• Sab. Ott 5th, 2024

Sfruttare la bioluminescenza delle lucciole, per prevenire l’iperattività neuronale tipica delle crisi epilettiche. E’ lo studio innovativo per il trattamento dell’epilessia messo a punto da un team di ricercatori dell’Istituto italiano di Tecnologia di Genova, in collaborazione con il Policlinico San Martino e l’Università e co-finanziato dal ministero dell’Università e della ricerca.

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Nature Communications”, potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per le forme refrattarie ai farmaci della malattia, per cui i trattamenti attuali sono ancora molto invasivi. L’epilessia, riconosciuta nel 2020 dall’Oms come malattia sociale, è caratterizzata da un’eccessiva attivazione di alcuni neuroni, che alterano la normale funzionalità del cervello. Sebbene la maggior parte dei pazienti tragga beneficio dalle terapie disponibili, circa un terzo non risponde ancora alle cure. Ad oggi, un approccio innovativo è l’optogenetica, tecnica che modifica geneticamente i neuroni affinché esprimano opsine, proteine capaci di influenzare l’attività delle cellule nervose quando esposte alla luce.

L’optogenetica permette di bloccare l’attivazione patologica del tessuto neurale affetto da epilessia, riportando l’attività dei neuroni a livelli fisiologici e disinnescando sul nascere le crisi epilettiche. Tuttavia, questa strategia richiede l’inserimento di fibre ottiche nel cervello per generare la luce necessaria al funzionamento delle opsine. Per evitare questo problema, il Center for synaptic neuroscience and technology dell’Iit ha sviluppato un sistema in grado di attivarsi autonomamente e in maniera mirata direttamente all’interno dei neuroni epilettici, riportandoli al loro stato naturale. La sperimentazione di una terapia basata su questo approccio è ancora a livello preclinico, ma i risultati mostrano una diminuzione di oltre tre volte del numero di crisi epilettiche e una riduzione del 32% nella durata degli attacchi.

“Il nostro approccio si basa su tre elementi che vengono prodotti direttamente in tutte le cellule nervose grazie alla modifica genetica- spiega Caterina Michetti, prima autrice dello studio- si tratta di un’opsina collegata a un sensore e a una molecola bioluminescente, una luciferasi, la stessa proteina che permette alle lucciole di emettere luce. La somministrazione del substrato, sostanzialmente un farmaco che la luciferasi consuma per produrre il segnale luminoso, consente di promuovere l’attivazione dell’opsina senza inserire fibre ottiche”.

La luciferasi non è l’unica innovazione. “Il nostro sistema è dotato di un sensore che percepisce l’acidificazione del neurone, caratteristica esclusiva dei neuroni epilettici, creando un circuito chiuso- aggiunge Elisabetta Colombo, co-coordinatrice dello studio- grazie alla somministrazione del farmaco che attiva la luciferasi, il nostro sensore controlla che il neurone sia sano o epilettico e, in quest’ultimo caso, attiva l’opsina che riporta l’attività neuronale a livelli fisiologici!. Ecco perché, conclude Fabio Benfenati, coordinatore del progetto, “il modello sviluppato rappresenta un approccio potenzialmente promettente per il trattamento dell’epilessia cronica refrattaria ai farmaci, indipendentemente dalla causa specifica, genetica o non genetica, in particolare per i casi in cui l’intervento chirurgico non è possibile- Il prossimo passo consiste nell’ottimizzare la modalità di somministrazione del farmaco, in modo che il sistema possa restare attivo a lungo nel cervello e intervenire prontamente quando è necessario”. 

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