I Tumori Mucinosi Papillari Intraduttali (IPMN) del pancreas sono una delle tante neoplasie che interessano questo organo. La loro peculiarità è che rappresentano un vero rompicapo per i clinici perché è difficile inquadrarle come forme benigne o maligne.
La stratificazione del rischio infatti si è avvalsa finora solo di fattori clinici e radiologici perché non si dispone di un biomarcatore di malignità. Questo crea incertezze di classificazione, che si ripercuotono sulla scelta di avviare o meno il paziente verso un trattamento chirurgico demolitivo o continuare la sorveglianza. Uno studio appena pubblicato su Nature Communications dal gruppo di ricerca del professor Giampaolo Tortora, ordinario di Oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli, viene a colmare in parte questo gap di conoscenza.
I ricercatori hanno infatti individuato dei biomarcatori tessutali specifici, una sorta di impronta digitale molecolare, che consente di distinguere con certezza le forme benigne da quelle ad alto grado di malignità o ad alto rischio di trasformazione maligna. Per arrivare a questi risultati, i ricercatori di Università Cattolica – Gemelli hanno esaminato una quantità incredibile di dati su pezzi operatori di pazienti trattati al Gemelli nel corso degli ultimi dieci anni, avvalendosi di analisi omiche e in particolare di sofisticate tecnologie di trascrittomica e proteomica spaziale.
Il loro lavoro ha così consentito di individuare sul tessuto tumorale le ‘firme molecolari’ che indicano una displasia di basso grado (HOXB3 e ZNF117), quelle dei casi ‘borderline’ (SPDEF) e infine i marcatori di displasia di alto grado, cioè delle forme sicuramente maligne (NKX6-2). Questo lavoro non solo fornisce un importante nuovo strumento diagnostico per differenziare le lesioni pancreatiche pre-tumorali benigne da quelle maligne, ma getta luce anche sul ruolo dell’attivazione di alcuni geni (TNFalfa e MYC) nella progressione degli IPNM da una forma benigna a una maligna (adenocarcinoma pancreatico duttale, o PDAC). La ricerca appena pubblicata è stata supportata da un grant della Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro (“Luigi Bonatti e Anna Maria Bonatti Rocca”), assegnata al progetto del dottor Carmine Carbone, team leader dello studio e ricercatore di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
Cosa sono gli IPMN. Le neoplasie mucinose papillari intraduttali pancreatiche sono lesioni cistiche che si sviluppano all’interno dei dotti pancreatici e che contengono al loro interno dei ‘tralci’ di tessuto (proiezioni papillari) rivestiti di epitelio mucoso. La frequenza di queste cisti dal comportamento incerto, che si scoprono per caso in occasione di una TAC o una RMN fatta per altro motivo, è in aumento e cresce con l’avanzare dell’età. Una recente metanalisi della Mayo Clinic (Usa) rivela che gli IPMN vengono scoperti per caso nell’11% circa degli over 50 sottoposti a TAC addominale. Mancano però dati certi di prevalenza e incidenza. “Una necessità assoluta è dunque quella di creare un registro italiano degli IPMN – sostiene il professor Tortora – perché siamo certi che il loro numero sia ampiamente sottostimato”.
Questi tumori originano dai dotti pancreatici e sono considerati precursori dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), una neoplasia estremamente aggressiva per la quale si dispone di limitate opzioni terapeutiche. Ma con le conoscenze attuali non è possibile prevedere l’andamento della loro storia naturale e individuare dunque con certezza quelli a maggior rischio di trasformazione maligna. Le forme considerate ad alto rischio (sulla base del quadro TAC) vengono sottoposte subito a intervento chirurgico, mentre quelle a basso rischio, a sorveglianza (cioè a RMN ogni 6 mesi). “Finora dunque – spiega il professor Tortora – la stratificazione del rischio degli IPMN viene fatto solo in base alle caratteristiche cliniche (ad alto rischio sono soprattutto gli IPMN che si sviluppano nei dotti principali) e radiologiche (TAC, RMN), mentre non si disponeva di criteri che tenessero conto della loro biologia. Questo fa sì che fino al 10% degli IPMN considerati a ‘basso rischio’ – ammette il professor Tortora – sfugga a una corretta valutazione e, nel tempo, possa dar luogo a un tumore aggressivo”. La ricerca condotta presso l’Università Cattolica e il Policlinico Gemelli – dà invece un importante contributo all’individuazione delle lesioni ad alto potenziale di trasformazione maligna.
“E si tratta di un’indicazione importante – sottolinea il professor Tortora – perché se è fondamentale individuare le lesioni ad alto rischio di trasformazione maligna, altrettanto determinante è definire le caratteristiche di ‘benignità’, per evitare ai pazienti un intervento chirurgico inutile, molto invasivo e non privo di rischi”.
Come si gestisce un paziente con IPMN. Una volta fatta diagnosi di IPMN il paziente viene sottoposto a un controllo con RMN ogni 6 mesi per tenere sotto controllo la lesione e sottoporla a biopsia se cambia aspetto. “Non avevamo finora alcun parametro, al di là di quelli morfologici (radiologici) – ricorda il professor Tortora – che ci potesse aiutare a capire in ragionevole anticipo quale potesse essere l’evoluzione di una lesione per orientare l’iter terapeutico verso un comportamento attendista o andare subito all’intervento chirurgico demolitivo (non esiste infatti un intervento solo ‘riduttivo’ dell’IPMN)”.
Una diagnosi di precisione. “Con un paziente e minuzioso studio di trascrittomica e proteomica spaziale effettuato su tessuto (cioè sul pezzo operatorio) – ricorda il dottor Carmine Carbone (team leader dello studio e ricercatore di Fondazione Policlinico Gemelli e corresponding author del lavoro, insieme al primo autore dello studio, il dottor Antonio Agostini, ricercatore di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS) – abbiamo analizzato a una a una le cellule che compongono gli IPMN per studiarne l’RNA e le proteine corrispondenti, rispettando la citoarchitettura del tessuto. In questo modo, è stato possibile evidenziare che le forme a minore o a maggior rischio di trasformazione maligna si differenziano per l’espressione di alcuni geni e proteine; in particolare, l’espressione del gene NKX6-2, conferisce un aumentato rischio di differenziazione maligna; al contrario, l’espressione dei geni HOXB3 e ZNF117 indica una displasia di basso grado, quindi una condizione di benignità. Il prossimo step consisterà nella ricerca di un biomarcatore prognostico di trasformazione tumorale nel sangue”. “Al momento – afferma il professor Tortora – l’unico marker tumorale associato al cancro del pancreas è il CA 19-9, ma il fatto di trovarlo alto indica già la presenza di un adenocarcinoma pancreatico”.
Le vie del cancro e le prospettive terapeutiche. Lo studio pubblicato su Nature Communications ha evidenziato anche che il TNFalfa e il MYC sono le ‘vie’ molecolari attraverso le quali viaggia la trasformazione di una lesione pre-cancerosa, in una francamente tumorale. “In futuro quindi – prosegue il dottor Carbone – potremmo ipotizzare la messa a punto di trattamenti in grado di bloccare queste ‘vie’ (un anti-MYC è già allo studio). Ma c’è di più. Con la teranostica si potrebbe provare a coniugare un anticorpo mirato contro l’NKX6-2 con un radiofarmaco per andare a colpire con precisione, sfruttando il ‘nucleare buono’ le cellule tumorali che esprimono questo gene, indice di malignità”.
Una task force italiana contro i tumori del pancreas. È di qualche giorno fa la notizia della creazione di una cabina di regia per i tumori del pancreas, presso il Ministero della Salute, che mira a favorire la creazione di una rete di Centri Pancreas Unit, per migliorare la diagnosi e il trattamento dei tumori del pancreas. I Gruppi di Lavoro, coordinati dal professor Sergio Alfieri (ordinario diChirurgia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Direttore Clinico Scientifico dell’Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola) raggruppano i maggiori esperti di tumori del pancreas di tutta Itali; tra questi, il professor Giampaolo Tortora, che ha firmato insieme ai suoi collaboratori questa importante pubblicazione su Nature Communications.