Nel 2022 sono stati registrati 2.243 casi di infortunio in occasione di lavoro accertati positivamente dall’Inail e codificati come violenze, aggressioni, minacce e similari perpetrate nei confronti del personale sanitario (in aumento del 14% sul 2021): 1.584 per le donne (+15%) e 659 per gli uomini (+12%).
La maggior parte degli infortuni è dovuta alla violenza esercitata da persone esterne all’azienda (reazioni da parte dei pazienti o dei loro familiari) e, in minor misura, a liti e incomprensioni tra colleghi. I dati sono stati presentati oggi dall’Inail nel corso di una conferenza stampa al ministero della Salute e arrivano dalla Consulenza statistico attuariale, che ha analizzato gli ultimi numeri relativi agli infortuni lavorativi derivanti da aggressioni, violenze e minacce (escluse quelle provenienti da animali) registrati nel triennio 2020-2022 nel settore sanitario e socio-sanitario, fotografato alla data del 31 ottobre 2023. Nell’intero triennio 2020-2022, fra fatto sapere l’Inail, sono stati circa 6mila i casi di violenza nella sanità e assistenza sociale, con un’incidenza del 41% rispetto a tutti quelli registrati nello stesso periodo tra i lavoratori dell’Industria e dei servizi.
Circa il 70% degli infortuni del settore ha riguardato le donne, mentre per entrambi i generi si rileva che il 39% dei casi interessa personale socio-sanitario tra i 50 e i 64 anni (per le donne la quota sale al 40%), poco più del 36% tra i 35 e i 49 anni, il 23% fino a 34 anni e l’1% oltre i 64 anni. Oltre la metà dei casi riconosciuti dall’Istituto riguarda il settore ‘assistenza sanitaria’ (ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari, servizi degli studi medici e odontoiatrici, laboratori di analisi cliniche, ecc.), il 31,6% i servizi di ‘assistenza sociale residenziale’ (soprattutto strutture di assistenza infermieristica, case di riposo e strutture per disabili) e il restante 16,5% il comparto ‘assistenza sociale non residenziale’.
La categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta in violenze e aggressioni, con circa il 41% del totale, seguita dalle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali (27%) e da quella dei servizi personali e assimilati (13%). Più distaccata, con il 3,5% dei casi di aggressione in sanità, la categoria dei “medici”, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i sanitari generici di base e i liberi professionisti. Sono infermieri e operatori socio-sanitari a registrare il maggior numero di infortuni, sia per la componente femminile (con incidenze rispettivamente del 25% e 31%) che per quella maschile (39% e 19%).
Circa il 59% dei casi comporta una contusione, il 22% una lussazione, distorsione e distrazione, l’8% una frattura e il 7% una ferita. La principale sede del corpo coinvolta nelle violenze è la testa (13% faccia, 9% cranio, 4% naso), seguita da parete toracica (9%), cingolo toracico (8%), polso (7%) e colonna vertebrale/cervicale (6%). Quasi un’aggressione su tre avviene nel Nord-Ovest (17% in Lombardia e 8% nel Piemonte), il 28% nel Nord-Est (14% in Emilia Romagna e 9% in Veneto), il 22% nel Mezzogiorno (7% in Sicilia, 5% in Puglia) e il 19% al Centro (9% in Toscana e 6% nel Lazio).
Tutti questi elementi hanno consentito di realizzare un identikit principale della vittima e dell’aggressore, in rapporto all’evento infortunistico che è stato denunciato e riconosciuto come infortunio di competenza dell’Istituto: l’operatore sanitario aggredito è donna, di età compresa tra 51 e 60 anni, di nazionalità italiana, vive in Lombardia o Emilia Romagna, lavora come operatore socio-sanitario o infermiera in struttura ospedaliera o in Rsa, prevalentemente in ambito psichiatrico o dell’emergenza/urgenza, ha subito violenza fisica, colpita con pugni o calci o con afferramento, ha riportato contusioni con assenza per malattia mediamente di 22 giorni e, nella quasi totalità dei casi, menomazioni micropermanenti valutate fino al 5%.
Un ulteriore identikit dell’aggredito è quello dell’educatore professionale che opera in strutture diverse come gli istituti scolastici, le comunità socio-educative e le case circondariali, che rappresenta la terza figura maggiormente oggetto di episodi di violenza. L’aggressore, invece, è una persona assistita affetta da disabilità intellettiva o psichica o in stato di agitazione.
Tempi di attesa e burocrazia, infine, sono tra i principali fattori di rischio. L’analisi della Sovrintendenza sanitaria centrale dell’Inail ha consentito anche di rilevare alcuni spunti propedeutici ad azioni di prevenzione. La complessa relazione tra l’operatore sanitario, i pazienti o i loro familiari, dalla quale possono sfociare episodi di aggressione, può essere migliorata per esempio attraverso procedure organizzative volte a ridurre la burocrazia e i tempi di attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, ad aumentare e rendere più puntuale l’informazione e a incrementare la partecipazione, con l’eliminazione di barriere culturali e linguistiche. Fondamentale, inoltre, è lo sviluppo di ulteriori indagini qualitative su questo fenomeno ancora sottostimato.