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3 MILIONI DI ANZIANI RINUNCIANO ALLE CURE IN ITALIA
La rinuncia alle cure tra gli over 65 in Italia è un problema significativo che richiede attenzione, un fenomeno che si è accentuato durante la pandemia di COVID-19 e che nel biennio 2021-2022 secondo la stima della sorveglianza Passi d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, ha coinvolto oltre 3 milioni di anziani. Dai dati raccolti nel biennio 2021-2022 dalla sorveglianza emerge che il 24% degli ultra 65enni degli intervistati dichiara di aver rinunciato, nei 12 mesi precedenti l’intervista, ad almeno una visita medica o un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno; ovvero 1 anziano su 4 fra coloro che ne avrebbero avuto bisogno.
La rinuncia alle cure si aggrava nelle fasce sociali svantaggiate, raggiungendo il 37% tra coloro che riferiscono di avere molte difficoltà ad arrivare alla fine mese con le risorse di cui dispongono (contro il 24% fra chi riferisce di non aver problemi economici) ed è più frequente fra le donne (29% contro il 23% degli uomini). Inoltre, il fenomeno coinvolge anche le persone affette da patologie croniche: fra chi riferisce una diagnosi di malattia cronica fra quelle indagate in PASSI d’Argento (tumori, malattie cerebrovascolari, malattie croniche respiratorie, diabete, insufficienza renale, malattie croniche del fegato o cirrosi) il 28% dichiara di aver rinunciato, questa quota sale al 33% tra coloro che hanno 2 o più cronicità.
Fra chi ha riferito di aver rinunciato ad visite mediche o un esami diagnostici necessari, il 31% dichiara di averlo fatto per timore del contagio da Sars-Cov-2: il 22% per sospensione del servizio e chiusura dello studio medico a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia di COVID-19; il 36% riporta fra le motivazioni le lunghe liste di attesa; il 7% riferisce difficoltà nel raggiungere la struttura (per distanza o assenza di collegamenti e/o mezzi di trasporto adeguati) o anche per scomodità degli orari proposti. Infine il 5% degli anziani riferisce che la rinuncia è stata determinata dai costi elevati e non sostenibili.
240.000 FRAMMENTI DI NANOPLASTICA IN 1 LITRO DI ACQUA IN BOTTIGLIA
Negli ultimi anni è cresciuta la preoccupazione che minuscole particelle note come microplastiche siano presenti praticamente ovunque sulla Terra, dal ghiaccio polare al suolo, all’acqua potabile e al cibo.
Formate quando la plastica si rompe in pezzi progressivamente più piccoli, queste particelle vengono consumate dagli esseri umani e da altre creature, con potenziali effetti sconosciuti sulla salute e sull’ecosistema. L’acqua in bottiglia ha dimostrato di contenere decine di migliaia di frammenti identificabili in ciascun contenitore.
Ora, utilizzando una tecnologia recentemente perfezionata, i ricercatori sono entrati in un mondo della plastica completamente nuovo: il regno poco conosciuto delle nanoplastiche, la progenie delle microplastiche che si sono ulteriormente degradate. Per la prima volta i ricercatori hanno contato e identificato queste minuscole particelle nell’acqua in bottiglia. Hanno scoperto che in media un litro conteneva circa 240.000 frammenti di plastica rilevabili, da 10 a 100 volte più grandi delle stime precedenti, basate principalmente su dimensioni più grandi.
Le nanoplastiche sono così piccole che, a differenza delle microplastiche, possono passare attraverso l’intestino e i polmoni direttamente nel flusso sanguigno e viaggiare da lì agli organi tra cui cuore e cervello. Possono invadere le singole cellule e attraversare la placenta fino ai corpi dei bambini non ancora nati. Gli scienziati medici stanno correndo per studiare i possibili effetti su un’ampia varietà di sistemi biologici.
La produzione mondiale di plastica si avvicina ai 400 milioni di tonnellate all’anno. Più di 30 milioni di tonnellate vengono scaricate ogni anno nell’acqua o sulla terra e molti prodotti realizzati con plastica, compresi i tessuti sintetici, rilasciano particelle mentre sono ancora in uso. Il nuovo studio utilizza una tecnica chiamata stimulated Raman scattering microscopy coinventata dal coautore dello studio Wei Min , un biofisico della Columbia. Prendendo di mira sette plastiche comuni, i ricercatori hanno creato un algoritmo basato sui dati per interpretare i risultati. I ricercatori hanno testato tre famose marche di acqua in bottiglia vendute negli Stati Uniti, analizzando le particelle di plastica fino a soli 100 nanometri di dimensione. Hanno individuato da 110.000 a 370.000 particelle in ogni litro, il 90% delle quali erano nanoplastiche; il resto erano microplastiche. I sette tipi di plastica cercati dai ricercatori rappresentavano solo il 10% circa di tutte le nanoparticelle trovate nei campioni; non hanno idea di cosa sia il resto. Se fossero tutte nanoplastiche, ciò significa che potrebbero essere decine di milioni per litro.
MELANOMA, NANOPARTICELLE ‘CARICATE’ CON MICRORNA
L’uso di nanoparticelle contenenti microRna potrebbe essere una soluzione innovativa per la cura del melanoma metastatico resistente alle terapie tradizionali, applicabile anche ad altre malattie oncologiche. Lo suggerisce uno studio, per ora solo su modelli in vitro e in vivo, di un gruppo di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità. Il melanoma metastatico rappresenta una sfida, soprattutto se non diagnosticato precocemente. Le terapie convenzionali si basano sull’immunoterapia e sugli inibitori di BRAF MEK, ma molti pazienti non rispondono adeguatamente. Il nuovo approccio terapeutico proposto da questo studio, realizzato dal team guidato dalle ricercatrici Nadia Felli e Federica Felicetti del dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare, diretto dal Dr. Mauro Biffoni, si basa sull’utilizzo di nanoparticelle contenenti microRNA (miR126), che mirano direttamente al tumore. Il miR126 è stato identificato come un efficacie agente onco-soppressore nel melanoma, così come in altri tipi di cancro. Per veicolare in modo mirato il miR126, il team di ricerca ha creato nanoparticelle di chitosano funzionalizzate con un anticorpo specifico per una proteina di membrana delle cellule di melanoma. Questo approccio consente alle nanoparticelle di raggiungere selettivamente le cellule tumorali, migliorando l’efficacia del trattamento e riducendo gli effetti collaterali.