• Mer. Dic 25th, 2024

“Molte molecole sono in fase di studio e vorrei che tutti i pazienti e i loro caregiver guardassero la malattia di Parkinson come fossero di fronte all’alba e non di fronte ad un tramonto”.

L’incoraggiamento arriva dalla dottoressa Stefania Brotini, neurologa presso l’ospedale San Giuseppe di Empoli a ridosso della Giornata Mondiale del Parkinson.

“La malattia di Parkinson rappresenta la neurodegenerazione più comune tra i disturbi del movimento. Ci sono sostanziali evidenze sul ruolo della neuroinfiammazione nel meccanismo che porta alla morte delle cellule nervose a livello del sistema dopaminergico nigro-striatale. La eziopatogenesi della malattia è ancora ignota. Tuttavia, il meccanismo che ne sta alla base è determinato da un’aumentata vulnerabilità dei neuroni dopaminergici a vari insulti neurotossici, che possono determinare neuroinfiammazione. In questo contesto numerosi dati scientifici sottolineano il ruolo dei fenomeni neuroinfiammatori nella progressione incontrollata di patologie come il Parkinson”, afferma la dottoressa Brotini.

“La ricerca sulla malattia di Parkinson degli ultimi anni si è dedicata allo studio della patologia neuronale, ma anche di tutte le altre cellule non neuronali, che nel loro insieme prendono il nome di Glia. Tra queste in particolare la microglia e gli astrociti, che rappresentano i protagonisti principali nel processo neuroinfiammatorio. Ciò che è emerso è che, al contrario di quanto credevamo in passato, il processo neuroinfiammatorio insorge prima della degenerazione delle sinapsi neuronali, il che significa che non è la conseguenza come credevamo in passato. Quindi la degenerazione del Parkinson è secondaria alla neuroinfiammazione cronica e non viceversa”, spiega l’esperta.

Questa scoperta ha portato allo studio di molecole lipidiche che possono svolgere un ruolo primario essenziale per combattere la neuroinfiammazione cronica. “Tra queste la Palmitoiletanolamideultramicronizzata (Pea-um), una molecola lipidica endogena che agisce da equilibratore cellulare e ha la capacità di essere prodotta ‘on demand’ principalmente dalle cellule non neuronali (mastociti, astrociti e microglia), riesce a contrastare i fenomeni lesivi a carico del sistema nervoso centrale. La Pea endogena contrasta l’insorgenza di fenomeni neuroinfiammatori attraverso il controllo inibitorio delle cellule non neuronali, cioè della neuroglia, quando queste risultano iperattive”, spiega la dottoressa Brotini.

“Abbiamo studiato la somministrazione esogena di Pea-um, una forma di Palmitoiletanolamide brevettata e utilizzabile dall’organismo (ultra-micronizzata) in un gruppo di pazienti parkinsoniani. I risultati sono stati entusiasmanti, le discinesie si sono notevolmente ridotte e si è verificato anche un incremento della durata dell’effetto della dopamina- afferma Brotini- In aggiunta alla terapia classica, infatti, la Pea-um può risultare un efficace coadiuvante per ridurre i movimenti involontari o la durata del blocco motorio. Riduce quindi gli effetti collaterali della malattia e della terapia tradizionale e ritarda il decorso della malattia anche in fase avanzata. In sintesi, l’aggiunta di Pea ultra-micronizzata ha dimostrato un miglioramento notevole dei sintomi motori, ma anche di molti sintomi non motori”, spiega l’esperta. 

MALATTIA DI PARKINSON E I TRE SOTTOTIPI

La malattia di Parkinson non è comune prima dei 50 anni di età, a meno che non si tratti di forme genetiche. La prevalenza aumenta con l’età.La malattia risulta più comune negli uomini (1,4:1,0 uomini vs donne). Può manifestarsi con molte varianti cliniche, e di conseguenza con prognosi diverse. Il corredo sintomatologico della malattia prevede sintomi motori e non motori. Nella maggior parte dei casi i sintomi non motori si manifestano anche alcuni anni prima della malattia, basti pensare (uno fra tanti) al Rem-Behaviour Disorder. Il quadro clinico della malattia può essere caratterizzato da una prevalenza di rigidità o, per converso, da una prevalenza del tremore (si parla di forme rigido-acinetiche nel primo caso e di forme tremorigene nel secondo caso).

Tuttavia, in relazione alla gravità del quadro clinico all’esordio, alla risposta alla levodopa, e alla progressione della malattia possiamo distinguere a grandi linee, tre sottotipi di malattia. Il primo sottotipo è caratterizzato da una forma piuttosto aggressiva, che si verifica dal 9 al 16% degli individui con malattia di Parkinson. Questa forma è caratterizzata da precoci sintomi motori e non motori, risulta scarsamente responsiva al trattamento farmacologico, e ha una progressione di malattia piuttosto veloce. Esiste poi una forma di malattia di Parkinson, in cui prevale l’aspetto motorio (e rappresenta dal 49 al 53% dei pazienti). Questa forma è caratterizzata da sintomi motori lievi, presenta una buona risposta alla terapia farmacologica con levodopa, ed una più lenta progressione di malattia. Il resto dei pazienti presenta un sottotipo intermedio.

“Inoltre, dati della letteratura evidenziano come anche la malattia di Parkinson possa essere talvolta complicata non solamente da fluttuazioni motorie (discinesie o blocchi motori), ma anche da disturbi non motori, tra cui i disturbi dell’attenzione, oppure da declino delle funzioni cognitive. In questi casi le terapie saranno modulate o modificate in relazione al quadro clinico. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico della malattia di Parkinson, abbiamo molti farmaci a disposizione. La terapia con levodopa rappresenta la terapia gold standard, ma nel tempo la risposta potrebbe essere ostacolata dallo sviluppo di fluttuazioni motorie, inclusi blocchi motori, c.d. fenomeni ‘off’, in cui riemergono i sintomi della malattia di Parkinson.

In tal senso, e con meccanismi diversi, ci vengono in aiuto molti altri farmaci, tra cui i Dopaminoagonisti, gli inibitori delle Comt, oltre alla safinamide, rasagilina, rotigotina, apomorfina, duodopa. Tuttavia, abbiamo delle buone aspettative anche da nuovi farmaci sviluppati per la gestione del periodo ‘Off’, quali la levodopa inalabile e la formulazione sublinguale dell’apomorfina. Dobbiamo essere anche ottimisti per lo sviluppo di nuove ed ulteriori ricerche”, conclude. 

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