Prosegue il calo delle nascite nel 2023. Secondo i dati provvisori, i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%).
Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%). Lo dice Istat nel Report ‘Indicatori demografici anno 2023’. La riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50mila, 3mila in meno rispetto al 2022. La diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità , sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15-49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004. Anche la popolazione maschile di pari età , tra l’altro, subisce lo stesso destino nel medesimo termine temporale, passando da 13,9 milioni nel 2004 a 13,5 milioni nel 2014, fino agli odierni 12 milioni di individui. Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995.
La contrazione del numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel Nord diminuisce da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12. Il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022. In tale contesto, riparte la posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità , dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità , nel 2023 l’età media al parto si porta a 32,5 anni (+0,1 sul 2022).
Tale indicatore, in aumento in tutte le ripartizioni, continua a registrare valori nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) superiori rispetto al Mezzogiorno (32,2), dove però si osserva l’aumento maggiore sul 2022 (era 32,0). Passata la turbolenta fase pandemica e immediatamente post-pandemica, a cui si devono attribuire parte delle irregolari variazioni congiunturali rilevate, la discesa della fecondità sembra riprendere ovunque, accompagnata da una rinnovata spinta alla posticipazione. Nord e Mezzogiorno, dopo aver registrato lo stesso livello di fecondità nel 2022, si discostano nuovamente. Il Mezzogiorno, dopo venti anni, torna ad avere una fecondità superiore a quella del Centro-nord. Non è nemmeno di supporto alla natalità , almeno non più come un tempo, l’andamento dei matrimoni, 183mila nel 2023 (-6mila sul 2022).
Tra questi risultano in forte riduzione quelli celebrati con rito religioso (-8mila) mentre aumentano quelli celebrati con rito civile (+2mila). Complessivamente, nel 2023 il tasso di nuzialità continua lievemente a scendere, portandosi al 3,1 per mille dal 3,2 del 2022. Il Mezzogiorno continua a essere la ripartizione con il tasso più alto, 3,5 per mille contro 2,9 per mille di Nord e Centro. Allo stesso tempo è però l’area in cui la contrazione sul 2022 risulta maggiore.
Il Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,42, continua a detenere il primato della fecondità più elevata del Paese, sebbene sia tra le regioni con la variazione negativa maggiore rispetto al 2022 (1,51). Seguono Sicilia e Campania, con un numero medio di figli per donna rispettivamente pari a 1,32 e 1,29 (contro 1,35 e 1,33 nel 2022). In queste tre regioni le neo- madri risultano mediamente più giovani che nel resto del Paese: 31,7 anni l’età media al parto in Sicilia; 32,2 anni in Trentino-Alto Adige e Campania.
La Sardegna continua a essere la regione con la fecondità più bassa. Stabilmente collocata sotto il livello di un figlio per donna per il quarto anno consecutivo, nel 2023 si posiziona a 0,91 figli (0,95 nel 2022). La precedono altre due regioni del Mezzogiorno: la Basilicata, dove il numero medio di figli per donna scende da 1,10 nel 2022 a 1,08 nel 2023; il Molise rimasto stabile a 1,10. La Sardegna e la Basilicata sono, insieme al Lazio, le tre regioni in cui il calendario riproduttivo risulta più posticipato, con età medie al parto rispettivamente pari a 33,2, 33,1 e 33 anni.
Nel panorama generalizzato di una fecondità bassa e tardiva, estesa a tutte le aree del Paese, con differenze lievi tra le tre ripartizioni, si evidenziano condizioni di eterogeneità , anche all’interno di una stessa ripartizione geografica. Nel Mezzogiorno, ad esempio, coesistono regioni con più alta fecondità (Sicilia, Campania e Calabria) e regioni con livelli minimi (Sardegna, Basilicata e Molise).
Nel Nord, tre regioni su quattro del Nord-ovest (Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Liguria, Piemonte) evidenziano una fecondità al di sotto della media nazionale (1,20 figli per donna), mentre tutte quelle del Nord-est ne evidenziano una al di sopra. Più coeso il Centro, dove solo le Marche, con un tasso di 1,17 figli (unica a presentare un minimo vantaggio rispetto all’1,16 del 2022) si distingue leggermente da Toscana, Lazio e Umbria (1,12, 1,11 e 1,10 figli rispettivamente). Scendendo a livello provinciale, il più alto numero medio di figli per donna si registra nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen (1,56), che presenta però una significativa discesa rispetto al 2022 (era 1,64).
Seguono le Province di Gorizia (1,42), Palermo (1,39), Reggio Calabria (1,37), Ragusa (1,36) e Catania (1,36). Tutte le Province sarde, ai minimi nazionali, presentano una fecondità inferiore al figlio per donna: da quelle di Cagliari e del Sud Sardegna (0,86 per entrambe) a quelle di Oristano (0,93), Sassari (0,95) e Nuoro (0,99). A queste seguono la Provincia di Massa Carrara (1,02), nel Centro, e quella di Verbano-Cusio-Ossola (1,06), nel Nord.