• Gio. Nov 21st, 2024

Cinquecento vittime al giorno. Morti in Paesi vulnerabili che era possibile prevenire, dovute a complicazioni in gravidanza o durante il parto. Storie e numeri parte di un rapporto mondiale pubblicato dalle Nazioni Unite a 30 anni dalla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo che si tenne al Cairo.

Nella capitale egiziana era stato assunto un impegno, rilanciato dall’Agenda 2030 dell’Onu. “Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici” si legge al punto cinque del documento. Sono il prisma, queste parole, attraverso il quale si sviluppa la presentazione del nuovo rapporto al Senato, in sala Caduti di Nassiriya. L’impegno sta già nel titolo: ‘Vite interconnesse, intrecci di speranza: porre fine alle disuguaglianze nella salute e nei diritti sessuali e riproduttivi’.
A introdurre e contestualizzare è Massimo Diana, del Fondo dell’Onu per la popolazione (Unfpa), una vita di impegno umanitario dalla ex Jugoslavia al Sudan fino all’Ucraina, dove oggi è a capo dell’organismo in Ucraina. “Si stima che oltre la metà di tutte le morti materne prevenibili avvenga nei Paesi colpiti da crisi e conflitti” la sua premessa al Senato: “Quasi 21 madri muoiono ogni ora e quasi 500 ogni giorno”.

Diana cita alcuni casi, evidenziando il peso dell’interruzione dei servizi sanitari e della mancanza di accesso alle cure ostetriche di emergenza. “In Yemen la situazione è particolarmente disastrosa”, denuncia l’esperto: “Il rapporto di mortalità materna è stimato in 164 decessi ogni 100mila nati vivi”.
Nello studio l’impatto delle guerre è fotografato per difetto.
I numeri sono infatti aggiornati all’autunno 2023: non sono tenute in conto le ripercussioni della nuova fiammata del conflitto in Medio Oriente e dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, né sono valutate appieno le conseguenze derivanti dalla guerra civile in Sudan, in corso da un anno.

In questo Paese le persone costrette a fuggire dalle proprie case da raid e combattimenti sono state già più di otto milioni.
“Le donne incinte costrette a migrare affrontano sfide immense, tra cui la mancanza di accesso ai servizi di salute materna e una maggiore esposizione alla violenza di genere” denuncia Diana. “Il viaggio precario e lo stress dello spostamento possono portare a complicazioni durante la gravidanza e il parto, aumentando il rischio di mortalità materna e neonatale”.
In 30 anni ci sono stati però anche progressi. Tra la Conferenza del Cairo e il 2020, si legge nel rapporto, le gravidanze indesiderate si sono ridotte del 19 per cento.
Dal 2000 è diminuito invece di un terzo il numero delle ragazze madri di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Sono ormai 162 i Paesi che hanno approvato leggi contro le violenze domestiche, mentre è sempre più diffusa la bocciatura di norme che criminalizzano l’omosessualità.

Nuovi dati riferiti a 69 Paesi mostrano comunque criticità perduranti: una donna su quattro non può fare scelte in autonomia nella sfera della salute e sempre una su quattro non può rifiutarsi di avere rapporti sessuali chiesti dal marito o dal partner.
Se ne discute al Senato. “Nonostante ci siano stati importanti progressi in materia di salute sessuale e riproduttiva, si assiste a situazioni di stallo e a un aumento delle disparità e di disuguaglianze non solo tra Paesi ma anche al loro interno” sottolinea Maria Grazia Panunzi, presidente dell’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos), promotrice della presentazione del rapporto. “Il luogo dove si nasce è determinante per la vita o la morte, se si tratta di un’area rurale o urbana, se si vive in una situazione di conflitto o dove esiste un sistema sanitario”.

Secondo Panunzi, “è proprio dove le condizioni sono più difficili che devono intervenire le scelte politiche attraverso azioni e risorse”. Il suo è anche un appello al governo italiano, che quest’anno presiede il G7: “Nessuna donna deve morire per cause legate alla gravidanza e al parto”.
Evidenzia disparità e chiede impegno anche Elena Ambrosetti, professoressa di Demografia all’università La Sapienza di Roma.
Secondo la docente, “troppe donne al mondo non hanno accesso ai servizi di base della salute sessuale e riproduttiva a causa di disuguaglianze legate all’etnia, allo status migratorio, all’istruzione, allo status socioeconomico, alla residenza in zone rurali o urbane o allo status di salute, come nel caso di persone con disabilità”.

Passato e futuro, opportunità e rischi tornano nell’intervento di Cecilia D’Elia, senatrice del Partito democratico. “Il progresso non è lineare” avverte la parlamentare. “In questi 30 anni c’è stato un miglioramento nelle condizioni di accesso per le donne alla salute riproduttiva e sessuale ma tuttora restano profondissime disparità territoriali e sociali”. Secondo D’Elia, “la Conferenza del Cairo ha modificato lo sguardo sulla questione demografica mettendo al centro i diritti delle donne”. Resta però imprescindibile, questo il messaggio al Senato, l’impegno di tutti affinché nessuna venga lasciata indietro.

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