pubblici (252 milioni di euro / 295 milioni di dollari), è stato annunciato dal governo nel 2018, anche se la sua costruzione ha subito un'accelerazione a causa della pandemia e inizierà la sua attività nei prossimi mesi.
La combinazione dei vaccini contro il covid e l'influenza potrebbe far risparmiare "molto tempo", ha detto Duchards al quotidiano "The Telegraph". "Sarebbe molto più pratico fare una sola iniezione, quindi sarà uno degli aspetti che noi e i produttori (di vaccini) studieremo. Diciamo che dobbiamo inoculare un vaccino annuale e le persone hanno bisogno di un vaccino per l'influenza, uno per il covid e uno per qualcos'altro. Se puoi metterli tutti in uno, ovviamente è meglio", ha detto Duchards.
Il capo del VMIC ha indicato che il centro di biotecnologia, al quale partecipano l'Università di Oxford, l'Imperial College di Londra e la London School of Hygiene and Tropical Medicine, sarà in grado di produrre circa 70 milioni di dosi di vaccini in un periodo compreso tra quattro e cinque mesi, una volta operativo.
Nuove prove mostrano che i pazienti con sindrome da COVID lungo continuano ad avere valori più elevati di coagulazione del sangue, che possono aiutare a spiegare i loro sintomi persistenti, come la ridotta forma fisica e l'affaticamento.
Lo studio, condotto da ricercatori della RCSI University of Medicine and Health Sciences, è pubblicato sul Journal of Thrombosis and Haemostasis.
Il lavoro precedente dello stesso gruppo ha studiato la pericolosa coagulazione osservata nei pazienti con COVID-19 acuto grave. Tuttavia, si sa molto meno sulla sindrome da COVID lungo, in cui i sintomi possono durare settimane o mesi, dopo che l'infezione iniziale si è risolta e si stima che colpisca milioni di persone in tutto il mondo.
I ricercatori hanno esaminato 50 pazienti con sintomi della sindrome Long COVID, per capire meglio se è coinvolta una coagulazione del sangue anormale.
Hanno scoperto che i marcatori della coagulazione erano significativamente elevati nel sangue dei pazienti con sindrome COVID lunga rispetto ai controlli sani. Questi marcatori di coagulazione erano più alti nei pazienti che richiedevano il ricovero in ospedale con la loro infezione iniziale da COVID-19, ma hanno anche scoperto che anche coloro che erano in grado di gestire la loro malattia a casa avevano ancora marcatori di coagulazione costantemente alti.
I ricercatori hanno osservato che una maggiore coagulazione era direttamente correlata ad altri sintomi della sindrome Long COVID, come la ridotta forma fisica e l'affaticamento. Anche se i marker di infiammazione erano tutti tornati a livelli normali, questo aumento del potenziale di coagulazione era ancora presente nei pazienti con COVID lungo.
"Poiché i marcatori della coagulazione erano elevati mentre quelli dell'infiammazione erano tornati alla normalità, i nostri risultati suggeriscono che il sistema di coagulazione potrebbe essere coinvolto nella causa principale della sindrome Long COVID", ha affermato la dott.ssa Helen Fogarty, autrice principale dello studio, ICAT Fellow e dottoranda presso l'Irish Centre for Vascular Biology nella RCSI School of Pharmacy and Biomolecular Sciences.
"Comprendere la causa principale di una malattia è il primo passo verso lo sviluppo di trattamenti efficaci", ha affermato il professor James O'Donnell, direttore dell'Irish Centre for Vascular Biology, RCSI e consulente ematologo presso il National Coagulation Center del St James's Hospital di Dublino.
“In milioni stanno già affrontando i sintomi della sindrome Long COVID e sempre più persone svilupperanno Long COVID man mano che le infezioni tra i non vaccinati continuano a verificarsi. È imperativo continuare a studiare questa condizione e sviluppare trattamenti efficaci”.
Un nuovo esame chiamato Mdw (Monocyte distribution width) e sviluppato a Modena, pubblicato su Scientific reports del Nature publishing group, può predire l'evoluzione della malattia da Covid-19 e dello stato iperinfiammatorio ('cytokine storm') che la caratterizza.
Lo studio, portato avanti da azienda ospedaliero-universitaria (ospedale Policlinico) e Unimore, si basa sull'analisi della morfologia dei monociti, una specifica popolazione di cellule presenti nel sangue, e ha dimostrato, per la prima volta, come il valore dell'Mdw, in pazienti seguiti durante il ricovero in reparti di terapia intensiva e subintensiva, sia correlato "significativamente" con la gravità e l'andamento clinico della malattia. Lo studio ha preso in considerazione una serie di 87 pazienti ricoverati nei reparti di cura intensiva e subintensiva, nei quali l'Mdw è risultato correlato "in modo altamente significativo" con alcuni classici biomarcatori di infiammazione, con l'esito delle cure e il decorso clinico e la gravità della malattia.
Spiega il dottor Tommaso Trenti, direttore a Modena del dipartimento interaziendale di medicina di laboratorio: "Quando vi è uno stimolo prodotto dell'attivazione del sistema immunitario, come nel caso di infezioni sia batteriche che virali, si modifica la morfologia dei monociti. Con le nuove apparecchiature a disposizione siamo in grado di misurare in laboratorio l'entità di queste alterazioni cellulari". Aggiunge Giovanni Riva, che lavora nel team e nel laboratorio di ematologia diagnostica e genomica clinica del professor Enrico Tagliafico: "Si tratta di un esame prognostico di 'sepsi virale' oltre che batterica, come in effetti può essere considerato il Covid-19 nella sua forma clinica più grave, come già ipotizzato in precedenti lavori svolti sempre a Modena e già pubblicati". Massimo Girardis, direttore della terapia intensiva del Policlinico, conferma poi che "nei nostri pazienti abbiamo riscontrato come alti valori di Mdw si associno ad una elevata mortalità, con picchi di oltre il 35%. Viceversa, bassi valori individuano i pazienti che hanno forti probabilità di guarire".
Conclude Andrea Cossarizza, professore di Unimore alla guida del gruppo di ricercatori che ha lavorato al nuovo strumento: "Questo esame rappresenta un importante nuovo biomarcatore. Ad oggi abbiamo in corso ulteriori ricerche che ci consentiranno di meglio definire il valore e le applicazioni cliniche di nuovi esami di laboratorio".
Da oggi in Israele il Green Pass è obbligatorio per partecipare a qualsiasi attività pubblica. Il provvedimento, che riguarda tutti coloro che hanno più di tre anni di età, è stato introdotto per fare fronte all'aumento dei casi di covid.
Ieri sono stati registrati 8.726 nuovi contagi mentre più del 58 per cento dei 9,4 milioni di abitanti del Paese sono completamente vaccinati e più di un milione ha ricevuto la terza dose di vaccino. Fra le poche eccezioni all'obbligo di Green Pass, i luoghi di culto, dove si continua a poter accedere liberamente con non più di 50 persone presenti. I bambini fino a 12 anni di età potranno effettuare i test gratuitamente.
Le infezioni da COVID-19 stanno aumentando nel settore haredim (ultra-ortodosso), secondo il commissario per il coronavirus, il prof. Salman Zarka. Durante un briefing di ieri, riporta il Jerusalem Post, ha condiviso un grafico che ha dimostrato che il numero di casi giornalieri è aumentato progressivamente nell'ultima settimana e ora rappresenta il 10% di quelli giornalieri.
L'Istituto superiore di sanità ha aggiornato sul proprio sito un primo piano dedicato al tema relativo a 'Previsioni, scenari, proiezioni: come si anticipa l'andamento dell'epidemia'.
L'Iss informa che, oltre a conoscere i parametri della storia naturale del patogeno, una previsione richiede di conoscere in anticipo e in termini quantitativi tutti gli eventi che possono influire sulla futura dinamica epidemica. Oltre a tanti altri, possono essere di particolare rilevanza gli interventi di distanziamento sociale che verranno adottati (quali e quando), la copertura vaccinale che progressivamente si raggiungerà, il comportamento individuale dei cittadini. Questi fattori possono essere più o meno determinanti a seconda dell'epidemia che si sta analizzando. Infatti, il grado di prevedibilità di un'epidemia dipende molto dalla gravità dell'infezione. L'Iss spiega che nel caso di SARS-CoV-2, per questi motivi, è al momento estremamente complesso fare previsioni sull'andamento dell'epidemia.
Si possono fare invece per virus il cui comportamento è noto, come ad esempio il West Nile virus, trasmesso dalle zanzare, di cui si può ragionevolmente pensare che avrà un picco estivo, o l'influenza, che di solito ha un andamento simile tutti gli anni. Nell'impossibilità di conoscere in anticipo tutti gli eventi che possono influire sulla futura dinamica epidemica si possono formulare diverse ipotesi, che definiscono lo scenario, e analizzare le dinamiche corrispondenti.
L'Istituto superiore di sanità informa che le analisi di scenario sono particolarmente utili, per costruire stime di rischio, associate ad esempio ai diversi livelli di intervento che possono essere adottati, sia in termini di imposizione che di rilascio di misure restrittive, o ai diversi livelli di copertura vaccinale che si raggiungeranno. Ad esempio, nel caso in cui siano in discussione diverse opzioni di intervento, grazie alle analisi di scenario si possono individuare gli interventi in grado di mantenere l'epidemia sotto controllo con alta probabilità e fornire stime del rischio epidemico associato agli interventi che non garantiscono il controllo dell'epidemia. In generale, nel valutare retrospettivamente la qualità delle analisi di scenario è bene non confonderle con delle previsioni. Bisogna per prima cosa valutare bene cosa è stato fatto nella realtà, verificare poi se ci sono degli scenari che ipotizzavano quanto poi avvenuto nella realtà e, in caso affermativo, fare un confronto tra epidemia osservata e simulata in quello specifico scenario.
È del tutto evidente che può esserci solo uno scenario compatibile con quanto osservato. Alcune analisi di scenario relative a SARS-CoV-2 sono state condotte ad aprile 2020 in previsione delle riaperture. In quel caso si è stimato l'impatto possibile su alcuni parametri (ricoveri, decessi) corrispondente a diversi gradi di abbandono delle restrizioni. Lo scenario da confrontare con l'epidemia osservata è il seguente: non riaprire le scuole; procedere alle riaperture graduali delle attività lavorative a partire dal 4 maggio (quasi complete dal 18 maggio) mantenendo alte quote di lavoro agile, soprattutto nei servizi essenziali; mantenere limitazioni sulle attività di aggregazione sociale. I risultati di questo scenario sono estremamente coerenti con l'epidemia osservata durante l'estate del 2020.
Ovviamente, negli scenari in cui si assumevano riaperture precoci o maggiormente permissive in termini di contatti sociali, la stima dell'impatto sul sistema sanitario era molto maggiore di quanto osservato. Una proiezione è una particolare analisi di scenario ed è un utile indicatore di rischio. L'Iss spiega inoltre che una proiezione è uno strumento solitamente utile nel breve periodo. Proiezioni dell'epidemia di SARS-CoV-2 sono state anche realizzate nell'estate 2020 per valutare il possibile andamento dell'epidemia in autunno. Gli interventi di mitigazione, ed in particolare il DPCM del 3 novembre 2020 che istituiva le zone gialle, arancioni e rosse, hanno permesso di limitare di molto l'impatto dell'epidemia.
Giulia Bondolfi
Le autorità cantonali lanciano la nuova campagna «Meglio se vaccinati», che punta a sensibilizzare la popolazione ticinese sui vantaggi della vaccinazione. Si tratta di un gesto di protezione nei confronti di se stessi e degli altri, che permette inoltre di partecipare in sicurezza ad attività come concerti, eventi culturali e sportivi e incontri di famiglia o fra amici.
Il Ticino ha superato la soglia del 54% di persone completamente vaccinate: un buon risultato, che tuttavia non basta per escludere un sovraccarico del settore ospedaliero, in caso di una nuova ondata pandemica. Sono ancora più di 100 mila le ticinesi e i ticinesi che non si sono ancora annunciati per la vaccinazione contro il Coronavirus: circa 35 mila fra loro hanno 50 o più anni, e sono per questo esposti a maggiori rischi in caso di contagio. Le autorità cantonali hanno deciso di lanciare la campagna «Meglio se vaccinati» per sensibilizzare e informare la popolazione ticinese sui benefici della vaccinazione.
La campagna «Meglio se vaccinati» punta a rispondere alle domande che la popolazione si pone sui vantaggi offerti dal vaccino e, al contempo, a chiarire i dubbi che ancora potrebbero sussistere.L’intento è anche quello di ricordare che grazie alla disponibilità di vaccini sicuri e molto efficaci è stato possibile riprendere anche i grandi eventi, momenti di società che erano venuti meno nei mesi scorsi. Vaccinarsi significa infatti proteggere se stessi e gli altri in ogni situazione di contatto sociale, riducendo il rischio di contrarre e trasmettere il virus. La campagna si rivolge alle persone che ancora non hanno deciso se vaccinarsi o meno, in particolare alle persone che sono più vulnerabili per età («over 50») o per malattia al virus. Oltre al materiale di sensibilizzazione, è stato aggiornato il materiale informativo che riassume le attuali conoscenze su temi come la sicurezza e l’efficacia dei vaccini, il concetto di protezione e altro ancora. Le autorità ritengono infatti indispensabile veicolare un’informazione trasparente e scientificamente corretta, affinché il cittadino possa decidere in merito alla vaccinazione con la massima cognizione di causa.
Il materiale informativo è pubblicato sulla pagina web del Cantone e verrà costantemente aggiornato. Nelle prossime settimane, l’accesso alla vaccinazione in Ticino diventerà inoltre più semplice. Oltre che nel centro cantonale di Giubiasco, a rotazione alcune farmacie – distribuite su tutto il territorio cantonale – offriranno durante il fine settimana la possibilità di vaccinarsi.
La lista delle farmacie con le date di apertura è disponibile sul sito web del Cantone all’indirizzo www.ti.ch/vaccinazione. In caso di domande è inoltre sempre possibile rivolgersi al proprio medico oppure alla Infoline nazionale (raggiungibile tutti i giorni dalle 6.00 alle 23.00 al numero +41 58 377 88 92). Le autorità cantonali confidano di riuscire ad aumentare ulteriormente il tasso di adesione della popolazione ticinese alla campagna di vaccinazione: solo riducendo drasticamente la circolazione del virus sarà infatti possibile ridurre anche il numero di nuovi contagi e, di conseguenza, i decorsi gravi della malattia che potrebbe nuovamente mettere sotto pressione il settore ospedaliero. È inoltre bene ricordare che la vaccinazione protegge anche le persone meno vulnerabili a possibili conseguenze a lungo termine della COVID-19.
Ferragosto con regole anti covid più stringenti per contrastare la diffusione dei contagi. Presidenti di regioni e sindaci hanno emanato ordinanze con misure che vanno dal divieto di assembramenti al divieto di falò.
L'attenzione è particolarmente alta in Sicilia, regione che in questi giorni registra un'impennata dei contagi e che rischia di passare in zona gialla. Con l'ordinanza firmata dal governatore Nello Musumeci è stato introdotto l'obbligo di uso della mascherina all’aperto, se in luoghi affollati e il divieto di accesso negli uffici pubblici se privi di green pass. E, ancora, obbligo di tampone per partecipare a cerimonie se non si è completato il ciclo vaccinale e tampone obbligatorio anche per chi arriva dagli Usa.
Alle isole Eolie entra in vigore oggi l'ordinanza locale che prevede, tra le misure, l'uso delle mascherine nelle aree portuali di Lipari, Vulcano, Panarea e Stromboli dalle 7 alle 20.30 in occasione degli arrivi e delle partenze di aliscafi e navi e dei vaporetti che trasportano i turisti. A Panarea è stato introdotto il divieto di intrattenimento e della musica dal vivo negli esercizi pubblici all'aperto ed è fatto obbligo di indossare la mascherina in aree e spazi pubblici. E' inoltre previsto il divieto di scalo nell'isola alle unità navali adibite a trasporto passeggeri.
Giulia Bondolfi
Ordinanza 'anti Ferragosto' anche a Palermo Leoluca Orlando. Il sindaco Leoluca Orlando, per evitare assembramenti in aree demaniali e contrastare la diffusione del Covid 19, ha vietato lo svolgimento di manifestazioni pubbliche e eventi aggregativi, l'accensione di falò ed eventuali accampamenti con tende in spiaggia e aree demaniali. I divieti saranno in vigore dalle 19 del 14 agosto alle 7 del 15. Vietata anche la vendita e il consumo di alcolici dalle 19 del 14 agosto alle 24 del 15 agosto.
Ferragosto off limits anche sulle spiagge di Agrigento. Il sindaco Francesco Miccichè, "per garantire la sicurezza e l'incolumità pubblica e nell’ambito delle misure di contrasto e contenimento dell’emergenza Covid-19", ha firmato un'ordinanza che vieta falò in spiaggia, campeggio, fuochi d'artificio e qualunque manifestazione pubblica o evento aggregativo se non espressamente autorizzato dalle competenti autorità e comunicate alla Prefettura e al Comune. Vietata inoltre la vendita e somministrazione di alcolici e musica dalle 2 alle 6 del 15 e del 16 agosto.
I falò saranno vietati anche sulle spiagge di Lazio e Campania.
La Cina ha respinto la richiesta inviata dall'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), per condurre una nuova indagine sull'origine del coronavirus nel Paese.
Secondo Pechino è infatti necessario adottare un approccio ''scientifico'' e non ''politico'' all'emergenza pandemica in corso. Ieri la stessa Oms aveva chiesto di ''non politicizzare'' la pandemia e invitato tutti i Paesi a ''collaborare'' rendendo noti ''tutti i dati in loro possesso sul virus''. L'appello era rivolto in particolar modo alla Cina, da dove si ritiene abbia avuto origine il Covid-19.
"Sosteniamo la ricerca scientifica - ha detto Ma Zhaoxu, viceministro degli Esteri cinese in una conferenza stampa online - Siamo contrari alla politicizzazione della ricerca delle origini'' del coronavirus e ''alla rinuncia del rapporto congiunto Cina-Oms". Nel rapporto veniva descritto come "estremamente improbabile'' che il Covid-19 fosse uscito da un laboratorio privilegiando l'ipotesi di un suo passaggio da animale a uomo.
''Le conclusioni e le raccomandazioni del rapporto congiunto sono state riconosciute dalla comunità internazionale e dalla comunità scientifica - ha proseguito il vice ministro - La ricerca futura dovrebbe e può essere perseguita solo sulla base di questo rapporto. Non si deve ricominciare tutto da capo".
Una circolare del ministero della Salute sottolinea che i contatti asintomatici ad alto rischio (contatti stretti) di casi con infezione da SARS-CoV-2 identificati dalle autorità sanitarie, se hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni, possono rientrare in comunità, dopo un periodo di quarantena di almeno 7 giorni dall’ultima esposizione al caso, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.
Qualora non fosse possibile eseguire un test molecolare o antigenico tra il settimo e il quattordicesimo giorno, spiega la circolare, si può valutare di concludere il periodo di quarantena dopo almeno 14 giorni dall’ultima esposizione al caso, anche in assenza di esame diagnostico molecolare o antigenico per la ricerca di SARS-CoV- 2, riporta l'agenzia Dire.
I contatti asintomatici a basso rischio di casi con infezione da SARS-CoV-2 identificati dalle autorità sanitarie, se hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni, non devono essere sottoposti a quarantena, ma devono continuare a mantenere le comuni misure igienico-sanitarie previste per contenere la diffusione del virus, quali indossare la mascherina, mantenere il distanziamento fisico,igienizzare frequentemente le mani, seguire buone pratiche di igiene respiratoria, ecc.
Il ministero della Salute ricorda che per contatti a basso rischio si intende:
LE NORME PER I NON VACCINATI
I contatti asintomatici ad alto rischio (contatti stretti) di casi con infezione da SARS-CoV-2 da variante non Beta sospetta o confermata o per cui non è disponibile il sequenziamento, identificati dalle autorità sanitarie, che non hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni, possono rientrare in comunità dopo un periodo di quarantena di almeno 10 giorni dall’ultima esposizione al caso, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo. Qualora non fosse possibile eseguire un test molecolare o antigenico tra il decimo e il quattordicesimo giorno, si può valutare di concludere il periodo di quarantena dopo almeno 14 giorni dall’ultima esposizione al caso, anche in assenza di esame diagnostico molecolare o antigenico per la ricerca di SARS-CoV- 2.
I contatti asintomatici a basso rischio di casi COVID-19 confermati da variante non Beta sospetta o confermata o per cui non è disponibile il sequenziamento, identificati dalle autorità sanitarie, che non hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni, non devono essere sottoposti a quarantena, ma devono continuare a mantenere le comuni misure igienico-sanitarie previste per contenere la diffusione del virus.
LE NORME PER IL PERSONALE SANITARIO
Diverse le regole valide per il personale sanitario o altre persone che forniscono assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19. In questo caso, i soggetti ad alto rischio non sono sottoposti alla misura della quarantena ma alla sorveglianza sanitaria attiva dall’ultima esposizione al caso.
L’ECCEZIONE DELLA VARIANTE BETA
Qualora il sequenziamento del virus rilevi la presenza della variante Beta (o sudafricana) in un caso positivo, i suoi contatti – sia ad alto che a basso rischio – non vaccinati o che non hanno completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni dovranno osservare un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione al caso, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.
Con il progredire del processo di immunizzazione contro il Coronavirus, compaiono nuovi effetti avversi al vaccino anti covid, come l'herpes zoster, un nuovo sintomo principalmente associato a Pfizer, e il braccio covid, legato al vaccino Moderna.
Rossore, gonfiore e dolore al braccio: 1ueste sono solo alcune delle reazioni che il vaccino contro il coronavirus provoca dopo aver ricevuto la puntura. È stato battezzato con il nome di ' braccio covid'. A pochi giorni dalla vaccinazione sono stati osservati casi in cui spiccano dolore e prurito al braccio. Non è un sintomo grave e scompare dopo pochi giorni.
Secondo uno studio sulla rivista scientifica Jama Dermatology, infatti, non si tratta di una reazione avversa grave, ma di un fenomeno di ipersensibilità ritardata. Questa reazione cutanea di solito compare una settimana, dopo aver ricevuto il primo vaccino e pochi giorni dopo la seconda dose di Moderna.
Un totale di 15 persone hanno sperimentato il "braccio covid", dopo essere stato inoculato con la prima dose di Moderna, mentre solo una persona l'ha avuto nella seconda. D'altra parte, questo lieve sintomo è ricomparso in undici occasioni dopo la seconda dose del vaccino mRNA.
Lo studio ha incluso 13 donne e 3 uomini di circa 38 anni. L'eruzione cutanea era pruriginosa, dolorosa e impiegava circa cinque giorni per scomparire , anche se a volte durava fino a tre settimane.
L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha annunciato la fase successiva del suo studio Solidarity: Solidarity PLUS arruolerà i pazienti ospedalizzati per testare tre nuovi farmaci nei pazienti COVID-19 ospedalizzati.
Queste terapie - artesunato, imatinib e infliximab - sono state selezionate da un gruppo di esperti indipendenti per il loro potenziale nel ridurre il rischio di morte nei pazienti COVID-19ospedalizzati. Sono già utilizzati per altre indicazioni: l'artesunato è usato per la malaria grave, l'imatinib per alcuni tipi di cancro e l'infliximab per le malattie del sistema immunitario come il morbo di Crohn e l'artrite reumatoide.
Questi farmaci sono stati donati per la sperimentazione dai loro produttori.
"Trovare terapie più efficaci e accessibili per i pazienti COVID-19 rimane un'esigenza fondamentale e l'OMS è orgogliosa di guidare questo sforzo globale", ha affermato il dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'OMS. "Vorrei ringraziare i governi partecipanti, le aziende farmaceutiche, gli ospedali, i medici e i pazienti, che si sono uniti per farlo in una vera solidarietà globale".
Lo studio Solidarity PLUS è una piattaforma sperimentale che rappresenta la più grande collaborazione globale tra gli Stati membri dell'OMS. Coinvolge migliaia di ricercatori in oltre 600 ospedali in 52 paesi, 16 paesi in più rispetto alla prima fase di sperimentazione. Ciò consente allo studio di valutare più trattamenti contemporaneamente utilizzando un unico protocollo, reclutando migliaia di pazienti per generare stime robuste sull'effetto che un farmaco può avere sulla mortalità, anche effetti moderati.
Consente inoltre di aggiungere nuovi trattamenti e di abbandonare trattamenti inefficaci nel corso della sperimentazione.
In precedenza, quattro farmaci sono stati valutati dallo studio. I risultati hanno mostrato che remdesivir, idrossiclorochina, lopinavir e interferone hanno avuto un effetto scarso o nullo sui pazienti ospedalizzati con COVID-19.
Attraverso lo studio Solidarity PLUS, i ricercatori di tutto il mondo hanno l'opportunità di utilizzare le proprie competenze e risorse per contribuire alla ricerca globale sul COVID-19.
Un gel oftalmico a base di ozono stabilizzato potrebbe fungere da barriera contro l’ingresso del virus SARS CoV-2 attraverso gli occhi, funzionando dunque un po’ da ‘mascherina’ per gli occhi, da ‘indossare’ insieme alla classica mascherina chirurgica che copre naso e bocca.
È la proposta che scaturisce da uno studio pubblicato sul numero di agosto di Traslational Vision Science & Technology, siglato da ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e dall’Università di Ferrara.
“I gel oftalmici all’ozono – spiega Stanislao Rizzo, Professore Ordinario di Oftalmologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, e Direttore UOC di Oculistica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - sono già utilizzati per lenire i sintomi legati a patologie ocularidi tipo infiammatorio, anche di origine infettiva; il nostro studio suggerisce che potrebbero avere anche un effetto barriera contro l’ingresso del virus attraverso gli occhi o il sistema naso-lacrimale. Si tratta tuttavia di uno studio in vitro, i cui risultati dovranno essere confermati da studi su modello animale e nell’uomo”.
Gli occhi: una via di ingresso del virus del Covid-19 poco considerata
Il virus SARS CoV-2 può penetrare nell’organismo anche attraverso gli occhi, come scoprì a sue spese un membro del National Expert Panel on Pneumonia americano inviato a Wuhan per un’ispezione; l’uomo, che non indossava presidi di protezione per gli occhi, sviluppò prima una congiuntivite, poi la classica polmonite da Covid-19. Altri studi hanno dimostrato che il virus può permanere negli occhi anche a distanza di alcune settimane dalla fase acuta della malattia. Gli occhi insomma sono un organo bersaglio del SARS CoV-2, in particolare in presenza di piccoli danni, come quelli che si verificano nella sindrome dell’occhio secco. Nei pazienti con Covid-19 ad essere colpite sono soprattutto le cellule mucipare ‘a calice’, mentre quelle della cornea e quelle congiuntivali, forse perché protette dal film lacrimale che si rinnova ogni 5 minuti, sembrano più protette dall’infezione, a meno che non ci si trovi in una condizione come la sindrome dell’occhio secco.
Questa osservazione ha portato a pensare che il film lacrimale possa agire come barriera protettiva anche contro il virus; ma in realtà si tratta di un’arma a doppio taglio, perché se il virus riesce a penetrare nello strato delle lacrime, il loro drenaggio determina il suo arrivo nel sistema naso-lacrimale, da dove il SARS CoV-2 può facilmente penetrare nell’organismo, attraverso la sua via d’accesso preferita, il naso appunto.
Potenziare l’effetto barriera delle lacrime contro il SARS CoV-2
“Da queste osservazioni – spiega il professor Rizzo - è nata l’idea di potenziare l’effetto barriera delle lacrime contro il SARS CoV-2, utilizzando uno speciale collirio a base di ozono”. Da tempo sono note le proprietà antimicrobiche dell’ozono, legate probabilmente alla sua capacità di indurre un temporaneo stress ossidativo (reagendo con gli acidi grassi polinsaturi e con l’acqua presenti sulla superficie degli occhi induce la produzione di perossido d’idrogeno, cioè di acqua ossigenata); questa a sua volta stimola la produzione di Nrf2 (nuclear factor-erythroid 2-related factor 2) che attiva la trascrizione di una serie di fattori anti-ossidanti, come la superossido dismutasi e la glutatione perossidasi.
L’ozono è utilizzato da tempo in medicina per disinfettare e trattare patologie infettive, vista la sua capacità di inattivare batteri, virus, funghi, lieviti e persino protozoi. La sua attività antivirale in particolare si esplica danneggiando il capside virale e alterando la replicazione virale attraverso la perossidazione.
Come ‘intrappolare’ un gas in un presidio medico
“Essendo un gas – spiega il professor Rizzo - l’ozono è molto instabile, ma per renderlo idoneo ad un uso topico, si può stabilizzare facendolo reagire con un acido grasso monoinsaturo come l’acido oleico e creando così i cosiddetti ‘oli ozonati’, che mantengono le stesse proprietà dell’ozono gassoso e sono ben tollerati dai tessuti. Gli oli ozonati in nanoformulazione vengono già utilizzati sotto forma di collirio o di gel oftalmico per lenire i sintomi legati a patologie oculari di tipo infiammatorio, anche di origine infettiva; l’ozono peraltro facilita la guarigione dei danni corneali, minimizzando il rischio di cicatrizzazione e opacamento della cornea”.
L’ozono può bloccare l’ingresso del SARS CoV-2 nelle cellule della superficie dell’occhio?
Lo studio appena pubblicato su Translational Vision Science & Technology, ha valutato in vitro l’effetto di un gel oftalmico liposomico a base oli ozonati sulle cellule epiteliali della cornea umane infettate con il SARS CoV-2.
“Obiettivo dello studio – spiega il professor Rizzo - era di valutare se questo gel oftalmico fosse in grado di prevenire l’infezione da SARS CoV-2 nei tessuti superficiali dell’occhio e di valutare se, nei pazienti con sindrome dell’occhio secco, potesse contribuire a ripristinare l’integrità della superficie dell’occhio, riparando e rigenerando i microvilli congiuntivali”. Obiettivi entrambi centrati perché in questo studio, il gel oculare a base di ozono si è dimostrato in grado di inibire la replicazione virale e l’ingresso del virus nelle cellule della superficie dell’occhio (corneali e congiuntivali). Il gel oftalmico all’ozono inoltre si è dimostrato in grado di ripristinare la rigenerazione cellulare e di controllare l’infiammazione nella sindrome dell’occhio secco.
“In attesa di un vaccino in grado di bloccare anche la diffusione del virus – conclude il professor Rizzo - sono ancora scarse le misure che possono essere messe in atto per ridurre il rischio di contagio (mascherina, distanziamento sociale, lavare spesso le mani). E la superficie oculare rappresenta una potenziale via di entrata del virus, in particolare in caso di anomalie dei film lacrimale, come nella sindrome dell’occhio secco. Qualora i risultati di questa ricerca venissero confermati anche da studi su modello animale e nell’uomo, sarebbe dunque ipotizzabile proporre la somministrazione topica di gel oftalmici all’ozono per prevenire l’ingresso del SARS CoV-2 attraverso la superficie oculare; una misura di protezione da consigliare in primo luogo al personale sanitario e da estendere eventualmente a tutta la popolazione.”
"La vaccinazione Covid è raccomandata per tutte le persone di età pari o superiore a 12 anni, comprese le donne in gravidanza, che allattano, che stanno cercando un figlio o che potrebbero rimanere incinte in futuro". Lo scrivono con chiarezza i Cdc statunitensi (Centers for Disease Control and Prevention) in un aggiornamento pubblicato oggi sul sito web.
"Le donne in gravidanza anche da poco tempo hanno maggiori probabilità di ammalarsi gravemente di Covid rispetto alle persone non in attesa" di un bebè. Fare il vaccino, è il messaggio per le future mamme, "può proteggere da malattia grave" da Sars-CoV-2.
A conferma di quanto raccomandato, i Cdc forniscono un quadro sul fronte sicurezza della vaccinazione con prodotti scudo a mRna: "Un nuovo studio Cdc non ha riscontrato un aumento del rischio di aborto spontaneo dopo la vaccinazione Covid durante l'inizio della gravidanza. Questi risultati possono aiutare a informare le discussioni" tra le donne incinte e i sanitari, sottolinea l'Ente.
I primi dati statunitensi sulla sicurezza della vaccinazione (con Moderna o Pfizer-BioNTech) durante la gravidanza vengono definiti "rassicuranti" dai Cdc. Il rapporto realizzato ha preso in considerazione i dati di tre sistemi di monitoraggio senza riscontrare problemi per le mamme né per i loro bebè. Un altro report ha esaminato le donne in gravidanza arruolate nel registro 'V-safe' vaccinate prima delle 20 settimane di gestazione. Gli scienziati non hanno riscontrato un aumento del rischio di aborto spontaneo da questi dati. Diverse gravidanze sono in corso. Gli esperti continueranno a seguire queste donne.
"Quali sono i pazienti con patologie onco-ematologiche a maggior rischio di esito negativo in caso di Covid-19? La risposta viene dai risultati di Epicovid EHA Survey, presentati all'ultimo congresso della Associazione Europea di Ematologia (EHA).
Obiettivo di questa ricerca internazionale era capire quali fossero i pazienti onco-ematologici a maggior rischio di COVID rispetto agli outcome, cioè quelli con il più alto tasso di mortalità. Allo studio hanno preso parte 132 centri in tutto il mondo, che hanno permesso di raccogliere 3.800 casi di pazienti con emopatie maligne e diagnosi COVID, in un arco temporale compreso tra marzo e dicembre 2020". A dirlo è la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, in una nota. "Le patologie più rappresentate tra i pazienti arruolati sono state il linfoma non Hodgkin (LNH), la leucemia mieloide acuta e il mieloma multiplo- spiega la nota.
"Ci aspettavamo che mieloma e LNH (le patologie onco-ematologiche più frequenti) fossero ben rappresentate in questa coorte di pazienti- commenta il coordinatore dello studio, il Professor Livio Pagano, direttore della UOSD di Ematologia Geriatrica ed Emopatie Rare della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Professore associato di Ematologia, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma- mentre siamo rimasti molto sorpresi dall'alta percentuale di pazienti con LMA (13%), una patologia del paziente anziano, che evidentemente rappresenta un importante fattore di rischio per Covid-19 ad esito negativo. Al contrario, le leucemie linfatiche croniche che sono in assoluto la patologia più diffusa (quattro volte più frequenti rispetto alle LMA) in questa coorte di pazienti con patologie ematologiche e Covid-19 erano appena il 12%- spiega Pagano.
"Sempre stando ai risultati dello studio- prosegue la nota- i principali fattori di rischio (comorbilità) che incidono negativamente sulla prognosi dei pazienti onco-ematologici affetti da Covid-19 sono: le malattie cardiovascolari (come tra la popolazione generale), l'insufficienza renale, il fumo, il ricovero in terapia intensiva". Dai risultati dello studio emerge che "per quanto riguarda i sintomi del Covid-19, la maggior parte dei pazienti onco-ematologici ha presentato un interessamento polmonare; le forme di Covid-19 registrate sono state per il 70% di livello severo-critico, ma un paziente 4-5 è risultato oligo-asintomatico. Il 25% dei pazienti ematologici colpiti da Covid-19 ha avuto necessità della terapia intensiva e il 65% di questi ha avuto bisogno di essere intubato". Quali sono i pazienti ematologici che rischiano di più in caso di Covid-19?- si interroga la nota: "questo studio - prosegue il professor Pagano- ha permesso di evidenziare che il Covid-19 ha colpito in modo grave soprattutto i pazienti che avevano fatto chemioterapia negli ultimi 3 mesi ed è paradossale il fatto che il tasso di infezione da SARS CoV-2 sia risultato maggiore tra i trattati con chemioterapia tradizionale, rispetto ai soggetti trapiantati. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che i pazienti trapiantati sono più controllati e protetti. Altra categoria ad altissimo rischio è quella dei pazienti trattati con le CAR-T (30 i pazienti trattati con CAR-T in questa casistica), tra i quali la mortalità è stata del 47%- sottolinea Pagano.
"Il tasso di mortalità da Covid-19 tra i pazienti onco-ematologici è del 31%, ma arriva al 44-45% nei pazienti di età superiore ai 70 anni, al 63% tra i soggetti ricoverati in rianimazione e al 70% tra chi ha avuto bisogno di ventilazione invasiva. Le categorie a maggior rischio di mortalità in caso di Covid-19 sono risultate le leucemie mieloidi acute (40%) e le mielodisplasie (42%). Tra i soggetti sottoposti a trapianto di midollo invece la mortalità è risultata del 24-25%- specifica la nota. "Nella seconda ondata, più casi di Covid-19 tra i pazienti onco-ematologici, ma si riduce mortalità: "mettendo a confronto i dati della prima ondata (marzo-maggio 2020 con quelli della seconda ondata (ottobre-dicembre)- rivela il professor Pagano- abbiamo evidenziato che, nonostante l'aumento del numero di infezioni registrate nella seconda ondata, c'è stata una marcata riduzione della mortalità complessiva, passata dal 40% della prima ondata, al 24% della seconda ondata".
"Il vaccino Covid nei pazienti onco-ematologici funziona? Per i pazienti onco-ematologici- afferma il professor Pagano- il vaccino raccomandato è quello Pfizer e va fatto a tutti. Abbiamo presentato al Ministero della Salute le linee guida della Società Italiana di Ematologia, nelle quali diamo indicazione a vaccinare tutti i pazienti onco-ematologici.
Va detto tuttavia che in molti di questi pazienti il vaccino è scarsamente efficace, perché si tratta di soggetti immunodepressi (in particolare quelli in trattamento con l'immunoterapia, come i soggetti affetti da linfoma e mieloma)". "Il take home message per il pubblico è insomma che il paziente con patologia onco-ematologica deve vaccinarsi, indipendentemente dal grado di risposta al vaccino che possa presentare- evidenzia la nota. "La Epicovid EHA Survey proseguirà per tutto il 2021- viene infine annunciato- ma con altre finalità: verranno infatti registrati solo i pazienti che contraggono il Covid-19, nonostante siano stati vaccinati, e i pazienti colpiti da un secondo episodio di Covid-19. Questo primo sotto-studio- conclude il professor Pagano- darà dunque indicazioni su quali siano i pazienti a rischio di mancata risposta al vaccino e ci aiuterà a capire se potrebbe essere utile sottoporli ad una terza dose".
"Io dico alle industrie: ‘fermiamoci’ rispetto alla terza dose" dei vaccini anti covid "per la quale non dobbiamo accelerare ma pensare alla memoria immunologica e ai linfociti T, e per le popolazioni che non sono statisticamente rilevanti rispetto alla malattia non facciamo pendere la bilancia verso il rischio".
Lo dice a Sky TG24 Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Inmi Spallanzani, ospite di ‘Timeline’.
L'esperto si dice "assolutamente contrario alla vaccinazione degli under 12, per due motivi". "E' statisticamente irrilevante non solo il contagio ma anche la malattia nei bambini al di sotto dei 12 anni.In questo caso quindi la bilancia rischio-beneficio penderebbe tutta dalla parte del rischio. Il problema non è l’Rna che resta nell’organismo – sottolinea - per cui domani facciamo i bambini con la testa d’elefante, questa è un’informazione medievale che non c’entra nulla. Il problema è che comunque noi possiamo avere degli effetti collaterali. Nei bambini non c’è questo contagio così imponente e non c’è la malattia".
"Oggi - ricorda Vaia - tra i non vaccinati che si ricoverano l’età media è fra i 50-60 anni, tutte persone in quelle fasce d’età che sono i figli della nostra cattiva comunicazione, gli ‘esitanti dell’AstraZeneca’, tanto per essere chiari, che non si sono vaccinati e sono oltre due milioni".
La terza dose di vaccino anti Covid è un salto nel buio perché non si sa se usare lo stesso preparato vaccinale, e probabilmente ci sarebbe bisogno di usare un altro preparato vaccinale" con gli aggiornamenti sulle varianti, "non si sa qual è la situazione immunitaria di chi si è vaccinato e chi ha già avuto un decadimento degli anticorpi". Lo dice all'Adnkronos Salute il virologo Francesco Menichetti, primario di Malattie infettive all'ospedale di Pisa sull'ipotesi di un richiamo del vaccino per gli immunizzati.
"Sicuramente valutare persona per persona è molto complesso - ammette il medico - ma noi potremmo già orientarci per decadi perché in linea generale le decadi più elevate sono quelle più esposte a un decadimento della risposta anticorpale, quindi partire dagli ultraottantenni e campionare gli anticorpi e poi scendere agli over 70, agli over 60 con una progressività, non dimenticando i fragili".
Il virologo invita poi a "pensare agli anticorpi monoclonali come alternativa al vaccino. Ci sono delle categorie affette da immunodeficienze di varia natura che ai vaccini non rispondono e hanno bisogno di protezione".
I monoclonali, spiega, "sono anticorpi che non devi produrre ma sono già belli e prodotti, sono protettivi, durano mesi, hanno uno spettro di attività molto ampio che include le varianti e quindi sono un'alternativa al vaccino o un'integrazione del vaccino molto, molto interessante".
"L'unico problema - aggiunge - è la loro validazione clinica e il costo ma dove riuscissimo a contenerne il costo sarebbe un preparato a intramuscolo facile da somministrare, quasi domiciliare, quindi sarebbe davvero importante poterne disporre. Così come importante sarebbe disporre di uno o più farmaci antivirali orali. Per i refrattari al vaccino bisogna dire che ci sono anche queste possibili alternative. Perché non dirlo? Non saremmo equilibrati nel nostro giudizio. Non ti vuoi proprio vaccinare? Fatti i monoclonali, sono anticorpi, è come fare le immunoglobuline per il tetano, non è uguale ma molto simile".
In uno studio pubblicato su Lancet Child and Adolescent Health, i ricercatori del King's College di Londra hanno esaminato i rapporti sanitari giornalieri registrati nell'app ZOE COVID Symptom Study tra marzo 2020 e febbraio 2021 da genitori o tutori per conto di oltre 250.000 bambini di età compresa tra 5 e 17 anni con quasi 7.000 con sintomi coerenti con COVID-19 e un test positivo.
Il team ha precedentemente analizzato i dati degli adulti utilizzando lo studio ZOE COVID Symptom Study e ha mostrato che circa un adulto su 7 ha manifestato sintomi di COVID-19 della durata di 4 settimane, mentre uno su 20 si è ammalato per 8 settimane o più.
Per questa analisi, il team si è concentrato sul periodo da settembre 2020 a febbraio 2021. Ciò ha coinciso con la riapertura delle scuole in autunno e il picco dell'ondata invernale quando c'era un'ampia disponibilità di test COVID.
Durante questo periodo, sono stati segnalati 1.734 bambini che avevano un chiaro punto di inizio e fine dei loro sintomi e un test PCR COVID positivo, consentendo ai ricercatori di determinare la durata della malattia con una certa tolleranza per la ricomparsa dei sintomi.
In media, la malattia è durata 5 giorni nei bambini più piccoli (da 5 a 11 anni) e 7 giorni nei bambini più grandi tra 12 e 17 anni. Meno di uno su 20 (4,4%) ha manifestato sintomi per 4 settimane o più, mentre solo uno in cinquanta (1,8%) hanno avuto sintomi di durata superiore a 8 settimane.
I sintomi più comuni riportati nei bambini sono stati mal di testa, stanchezza (affaticamento), mal di gola e perdita dell'olfatto (anosmia). In genere, questi bambini hanno avuto sei diversi sintomi COVID nella prima settimana e circa otto diversi sintomi in totale per tutta la durata della loro malattia. In modo rassicurante, non sono stati segnalati sintomi neurologici gravi come convulsioni, ridotta concentrazione o attenzione o ansia.
I ricercatori hanno quindi confrontato i risultati per i bambini risultati positivi per COVID-19 con lo stesso numero di bambini abbinati per età e sesso che sono stati segnalati come aventi sintomi nell'app ZOE COVID Symptom Study ma poi sono risultati negativi per il coronavirus.
In media, questi bambini sono stati malati solo per tre giorni, riportando più comunemente mal di gola, mal di testa, febbre e affaticamento. Sebbene solo una manciata di questa coorte di controllo avesse sintomi della durata di 4 settimane o più, questi bambini avevano più sintomi rispetto ai bambini con una lunga malattia dopo il COVID-19.
Sebbene i livelli di malattie infettive comuni come "influenza, virus respiratorio sinciziale (RSV) e altro, tosse e raffreddore siano stati insolitamente bassi durante l'inverno 2020-2021 a causa della chiusura delle scuole e del distanziamento sociale, c'è il rischio che rimbalzino" in maniera importante nei prossimi anni.
Oltre a far luce sul rischio di malattia di lunga durata nei bambini con COVID-19, questo studio evidenzia anche che altre infezioni infantili possono causare malattie a lungo termine, con implicazioni per la pianificazione e l'erogazione dei servizi sanitari per l'infanzia dopo la pandemia.
Il dottor Michael Absoud, autore senior dello studio e consulente e docente senior della School of Life Course Sciences, ha dichiarato: “I nostri dati evidenziano che anche altre malattie, come raffreddore e influenza, possono avere sintomi prolungati nei bambini ed è importante tenerne conto quando si pianificano i servizi sanitari pediatrici durante la pandemia e oltre. Ciò sarà particolarmente importante dato che è probabile che la prevalenza di queste malattie aumenti man mano che le misure di distanziamento fisico attuate per prevenire la diffusione di COVID-19 sono allentate. Tutti i bambini che hanno sintomi persistenti – di qualsiasi malattia – hanno bisogno di un tempestivo supporto multidisciplinare legato all'istruzione, per consentire loro di trovare il proprio percorso individuale di guarigione”.
"Sappiamo da altri studi che molti bambini che prendono il coronavirus non mostrano alcun sintomo; e sarà rassicurante per le famiglie sapere che è improbabile che quei bambini che si ammalano di COVID-19 subiscano effetti prolungati. Tuttavia, la nostra ricerca conferma che un piccolo numero ha una lunga durata della malattia con COVID-19, sebbene anche questi bambini di solito si riprendano con il tempo. Speriamo che i nostri risultati siano utili per i medici, i genitori e le scuole che si prendono cura di questi bambini e, naturalmente, per i bambini stessi. È anche importante ricordare che ci sono altre malattie infettive che possono far ammalare i bambini per molte settimane, e questi bambini non dovrebbero essere trascurati", ha evidenziato l'Autore senior dello studio, Emma Duncan, Professore di Endocrinologia clinica presso la School of Life Course Sciences.
"Studi come questo ci aiuteranno a comprendere meglio il lungo COVID e il suo impatto su diversi gruppi mentre impariamo a convivere con il virus. Come ha affermato il Segretario per la salute e l'assistenza sociale, vogliamo che il Regno Unito sia un leader mondiale nella ricerca sul COVID a lungo termine -ha aggiunto il ministro della Sanità, Lord Bethell- È incoraggiante vedere che la condizione è rara tra i bambini e continueremo a fornire supporto a coloro che soffrono gli effetti a lungo termine del virus. Abbiamo già aperto oltre 80 lunghi servizi di valutazione COVID in tutta l'Inghilterra, inclusi servizi specializzati per bambini e giovani sostenuti da 100 milioni di sterline.
"Stiamo anche supportando i nostri scienziati eccezionali con oltre 50 milioni di sterline per la ricerca per comprendere meglio gli effetti a lungo termine per garantire che siano disponibili l'aiuto e i trattamenti giusti".
Il professor Tim Spector, responsabile dello studio sui sintomi del COVID di ZOE, ha infine dichiarato: “Questa ricerca evidenzia l'importanza dei dati che migliaia di genitori e tutori hanno contribuito per conto dei loro figli. Queste intuizioni sono possibili solo attraverso la scienza dei dati della comunità su larga scala e siamo grati a tutti coloro che hanno impiegato un minuto o due dei loro giorni impegnativi per registrare la salute di se stessi e della propria famiglia durante la pandemia".
L'eradicazione globale di Covid-19 è "probabilmente fattibile". L'obiettivo tanto sognato in un mondo alle prese con la pandemia da oltre un anno e mezzo ormai e con nuove ondate di contagi, sarebbe raggiungibile "più per questo virus che per la polio", ma "considerevolmente meno" di quanto non lo sia stato per il vaiolo, caso di successo visto che è stato dichiarato eradicato nel 1980.
E' quanto afferma un gruppo di esperti di salute pubblica, che ha applicato alle malattie infettive in questione un sistema di punteggi per misurare quanto sia a portata di mano la meta.
I risultati dell'analisi sono pubblicati online sulla rivista 'Bmj Global Health'. I ricercatori, esperti dell'University of Otago Wellington in Nuova Zelanda, hanno identificato anche quali sono le sfide principali per l'operazione 'pianeta Covid free': prima di tutto la capacità di assicurare un'elevata diffusione del vaccino e la risposta all'emergere di varianti di Sars-CoV-2 che complicherebbero la strada verso l'eradicazione. Il sistema applicato dagli studiosi è un punteggio comparativo che considera fattori tecnici, sociopolitici ed economici per tutte e tre le infezioni.
Le loro conclusioni sono da un lato incoraggianti, visto che - al di là del vaiolo già sparito dalla faccia della terra - il confronto è con una malattia infettiva sulla quale già sono stati ottenuti grandi risultati (due dei tre sierotipi di poliovirus sono stati eradicati a livello globale). Gli esperti hanno usato un sistema di punteggio a tre punti per ciascuna delle 17 variabili considerate, che includevano fattori come la disponibilità di un vaccino sicuro ed efficace; l'immunità permanente; l'impatto delle misure di sanità pubblica; la gestione efficace da parte del governo della messaggistica per il controllo delle infezioni; la preoccupazione politica e pubblica per gli impatti economici e sociali dell'infezione; l'accettazione pubblica delle misure di controllo delle infezioni. I punteggi medi totali calcolati dagli autori dell'analisi hanno raggiunto fino a 2,7 (43/48) per il vaiolo, 1,6 (28/51) per Covid-19 e 1,5 (26/51) per la poliomielite.
"La vaccinazione, le misure di salute pubblica e l'interesse globale nel raggiungere questo obiettivo a causa dell'enorme caos finanziario e sociale causato dalla pandemia di coronavirus, rendono possibile l'eradicazione", è la conclusione degli autori del calcolo, Nick Wilson, Osman D. Mansoor, Matthew J. Boyd, Amanda Kvalsvig, Michael G. Baker.
Ma le sfide principali risiedono nel garantire una copertura vaccinale sufficientemente elevata e nell'essere in grado di rispondere abbastanza rapidamente alle varianti che possono eludere l'immunità, affermano gli autori. Per stimare la fattibilità dell'eradicazione di Covid-19, definita come "la riduzione permanente a zero dell'incidenza mondiale dell'infezione causata da un agente specifico a seguito di sforzi deliberati", gli autori l'hanno confrontata con altri due 'flagelli virali' per i quali i vaccini sono stati e sono disponibili, vaiolo e polio.
"La nostra analisi è uno sforzo preliminare, con varie componenti soggettive, ma sembra mettere l'eradicazione di Covid-19 nel regno del possibile, soprattutto in termini di fattibilità tecnica", scrivono. Ma avvertono: rispetto al vaiolo e alla polio, le sfide tecniche per l'eradicazione di Covid includono anche la scarsa accettazione del vaccino, insieme all'emergere di varianti più altamente trasmissibili che potrebbero prima o poi presentarsi in una versione in grado di eludere l'immunità, potenzialmente superando i programmi di vaccinazione globali. Sebbene, aggiungono gli studiosi, ci siano "ovviamente dei limiti all'evoluzione virale, quindi possiamo aspettarci che il virus raggiunga la sua massima forma (fitness), e che possano essere formulati nuovi vaccini".
Altri nodi "sarebbero gli alti costi iniziali per la vaccinazione e il miglioramento dei sistemi sanitari, il raggiungimento della necessaria cooperazione internazionale di fronte al 'nazionalismo dei vaccini'", le "aggressioni antiscientifiche mediate" da alcuni "governi", ammettono. La persistenza del virus in serbatoi animali può anche ostacolare gli sforzi di eradicazione, ma "questo non sembra essere un problema serio", suggeriscono.
Sull'altro piatto della bilancia c'è la volontà globale di contrastare l'infezione, "un interesse globale senza precedenti per il controllo delle malattie e massicci investimenti nella vaccinazione contro la pandemia", sottolineano. E a differenza del vaiolo e della poliomielite, Covid beneficia anche "dell'ulteriore impatto delle misure di salute pubblica, come i controlli alle frontiere, il distanziamento sociale, il tracciamento dei contatti e l'uso di mascherine, che possono essere molto efficaci se ben implementate".
"Collettivamente questi fattori potrebbero significare che un'analisi del 'valore atteso' potrebbe in definitiva stimare che i benefici superino i costi, anche se l'eradicazione richiede molti anni e presenta un rischio significativo di fallimento", concludono gli esperti. L'eliminazione di Covid è stata tra l'altro anche ottenuta e sostenuta per lunghi periodi in diverse aree del mondo (Asia, regione del Pacifico), e questa può essere letta come "una prova del fatto che l'eradicazione globale è tecnicamente possibile".
Circa il 93% dei 90 pazienti gravi con coronavirus trattati in diversi ospedali greci con un nuovo farmaco sviluppato da un team del Sourasky Medical Center di Tel Aviv come parte della sperimentazione di fase II del trattamento è stato dimesso in cinque giorni o meno.
Lo studio di Fase II ha confermato i risultati della Fase I, che è stata condotta in Israele lo scorso inverno e ha visto 29 pazienti su 30 in condizioni da moderate a gravi riprendersi in pochi giorni. "L'obiettivo principale di questo studio era verificare che il farmaco fosse sicuro", ha affermato il prof. Nadir Arber. "Fino ad oggi non abbiamo registrato alcun effetto collaterale significativo in nessun paziente di entrambi i gruppi". Lo studio è stato condotto ad Atene, perché Israele non aveva abbastanza pazienti rilevanti. L'investigatore principale, riporta The Jerusalmen Post, è il commissario greco per il coronavirus, il prof. Sotiris Tsiodras.Arber e il suo team, tra cui il dottor Shiran Shapira, hanno sviluppato il farmaco sulla base di una molecola che il professore studia da 25 anni chiamata CD24, che è naturalmente presente nell'organismo. "È importante ricordare che 19 pazienti su 20 COVID-19 non hanno bisogno di alcuna terapia", ha affermato Arber.
"Dopo una finestra di 5-12 giorni, circa il 5% dei pazienti inizia a peggiorare". La causa principale del deterioramento clinico è un'eccessiva attivazione del sistema immunitario, nota anche come tempesta di citochine. In caso di pazienti COVID-19, il sistema inizia ad attaccare le cellule sane nei polmoni. "Questo è esattamente il problema che i nostri farmaci prendono di mira", ha detto. CD24 è una piccola proteina che è ancorata alla membrana delle cellule e svolge molte funzioni inclusa la regolazione del meccanismo responsabile della tempesta di citochine. Arber ha sottolineato che il loro trattamento, EXO-CD24, non colpisce il sistema immunitario nel suo insieme, ma mira solo a questo specifico meccanismo, aiutandolo a ritrovare il suo corretto equilibrio.
"Questa è medicina di precisione", ha detto. "Siamo molto felici di aver trovato uno strumento per affrontare la fisiologia della malattia". "Gli steroidi, ad esempio, spengono l'intero sistema immunitario", ha ulteriormente spiegato. "Stiamo bilanciando la parte responsabile delle tempeste di citochine utilizzando il meccanismo endogeno del corpo, ovvero gli strumenti offerti dal corpo stesso". Arber ha notato che un altro elemento rivoluzionario di questo trattamento è la sua somministrazione. "Stiamo impiegando esosomi, vescicole molto piccole derivate dalla membrana delle cellule, che sono responsabili dello scambio di informazioni tra loro", ha detto.
"Riuscendo a consegnarli esattamente dove sono necessari, evitiamo molti effetti collaterali", ha aggiunto. Il team è ora pronto per avviare l'ultima fase dello studio. "Per quanto promettenti possano essere i risultati delle prime fasi di un trattamento, nessuno può essere sicuro di nulla finché i risultati non vengono confrontati con quelli dei pazienti che ricevono un placebo", ha affermato.
Allo studio prenderanno parte 155 pazienti affetti da coronavirus. A due terzi di loro verrà somministrato il farmaco e a un terzo un placebo. Lo studio sarà condotto in Israele e potrebbe essere condotto anche in altri luoghi se il numero di pazienti nel Paese non sarà sufficiente. "Speriamo di completarlo entro la fine dell'anno", ha detto Arber. Se i risultati saranno confermati, ha promesso che il trattamento potrà essere reso disponibile in tempi relativamente brevi e a basso costo. "Inoltre, un successo potrebbe aprire le porte alla cura di molte altre malattie", ha concluso.
Le agenzie di intelligence americane stanno scandagliando un gigantesco 'catalogo di informazioni genetiche' che, una volta decifrato, potrebbe fornire rivelazioni sulle origini del Coronavirus. A scriverne è la Cnn, precisando che tra i dati figurano i modelli genetici ricavati dai campioni del virus studiati nel laboratorio di Wuhan, guardato da molti come la possibile fonte iniziale della pandemia.
Non è chiaro, precisa l'emittente, come le agenzie di intelligence abbiano avuto accesso alle informazioni, anche se i sistemi utilizzati per processare questo tipo di dati - secondo le diverse fonti citate dalla Cnn - sono normalmente connessi a server remoti basati su cloud, il che lascia aperta la possibilità di infiltrazioni.
Trasformare questa enorme quantità di dati grezzi in informazioni utilizzabili presenta una serie di difficoltà, non da ultimo lo sfruttamento di una potenza di calcolo sufficiente per elaborare il tutto. Per fare ciò, le agenzie si affidano ai supercomputer dei National Labs del Dipartimento dell'Energia, un gruppo di 17 istituti di ricerca governativi d'élite.
C'è poi un problema di manodopera. Non solo le agenzie di intelligence hanno bisogno di scienziati governativi abbastanza abili da interpretare dati di sequenziamento genetico complessi - scienziati che siano peraltro in possesso della necessaria autorizzazione di sicurezza - ma devono anche parlare cinese mandarino. "Naturalmente ci sono scienziati autorizzati dal punto di vista della sicurezza nazionale. Ma che parlino mandarino? Pochi. E non solo scienziati, ma anche specializzati nel settore. Si capisce subito come tutto questo diventi complicato", spiega all'emittente una fonte a conoscenza dell'organizzazione dell'intelligence.
I funzionari coinvolti sperano che queste informazioni aiutino a rispondere alla domanda su come il virus sia passato dagli animali all'uomo. Sbloccare questo mistero è essenziale per determinare in definitiva se il Covid-19 sia fuoriuscito dal laboratorio o sia stato trasmesso agli esseri umani dagli animali in natura, spiegano diverse fonti alla CNN.
Gli inquirenti hanno cercato a lungo i dati genetici relativi ai campioni di virus studiati presso l'Istituto di virologia di Wuhan. Tali dati sono stati rimossi da Internet da funzionari cinesi nel settembre 2019 e da allora la Cina si è rifiutata di consegnare questo e altri elementi sui primi casi di Coronavirus all'Organizzazione mondiale della sanità e agli Stati Uniti, si legge.
I vaccini contro Covid-19 funzionano nel prevenire lo sviluppo della malattia anche nelle persone affette da tumore. Ciò che però rimaneva ancora da capire era come variava la risposta immunitaria alla vaccinazione in corso di terapia ed ancor più se esistessero delle differenze in base alla strategia anti-cancro utilizzata.
A fare chiarezza ci ha pensato uno studio -coordinato dal professor Michele Maio, direttore del CIO (Centro di Immuno-Oncologia), dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese (AOUS), sviluppato in collaborazione con le Prof.sse Maria Grazia Cusi, Direttore della UOC Microbiologia e Virologia della AOUS ed Anna Maria Di Giacomo -primo autore del lavoro- del CIO, e con la Fondazione NIBIT, pubblicato dalla rivista European Journal of Cancer (https://authors.elsevier.com/sd/article/S0959-8049(21)00496-2).
Dai risultati emerge chiaramente che a differenza di chi è in trattamento con immunoterapia -dove la risposta al vaccino è ottimale in termini di produzione di anticorpi-, con la chemioterapia non sempre la vaccinazione porta ad una robusta risposta anticorpale. Un dato da tenere presente in ottica di una possibile terza dose in questo particolare gruppo di pazienti.
Cancro e Covid-19
Tra le persone maggiormente a rischio di sviluppare complicanze in seguito ad infezione con Sars-Cov-2 ci sono i malati di tumore. Diversi studi hanno infatti dimostrato che le probabilità di decesso per Covid-19 sono maggiori proprio in chi vive con una diagnosi di tumore. Per questa ragione, le linee guida prodotte dalle società scientifiche nazionali ed internazionali di oncologia medica (AIOM, ESMO, ASCO) sono tutte concordi nell'affermare che i malati di cancro devono vaccinarsi appena possibile. Non a caso, arrivati i vaccini in gennaio, i pazienti oncologici sono stati inseriti nella categoria con priorità di vaccinazione in quanto fragili.
Il vaccino funziona
Anche se i vaccini non sono stati testati -durante la fase sperimentale- in persone affette da cancro, i dati provenienti dalle migliaia di somministrazioni effettuate in giro per il mondo dimostrano l'utilità di questo approccio.
“Nelle persone con diagnosi di tumore -spiega Maio- effettuare la vaccinazione ha dimostrato essere fondamentale per ridurre le possibilità che l'individuo sviluppi Covid-19 e le sue possibili complicanze. Ma se questo messaggio è ormai più che assodato, il nostro studio ha voluto indagare l'effetto del vaccino somministrato in quei pazienti proprio durante il trattamento oncologico. Non solo, abbiamo voluto indagare se la risposta al vaccino differiva a seconda della strategia di cura somministrata”.
Differenti risposte
Come atteso, anche in base ai dati iniziali di letteratura già disponibili, la vaccinazione con mRNA-1273 (Moderna) ha dimostrato di indurre nella maggior parte dei pazienti una risposta anticorpale -verificata dosando la quantità di anticorpi diretti contro la proteina spike presenti nel sangue-, paragonabile a quella che avviene negli individui sani. Andando però ad analizzare la risposta anticorpale in base alla tipologia di cura somministrata (su un totale di 131 pazienti, 70 con immunoterapia, 28 chemioterapia, 23 con terapie a target molecolare e 10 con combinazione target più immunoterapia), la produzione di anticorpi ha subito variazioni significative. “Dalle analisi -prosegue Maio- il dato che emerge chiaramente vede i pazienti in cura con immunoterapia avere una quantità media di anticorpi significativamente superiore rispetto a quelli trattati con chemioterapia o target therapy, e addirittura più elevata rispetto a quella osservata nei donatori sani. Una possibile spiegazione risiede nel fatto che l'immunoterapia, rimuovendo il freno all'attività del sistema immunitario del paziente, lasci libere le cellule di difesa nel rispondere con più forza non solo al tumore ma anche al vaccino contro Sars-Cov-2”. Al contrario, la risposta anticorpale nei pazienti in cura con chemioterapia o target therapy, non è risultata così robusta, verosimilmente a causa dell’effetto immunosoppressivo di queste terapie
Possibile terza dose
Risultati importanti, quelli ottenuti nello studio realizzato dalla Fondazione NIBIT, che aprono una serie di interrogativi sulle modalità di vaccinazione nei pazienti oncologici. “Se già negli individui sani si sta cercando di comprendere l'eventuale necessità di una terza dose, i risultati ottenuti ci indicano che in futuro, nei pazienti oncologici, sarà importante valutare la necessità di una ulteriore dose in particolare nei pazienti attivamente in cura con chemioterapia o target therapy” conclude Maio.
L'ondata pandemica di covid in corso negli Usa, spinta dalla variante Delta, sta mandando sempre più bambini in ospedale, sia a Philadelphia che nel resto degli States. Segno, secondo i medici, che gli adulti devono sforzarsi di più per proteggere i bambini, specialmente quelli sotto i 12 anni, che non si possono vaccinare.
A livello nazionale, le ospedalizzazioni di bambini per Covid-19 sono salite dell'84% dal 10 al 31 luglio, da 665 a 1.224, secondo il Dipartimento Usa della Salute. In questa regione, il numero dei ricoveri pediatrici è salito da 4 a 13 nel New Jersey e da 20 a 28 in Pennsylvania, dal 10 al 31 luglio. Anche se in crescita, il tasso di ospedalizzazione resta basso: 1,1 bambini ogni 100mila in Pennsylvania e 0,7 su 100mila nel New Jersey.
Secondo un rapporto dell'Accademia Americana di Pediatria (Aap) e della Children's Hospital Association, solo lo 0,1%-1,9% di tutti i casi noti di Covid nei bambini porta al ricovero in ospedale. La percentuale reale è probabilmente anche più bassa, poiché molti bambini che si contagiano non vengono testati, dice Sara Bode, direttrice dei servizi sanitari del Nationwide Children's Hospital di Columbus, Ohio, e presidente di una commissione dell'Aap per la salute nelle scuole.
Tuttavia, questa tendenza è preoccupante per gli esperti. Bode dice che i ricoveri dei bambini tipicamente salgono insieme a quelle degli adulti della loro comunità. Nelle ultime due settimane, ha spiegato, sia il numero dei bambini positivi al test e di quelli che avevano bisogno di essere ricoverati è raddoppiato nel suo ospedale. Anche se i numeri restano piccoli, "è un trend significativo, al quale dobbiamo fare attenzione", dice. Teme che la situazione peggiori in autunno, quando i bambini torneranno a scuola, la gente passa più tempo al chiuso e il virus si diffonde più facilmente.
Il rapporto dell'Aap dice che il numero dei bambini che sono risultati positivi al coronavirus Sars-CoV-2 è salito da un minimo di 8.447 il 24 giugno a 71.726 il 29 luglio. Al picco dell'ondata invernale, a metà gennaio, c'erano oltre 211mila casi tra i bambini.
Secondo il rapporto, 358 bambini sono morti di Covid-19, inclusi 2 nel Delaware, 7 nel New Jersey e 15 in Pennsylvania. La Pennsylvania include nei casi di minori tutti coloro che hanno un'età fino a 19 anni, mentre il New Jersey arriva ai 17 anni.
Uno studio del Regno Unito pubblicato questa settimana da Lancet Child and Adolescent Health mostra che la malattia in media tra i bambini dura 6 giorni e il 98% guarisce entro 8 settimane. Tuttavia, il 4,4% accusa sintomi, il più comune dei quali è l'affaticamento, che durano più di un mese. Gli ultra-12enni tendono ad accusare più sintomi e ad avere un decorso leggermente più lungo rispetto ai bambini più piccoli.
Bode spiega che la maggior parte dei bambini ricoverati con il Covid ha bisogno solo di pochi giorni d'ospedale, ma che alcuni sono rimasti malati abbastanza a lungo da richiedere un trattamento in terapia intensiva. I clinici del St. Christopher's Hospital for Children di Philadelphia e dell'Upmc Children's Hospital di Pittsburgh riferiscono entrambi che sempre più bambini risultano positivi e sempre più necessitano di cure in ospedale.
I pediatri, a livello locale e nazionale, stanno anche osservando un aumento dei virus respiratori, che avevano concesso una tregua quando tutti stavano a casa, socialmente distanziati e con la mascherina. Il più serio di questi virus il virus respiratorio sinciziale (Rsv) e la parainfluenza.
Alcuni bambini che hanno avuto bisogno di essere ricoverati in ospedale per Covid, in linea generale, avevano problemi di salute preesistenti, ma molti erano in salute, prima di sviluppare difficoltà respiratorie o polmoniti. Alcuni bambini contagiati dal virus possono sviluppare la Mis-C, o sindrome infiammatoria multisistemica, una condizione potenzialmente grave. Souder spiega che il suo ospedale ha avuto oltre 30 bambini con Mis-C nel corso della pandemia.
I livelli di anticorpi IgG contro la proteina Spike SARS-CoV-2 rimangono stabili, o addirittura aumentano, sette mesi dopo l'infezione , secondo uno studio di follow-up in una coorte di operatori sanitari coordinati dal Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), un'istituzione sostenuta dalla Fondazione “la Caixa”, in collaborazione con la Clinica Ospedaliera di Barcellona.
I risultati, pubblicati su Nature Communications, supportano anche l'idea che gli anticorpi preesistenti contro i comuni coronavirus del raffreddore potrebbero proteggere dal COVID-19 .
Per prevedere l'evoluzione della pandemia e sviluppare strategie efficaci, è fondamentale comprendere meglio la dinamica e la durata dell'immunità alla SARS-CoV-2, nonché il possibile ruolo degli anticorpi preesistenti contro i coronavirus, che causano il raffreddore comune. Con questo obiettivo in mente, il team guidato dalla ricercatrice ISGlobal Carlota Dobaño ha seguito una coorte di operatori sanitari presso la Clinica Ospedaliera (studio SEROCOV) dall'inizio della pandemia, al fine di valutare i livelli di anticorpi contro diversi SARS-CoV-2 antigeni nel tempo. "Questo è il primo studio che valuta gli anticorpi contro un panel così ampio di anticorpi SARS-CoV-2 in 7 mesi ", afferma Dobaño.
Il team di ricerca ha analizzato campioni di sangue di 578 partecipanti , prelevati in quattro diversi momenti tra marzo e ottobre 2020. Hanno utilizzato la tecnologia Luminex per misurare, nello stesso campione, il livello e il tipo di anticorpi IgA, IgM o IgG contro 6 diversi antigeni SARS-CoV-2 e la presenza di anticorpi contro i quattro coronavirus, che causano il raffreddore comune nell'uomo. Hanno anche analizzato l'attività neutralizzante degli anticorpi in collaborazione con i ricercatori dell'Università di Barcellona. Lo studio ha ricevuto finanziamenti dalla rete europea per l'innovazione EIT Health .
I risultati mostrano che la maggior parte delle infezioni tra gli operatori sanitari si è verificata durante la prima ondata di pandemia (la percentuale di partecipanti con anticorpi SARS-CoV-2 è aumentata solo leggermente tra marzo e ottobre, dal 13,5% al ??16,4%). Ad eccezione degli anticorpi IgM e IgG contro il nucleocapside (N), il resto degli anticorpi IgG (compresi quelli con attività neutralizzante) è rimasto stabile nel tempo, confermando i risultati di altri studi recenti.
"Piuttosto sorprendentemente, abbiamo persino visto un aumento degli anticorpi IgG anti-Spike nel 75% dei partecipanti dal quinto mese in poi, senza alcuna prova di riesposizione al virus", afferma Gemma Moncunill, co-autrice senior dello studio. Nessuna reinfezione è stata osservata nella coorte.
Per quanto riguarda gli anticorpi contro i coronavirus umani del raffreddore (HCoV), i risultati suggeriscono che potrebbero conferire una protezione incrociata contro l'infezione o la malattia da COVID-19 . Le persone che sono state infettate da SARS-CoV-2 avevano livelli più bassi di anticorpi HCoV. Inoltre, gli individui asintomatici avevano livelli più elevati di IgG e IgA anti-HCoV rispetto a quelli con infezioni sintomatiche. "Sebbene la protezione incrociata da parte dell'immunità preesistenteai comuni coronavirus del raffreddore debba ancora essere confermata , ciò potrebbe aiutare a spiegare le grandi differenze nella suscettibilità alla malattia all'interno della popolazione", afferma Dobaño.
Ortega N, Ribes M, Vidal M, et al. Seven-month kinetics of SARS-CoV-2 antibodies and protective role of pre-existing antibodies to seasonal human coronaviruses on COVID-19. Nature Communications. DOI: 10.1038/s41467-021-24979-9
Tamponi rapidi a 8 euro per gli under 18 anche nelle strutture sanitarie private. È stato firmato oggi il protocollo d’intesa che garantirà la somministrazione dei test antigenici rapidi, validi per l’emissione del Green pass, a prezzo calmierato anche per le strutture sanitarie private, autorizzate o accreditate con il servizio sanitario nazionale e autorizzate dalle regioni.
L’accordo, predisposto dal Commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo d’intesa con il ministro della Salute Roberto Speranza, prevede le medesime condizioni del protocollo già sottoscritto con le farmacie.
In particolare, anche presso le strutture sanitarie aderenti, sarà possibile effettuare i test antigenici rapidi al prezzo di 8 euro per i minori di età compresa tra i 12 e i 18 anni e di 15 euro per gli over 18. In analogia all’altro protocollo, per i test eseguiti in favore dei minori, è previsto un contributo da parte dell’Amministrazione Pubblica pari a 7 euro e quindi la remunerazione complessiva per le strutture sanitarie sarà pari a 15.
Il protocollo sarà valido fino al 30 settembre 2021 e l’elenco delle strutture aderenti sarà pubblicato sul sito internet istituzionale del Commissario Straordinario all’emergenza Covid-19.
"L'AIFA ha aggiornato le modalità di utilizzo degli anticorpi monoclonali anti COVID-19 in relazione alle nuove evidenze di letteratura che si sono rese recentemente disponibili". Lo annuncia l'Agenzia italiana del farmaco in una nota. In particolare, è stato dato parere positivo all'utilizzo dell'anticorpo sotrovimab che ha dimostrato un favorevole rapporto beneficio/rischio anche nei confronti delle principali varianti circolanti di SARS-CoV-2.
Anche per l'approvazione di questo nuovo anticorpo si è fatto ricorso alla procedura di autorizzazione alla temporanea distribuzione con Decreto del Ministro della Salute, e questo anticorpo si aggiunge pertanto agli altri già disponibili (bamlanivamb/etesevimab e casirivimab/imdevimab). Inoltre- prosegue la nota- sono stati valutati i risultati dello studio clinico internazionale 'RECOVERY' che ha mostrato un beneficio in termini di mortalità e di riduzione del rischio di progressione di malattia (ricorso alla ventilazione meccanica o evento morte) del trattamento con casirivimab e imdevimab nei pazienti adulti ospedalizzati per COVID-19, anche in ossigenoterapia convenzionale (non ad alti flussi e non in ventilazione meccanica), e con sierologia negativa per gli anticorpi IgG anti-Spike di SARS-CoV-2. L'Agenzia - dichiara - ha quindi deciso di estendere il possibile utilizzo della combinazione casirivimab/imdevimab in questa sottopopolazione.
Le relative determinazioni saranno pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2021 e saranno efficaci dal giorno successivo alla pubblicazione. Da ultimo, in considerazione dello scenario epidemiologico di prevalenza delle varianti di SARS-CoV-2, rapidamente mutato nelle ultime settimane, si richiama l'attenzione sul fatto che gli anticorpi monoclonali attualmente disponibili, pur presentando indicazioni d'uso sovrapponibili, si differenziano tra di loro, sulla base di recenti evidenze di letteratura, per capacità di neutralizzare le diverse varianti circolanti. Tutti gli anticorpi anti-SARS-CoV-2 disponibili in Italia (bamlanivamb/etesevimab, casirivimab/imdevimab e sotrovimab) mantengono una adeguata attività antivirale nei confronti delle varianti alfa (lignaggio B.1.1.7) e delta (lignaggio B.1.617.2), mentre l'attività neutralizzante della combinazione bamlanivamb/etesevimab, differentemente dagli altri anticorpi monoclonali disponibili (casirivimab/imdevimab e sotrovimab), è fortemente inibita nei confronti delle varianti beta (B.1.351) e gamma (P.1).
Pertanto, nelle aree geografiche in cui è presente una circolazione delle varianti beta e gamma, si suggerisce di utilizzare gli anticorpi monoclonali (casirivimab/imdevimab e sotrovimab) efficaci contro tutte le varianti oppure far precedere l'inizio della terapia dalla genotipizzazione/sequenziamento.