La storia medica del Brca (la mutazione Jolie) non è solo medica. A voler raccontare bene delle donne che scoprono di avere una mutazione patogenetica che espone al rischio di sviluppare un cancro in giovane età bisogna saper comprenderne tutta la complessità: la questione non tocca solo ospedali e camici bianchi, ma l’album di famiglia.
Chi si è ammalato, chi è morto troppo presto, con quale storia di cancro precoce. Ma oggi c’è anche il ‘can risk’: un calcolo più affinato per misurare il rischio nel punto esatto in cui il gene si ‘spezza’, perchè non tutti i punti esprimono lo stesso rischio e quindi non tutte le donne mutate rischiano di ammalarsi con la stessa percentuale. Qualcosa che solo 5 anni fa sembrava impossibile e che può orientare la scelta in modo più preciso. C’è una ‘storia nella storia’ del rischio genetico che resta, bene ricordarlo, un inedito di tutta la storia della medicina: togliere organi sani per non ammalarsi.
Un ribaltamento della missione medica che è nata invece per togliere ‘il male’. Hanno testimoniato la scelta della chirurgia preventiva, con le loro bellezze ammalianti e ‘ferite’, Angelina Jolie e Bianca Balti. Fino a quando la cicatrice sulla pancia mostrata sui social, del cancro alle ovaie al terzo stadio ha ferito il corpo di Balti beffando, con spietato tempismo, le strategie di prevenzione chirurgica che la modella aveva iniziato a mettere in campo partendo dal seno e lasciando al loro posto le ovaie. A 40 anni le linee guida indicherebbero alle mutate Brca1 di toglierle.
Quindi sfortuna? La storia ha creato tante domande e qualche paura in più nelle donne mutate sane, fino al sospetto che quella mutilazione preventiva non basti a salvarsi dalla malattia. Dal tabù della chirurgia preventiva di venti anni fa, quando le donne che decidevano di operarsi da sane venivano viste come esagerate e a tratti isteriche, alla massiccia indicazione della chirurgia, forse ora è in corso un nuovo tempo per la comunicazione del rischio genetico.
C’è una ‘storia nella storia’ che ha il nome di tante donne. Silvia, Manuela, Martina, Rosanna, Adina, Ilaria, Maria: ognuna è una storia e tante. E ognuna di loro di fronte al test ha fatto la sua scelta. Ha avuto la sua paura, o magari anche il sollievo di aver capito perché i propri affetti fossero stati spazzati via con tanta violenza. La speranza è di poter offrire a queste donne qualcosa di diverso dall’asportazione di organi sani, ma per farlo serve ‘studiarle’, osservarne comportamenti e abitudini: dal cibo, al sonno, allo sport, al modo di vivere. Alle emozioni. Chi vive in anni di lutto e malattia può forse affrontare al meglio il nemico che ha dentro o che arriva da fuori? Perchè anche quello delle emozioni e della psiche è un tema. Balti si ammala di cancro alle ovaie dopo aver tolto il seno. Avrebbe dovuto fare un’altra scelta preventiva ancor prima? L’ha fatta troppo tardi? E’ difficile dirlo.
‘Non c’è una regola che vale per tutte. Avere una variante patogenetica espone a un rischio che statisticamente è una forbice ampia, ma ogni donna può essere a vicino a quello più basso o a quello più alto. Non partiamo dal rischio zero di avere un cancro del seno nella vita: e il rischio assoluto per tutte le donne è già del 13%, nel caso delle mutate questo rischio può triplicare o quadruplicare’. Lo ricorda la chirurga senologa del Policlinico Gemelli, Alba Di Leone, intervistata dalla Dire su come gestire il rischio genetico e su quali siano le scelte migliori.
Prosegue Di Leone: ‘Noi ad una donna sana non possiamo dire lei deve togliere seno o ovaie: è la persona che decide. Il medico può dare un’ indicazione perentoria su una patologia in atto, ma sulla gestione di un organo sano che potrebbe ammalarsi i sanitari devono essere rispettosi del volere di quella persona che non è un paziente, è una persona piu’ a rischio, ma sana fino a prova contraria e che ha una propria ‘personale’ percezione del rischio’.
E infatti la senologa spiega come nel suo ambulatorio ci siano tante donne mutate che hanno rifiutato la mastectomia bilaterale e che anche dopo un tumore hanno scelto la chirurgia conservativa senza togliere tutto il seno. Ci sono anche questioni legate alla ricostruzione: ‘Per donne che hanno taglie importanti la ricostruzione è meno semplice, si tratta di interventi più lunghi che generano dei cambiamenti estetici e funzionali; si perde sensibilità, può accadere nell’arco della vita di dover ricevere altri interventi perchè si devono sostituire le protesi’. In alternativa alla chirurgia c’è la sorveglianza: ‘Esami ogni 6 mesi, risonanza magnetica, eco e mammografia. Il massimo beneficio della chirurgia è per le donne tra i 25 e i 35 anni’. Quello su cui secondo Di Leone non si possono fare sconti è la giusta accoglienza di queste donne in ‘percorsi protetti’ dove ognuna possa fare la sua scelta. ‘Non ci sono studi sulla maggior efficacia in termini di sopravvivenza tra chirurgia preventiva e la sorveglianza per donne ad alto rischio’, ricorda.
Per ‘seguire queste donne sane speciali’ oggi c’è anche una ricerca che si avvale di un’app (BrcApp) dove ci si registra, si segnano i propri dati e come un diario si ricevono consigli e tutorial sullo stile di vita. E’ il progetto presentato al Gemelli e nato dalla collaborazione Policlinico Agostino Gemelli-Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che l’ha finanziato. ‘Attraverso questa app – spiega alla Dire Patrizia Pasanisi, direttrice della ssd Ricerca nutrizionale e metabolomica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che l’ha ideata- ha l’obiettivo di costruire una grande coorte di portatrici Brca da osservare per anni per studiare l’associazione degli stili di vita e la comparsa dei tumori. Ci sono una serie di questionari brevi da compilare (su alimentazione, sport, abitudini di vita ecc.) e le donne ricevono indietro contenuti, testi brevi o video, per fare piccoli cambiamenti.
Nessun bombardamento, ma anche semplici videoricette, indicazioni per un piatto mediterraneo con prodotti di stagione o come fare la spesa. Lo studio è partito il 28 giugno e le donne che hanno aderito e sono in app sono più di 400. Tutte le donne mutate possono partecipare. Le mutate sane, vengono anche invitate a fare un prelievo e una visita e conserviamo le provette per fare altre analisi, ad esempio sui polimorfismi, sul sistema immunitario, sul microbiota: è una coorte con banca biologica. La chirurgia profilattica al momento è l’unica arma vera di prevenzione- ribadisce Pasanisi-, i trial con farmaci hanno dato risultati non conclusivi.
L’obiettivo però è capire se possiamo fare altro. Lo studio non vuole scoraggiare questo tipo di prevenzione (chirurgica), ma comprendere l’importanza dei fattori ambientali e stile vita visto che non tutte si ammalano o si ammalano nello stesso momento’.
Lo si può capire ‘solo se osserviamo per anni le persone. Tra 5-10 anni potremo dire qualcosa solo se da qui a 3 anni reclutiamo almeno 2mila donne e potremo quindi dare delle indicazioni di prevenzione primaria complementari e arrivare ad individuare delle sottomutazioni e studiare ad esempio fattori come l’IGF1 (simile all’insulina responsabile della moltiplicazione cellulare). In questo momento non sono presenti nell’app gli uomini, ma l’obiettivo è di allargare anche a loro’. Ad oggi sulla chirurgia preventiva abbiamo linee guida e riferimenti di età per farla, in mezzo a quelle scadenze ci sono le donne: chi desidera un figlio e non l’ha avuto ancora, chi ha paura di ammalarsi e vuole proteggersi, chi pensa che forse non si ammalerà. La scelta di togliere le ovaie, ad esempio, vuoi per il progetto di maternità vuoi per la menopausa, viene spesso rimandata dalle donne.
Eppure le ovaie sono quelle più silenti e difficili da monitorare. ‘La replicazione delle cellule mammarie ha una velocità prevedibile- spiega la ginecologa del Gemelli Claudia Marchetti- nell’ovaio non c’è questa prevedibilità. Le linee guida ricordano che la chirurgia preventiva per le brca1, esaurito il desiderio di maternità, è a 35-40 anni e in brca2 tra i 40 e i 45. Nel brca2 il rischio di tumore alle ovaie resta piu costante. Nel brca1 più precoce. Dopo l’intervento, considerata la menopausa iatrogena, è possibile proporre terapia ormonale sostitutiva, valutando caso per caso e il desiderio della donna. Nel tempo assistiamo a una maggiore compliance verso la chirurgia profilattica, ma un 10-15% delle donne è riluttante e meno convinta e conta molto quando si viene a conoscenza della mutazione: se ho 30 anni, vengo da eventi tristi, non ho avuto figli, l’accettazione sarà diversa. Ho avuto donne che hanno messo tempo e hanno avuto timore- racconta alla Dire la ginecologa- ci hanno messo un po’, si sono decise e se c’era un tumore iniziale hanno dovuto fare comunque la chemio. Oggi è un delitto non proporre la chirurgia profilattica’.
C’è anche un trial sempre del Policlinico Gemelli e Istituto nazionale Tumori di Milano, sull’ asportazione delle tube come intervento ponte e dopo ‘2 anni si ragiona sull’ annessiectomia’. E’ un modo per proteggersi, prendendo tempo. Dopo il caso Balti le donne sono arrivate piu spaventate’, conferma Marchetti. ‘Se dovessi dire quale chirurgia considerare per prima tra le due, direi annessiectomia, perché diversamente dallla mammella, per l’ovaio non abbiamo ancora uno screening efficace’. Poi ci sono studi su nuove possibilità da adottare per la prevenzione: ‘protettiva per l’ovaio sarebbe la pillola che può aumentare però il cancro del seno, ci sono studi con l’aspirina che sembra ridurre l’incidenza per ovaio e colon e sindrome di lynch. Anche fans e parp inibitori qualcuno li ha proposti per prevenzione, ma non sono chiari gli effetti sul midollo. Voglio andare in pensione che le donne non si ammalino piu di cancro ovarico’.
Ma attenzione: chirurgia senza preoccuparsi di tutto il resto non va. Viene troppo sottostimato l’apporto delle terapie integrate sia per la popolazione sana che per quella mutata sana. Ma guai a considerarle meno scientifiche o alternative a tutto il resto. Gli studi sono in corso e c’è bisogno di dare solidità a ciò che già è evidente. ‘Anche per le donne sane il tema è quello degli stili di vita: alimentazione, attività fisica, qualità e quantità del sonno e poi anche le relazioni sociali incidono. Sulle donne mutate ci si deve chiedere: ‘quanto sappiamo incidere con gli stili di vita sul rischio oncologico? La risposta non è solida, abbiamo evidenze preliminari e raccomandazioni.
Servono studi più rigorosi. Stiamo portando avanti questa ricerca- spiega il chirurgo senologo Stefano Magno, Direttore dell’Unità di Terapie integrate in senologia, Fondazione Gemelli, riferendosi all’app e-brave – e possiamo dare raccomandazioni, opportunità aggiuntive a quelle disponibili, ma non andiamo a sostituire’: questo sarebbe un messaggio sbagliato.
Prosegue il chirurgo senologo Stefano Magno: ‘La sorveglianza, la chirurgia hanno una loro forte base scientifica e non si discute, il tema è come integrarle e completarle. Ad oggi non sappiamo dire quanto impatterà, ma abbiamo evidenze che l’attività fisica e l’alimentazione mediterranea e il sonno riducono il rischio di cancro al seno nella popolazione sana: non basta per le mutate, ma è una base di partenza’. E’ tutto ciò che oggi si chiama esposoma: quanto l’ambiente può influire sulla salute individuale’. Magno, intervistato dalla Dire, ricorda lo studio condotto in collaborazione con l’Istituto dei Tumori di Milano e il professor Berrino su come ridurre parametri come IGF1: ‘con lo studio cos2 dopo 6 mesi di interventi nutrizionali tendeva a scendere in maniera significativa rispetto alla popolazione di controllo. Ecco questa base biochimica è interessante. Queste sono evidenze preliminari e seguire questi comportamenti ha un razionale scientifico. Ha senso per la donna e non la penalizza (anche per la sindrome metabolica); gli studi sull’ impatto sono in corso e speriamo nei prossimi anni di averne ancora più sicuri per raccomandarli o prescriverli. Possono contribuire alla riduzione del rischio.
La mia sensazione è che questo aspetto sia sottostimato per tutta la popolazione e che- precisa Magno- venga dato troppo poco spazio di educazione agli stili di vita: il 40% dei tumori è evitabile con un adeguato stile di vita’, ricorda. Ecco le prime raccomandazioni: dieta equilibrata, variegata e inclusiva, contenere il peso e percentuali adeguate di massa magra, praticare attività moderata e non sedentarietà, evitare dipendenze da fumo e alcol’ sono le regole che tutti conosciamo. E un bicchiere di vino? ‘Anche se ci sono dati robusti che l’alcool sia un potenziale fattore cancerogeno, tuttavia è innegabile che un bicchiere di vino ai pasti principali è parte integrante della dieta mediterranea, riconosciuta tra i più salutari pattern alimentari al mondo’, dice Magno.
Su vischio, aloe e altre risorse non farmacologiche, o agopuntura, ‘tecniche di rilassamento che mirano alla qualità della vita e a contenere effetti collaterali delle terapie, il discorso è un pò fuori tema perchè nel caso delle donne mutate la situazione è quella di persone sane. Ad esempio ci sono trial rigorosi che confermano l’efficacia dell’agopuntura nel ridurre dolori articolari da terapia ormonale antitumorale e effetti della menopausa, per cui è entrata nelle linee guida e dovrebbe essere proposta; al contrario, vischio o aloe non hanno ancora questo grado di evidenza scientifica’. Un’app per consigli e per studio, i test genetici, la sorveglianza o il bisturi, gli stili di vita. Forse non è un bivio, un aut aut. Forse bisogna cambiare il modo di ragionare, cucendo addosso a ogni persona la scelta e la strada da seguire.
Cosa ci aspettiamo? ‘Trattamenti genici che vadano a riparare questi danni per quel pezzettino di dna. Questo accadrà, siamo fiduciosi nella ricerca… è questione di tempo’, assicura la senologa Di Leone. E sulle testimonianze come quella Jolie e Balti la senologa non ha dubbi su una cosa: ‘Fanno bene perchè fanno sentire meno sole le donne che scoprono di avere queste varianti patogenetiche, inoltre possono infondere quella giusta dose di coraggio in chi ha paura di intraprendere un percorso di chirurgia preventiva. Io che le vedo ogni giorno queste donne sperimento tanti modi di affrontare questa situazione, tutti diversi: tante non sono disposte ad andare in sala operatoria per ridurre il rischio, con molta precisione si sottopongono ai programmi di controlli ravvicinati e molte non accettano l’idea di vivere con delle protesi. Si impegnano molto a migliorare ogni giorno il loro stile di vita e sono ben consapevoli del loro rischio fino a dire: se viene il cancro, lo curo. Le donne sono molto brave a ragionare con la propria testa’.