• Mer. Ott 16th, 2024

Un nuovo filone di ricerca tutta made in Italy ha scoperto un nuovo ‘colpevole’, alla base di infarti e ictus, annidato in un’alterazione del microbiota intestinale.

Si tratta del lipopolisaccaride, presente in alcuni batteri ‘cattivi’; questa sostanza può attraversare la barriera intestinale ed arrivare nel sangue, trasportato dal colesterolo ‘cattivo’ che sfrutta come cavallo di Troia per entrare nelle arterie, dove innesca i processi che portano alla trombosi. Sono già allo studio terapie per contrastare questo nuovo meccanismo di malattia. Ne ha parlato al congresso della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) di Rimini il professor Francesco Violi, presidente onorario della SIMI e professore emerito della ‘Sapienza’ Università di Roma e autore di queste ricerche.

L’arteriosclerosi è una malattia multifattoriale, associata a tanti fattori di rischio, i più noti dei quali sono il fumo, il diabete di tipo 2, l’obesità, la sindrome metabolica, l’ipertensione e l’aumento del colesterolo LDL. Un gruppo di ricercatori italiani, diretto dal professor Francesco Violi, ha scoperto un nuovo insidioso meccanismo di malattia, una nuova via di comunicazione diretta che parte dall’intestino e arriva al cuore e alle principali arterie dell’organismo. Su questa ‘autostrada dell’aterosclerosi’ viaggia una sostanza che, dopo aver attraversato la parete dell’intestino, si va a localizzare sulle arterie, dove innescando una serie di meccanismi, può portare alla trombosi, quelle che causa l’infarto, ma anche l’ictus e altre complicanze dell’aterosclerosi.

“Il ‘colpevole’ sul quale si è appuntata la nostra attenzione è il lipopolisaccaride (LPS) – spiega il professor Francesco Violi, che terrà una lettura sull’argomento al prossimo congresso della SIMI – Si tratta di un componente (un glicolipide) della parete batterica dei batteri Gram negativi, come l’Escherichia coli.

Questa sostanza entra in circolo dopo aver attraversato la parete dell’intestino (‘traslocazione’) e si va a localizzare nella parete dell’arterie, dove provoca un’infiammazione cronica di basso grado; questo danneggia nel tempo le arterie e richiama dal circolo sanguigno le piastrine che provocano la trombosi del vaso interessato. Abbiamo già condotto sperimentazioni sugli animali, che hanno dimostrato come l’LPS abbia in effetti questa ‘vocazione’ trombotica”. Siamo insomma di fronte insomma ad un meccanismo finora inedito di trombosi.

“Ora è necessario capire come bloccarlo – afferma il professor Violi – per prevenire l’infarto e le altre forme di ostruzione arteriosa causati dal LPS. È una nuova via attraverso la quale si estrinseca il danno aterosclerotico (la trombosi) ed è una scoperta della ricerca italiana”.

Il primum movens di questo nuovo meccanismo di malattia è dunque l’alterata permeabilità dell’intestino causata dalla disbiosi, cioè da un’alterazione del microbiota intestinale, che favorisce la traslocazione del lipopolisaccaride LPS nella circolazione generale; questo induce uno stato infiammatorio a livello della parete arteriosa che dà il via alla progressione dell’aterosclerosi, coinvolgendo non solo le cellule di rivestimento delle arterie (cellule endoteliali), ma anche i globuli bianchi e le piastrine, rendendole più prone a formare trombi.

“Il lipopolisaccaride – spiega il professor Violi – si muove nel circolo sanguigno ‘a bordo’ del colesterolo cattivo (LDL), che utilizza come ‘cavallo di Troia’ per penetrare nella parete delle arterie; la capacità del colesterolo di ‘infiammare’ le arterie potrebbe dunque essere dovuta non a lui direttamente, ma al LPS che stimola la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), degli ossidanti che vanno ad infiammare la parete delle arterie e la danneggiano. Questo danno richiama poi le piastrine che formano un trombo, andando a interrompere il flusso del sangue all’interno di quell’arteria e dando quindi luogo a un infarto   un ictus”.

Chi è più a rischio? “La presenza di questi batteri ‘pericolosi’, che possono mandare in circolo l’LPS è più probabile nei soggetti classicamente a rischio di infarto – spiega il professor Violi – cioè le persone con diabete o obesità ad esempio. Gli individui dismetabolici presentano un’infiammazione intestinale cronica di basso grado che si associa ad una disbiosi intestinale, con prevalenza di batteri patogeni, come l’Escherichia coli. Abbiamo fatto esperimenti sull’animale obeso e siamo così arrivati a dimostrare che questa condizione si associa a disbiosi intestinale, ad aumento del LPS e ad aumentato rischio di trombosi”. Le possibilità di intervento, almeno in teoria, sono molte ma andranno naturalmente vagliate da una serie di studi clinici sull’uomo.

“Per ora possiamo fare solo ipotesi. Ci sono varie possibilità di prevenzione del danno da LPS che stiamo esplorando. Una possibilità – spiega il professor Violi – potrebbe essere quella di modulare la composizione della flora batterica intestinale, attraverso la somministrazione di probiotici e prebiotici. Un’altra possibilità, già sperimentata in studi animali, è quella di somministrare cicli di antibiotici intestinali non assorbibili per correggere la disbiosi; negli animali abbiamo ottenuto risultati molto interessanti. Un’altra strada potrebbe essere quella di bloccare l’azione dell’LPS una volta entrato in circolo, impedendogli di interagire con il suo recettore sulla parete delle arterie, per impedirgli di attivare tutta la cascata di eventi che porterà alla trombosi; stiamo già lavorando ad una possibile terapia farmacologica, che sfrutta l’LPS come nuovo target terapeutico anti-trombosi. Potremmo infine anche pensare ad una possibile azione favorevole degli analoghi recettoriali del GLP-1 in questo contesto, visto che questi farmaci riducono la permeabilità intestinale e hanno un effetto di protezione cardiovascolare. Ma non ci sono prove in tale senso”.

“Questa importante serie di ricerche condotte da un gruppo di ricercatori italiani affiliati alla SIMI – sottolinea il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna SIMI – sono la dimostrazione che soltanto il medico internista è capace di avere un approccio olistico clinico e sperimentale in grado di affrontare lo studio di patologie complesse e multifattoriali che richiedono conoscenze mediche trasversali a tante aree specialistiche” .

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