Coronavirus, uno studio su anticorpi monoclonali intramuscolo. Dubbi su endovena a casa
Anticorpi monoclonali, ci sono alcune novità. "Stiamo per realizzare uno studio sull'utilizzo degli anticorpi monoclonali per via intra-intramuscolo" dice all'Adnkronos Salute il virologo dell'Università di Milano Fabrizio Pregliasco.
Saranno, spiega, "da comparare all'uso endovena, già autorizzato, per vedere se questa somministrazione può essere adottata. Se il nostro Comitato etico darà l'ok, partirà uno studio, che è multicentrico, e per il quale speriamo di riuscire subito a reclutare almeno una decina di pazienti. Questa via di somministrazione potrebbe esemplificare le cose", anche in vista delle cure domiciliari con questi medicinali.
In particolare, poi, nel nuovo Protocollo sulle cure domiciliari per i pazienti Covid, elaborato dal Dipartimento prevenzione del Ministero della Salute, e atteso a breve, "viene sottolineata la possibilità di avviare i pazienti affetti da Covid di recente insorgenza e con sintomi lievi-moderati, alla terapia con anticorpi monoclonali". Secondo Pregliasco "è importante rafforzare la vicinanza ospedale-territorio, quindi l'allerta del medico che deve sempre mantenere il contatto con il paziente positivo, in modo da somministrarli quanto più possibile in fase precoce in ambiente protetto. Credo sia un elemento da valutare per confermare risultati che sembrano interessanti".
La variante indiana di Sars-Cov-2 di cui si è avuta oggi segnalazione di un caso in Svizzera, "qualche altro era stato già individuato in Italia", per la prima volta a Firenze il 10 marzo scorso, richiede per ora "massima attenzione e una capacità di individuarla per capire e approfondire le caratteristiche che presenta, cioè quanto può essere più contagiosa e se scappa un po' dai vaccini". "Purtroppo - osserva - le varianti ci terranno compagnia anche più avanti, soprattutto quando il virus si troverà in difficoltà con le vaccinazioni, continuando per questo a sperimentare mutazioni. E per questo bisognerà fare richiami con vaccini aggiornati in base alle varianti", conclude.
"Monoclonali anti-Covid in terapia domiciliare? Il mio è un 'ni'. Non perché non sarebbe possibile ma perché ci sono due problemi importanti: la selezione dei pazienti, che è abbastanza complessa. E la gestione di eventuali effetti avversi". Lo ha spiegato all'Adnkronos Salute Antonella D'Arminio Monforte, direttore di Malattie infettive, Asst Santi Paolo e Carlo di Milano - uno dei reparti che somministra, su autorizzazione dell'Aifa, la cura - intervenendo sulla possibilità di utilizzare gli anticorpi monoclonali sul territorio, in coordinamento con l'ospedale, come potrebbe prevedere il nuovo protocollo ministeriale per le cure anti-Covid a domicilio che si attende a giorni.
Per la selezione dei pazienti, in particolare, "ci vuole un 'occhio allenato' - precisa l'infettivologa - perché la terapia può essere fatta solo a pazienti che non abbiano un'infezione troppo avanzata, che abbiano dei fattori di rischio per lo sviluppo di un'infezione più grave e che abbiano sintomi da meno di 10 giorni. Purtroppo i pazienti che ci vengono inviati dai medici di medicina generale e che per loro sono idonei, per noi non lo sono. Il grande rischio è la selezione del paziente".
Oltre al problema della scelta, però, c'è anche il problema di eventuali rischi di choc anafilattico, che possono essere gestiti con meno facilità sul territorio. Questi farmaci si somministrano, infatti, "in vena, in circa un'ora, non è la stessa cosa di un farmaco orale o un intramuscolo. Il medico deve prevedere di rimanere due ore con il paziente, per ogni eventualità. Bisogna anche prevedere un'assistenza con possibilità di urgenze rianimatorie, anche se rare. Fino ad oggi nel nostro centro abbiamo somministrato oltre 30 terapie e abbiamo avuto solo un caso, lieve, di choc".