• Gio. Nov 28th, 2024

Donare il sangue è vitale. Ma accanto alle forme tradizionali di donazione, esiste anche quella meno conosciuta di sangue di cordone ombelicale, cioè di sangue rimasto nella placenta e nel cordone dopo il parto e chele mamme e i papà possono decidere di donare.

Il sangue donato viene abitualmente utilizzato come sorgente di cellule staminali ematopoietiche, da utilizzare per il trapianto di pazienti con malattie ematologiche che non hanno un donatore familiare. Tuttavia, è possibile utilizzarlo anche per isolare i globuli rossi e a beneficiare di queste trasfusioni particolari sono i bimbi nati prematuri. “I neonati di età gestazionale molta bassa, cioè nati prima della 28° settimana – spiega Luciana Teofili, direttrice della UOC Emotrasfusione Policlinico Gemelli IRCCS e professoressa associata di Malattie del sangue all’Università Cattolica, campus di Roma, che, insieme alla dottoressa Patrizia Papacci, UOC di Neonatologia Policlinico Gemelli IRCCS, coordina il gruppo pioniere in questo settore – hanno bisogno di ripetute trasfusioni di globuli rossi, che finora venivano effettuate con sangue donato dagli adulti. Ma il sangue degli adulti contiene un’emoglobina diversa da quella del neonato pretermine (l’emoglobina fetale o HbF) e questo può provocare effetti indesiderati. Nell’epoca della medicina personalizzata, il patrimonio di emoglobina fetale di questi piccoli pazienti, che continuano a produrre emoglobina fetale per mesi dopo la nascita, viene a essere completamente sostituito da emoglobina adulta dopo appena 2-3 trasfusioni”.

Una trasfusione ‘su misura’ per i piccoli prematuri. La principale funzione dell’emoglobina è di distribuire ossigeno a tutto l’organismo; ma l’emoglobina fetale e quella adulta hanno una diversa affinità per l’ossigeno, maggiore nel caso dell’emoglobina fetale, minore per quella adulta. “L’emoglobina adulta – spiega la professoressa Teofili – tende a rilasciare una maggior quantità di ossigeno ai tessuti e questo può avere effetti tossici sulla retina (retinopatia del prematuro), il tessuto cerebrale o il sistema respiratorio (displasia bronco-polmonare) a esempio.  Il sistema metabolico del bambino pretermine non è in grado di proteggersi con una valida risposta anti-ossidante e quindi, in presenza di emoglobina adulta, che rilascia grandi quantità di ossigeno, può riportare un danno ossidativo. Con l’emoglobina fetale invece l’ossigenazione dei tessuti è molto più graduale e i tessuti estraggono ossigeno poco a poco, senza rischio di stress ossidativo”.

Uno studio per dimostrare la superiorità del sangue da cordone. Uno studio pilota, effettuato al Gemelli qualche anno fa ha dimostrato che le trasfusioni di globuli rossi ottenuti da cordone ombelicale aumentano l’emoglobina mantenendo elevati livelli di emoglobina fetale. “Forti di questa osservazione – spiega la professoressa Teofili – abbiamo organizzato lo studio italiano multicentrico BORN (umBilical blOod to tRansfuse preterm Neonates) che ha coinvolto otto banche del cordone e otto unità di terapia intensiva neonatale. Sono stati arruolati 146 neonati prematuri (nati dalla 24° settimana in su), assegnati in maniera randomizzata a due gruppi: il primo riceveva il supporto trasfusionale standard (sangue adulto), l’altro quello con emazie da cordone, fino alla 32° settimana di età post-concepimento (es. un neonato nato a 26 settimane, riceveva queste trasfusioni per 6 settimane). Obiettivo di questo studio era valutare nei due gruppi la frequenza di retinopatia severa (che può pregiudicare gravemente la vista del bambino), il livello ottimale di HbF per prevenire la retinopatia grave, e l’impatto delle trasfusioni di sangue cordonale sulle altre patologie associate alla prematurità. E’ stata pubblicata l’analisi intermedia di safety sui primi 58 pazienti, che dimostra come le trasfusioni di sangue cordonale siano sicure e associate a un minor numero di eventi avversi rispetto a chi veniva trasfuso con sangue dell’adulto. A breve avremo i dati completi dello studio, ma già da quelli preliminari emerge che i bambini che ricevono solo trasfusioni di sangue cordonale hanno un’incidenza di retinopatia severa ridotta”.

Le trasfusioni di sangue da cordone vengono preparate a partire dalle unità di sangue cordonale donate alle Banche del Cordone pubbliche (come la Banca UNICATT, presente all’interno del Gemelli). “L’unità di sangue di cordone ombelicale raccolta in sala parto – spiega la professoressa Teofili – viene inviata al centro trasfusionale, dove viene filtrata per rimuovere i globuli bianchi, centrifugata e sottoposta alla scomposizione dei suoi costituenti (plasma, piastrine e globuli rossi). Dopo aver effettuato tutti gli esami di legge previsti per le trasfusioni di sangue, l’unità viene assegnata al piccolo che ha bisogno di essere trasfuso. Per trasferire questo approccio dalla ricerca alla pratica clinica occorre espandere la pratica della donazione del sangue di cordone ombelicale. In particolare, le strutture dotate di terapia intensiva neonatale, in coordinamento con i centri trasfusionali, dovrebbero cioè promuovere la raccolta di sangue cordonale al loro interno: le unità donate potrebbero essere utilizzate a scopo trasfusionale, inviando alle banche del cordone quelle unità che invece sono idonee al trapianto”.

In attesa degli step normativi, sensibilizzare le mamme alla donazione. “I concentrati di globuli rossi da sangue cordonale al momento non esiste come emocomponente – ricorda la professoressa Teofili -. Bisognerebbe dunque riconoscere a livello normativo la possibilità di utilizzare il sangue da cordone anche a scopo trasfusionale, indicando anche dei requisiti di qualità”. In attesa di discutere questi aspetti alla prossima conferenza europea dell’EDQM (European Directorate for the Quality of Medicines & HealthCare), la professoressa Teofili supporta la formazione in questo ambito dei medici di domani, gli studenti dell’Università Cattolica, che hanno organizzato un evento dedicato a questo tema, ‘Il filo di Arianna’.

“Il filo di Arianna: la speranza dal primo giorno”. Gli studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, frequentando il Centro Trasfusionale hanno sentito parlare della donazione del cordone e hanno chiesto di saperne di più. “Dietro il termine ‘cellule staminali’ – commenta la professoressa Teofili – infatti c’è di tutto, dalle bufale, ai viaggi della speranza. Per troppo tempo è stato lasciato credere che nel cordone ci sia di tutto. E dunque, ci ha reso molto felici il fatto che gli studenti, all’inizio del loro percorso formativo, abbiano espresso il desiderio di acquisire informazioni su questo argomento”. L’evento ha visto la partecipazione di tutte le professionalità di settore: dalla coordinatrice infermieristica della Sala Parto del Policlinico Gemelli, Rosanna Miccoli, alla professoressa Patrizia Chiusolo, Ematologa, responsabile della selezione delle unità presso i registri internazionali, alla neonatologa Patrizia Papacci, alla professoressa Luciana Teofili, direttore della Banca UNICATT. L’evento è stato introdotto dal professor Alessandro Sgambato, vicePreside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica.  Il Gruppo Donatori di Sangue ‘Francesco Olgiati’ Odv, Unilab e ‘Studenti in primo piano’ hanno fornito il loro supporto.  All’evento hanno preso parte oltre 500 studenti; tra i temi trattati, l’organizzazione della raccolta del sangue di cordone in Italia, l’utilizzo clinico e la testimonianza di chi ha ricevuto un trapianto da sangue di cordone.

“Donare sangue (o cordone) – conclude la professoressa Teofili – è un gesto di generosità, di civiltà, di consapevolezza sociale. E il vero filo d’Arianna che lega tutti i donatori è proprio questo. Ma di alcune donazioni si parla di più. È stata fatta una bella campagna sulla donazione di cellule staminali da midollo o sangue periferico, anche all’interno delle università. Adesso è arrivato il momento di parlare anche della donazione di cordone. La trasfusione di sangue cordonale può contribuire a divulgare una corretta informazione su questo tipo di donazione. Siamo certi che questa sia la strada giusta da percorrere. Per il bene dei nostri piccoli pazienti”.

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