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Le sfide delle malattie rare e infrequenti: dall’importanza di un approccio di genere al supporto psicologico integrato nei percorsi di cura

A pochi giorni dalla Giornata mondiale della salute mentale, che cade ogni anno il 10 ottobre, l’evento “Le sfide invisibili delle malattie rare e infrequenti: conoscere, comprendere e gestire gli impatti sulla salute mentale” – promosso e organizzato da The European House – Ambrosetti (TEHA), con il contributo non condizionante di Amgen – ha acceso i riflettori sulle sfide, di salute e non solo, affrontate ogni giorno dagli oltre 2 milioni di pazienti rari e dai loro familiari e caregiver, a partire dall’impatto psicologico di queste malattie.

Le malattie rare sono un gruppo molto eterogeneo di patologie con alcune caratteristiche in comune, tra cui la prevalente comparsa in età pediatrica, una natura prevalentemente cronica e multiorgano e la difficoltà nel giungere a una diagnosi certa e tempestiva e nel prescrivere un trattamento. Queste caratteristiche, l’alta numerosità e la bassa prevalenza – meno di un caso ogni 2.000 persone, secondo una soglia fissata a livello europeo – comportano notevoli complessità clinico-organizzative che sono alla base delle difficoltà di presa in carico: oltre il 95% di queste patologie non ha una cura disponibile, il 60% dei pazienti riceve inizialmente una diagnosi errata. L’incertezza e l’imprevedibilità di queste malattie costringono spesso i pazienti a rivolgersi ai servizi sanitari di emergenza, con un tasso di accesso al pronto soccorso significativamente più alto rispetto alla popolazione generale (24,1% rispetto al 4,3%).

L’impatto delle malattie rare e infrequenti non si limita al piano fisico, ma interessa anche la sfera psicologica, con una probabilità di sviluppare disturbi mentali 1,5 volte superiore rispetto alla popolazione generale (30-50% rispetto al 20%). Fino al 50% dei pazienti affetti da malattie rare può sviluppare disturbi d’ansia o depressione, conseguenze dirette delle difficoltà nel gestire la malattia, dell’isolamento sociale e dell’incertezza sul futuro; anche il 75% dei caregiver riporta sintomi di affaticamento mentale e stress emotivo.

«L’informazione e la corretta comunicazione giocano un ruolo fondamentale nell’ambito del benessere e della salute mentale delle persone e delle famiglie che convivono con le malattie rare. Tuttavia, per perseguire concretamente tale obiettivo, non è possibile prescindere da una attenta analisi e raccolta dei bisogni ma anche dei desideri di questa parte della cittadinanza, attraverso uno spazio di ascolto attivo» ha affermato Marta De Santis, Coordinatore del National Helpline for Rare Diseases, Centro Nazionale Malattie rare, Istituto Superiore di Sanità.

«Nel contesto odierno in cui il disagio mentale colpisce un numero sempre più rilevante di individui, il benessere psicologico delle persone non può che essere elemento imprescindibile su cui focalizzare l’attenzione – ha affermato Camilla Callegari, Direttore della scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università degli Studi dell’Insubria, Varese. Questo è ancor più vero per le situazioni di estrema delicatezza come quelle delle malattie rare, che creano difficoltà di vita per i pazienti e le loro famiglie.
Il senso di isolamento e l’incertezza legata alla diagnosi, alle prospettive future e finanziarie e alla disponibilità dei trattamenti compromettono la qualità di vita ed espongono a disagio psicologico, disturbi psichici concomitanti, da comprendere e conoscere al fine di creare percorsi condivisi che possano impattare positivamente sulla salute mentale dei pazienti con malattia rara».

Per queste malattie esiste inoltre un tema di genere. In Italia sono infatti oltre 2 milioni le donne che hanno a che fare quotidianamente con una malattia rara: più di 1 milione come pazienti e altrettante come caregiver.

«I numeri ci dicono che circa il 50-60% delle persone affette da malattie rare sono donne, spesso in età lavorativa e fertile, con impatti significativi su qualità della vita e benessere mentale – ha aggiunto Irene Gianotto, Consultant Practice Healthcare, TEHA. Per 1 donna su 4 la situazione economica è cambiata dopo la diagnosi di malattia rara, con un peggioramento in 8 casi su 10 e oltre 3 giorni di lavoro persi al mese. Questo impone l’utilizzo di un approccio di genere per garantire diagnosi tempestive e trattamenti più mirati: l’età e il sesso sono infatti i principali determinanti della durata del percorso diagnostico, con donne e bambini che devono affrontare attese più lunghe rispetto a uomini e adulti».

Nel corso dell’evento si è parlato anche di due specifiche malattie rare e infrequenti, in particolare lo spettro dei disordini della neuromielite ottica (NMO) e la malattia oculare tiroidea (TED) che colpiscono prevalentemente le donne e sono caratterizzate da un significativo burden psichico e psicologico.

Le NMO, di cui soffrono circa 1.500-2.000 persone in Italia, sono patologie che insorgono in piena età lavorativa e colpiscono in prevalenza le donne in scala 10:1. La neuromielite ottica, colpendo principalmente il nervo ottico e il midollo spinale, provoca conseguenze fisiche, funzionali, psicologiche e relazionali. La scarsa conoscenza della patologia e una sintomatologia simile a quella di patologie a più alto impatto come la sclerosi multipla hanno per molti anni compromesso una presa in carico tempestiva; anche la carenza di alternative terapeutiche autorizzate nonostante l’impatto positivo dei nuovi farmaci disponibili incide in maniera significativa sugli outcome di cura. Come accade per tante patologie, attualmente l’esclusione delle NMO dall’elenco delle malattie rare esenti, dove trovano spazio appena poche centinaia delle 6.000-8.000 malattie rare attualmente conosciute, è una significativa barriera nell’accesso e nella qualità delle cure per i pazienti.

«Per affrontare le sfide che una malattia neurologica rara quale lo spettro della neuromielite ottica ci pone, non si può prescindere dalla conoscenza profonda dei meccanismi patogenetici che la sostengono, dei suoi sintomi e dei percorsi diagnostici, talora non lineari, che accompagnano queste malattie infrequenti – ha commentato Girolama Marfia, Responsabile UOSD Centro Sclerosi Multipla del Policlinico di Tor Vergata, Roma. Come comunità scientifica, è nostro dovere diffondere la consapevolezza dell’impatto che tutto ciò comporta sulla salute, non solo fisica ma anche mentale, delle persone affette e dei loro familiari».

«Vivere con la neuromielite ottica significa confrontarsi con attacchi che lasciano il segno, a volte in modo irreversibile. Ogni ricaduta può compromettere in maniera permanente la vista, la mobilità, la capacità di svolgere le proprie attività quotidiane, anche le più semplici – ha spiegato Elisabetta Lilli, Paziente e Presidente dell’Associazione Italiana Neuromielite Ottica (AINMO). La complessità della malattia richiede un approccio integrato e multidisciplinare che integri i trattamenti con il supporto psicologico e la riabilitazione fisica».

Anche la TED, patologia autoimmune che colpisce gli occhi e i tessuti circostanti e comporta cambiamenti nell’aspetto degli occhi e un loro rimodellamento, rientra tra le malattie infrequenti di genere, con l’82% dei pazienti di sesso femminile. I ritardi della diagnosi accurata, insieme alla mancanza di protocolli di trattamento standardizzati, continuano a ostacolare l’erogazione ottimale delle cure.

«Per la gestione clinica ottimale del paziente con TED, è necessario operare in un contesto di multidisciplinarietà con specialisti endocrinologi, oftalmologi e chirurghi dell’orbita che collaborino nella stessa struttura sanitaria e possano interagire con altre simili nel contesto di un network nazionale – ha specificato Mario Salvi, Responsabile del Centro per l’Orbitopatia Basedowiana del Policlinico di Milano. Questo permetterebbe di offrire lo stesso standard di cura anche a pazienti che risiedono al di fuori dei centri specialistici delle grandi città».

«L’alterazione dell’aspetto fisico e della funzionalità visiva dovuta alla TED può causare un significativo disagio emotivo legato all’immagine di sé, con effetti importanti sulla vita sociale e lavorativa, un aumento del rischio di depressione e ansia, e un senso di alienazione spesso devastante – ha affermato
Emma Balducci, Paziente e Presidente dell’Associazione Italiana Basedowiani Tiroidei (AIBAT).

È importante che chi segue questi pazienti integri la salute mentale nel trattamento di cura. Anche la conoscenza e la comprensione della malattia diventano armi contro l’ansia».

In questo contesto le associazioni dei pazienti sono fondamentali sia per accendere i riflettori su malattie che, data la loro bassa prevalenza, rischiano di passare sottotraccia nel sistema sanitario, sia per dar forza e non far sentire solo chi convive con queste patologie ogni giorno, grazie anche alla condivisione di esperienze e informazioni.

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