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SANITA’ ITALIA. LONGO (BOCCONI): UNIVERSALISMO DA NOI NON È POSSIBILE

“Il caso italiano è il caso demografico più estremo in Europa. Siamo il terzo paese più vecchio al mondo e continuiamo a prometterci l’universalismo, ma se la nostra spesa sanitaria pubblica si attesta al 6.3% del Pil come facciamo? L’universalismo da noi non è possibile”.

Francesco Longo, docente di Management pubblico all’Università Bocconi di Milano e componente del Consiglio superiore di Sanità, lo dice chiaramente all’evento ‘Universalità e sostenibilità dei Ssn in Europa’ nell’aula Magna della Pontificia Università Lateranense a Roma.
“L’universalismo è possibile solo se definiamo bene i suoi confini. Dovremmo definire un perimetro di diritti esigibile che sia coerente alle risorse in campo. Se questo perimetro è tanto maggiore rispetto alle risorse che abbiamo- spiega in una videointervista della Dire- allora succede inevitabilmente che generiamo iniquità. In Italia il 75% dei consumi sanitari sono coperti dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), il 25% dei consumi sono spesa privata. Questo dato è stabile da 20-30 anni, quindi il nostro sistema pubblico tiene molto bene, ma la novità è l’esplosione degli anziani. Abbiamo 7 mln di bambini, 23mln di lavoratori e 14 milioni di pensionati: 1 italiano su 4 è anziano.

Tra sei, sette anni, 1 italiano su 3 sarà anziano e questo ci impone di definire chiaramente cosa il sistema garantisce e cosa non garantisce. Da tempo sappiamo che l’odontoiatria non è garantita dall’Ssn e ci siamo abituati che questo non fa parte del perimetro dei diritti. Dobbiamo discutere anche di altre questioni, come la riabilitazione domiciliare o la riabilitazione in regime ambulatoriale che viene garantita solo in pochissimi casi e senza nessun criterio di selezione. Un fenomeno che di solito avvantaggia gli strati sociali più forti e attrezzati culturalmente che riescono ad arrivare alla prestazione”.

Cosa si può fare? “Dobbiamo focalizzarci di più sulla cronicità, che a 55 anni colpisce metà degli italiani. Moriamo in media a 83 anni- spiega il docente alla Sda Bocconi- quindi la cronicità dura 28 anni: un terzo delle nostre vite”. Per cronicità Longo intende ipertensione, scompenso, diabete e broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) per chi ha fumato.

“La cronicità non chiede il posto letto ospedaliero. È fatta di farmaci da prendere tutti i giorni, degli accertamenti diagnostici da fare nel tempo e visite. Nel campo della cronicità ciò che più conta è la capacità del cittadino di curarsi da solo, di essere aderente alle terapie. Le persone meno colte sono anche quelle meno aderenti, quindi il tema non è tirare su ospedali ma aiutare le persone più fragili e meno colte per 28 anni ad essere aderenti alle terapie- sottolinea il professore- perché questo spiega il 50% della loro salute”.

Guardando poi alla salute mentale, solo 1/3 dei bisogni del paese possono essere soddisfatti. E chi viene servito? “Il disagio mentale nasce tra i 18 e i 24 anni- risponde Longo- e il trattamento è efficace se la persona è presa in carico presto.
Invece, sono presi in carico i pazienti cronici nel 55% dei casi, mentre solo nel 3% dei casi vengono seguiti i pazienti all’esordio”. E ancora: “In Italia ci sono quattro milioni di persone non autosufficienti ma solo 300mila persone l’anno sono servite, quelle nelle Rsa dove si spende dai 24 ai 36 mila euro l’anno”. Inoltre, gli anziani non autosufficienti sono in crescita e attualmente si attestano al 6,5% della popolazione.

“Se prendiamo la Lombardia che conta 10 milioni di abitanti, ci sono 650mila persone non autosufficienti che se messe insieme formerebbero la seconda città della regione. Queste persone non hanno bisogni sanitari, ma socioassistenziali o sociosanitari.
Noi purtroppo non abbiamo e non ci possiamo permettere una solida rete socioassistenziale e sociosanitaria, infatti buona parte dell’onere ricade sulle famiglie. La nostra Adi (Assistenza domiciliare integrata) ha 15 accessi all’anno e riguarda solo il 25% dei non autosufficienti. Dobbiamo distinguere bene questi due comparti, sanitario e della Long Term care, per evitare che i bisogni dell’autosufficienza finiscano in ospedale. Noi non abbiamo pochi medici, ma facciamo fare ai medici molto lavoro che potremmo far fare alle professioni sanitarie. Il 20-30% dei ricoveri sono ricoveri di persone non autosufficienti”. Pensiamo poi che in Italia “abbiamo 1 milione 150mila badanti- precisa il professore- che come forza lavoro sono quasi il doppio dei dipendenti del Ssn”.

Anche andando a rileggere il Ssn in base alla logica dei consumi, “scopriremo gli enormi livelli di inappropriatezza.
Nelle regioni Piemonte e Lombardia abbiamo visto che prescriviamo il doppio di quello che possiamo produrre. L’Istat ci segnala che il 50% delle visite e il 30% della diagnostica sono a pagamento e anche Agenas conferma l’aumento delle ricette. Bisogna fare di più”.
Come rilanciare allora la sanita? “Il nostro Ssn fa miracoli, ma dobbiamo concentrare in pochi luoghi tutto ciò che è ospedale per acuti e decentrare tutto ciò che è semplice cronicità. Oggi il 70% dei cittadini accede ai servizi di base da remoto, questo decentramento deve essere molto meno fisico e sempre più digitale”.

Guardando, infine, alla sanità cattolica, “le strutture religiose non profit hanno una grande attenzione al paziente e una postura etica molto nobile. Il mondo cattolico ha dimostrato di garantire sempre buoni risultati di salute ma in un terzo dei casi di non essere sostenibile, in un altro terzo di essere anche o attivamente sostenibile e noi dobbiamo sfruttare le competenze dei più bravi di questo mondo per gestire l’intero settore in una logica più aggregata, in rete di coordinamento. La sanità cattolica- ribadisce Longo- può essere una risorsa perché rappresenta un benchmark etico. In tutti i settori dell’economia abbiamo chi produce con grande eticità e chi invece produce non essendo attendo all’equità o alla sostenibilità ambientale. Lo stesso accade in sanità e da questo punto di vista il mondo cattolico è sempre stato molto attento ai comportamenti virtuosi dal punto di vista dei risultati sociali, solo che non è sempre 

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