• Gio. Dic 5th, 2024

Tumore della vescica: proteina NUMB e’ interruttore per diagnosi di forme piu’ aggressive

Una nuova speranza per la diagnosi e la cura dei tumori della vescica più aggressivi nasce dalle ricerche di un gruppo di scienziati dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università degli Studi di Milano.

Lo studio sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro è stato coordinato da Salvatore Pece, professore ordinario di Patologia generale e vice-direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università Statale di Milano, Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO.

I risultati hanno condotto i ricercatori a scoprire un inedito meccanismo molecolare, alla base dell’aggressività biologica e clinica dei tumori della vescica, che determina le prognosi più sfavorevoli. I dati sono appena stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

All’origine dell’intero processo sembra esserci la proteina NUMB, che è normalmente espressa nella vescica normale, ma viene perduta in oltre il 40% di tutti i tumori vescicali umani. Tale perdita causa una cascata di eventi molecolari che rendono il tumore altamente proliferativo e invasivo, consentendogli di oltrepassare gli strati superficiali della mucosa vescicale per raggiungere gli strati più profondi. Tale evento rappresenta il punto di svolta nella evoluzione clinica della malattia, determinando la progressione dei tumori vescicali superficiali, i cosiddetti non-muscolo-invasivi, verso tumori profondi, definiti muscolo-invasivi, che richiedono l’intervento di rimozione chirurgica totale della vescica. Nonostante l’operazione radicale, queste forme di malattia sono caratterizzate da un decorso clinico spesso sfavorevole.

“Dunque la proteina NUMB – spiega il professor Pece – funziona come un interruttore molecolare. che, se è spento, accelera la progressione tumorale e influenza il decorso clinico della malattia. Rappresenta quindi un biomarcatore molecolare che consente di identificare i tumori superficiali a elevato rischio di progressione verso tumori muscolo-invasivi”.

La nostra scoperta ha un forte e immediato potenziale di applicazione nella pratica clinica – continua Salvatore Pece –. I criteri clinico-patologici utilizzati nella routine per predire il rischio di progressione dei tumori vescicali superficiali a tumori muscolo-invasivi sono infatti del tutto insufficienti e inadeguati a individuare i pazienti a basso rischio, che potrebbero beneficiare di trattamenti più mirati, di tipo conservativo, in protocolli di sorveglianza attiva. I pazienti ad alto rischio necessitano invece di trattamenti più aggressivi, quali la chemioterapia e l’asportazione chirurgica della vescica, che hanno purtroppo considerevoli effetti collaterali e un elevato impatto sulla qualità della vita”.

“Abbiamo analizzato il profilo molecolare sia in cellule in coltura e animali di laboratorio, sia in campioni di tumori umani privi dell’espressione di NUMB – spiega il dottor Francesco Tuccidottorando di ricerca presso la Scuola Europea di Medicina Molecolare e primo autore dello studio –. Abbiamo così osservato che la perdita di NUMB attiva un complesso circuito molecolare che conduce all’attivazione di un potente oncogene, il fattore di trascrizione YAP. Quest’ultimo è alla base del potere proliferativo e invasivo delle cellule tumorali”.

“Siamo andati oltre – aggiunge la dottoressa Daniela Tosoni, ricercatrice presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università di Milano e dello IEO, che ha contribuito alla supervisione dello studio –. In esperimenti di laboratorio abbiamo dimostrato che è possibile inibire la capacità proliferativa e invasiva delle cellule tumorali prive di NUMB, utilizzando farmaci in grado di colpire questo complesso circuito molecolare a diversi livelli”. “I tumori della vescica privi di NUMB – continua Daniela Tosoni – sono quindi molto aggressivi ma anche altamente vulnerabili”. Sono infatti già disponibili alcuni farmaci molecolari impiegati in clinica per patologie differenti dal tumore vescicale, che potrebbero rapidamente essere sperimentati e adottati come trattamenti innovativi per prevenire la progressione clinica dei tumori vescicali superficiali ad alto rischio, privi della proteina NUMB.

Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 29.700 nuovi casi di tumore della vescia (il quinto più frequente dopo quelli della mammella, colon-retto, polmone e prostata).

“Al momento della diagnosi iniziale – spiega Salvatore Pece – i tumori della vescica si presentano in larga maggioranza come tumori superficiali non muscolo-invasivi, che sono generalmente caratterizzati da una buona prognosi. Solo in una percentuale ridotta si presentano invece sin dal principio come tumori profondi muscolo-invasivi, molto aggressivi e con decorso clinico meno favorevole. Per questo necessitano di chemioterapia e di intervento di cistectomia radicale. Questo ha fatto storicamente considerare i tumori superficiali e quelli profondi come due patologie differenti sin dal principio, guidate da differenti meccanismi molecolari. Tuttavia circa il 20-30% dei tumori superficiali possono evolvere in tumori muscolo-invasivi. L’esperienza clinica ci ha insegnato che i tumori muscolo-invasivi che derivano dalla progressione di tumori inizialmente superficiali rappresentano le forme più aggressive e potenzialmente letali di tumore vescicale”.

“I nostri studi – continua Pece – dimostrano invece che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, guidato già dal principio da specifici meccanismi molecolari che possono essere ostacolati con farmaci precisi e mirati. Diventa quindi fondamentale identificare i meccanismi biologici alla base di questa evoluzione e sviluppare nuovi marcatori molecolari per identificare i pazienti con caratteristiche specifiche di aggressività. In questo contesto, la nostra scoperta apre la strada a nuove strategie terapeutiche per combattere il cancro vescicale in una elevata percentuale di pazienti che presentano tumori privi di espressione della proteina NUMB”.

“Abbiamo anche identificato – continua Salvatore Pece – una nuova firma molecolare che consentirà di identificare con accurata precisione i pazienti che potranno beneficiare di trattamenti mirati con nuovi farmaci che colpiscono in maniera specifica i meccanismi molecolari che sono attivati a seguito della perdita di NUMB”.

“Questo studio sostenuto da AIRC rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – continua il professor Pece – non solo per la sua valenza scientifica ma anche per i risultati clinici. Rappresenta infatti uno di quei rari momenti della ricerca scientifica in cui, dopo molti anni di studio, è possibile effettuare il passaggio dalla ricerca di base all’applicazione in ambito clinico. Abbiamo ora a disposizione una nuova firma molecolare per misurare il rischio di progressione di malattia e al tempo stesso nuovi possibili bersagli di terapie più precise e mirate tramite l’uso di farmaci già disponibili nella pratica clinica”.

“Questa ricerca è una ulteriore conferma della qualità dei nostri ricercatori – sottolinea il Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia della Statale, Gianluca Vago – e dei risultati che otteniamo grazie alla stretta collaborazione, ormai ventennale, con l’Istituto Europeo di Oncologia e il sostegno, altrettanto fondamentale, di AIRC. Milano ha un potenziale unico per la ricerca nelle scienze della vita; fare rete è ancora più importante ora, come condizione necessaria per competere con le migliori realtà europee ed internazionali”.

“Lo studio, che ha visto impegnati in uno sforzo comune scienziati e clinici del nostro istituto, – conclude il professor Roberto Orecchia, Direttore dello IEO di Milano – è un risultato straordinario e una ottima notizia per molti pazienti per i quali abbiamo oggi una nuova possibilità di cura. Abbiamo già brevettato la nuova firma molecolare emersa da queste ricerche e stiamo per avviare studi clinici per validarne l’utilizzo come marcatore, per identificare i pazienti ad alto rischio di progressione di malattia che potranno beneficiare nel prossimo futuro di una nuova prospettiva terapeutica con farmaci più precisi e mirati”.

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