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Sono 81 su 100 le persone con epilessia che temono di essere giudicate “difettose” se gli altri scoprissero che hanno questa malattia. Il 76% afferma di provare vergogna se non riesce a controllare le crisi in pubblico, il 72% afferma di sentirsi inadeguato per via della propria epilessia e solo il 30% nega di sentirsi inferiore rispetto agli altri.
Questi sono alcuni dei risultati emersi da una ricerca – la prima in Italia- su vergogna e vivere con l’epilessia, condotta dal punto di vista della persona con epilessia e dei suoi familiari, mostrano quanta parte abbia l’emozione “vergogna” nella quotidianitĂ di chi ha l’epilessia come compagna di vita. “Se sei solo non succede: ti vergogni solo quando sei di fronte agli altri – rimarca Tarcisio Levorato, presidente dell’Associazione Italiana Epilessia- ma la solitudine pesa nel mondo della persone con epilessia come un macigno che nessun farmaco riesce a risolvere. La vergogna è uno stato d’animo che mostra la risposta delle persone con epilessia a stigma e discriminazione subiti, percepiti o interiorizzati che rischiano di vanificare i vantaggi delle terapie, pregiudicandone percezione e quotidianità ”.
La vergogna è la cenerentola delle emozioni, assai poco studiata in genere tra i sentimenti e le loro immagini sociali: “Abbiamo voluto iniziare l’analisi delle emozioni proprio dalla vergogna, che dal punto di vista della persona con epilessia ha una rilevanza importante che però attendeva di esser esplorata, ha dichiarato Tarcisio Levorato, presidente Associazione Italiana Epilessia nel corso della conferenza stampa AIE. Per questo l’associazione ha inviato al proprio target di 3300 persone due questionari – uno per le persone con epilessia, l’altro per i familiari- ottenendo 468 complete suscettibili di valutazione.
Le emozioni di una persona sono interpretazioni influenzate da norme collettive non scritte, frutto di un apprendimento sociale. Queste emozioni si manifestano nel corpo e variano a seconda del comportamento e della storia personale di ciascun individuo.
“Il fatto è che l’epilessia non è solo biologia – afferma Giancarlo Di Gennaro, Direttore Centro Epilessie IRCCS Neuromed, intervenendo alla conferenza stampa dell’AIE – e nella clinica dell’epilessia occorre tenerne conto. Nella persona con epilessia, l’intoppo è proprio nel suo essere nel mondo, insieme agli altri, che è fratturato dall’emergenza della crisi”.
L’epilessia, che in Italia è “segreta” compagna di vita del 1% della popolazione è una patologia cronica caratterizzata da crisi ricorrenti. L’ampia offerta terapeutica riesce a consentire il controllo delle crisi in circa il 70% dei casi, il restante 30% è costituito da epilessia farmacoresistente suscettibile di interventi terapeutici che vanno dall’impianto dello stimolatore del nervo vago alla chirurgia. In italiano si usa il termine “crisi”, più opportunamente in inglese il termine usato è “seizure” che sta per “sequestro” o “rapimento”, perché la crisi interrompe la presenza cosciente ed efficiente della persona nel mondo in cui abita. Si realizza una desincronizzazione del vissuto della persona rispetto agli altri. La persona non si vede in crisi e non può che formarsi un’immagine di se stesso se non a partire dalle immagini che gli rinvia il vissuto del suo ambiente. Le emozioni di una persona sono interpretazioni influenzate da norme collettive non scritte, frutto di un apprendimento sociale. Queste emozioni si manifestano nel corpo e variano a seconda del comportamento e della storia personale di ciascun individuo.
Secondo la ricerca, il 74% delle persone ha risposto sostenendo che la propria epilessia limita il modo con cui gli altri le percepiscano e solo il 45% afferma di non preoccuparsi che la propria epilessia possa esser vista come un fallimento personale.
“Il pregiudizio e lo stigma nascono da lontano – prosegue De Gennaro- La vergogna è un sentimento umano, tutti ci vergogniamo, chi più chi meno, ma è una dimensione che richiede attenzione quando ci ostacola nella vita. In fondo tutti i paradigmi della sofferenza clinicamente riconosciuta si concentrano su quando questa impatta nelle attività quotidiane”.
Nella dimensione del trattamento, questi aspetti emergono in setting che non sono quelli della relazione con il medico, ma piuttosto quelli in cui opera lo psicoterapeuta. “ Nel mio lavoro le emozioni sono considerate dei messaggeri – spiega Liliana Grammaldo, neuropsicologa presso il Centro delle Epilessie IRCCS Neuromed, intervenuta alla conferenza stampa AIE-: quando chiedi a qualcuno cosa prova e cosa senti è il momento e il luogo in cui cogli il funzionamento della persona. Nel caso della persona con epilessia il sentimento della vergogna è interpersonale e ha a che fare con la possibilità , che diventa spesso certezza per via del pregiudizio, che la mia crisi epilettica sarà considerata qualcosa di sconveniente che finisce per sforare nel demoniaco”. E’ certamente difficile fare coming-out circa la propria epilessia, ma dalla ricerca emerge un dato interessante: il 55% dei rispondenti afferma che se qualcuno chiede informazioni sulla loro malattia non cambia discorso ed ben disposto a parlarne. “Perché la persona con epilessia non si vergogni della propria malattia deve avere l’opportunità di esser convita che possa affidare una parte della sua vita all’altro e che l’altro la possa e la voglia tenere con sé- aggiunge Grammaldo, portando la sua esperienza professionale. “Consegno all’altro qualcosa di me che io non vedo, ma l’altro si. Assomiglia a quello che è l’atto intimo più importante , dormire con qualcuno: io ti faccio vedere come dormo mentre io non so come dormo”. Rispetto a dire “sono triste” o “sono contento”, dire “mi vergogno” è più complesso, “ma le informazioni che se ne possono trarre sono di gran lunga più significative, se le approfondiamo. Proprio perché è un sentimento, studiarla ci colloca subito in una dimensione relazionale”
La maggior parte delle risposte dei familiari al loro questionario fa emergere una minore percezione di negatività , ma su un punto convergono con la preoccupazione delle persone con epilessia: fare errori relativi alla gestione dell’epilessia turba più di qualunque cosa l’84% delle persone con epilessia, percentuale che alla stessa domanda per il familiari corrisponde l’88%. “L’informazione e la comunicazione con il medico sono centrali – commenta Angelo Labate, Coordinatore nazionale del Gruppo di Studio Epilessia della Società Italiana di Neurologia (SIN) e Professore ordinario di Neurologia all’Università degli Studi di Messina intervenendo alla Conferenza stampa dell’Associazione Italiana Epilessia (AIE). “Servono a realizzare una relazione terapeutica in cui la persona con epilessia possa tenere in mano le redini della propria epilessia e ottenere il massimo dalla propria terapia. Un buon ascolto rende agli occhi del clinico il paziente un biomarcatore di se stesso consentendo di costruire la terapia come un abito sartoriale. Ma c’è di più – aggiunge Labate- lo aiuta a costruire sicurezza e consapevolezza nell’affrontare la quotidianità . L’epilessia è il contesto ideale in cui articolare un approccio biopsicosociale alla salute e alla malattia. Il neurologo epilettologo ne è consapevole e deve prendersi carico anche delle sofferenze che popolano il mondo della persona con epilessia a qualunque età abbia avuto diagnosi”.
L’epilessia è una patologia che colpisce senza distinzioni di etĂ o di genere. “A causa della malattia – rileva l’On. Ilenia Malavasi, Componente della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati e Firmataria della Proposta di Legge “Disposizioni concernenti la tutela dei diritti e la piena cittadinanza delle persone affette da epilessia”, in occasione della conferenza stampa dell’Associazione Italiana Epilessia (AIE). “ Le persone che ne soffrono sono soggette a un duplice tipo di discriminazione: la prima, quella piĂą evidente e di cui si parla di piĂą, riguarda le difficoltĂ che si incontrano nei percorsi scolastici e occupazionali, così come nella vita affettiva o personale. La seconda è una forma di discriminazione piĂą sottile e, possibilmente, ancora piĂą dolorosa, perchĂ© è quasi “autoinflitta”. Lo stigma avvolge l’epilessia e induce le persone che ne soffrono e i loro famigliari a nascondersi, a vivere un’esistenza di vergogna, causa di isolamento, depressione, ritiro sociale, fattori che si aggiungono ai sintomi della malattia stessa. Credo che occorra quanto prima giungere all’approvazione di una legge nazionale su questi temi, facendo tesoro di queste analisi, così come delle necessitĂ espresse da chi convive quotidianamente con l’epilessia e da chi si prende cura di loro. Una persona con malattia non ha nulla di cui doversi vergognare, ma, anzi, ha un portato di conoscenze preziosissimo da condividere il piĂą possibile con tutti, per arrivare a una concreta soluzione di tanti problemi”.
Il correlato dello stigma sul piano delle emozioni è la vergogna, “un sentimento complesso che attende ancora di esser studiato e compreso per il suo immediato impatto sulla socialità e la qualità della vita della persona- ha concluso Tarcisio Levorato. “L’impegno dell’Associazione Italiana Epilessia è di approfondire questa tematica e la ricerca oggi presentata rappresenta il primo passo in questa direzione”.